Il Sinodo Panamazzonico vuole ripetere gli stessi errori di cinquanta anni fa: a tutto beneficio degli evangelici
(José Antonio Ureta, panamazonsynodwatch.info – 26 agosto Mons. José Luis Azcona, vescovo emerito della Prelatura di Marajó, nella regione amazzonica di Belém do Pará, ha lanciato un grido di allarme: “L’Amazzonia, almeno quella brasiliana, ormai non è cattolica”, visto che conta con “una maggioranza pentecostale” che, in certi luoghi, “raggiunge l’80%”.
La ragione? Ebbene, i missionari cattolici non battezzano più né evangelizzano, perché prediligono il “dialogo interculturale”. Gli evangelici invece lo fanno e con fervore. Mentre i pastori protestanti visitano le comunità con la Bibbia in mano, i missionari cattolici parlano agli indios di “deforestazione”, “riscaldamento climatico” ed “ecologia integrale”.
E l’Instrumentum laboris della prossima assemblea sinodale giustifica teologicamente questa opzione preferenziale per la Madre Terra, ritenuta un luogo epifanico. Così si ripete lo stesso errore pastorale che ha favorito la fuga di milioni di fedeli della Chiesa Cattolica verso la religione evangelica.
Quando conobbi il Brasile, la sua popolazione era costituita da 88,2 milioni di abitanti, di cui il 92% cattolici e il 5,2% evangelici (censimento del 1970). Nel 2018 la popolazione è raddoppiata, oggi i milioni sono 208, ma la percentuale dei cattolici è scesa al 64,6 mentre quella degli evangelici è salita al 22,2 (probabilmente il dato odierno è ancora più drastico, visto che questi sono dati del censimento del 2010, gli ultimi disponibili).
Con base a queste percentuali ormai superate, se le proporzioni si fossero mantenute uguali a quelle del 1970 la Chiesa brasiliana non avrebbe perso 57 milioni di fedeli negli ultimi 50 anni. C’è di peggio, secondo le proiezioni del demografo José Eustáquio Diniz Alves, al ritmo attuale di “transizione religiosa”, non è da escludersi che i cattolici calino al di sotto del 50% entro tre anni e vengano superati dagli evangelici prima del 20321, come dimostra il grafico sotto:
Chi incolpare per questo misfatto? La famosa “opzione preferenziale per i poveri” adottata dalla Chiesa latinoamericana nel 1968, durante la conferenza dell’episcopato regionale a Medellìn, Colombia. Lo affermano del resto gli stessi evangelici.
Nel già lontano 2001, il giornalista Richard N. Ostling del Time Magazinepubblicò un articolo intitolato “The Battle for Latin America’s Soul” (La battaglia per l’anima dell’America Latina), in cui descriveva come il cattolicesimo “sta fronteggiano una crisi seria: mentre il movimento Evangelico cresce ogni giorno di più, la Chiesa cattolica diventa sempre più debole”2.
Secondo il giornalista, “la maggioranza degli evangelici sembrano avere successo perché predicano un messaggio puramente spirituale” e cita in appoggio di questa tesi le dichiarazioni di Henrique Mafra Caldeira de Andrada, capo dell’Istituto di Studi Religiosi di Rio (protestante), il quale pensa che l’appello dei cattolici a un vangelo sociale abbia fallito perché non si sono accorti “che questa gente povera ha fame di qualcosa oltre che del mero cibo. Gli evangelici invece vengono incontro meglio ai bisogni emotivi e spirituali del popolo.”
La ciliegina sulla torta, tuttavia, la mise il reverendo Nilson Fanini, a quell’epoca la più alta autorità battista del Brasile, che al Time dichiarò senza tanti fronzoli: “La Chiesa Cattolica ha optato per i poveri, ma i poveri hanno optato per gli evangelici”.
Quattordici anni prima, Alan Riding, in un articolo per il New York Times, era giunto alla stessa conclusione: “Per molti studiosi della religione, gli anni settanta saranno ricordati per i drammatici cambiamenti occorsi all’interno della Chiesa Cattolica in America Latina, la quale pose fine alla sua alleanza tradizionale con le élites locali e dichiarò “l’opzione preferenziale per i poveri”, invece gli anni ottanta verranno contraddistinti per l’avanzata dell’evangelismo”. Collegando entrambi i fenomeni l’articolo aggiungeva: “ ‘I brasiliani credono nelle divinità, negli spiriti, nel misticismo, nei miracoli e via dicendo’ afferma Richard Sturz, un battista nato negli Stati Uniti ma che vi lavora dal 1949. ‘Quando la Chiesa Cattolica ha iniziato ad ammodernarsi negli anni ‘60, ha eliminato molto del mistero lasciando così un vuoto”3.
In tutto il Paese quel vuoto è stato colmato dagli evangelici, ma nell’Amazzonia questi devono disputare il terreno con gli sciamani. Da quanto ormai si sa, Il Sinodo Panamazzonico, invece di abbandonare fallimentari “opzioni preferenziali” in chiave eco-marxiste, prettamente terrene, e di tornare alla predicazione della Buona Novella di Gesù Cristo, sembra impegnato a spalleggiare gli sciamani contro i pastori evangelici.
Direbbe Edmund Burke: “Difendono i loro errori come se difendessero la loro eredità”.
Note
Il cardinale africano Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, ha scritto nel suo ultimo libro che se il prossimo Sinodo amazzonico consentisse l’ordinazione sacerdotale degli uomini sposati e creasse “ministeri per le donne e altre incongruenze simili”, la situazione sarebbe “estremamente grave” a causa della rottura dei padri sinodali con l’insegnamento e la tradizione cattolica.
Il cardinale Sarah ha fatto i commenti nel suo libro Le soir approche et déjà le jour baisse, (“È quasi sera e il giorno è quasi finito”) che è stato pubblicato a marzo. Riprendo da LifeSiteNews alcuni passi che questa ha tradotto in inglese riguardo il prossimo Sinodo dell’Amazzonia.
Eccoli nella mia traduzione in italiano.
Noto con sgomento che alcune persone vorrebbero creare un nuovo sacerdozio a misura d’uomo. Se l’Amazzonia manca di sacerdoti, sono sicuro che non risolveremo la situazione ordinando uomini sposati, viri probati, che non sono stati chiamati da Dio al sacerdozio, ma alla vita matrimonialeperché manifestino la prefigurazione dell’Unione di Cristo e della Chiesa (Ef 5,32). In un impulso missionario, se ogni diocesi dell’America Latina offrisse generosamente un sacerdote per l’Amazzonia, questa regione non sarebbe trattata con tanto disprezzo e umiliazione attraverso la creazione di sacerdoti sposati, come se Dio non fosse capace di suscitare in questa parte del mondo giovani generosi che sono disposti a dare totalmente il loro corpo e il loro cuore, tutta la loro capacità di amare, e tutto il loro essere nel celibato consacrato.
Ho sentito dire che, durante i suoi 500 anni di esistenza, la Chiesa latinoamericana ha sempre considerato le popolazioni indigene incapaci di vivere nel celibato. Il risultato di questo pregiudizio è visibile: sono pochissimi i vescovi e i sacerdoti indigeni, anche se le cose cominciano a cambiare.
Se per mancanza di fede in Dio e per effetto della miopia pastorale il Sinodo per l’Amazzonia decidesse l’ordinazione dei viri probati, la realizzazione di ministeri per le donne e altre incongruenze del genere, la situazione sarebbe estremamente grave. Le sue decisioni sarebbero ratificate con il pretesto che sono l’emanazione della volontà dei padri sinodali? Lo Spirito soffia dove vuole, certo, ma non si contraddice e non crea confusione e disordine. È lo spirito di saggezza. Sulla questione del celibato, [lo Spirito] ha già parlato attraverso i concili e i pontefici romani.
Se il Sinodo per l’Amazzonia prendesse decisioni in questa direzione, romperebbe definitivamente con la tradizione della Chiesa latina. Chi può onestamente dire che un simile esperimento, con il rischio di adulterare la natura del sacerdozio di Cristo, rimarrebbe limitato all’Amazzonia? Certo, l’idea è quella di affrontare le emergenze e le necessità. Ma la necessità non è Dio! La crisi attuale è paragonabile nella sua gravità alla grande emorragia degli anni Settanta, durante i quali migliaia di sacerdoti hanno lasciato il sacerdozio. Molti di questi uomini non credevano più. Ma noi crediamo ancora nella grazia del sacerdozio?
Voglio lanciare un appello ai miei fratelli vescovi: crediamo nell’onnipotenza della grazia di Dio? Crediamo che Dio chiama operai alla sua vigna o vogliamo sostituirlo perché siamo convinti che ci ha abbandonato? Peggio ancora, siamo pronti ad abbandonare il tesoro del celibato sacerdotale con il pretesto che non crediamo più che [Dio] ci dà l’opportunità di viverlo pienamente oggi?
(…)
Voglio anche sottolineare che l’ordinazione degli uomini sposati è tutt’altro che una soluzione alla mancanza di vocazioni. Anche i protestanti, che accettano i pastori sposati, soffrono di una carenza di uomini che si donano a Dio. Inoltre, sono convinto che se in alcune chiese orientali la presenza di uomini ordinati sposati è sopportata dai fedeli, è perché è integrata dalla massiccia presenza di monaci. Il popolo di Dio sa intuitivamente di aver bisogno di uomini che si donano radicalmente.
Sarebbe un segno di disprezzo per gli abitanti dell’Amazzonia offrire loro sacerdoti di seconda classe. So che alcuni teologi, come padre Lobinger, stanno seriamente pensando di creare due classi di sacerdoti: una sarebbe costituita da uomini sposati che darebbero solo i sacramenti, mentre l’altra sarebbe costituita da sacerdoti a pieno titolo che esercitano i tre uffici sacerdotali: santificare, predicare e governare. Questa proposta è teologicamente assurda. Essa implica una concezione funzionalista del sacerdozio, in quanto considera la separazione dell’esercizio dei tre uffici sacerdotali, i tria munera, adottando così l’approccio opposto ai grandi insegnamenti del Concilio Vaticano II che ne sanciscono l’unità radicale. Non capisco come ci si possa impegnare in tali regressioni teologiche. Credo che, con il pretesto della preoccupazione pastorale per i Paesi poveri in missione che mancano di sacerdoti, alcuni teologi stanno cercando di sperimentare le loro stravaganti e pericolose teorie. Fondamentalmente, disprezzano quei popoli. Un popolo recentemente evangelizzato ha bisogno di vedere la verità di tutto il sacerdozio, non una pallida imitazione di ciò che significa essere sacerdote di Gesù Cristo. Non disprezziamo i poveri!
La gente dell’Amazzonia ha un profondo bisogno di sacerdoti che non si limitano a svolgere il proprio lavoro in orari prestabiliti prima di tornare in famiglia per occuparsi dei propri figli. Ha bisogno di uomini appassionati di Cristo, che ardono del suo fuoco, divorati dallo zelo delle anime. Cosa sarei oggi se i missionari non fossero venuti a vivere e morire nel mio villaggio in Guinea? Avrei voluto fare il sacerdote se si fossero accontentati di ordinare uno degli uomini del villaggio?
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