Maria non si minimizza: dalla Madre di Dio nuova luce per esplorare il Mistero
Oggi ci troviamo di fronte ad una sinistra volontà di minimizzare il mistero di Maria. Se il Concilio di Efeso si fosse svolto ai nostri tempi, non potremmo celebrare la Solennità della Madre di Dio. La disputa teologica del quinto secolo si sarebbe conclusa con la decisione di non definire nulla per non dividere la Chiesa, perché la "misericordia" è più importante della retta dottrina. Invece, se Maria non è la Madre di Dio, le conseguenze cristologiche sarebbero devastanti. Una riflessione per invertire la glaciazione mariologica che stiamo vivendo.
Se il Concilio di Efeso si fosse svolto nei nostri tempi, probabilmente oggi non potremmo celebrare la Solennità della Madre di Dio. La disputa teologica che infiammava i primi decenni del quinto secolo si sarebbe conclusa con la decisione di non definire nulla per non dividere la Chiesa, perché la carità e la "misericordia" sono più importanti della retta dottrina. Nestorio e i suoi sarebbero stati trattati con “misericordia”, permettendo loro di proibire nelle proprie diocesi, dopo un percorso sinodale, il titolo di Madre di Dio, troppo divisivo, e di sostituirlo con quello di Madre di Cristo: dopo tutto il secondo non contraddice il primo. San Cirillo d’Alessandria sarebbe stato bacchettato come integralista, bollato come un vescovo rigido, incapace di cogliere l’unità nella diversità e mandato a fare da patrono di qualche ordine cavalleresco ante litteram.
Il partito “negazionista” di allora metteva davanti - come fanno ancora oggi molti protestanti e, forse senza rendersene conto, anche diversi cattolici - la difesa della trascendenza divina, perché sarebbe un’inaudita bestemmia pensare che Dio possa avere una madre, che Dio possa nascere e patire. Ma se Dio non nasce e non muore, come vedremo, per noi non vi è salvezza; la questione apparentemente astratta e periferica della communicatio idiomatum (la comunicazione degli idiomi, ovvero la possibilità di attribuire alla persona del Verbo sia le proprietà della natura divina, che quelle della natura umana, senza confusione tra le due nature) si rivela perciò in tutta la sua importanza.
La Chiesa cattolica, custode della verità, celebra la Madre di Dio, difende questa verità di fede e chiama eretici coloro che non la accettano: “Se qualcuno non confessa che l'Emmanuele è Dio nel vero senso della parola, e che perciò la santa Vergine è madre di Dio perché ha generato secondo la carne, il Verbo fatto carne, sia anatema”, insegna il primo canone del Concilio di Efeso.
La Chiesa sa bene che un cedimento sull’identità di Maria Santissima avrebbe provocato e provocherebbe anche oggi una valanga capace di travolgere altre verità di fede, soprattutto riguardo all’identità di Gesù. Le prerogative mariane non tolgono nulla al Figlio: al contrario ne custodiscono i tratti umano-divini e tutta la gloria della Madre si riverbera nel Figlio, nel Padre e nello Spirito Santo, che l’hanno voluta, amata, creata così.
Che cosa crediamo quando confessiamo che Maria Santissima è vera Madre di Dio? Nessun cattolico pensa che da Lei derivi la divinità del Figlio, che Lei sia l’autrice del suo essere Dio. Noi crediamo invece che Maria è vera madre di Gesù Cristo, la cui natura umana, che egli “prende” dalla Vergine, è unita alla sua Persona divina. Gesù è perciò il Figlio di Dio, la sua Persona è la seconda Persona della beatissima Trinità; se dunque Maria è la madre del Signore Gesù, della sua Persona, allora essa è necessariamente Madre di Dio.
Rimuoviamo subito l’obiezione che una donna non può generare Dio. Se per generare intendiamo che la divinità di suo Figlio deriva da Lei, siamo d’accordo; ma il punto sta nel fatto che la Madonna è veramente Madre di Gesù, della sua persona integrale, come ogni madre lo è del proprio figlio. Quando noi affermiamo che Tizia è madre di Caio, intendiamo veramente che ella è madre della persona del figlio, anche se riconosciamo che l’anima del figlio non è “prodotta” dai genitori, ma direttamente infusa da Dio nel momento del concepimento. Dunque, non tutto del figlio deriva dai genitori; eppure noi non affermiamo che i genitori sono padre e madre solo del corpo del figlio, bensì dell’intera persona del figlio, del suo “io”.
Torniamo alla divina maternità. Noi non crediamo che la divinità di Gesù derivi da Maria, ma confessiamo che il Verbo prende la sua natura umana ex Maria Virgine, senza concorso di uomo. Eppure Gesù non è un’altra persona rispetto al Verbo, ma è proprio il Verbo fatto carne: un’unica Persona, quella del Verbo, nelle due nature. E dunque Maria è legittimamente, veramente, misteriosamente Madre di Dio.
Se il Concilio di Efeso si fosse svolto in un clima di ecumenismo irenico e decadente, se in quel concilio si fosse respirata una mariologia minimalista e biblicista a rimetterci le penne - perdonate l’espressione - sarebbe stato proprio il Signore Gesù. Ed anche noi.
Per quale ragione? Perché il rifiuto del titolo di Theotókos, a prescindere dalle intenzioni di chi lo avversava, avrebbe colpito la Persona stessa di Gesù. Se Maria non è la Madre di Dio, le conseguenze cristologiche sono devastanti. La prima che potrebbe derivarne è che Gesù non è Dio, ricadendo così nell’arianesimo. Oppure si dovrebbero ammettere due persone, una divina e una umana, una sorta di schizofrenia cristologica, che fa a pugni, oltre che con la ragione, anche con il Vangelo, il quale ci presenta Gesù perdonare i peccati nel proprio nome, cosa che può fare Dio solo, e lo stesso Gesù dire in prima persona: “Ho sete”, necessità che appartiene alla natura umana. Ma c’è un solo “io” a fare da soggetto a queste due azioni ed è l’Io divino. Pensare a due persone diverse per salvare la distinzione, farebbe perdere l’unione, finendo così per sconvolgere la Redenzione, perché è precisamente ciò che è assunto da Dio ad essere salvato e non ciò che è semplicemente giustapposto a Dio o unito estrinsecamente a Lui. Se a morire in croce non è stato il Figlio, nella sua natura umana, ma anche nella sua Persona divina, allora non vi è salvezza per nessuno.
Torniamo ai primi decenni del quinto secolo. Il presbitero antiocheno Anastasio, che Nestorio, una volta divenuto vescovo di Costantinopoli, volle al suo fianco, iniziò a predicare contro il titolo di Madre di Dio; diversi monaci ed il popolo, pur senza addentrarsi nelle sottigliezze teologiche, avevano però intuito la portata eretica di questa posizione e, di conseguenza non ne volevano sapere di rinunciarvi; ne seguì l’inevitabile e doverosa contestazione del sacerdote.
Nestorio cercò una mediazione, che purtroppo non proveniva dalla fede, ma dal calcolo umano: respinse gli eccessi di Anastasio, rifiutando l’espressione da lui promossa di Maria come antropotokos, ovvero madre dell’uomo Gesù, ma si oppose anche al titolo di Theotókos. E per salvare capra e cavoli coniò il titolo di Christotókos, madre di Cristo, secondo lui più aderente al testo biblico e più rispettoso della distinzione delle due nature. Non era solo questione di opportunità: Nestorio non riusciva a concepire l’unione di Dio con quella natura umana assunta da Maria se non come una unione estrinseca, non ontologica ed indissolubile. San Cirillo di Alessandria, conosciuta la posizione di Nestorio, inviò una lettera ai vescovi d’Egitto per respingere questo errore, e di seguito scrisse direttamente anche a lui, ma senza successo. Entrambi decisero allora di rivolgersi alla Sede Apostolica per dirimere la questione e papa Celestino I, nel 430, condannò Nestorio.
Il patriarca non si diede per vinto e convinse l’imperatore Teodosio II a convocare un concilio per dibattere la questione. San Cirillo, nell’occasione, non fu propriamente un signore, perché di sua iniziativa iniziò il concilio il 22 giugno del 431, senza attendere né i vescovi antiocheni, né i legati pontifici e senza ascoltare l’opposizione di numerosi vescovi presenti a questo colpo di mano. La forzatura finì inevitabilmente per provocare dissidi e risentimenti, con deposizioni reciproche, ma in questa confusione venne custodita la perla di inestimabile valore, così espressa nella seconda lettera di Cirillo a Nestorio, letta durante il concilio del 431: “Che il Verbo si sia fatto carne non è altro se non che è divenuto partecipe, come noi, della carne e del sangue: fece proprio il nostro corpo, e fu generato come un uomo da una donna, senza perdere la sua divinità o l'essere nato dal Padre, ma rimanendo, anche nell'assunzione della carne, quello che era. Questo afferma dovunque la fede ortodossa, questo troviamo presso i santi padri. Perciò essi non dubitarono di chiamare la santa Vergine madre di Dio, non certo, perché la natura del Verbo o la sua divinità avesse avuto l’origine del suo essere dalla santa Vergine, ma perché nacque da essa il santo corpo dotato di anima razionale, a cui è unito sostanzialmente, si dice che il verbo è nato secondo la carne”.
L’affermazione di Maria vera Madre di Dio non è però solo un punto di arrivo, ma è anche principalmente un nuovo punto di partenza per esplorare il mistero di Dio in Lei. La conoscenza umana è così: ogni nuova acquisizione permette di avere maggior luce per comprendere verità ancora più profonde; ogni passo compiuto verso la vetta, permette di salire più in alto ed apre perciò la visione ad orizzonti più vasti.
E così di fatto è avvenuto: la penetrazione della divina maternità, che colloca Maria Santissima nell’ordine ipostatico, non cessa di gettare nuove luci sulla conoscenza del mistero di Lei; per questo i padri amavano ripetere il motto de Maria numquam satis. L’Immacolata Concezione, la sua Assunzione sono verità proclamate proprio grazie a questo processo di continuo approfondimento, che non è affatto terminato; onorarla, infatti, con il titolo di Mediatrice di tutte le grazie e Corredentrice non è altro che il frutto della contemplazione sempre più penetrante del mistero inesauribile di Lei.
Da decenni ci troviamo però di fronte ad una sinistra volontà di minimizzare il mistero di Maria, di rendere la Madre di Dio una “donna feriale”, di bloccare l’esito dell’approfondimento teologico alla luce della fede per poter proclamare le grandi cose fatte in Lei dall’Onnipotente (cfr. Lc 1, 49). Siamo in un’epoca di glaciazione mariologica, segno eloquente di quel tempo di cui fu detto: “per il dilagare dell’iniquità, si raffredderà l’amore di molti” (Mt 24, 12).
In questa solennità chiediamo a Lei, Omnipotentia supplex, che ci conceda presto la grazia che tutta la Chiesa la riconosca, proclami e celebri come conviene alla sua grandezza. E a noi di dare la vita perché questo tempo arrivi presto: dignare me laudare te, Virgo sacrata; da mihi virtutem contra hostes tuos.
Luisella Scrosati
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MARIA CORREDENTRICE: LE RAGIONI DEL “SÌ” AL DOGMA.
Carissimi Stilumcuriali, Claudio Circelli, terziario dei Francescani dell’Immacolata, ci ha inviato una riflessione molto documentata e interessante sulla figura di Maria, Corredentrice. Buona lettura. E Auguri di Buon Anno a tutti, nella ricorrenza della festa di Maria Madre di Dio.
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Corredentrice taciuta, Corredentrice dimenticata, Corredentrice mortificata
«Sono state omesse certe espressioni e vocaboli usati dai Sommi Pontefici che, benché in sé verissimi, possono essere più difficilmente capiti dai fratelli separati (in questo caso, dai protestanti). Tra gli altri vocaboli, si possono annoverare i seguenti: “Corredentrice del genere umano” (San Pio X, Pio XI); “Riparatrice di tutto il mondo” (Leone XIII); “rinunciò ai diritti materni sul figlio, per la salvezza degli uomini” (Benedetto XV; Pio XII); “meritatamente, si può dire che Maria, con Cristo, abbia redento il genere umano” (Benedetto XV)»[1].
Con queste parole, la Commissione teologica preparatoria del Concilio Vaticano II riassumeva lo status quaestionis – ed esprimeva l’universale sensus fidelium -, quanto al titolo e quanto al contenuto della Corredenzione, agli inizi degli anni ’60, nella Chiesa Cattolica.
A distanza di 57 anni da quel documento, approvato da san Giovanni XXIII (+ 3-6-1963), udiamo l’eco di una voce diversa, proveniente dalla Basilica più cara alla Cristianità:
“Fedele al suo Maestro, che è suo Figlio, l’unico Redentore, non ha mai voluto prendere per sé qualcosa di suo Figlio. Non si è mai presentata come co-redentrice. No, discepola” (Francesco, Basilica Vaticana, 12 dicembre 2019).
A commento di questa espressione, si noti che “non presentarsi come Corredentrice”, non significa non esserlo. Nemmeno Maria si è “presentata” come Immacolata, e nemmeno come Madre di Dio, e nemmeno come sempre vergine. Anzi, le apparenze, potevano suggerire piuttosto il contrario, soprattutto quanto alla sua verginità. Eppure, nonostante le apparenze, Maria era, è, e sempre sarà l’Immacolata Semprevergine Madre di Dio; e il primo di questi dogmi, l’Immacolato Concepimento, è stato solennemente proclamato dal beato Pio IX, a coronamento di un movimento mondiale di petizioni, proprio in quella basilica Vaticana dove, qualche settimana fa, il suo successore ha paragonato la richiesta del nuovo dogma mariano, a “chiacchiere inutili”.
Chiedere un nuovo dogma, non è “perdersi in chiacchiere” ma è la legittima espressione del sensus fidelium, secondo quanto dice il Signore Gesù, “lo Spirito Santo vi condurrà alla verità tutta intera” (Gv 16, 13); secondo la profezia della Vergine Maria, “Tutte le generazioni mi chiameranno beata” (Lc 1, 48), e secondo quanto prescrive il Diritto Canonico, “i fedeli hanno il diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri; […] essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede…” (can 212, §§2-3).
Se metteranno a tacere queste voci, “grideranno le pietre” (Lc 19, 40).
Nemmeno Gesù si è presentato a tutti con lo splendore della gloria della sua divinità; e anche quando si presenta a Tommaso, da Risorto, “altro è ciò che Tommaso vide, altro è ciò in cui Tommaso credette” (San Gregorio Magno).
Non presentare apertamente le proprie qualità e perfezioni, dunque, non significa esserne privi. Questo è vero soprattutto per le persone umili, come era la Vergine Maria, secondo le sue stesse ispirate parole: “L’Onnipotente… ha guardato all’umiltà della sua serva” (Lc 1, 48). L’umiltà, per definizione, nasconde se stessa.
Anche Dio non appare, eppure c’è.
Il passaggio dall’apparenza all’essere è il passaggio dalla fisica alla metafisica, dalla materia allo spirito, dagli accidenti alla sostanza, dall’estetica sensuale alla contemplazione della verità; tutte condizioni di possibilità per il ragionevole passaggio dall’evidenza naturale alla fede soprannaturale, senza della quale ragionevolezza la fede manca dei suoi presupposti intellettuali, e diventa fideismo volontarista irrazionale.
Se dalla premessa che “Maria non appare come Corredentrice”, si osa concludere che, dunque, non lo è, o si procede in modo sofistico, e quindi senza coerenza logica; oppure si presuppone una seconda premessa – “solo ciò che appare è” -, tenuta appositamente nascosta, per la sua intellettuale indecenza. In questo secondo caso, il ragionamento è coerente in se stesso, ma ugualmente falso, perché evidentemente falsa è la seconda premessa, in quanto, se fosse vera, Dio non esisterebbe. Si capisce perciò, perché tale premessa sia indicibile per un cristiano, soprattutto cattolico. Tuttavia, essa è presupposta, in modo più o meno larvato anche in campo ecclesiale, in tanti ragionamenti che assolutizzano certi principi della filosofia del linguaggio e della “comunicazione”. Assolutizzano il relativo e relativizzano l’assoluto, in modo da sostituire la metafisica (oltre-la-fisica) dell’essere con l’”endofisica” dell’apparire, fondata sulla verità come “trascendentale” dell’apparire, e non più dell’essere.
Tale supporto della fede, non più metafisico, ma ideologico (scenografico e politico), deve trovare la propria ragion d’essere non più nell’amore delle realtà invisibili, ma nell’antropologia immanente, che si traduce nell’impegno sociale per un modo materialmente e psicologicamente migliore. Da qui la simpatia di un certo mondo cattolico per la teologia della liberazione e per la massoneria, con le quali esso condivide l’ideale dell’umanesimo integrale immanente. In questo mondo sedicente cattolico, alla dottrina della fede si preferiscono gli slogan demagogici, e alla Sacra tradizione liturgica, si preferisce lo show lasciato alla creatività (e alla cretinità) delle mode del momento. Per questo mondo cattolico, non solo un nuovo dogma, ma tutti i dogmi propriamente soprannaturali, sono “chiacchiere inutili”.
Bisogna ricordare, a questo punto, che nelle fonti della Rivelazione ci sono molte verità virtualmente nascoste (come la pianta nel seme, come il fiore nel germoglio, come il frutto nel fiore), la cui comprensione formale cresce solo progressivamente, «con la contemplazione e lo studio dei credenti che le meditano in cuor loro (cfr. Lc 2,19 e 51), sia con la intelligenza data da una più profonda esperienza delle cose spirituali, sia per la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma sicuro di verità» (DV 8).
Questo è vero universalmente e, in particolare, per il mistero che circonda l’umile Ancella del Signore:
«Quanto poco ancora è conosciuta l’Immacolata, in teoria, e meno ancora nella pratica. Quanti preconcetti, incomprensioni, difficoltà si agitano nelle menti!» (San Massimiliano, Scritti, n. 603).
«Tutto resta ancora da dire su Maria» (San Massimiliano, in Il Cavaliere dell’Immacolata, 1942, n. 10, p. 17).
Tutto resta da scoprire, come un tesoro nascosto nelle fonti Rivelazioni, prima tra le quali è la Sacra Scrittura. E il senso cristiano integrale della Sacra Scrittura, oggi, indica soprattutto tre passi biblici che contengono, come uno scrigno sacro e prezioso, la mistica perla della corredenzione: Gen 3, 15; Gv 19, 26-27; Ap 12, 2.
A tal riguardo, ci sarebbe da approfondire l’esegesi di questi passi biblici, anche perché non mancano ottimi studi a carattere scientifico e divulgativo, corroborati dall’insegnamento dei Padri, confermati dal magistero ordinario pontificio.
Se, dunque, non è lecito concludere, da quella premessa “apparente”, che Maria non è Corredentrice, né per deduzione logica, né teologica, essendo vero esattamente il contrario, come si spiega che molti cattolici, attualmente, proprio a tale conclusione negativa sono pervenuti?
La risposta è già stata data sopra, almeno parzialmente, parlando dell’”endofisica dell’apparenza”, come nuovo orizzonte culturale immanente di molti cattolici anagrafici, dai quali la fede viene recepita a modo di ideologia antropologica immanente e non più come virtù soprannaturale essenzialmente teologale e trascendente l’universo materiale.
In questo contesto di “materialismo pragmatico cristiano”, trova la sua naturale collocazione il principio che spiega più da vicino l’inusitata eclissi della corredenzione mariana nella chiesa cattolica: “l’errore non confutato è un errore propagato; e se la correlativa verità non è più fortemente proclamata, essa è dimenticata”.
Dopo il concilio, per una cattiva interpretazione del suo silenzio sulla Corredentrice, non solo la Corredenzione è stata taciuta, ma è stata anche formalmente negata da varie correnti teologiche, senza che il magistero si desse la pena di confutarle. Conseguenza: l’errore si è propagato, fino ad attingere una parte notevole dell’intelligenza cattolica.
L’unico che ha reagito a questo triste andamento delle cose, sia pure, non con il vigore necessario per invertire la cattiva tendenza, è stato San Giovanni Paolo II, nel suo magistero ordinario. Ma anche la sua voce è stata ostracizzata da potenti lobby ecclesiali. Gli ultimi suoi pronunciamenti pontifici sulla corredenzione risalgono ai primi anni ’90 e, perciò, da allora, sono passati circa 25 anni…, 25 anni di silenzio, sia della corredenzione in sè, sia della confutazione della sua negazione. Risultato: quanto all’opinione comune presso i teologi, non ci crede quasi più nessuno, se non un piccolo resto. Si è taciuta la verità per rispetto umano verso i protestanti, e ora, sulla Corredentrice, si pensa come i protestanti. Ma non tutti sono caduti nella trappola, perché lo Spirito Santo conduce infallibilmente il sensus fidelium della Chiesa e, quando tace la chiesa docente, parla la chiesa discente, mossa dallo spirito di pietà verso l’Immacolata Madre di Dio.
A chiedere un nuovo dogma mariano, che includa in modo diretto o indiretto la corredenzione, non è stato solo il piccolo gruppo di presuli che recentemente si sono rivolti in tal senso a papa Francesco. La chiesero, in verità, circa 400 vescovi durante il Concilio Vaticano II e, tra il 1993 e il 2010, il movimento internazionale Voxpopuli, che raccolse la firma di 42 cardinali, più di 500 vescovi e circa 7 milioni di altre adesioni.
Se a questo, aggiungiamo che difficilmente si trova un santo del XX secolo che non abbia parlato, in un modo o nell’altro, della Corredentrice, arriviamo alla conclusione essa sia una verità cattolica prossima alla fede.
Prendiamo esempio da loro, in particolare da san Giovanni Paolo II che ha usato 7 volte il titolo di Corredentrice nel suo magistero ordinario, e ne ha spiegato mirabilmente il contenuto teologico.
Prendiamo esempio da san Lepoldo Mandic (+ 1942) che, tra gli altri Santi “corredenzionisti”, avrebbe voluto scrivere un libro per dimostrare che Maria è Corredentrice. Egli credeva che Maria, in quanto Corredentrice, avrebbe ristabilito l’unione della Chiesa Ortodossa con “l’unica Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa Cattolica”.
Prendiamo l’esempio da santa Teresa di Calcutta che, in una lettera autografa del 14 agosto 1993, scrisse: “La definizione papale di Maria Corredentrice… porterà grandi grazie alla Chiesa”.
Prendiamo l’esempio da san Henry Newman (+ 1890), che ha rivolto al suo amico Pusey, anglicano, queste attualissime parole: “perché contestate il fatto che Nostra Signora venga chiamata Corredentrice quando siete pronti ad accettare titoli incommensurabilmente più gloriosi attribuiti a Maria dai Padri: Madre di Dio, Seconda Eva, Madre di Vita, Stella del Mattino, Nuovo Paradiso Mistico, Centro dell’Ortodossia, e altri simili?”.
[1] SACROSANTUM OECUMENICUM CONCILIUM VATICANUM SECUNDUM, Schemata Constitutionum et Decretorum de quibus disceptabitur in Concilii sessionibus. Series secunda. De Ecclesia et de B. Maria Virgine, Typis Poliglottis Vaticanis, 10 novembre 1962, p. 100.
Marco Tosatti
Maria Madre di Dio. Dunque corredentrice
Cari amici di Duc in altum, in questo primo gennaio, solennità di Maria Madre di Dio, vi propongo un nuovo intervento fattomi pervenire dal professor Mark Miravalle, mariologo dell’Università Francescana di Steubenville, negli Stati Uniti. Il professor Miravalle, che ha già scritto per Duc in altum il saggio Il valore corredentivo della “compassio” di Maria, torna sulla questione del titolo di corredentrice esaminandone a fondo i presupposti biblici e liturgici. Da parte mia, mi permetto di annotare che non mi trovo in linea rispetto ai giudizi positivi che il professore formula nel finale, circa l’influenza mariana sul pontificato di Francesco, ma ciò senza togliere all’articolo di Miravalle il merito di fornire ai lettori utilissime chiavi di lettura sulla questione della corredenzione di Maria.
A.M.V.
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Il tema riguardante Maria, la Madre di Gesù, come “corredentrice” è diventato la discussione mariologica più calda di questi giorni, visti i commenti a braccio di papa Francesco su tale titolo durante l’omelia del 12 dicembre 2019, nella quale ha affermato che Maria “mai si è presentata come corredentrice”.
La dottrina dell’esclusiva partecipazione umana di Maria alla Redenzione compiuta da Gesù Cristo, unico divino Redentore, che è teologicamente contenuta nel singolo termine “co-redentrice”, è già un insegnamento ufficiale della Chiesa cattolica e del Concilio Vaticano II (Lumen gentium, 56, 57, 58, 61). L’attuale dibattito globale pone tuttavia la domanda: perché? Perché la Chiesa chiama Maria l’unica corredentrice umana con Gesù?
Il prefisso “co” deriva dalla parola latina cum, che significa “con” e non “uguale”. Il titolo “corredentrice” applicato alla Madre di Gesù non pone mai Maria a un livello di uguaglianza con Gesù Cristo, l’unico divino Redentore del mondo. Mettere Maria a un livello divino di uguaglianza con Gesù costituisce sia eresia cristiana sia blasfemia.
Piuttosto, il termine di Corredentrice applicato alla madre umana di Gesù indica la singolare partecipazione umana di Maria con e sotto Gesù, suo Divino Figlio, all’opera salvifica della Redenzione (redimere: “riacquistare”) per la famiglia umana.
Sia gli studi biblici sia quelli liturgici chiariscono che il prefisso “co” non significa uguale. San Paolo si riferisce a tutti noi cristiani come “collaboratori di Dio” (1 Cor. 3: 9), ma non insegna che siamo “lavoratori uguali” a Dio. La liturgia si riferisce ai cristiani come “co-eredi” di Gesù, ma certamente non significa che sono “eredi uguali” a Gesù. Papa San Giovanni Paolo II ha ripetutamente esortato i fedeli cattolici a essere “co-redentori in Cristo” (ad esempio, 8 maggio 1988). Ancora una volta pertanto si può confermare che “co” significa “con” e non “uguale”, così come è usato in maniera appropriata nei testi biblici, nella liturgia e dai papi nel titolo mariano “Co-redentrice”.
La straordinaria cooperazione di Maria alla Redenzione illustra il principio cattolico centrale di partecipazione, in cui le creature possono condividere un qualità o un’opera di Dio, ma senza aggiungere, sottrarre o competere con Dio attraverso quella partecipazione. Ad esempio, ogni cristiano partecipa alla natura stessa di Dio condividendo la sua vita divina attraverso la grazia santificante (cfr. 2 Pietro 1:14), ma senza aggiungere, sottrarre o competere con la vita divina della Trinità. Allo stesso modo, tutti i cristiani partecipano in modo totalmente dipendente e subordinato all'”unica mediazione tra Dio e l’uomo, che è l’uomo Cristo Gesù” (1 Tim 2: 5) per il tramite, come San Paolo esorta alcuni versi prima, delle nostre “suppliche, preghiere, intercessioni e ringraziamenti” gli uni per gli altri (1 Tim 2:1).
Allo stesso modo, san Paolo chiama i cristiani a partecipare all’opera di redenzione di Gesù “rimediando a ciò che manca alle sofferenze di Cristo, per il bene del suo corpo, che è la Chiesa (Col. 1:24)”, cioè partecipando alla misteriosa liberazione delle grazie meritate da Gesù attraverso l’offerta fedele delle nostre sofferenze in unione con Gesù per la salvezza delle anime. Questo è il motivo per cui papa san Giovanni Paolo II (e papa Pio XI prima di lui) hanno giustamente chiamato tutti i cristiani a essere redentori in Cristo: condividere la missione salvifica di redenzione di Gesù per i nostri fratelli e le nostre sorelle attraverso le nostre preghiere, la nostra intercessione, la nostra evangelizzazione, la nostra catechesi, la nostra carità, la nostra testimonianza e soprattutto attraverso le nostre sofferenze unite a quella dell’unico divino Redentore.
Le coppie “co-creano” con il Padre Eterno quando hanno figli; i vescovi “co-santificano” con lo Spirito Santo quando amministrano la Confermazione; e tutti i cristiani “co-redimono” con Gesù offrendo le loro preghiere e i loro sacrifici in unione con Gesù per la salvezza delle anime.
Se ogni cristiano è chiamato a partecipare all’opera redentrice di Gesù come co-redentori in Cristo, allora sicuramente la Madre di Gesù lo fa, ma a un livello di partecipazione come nessun’altra creatura nella storia. La partecipazione umana di Maria alla Redenzione di Cristo è, ancora una volta, interamente dipendente e subordinata all’opera infinita del divino Redentore (Lumen gentium, 60, 61). Tuttavia nessuno condivide la Redenzione del suo divino Figlio più della sua madre umana.
In che modo dunque la Scrittura rivela il ruolo unico di Maria come Corredentrice con Gesù?
Dall’inizio dell’Antico Testamento, il Libro della Genesi profetizza la “donna” posta dal Padre Eterno in totale opposizione o “inimicizia” con il diabolico serpente, e dice che condividerà intimamente con suo Figlio, il “seme” della vittoria, con lo schiacciamento della testa di Satana e del suo seme (cfr. Gen. 3:15).
All’Annunciazione, Maria partecipa storicamente con il Redentore come nessun altro portando il divino Redentore nel mondo e fornendo alla Parola Divina lo stesso strumento di Redenzione: il suo corpo umano. Come ha esclamato santa Teresa di Calcutta, “certo, Maria è la Corredentrice! Ella ha dato a Gesù il suo corpo e l’offerta del suo corpo è ciò che ci ha salvato” (14 agosto 1993).
Simeone profetizza la futura sofferenza della madre del Redentore al Calvario in un esplicito riferimento biblico al sacrificio correlato di Maria con Gesù al Calvario: “E anche una spada perforerà la tua stessa anima” (Lc 2, 35).
Il culmine storico della redenzione umana al Calvario (Giovanni 19: 25-27) rivelerebbe parimenti l’apice del ruolo di Maria come Corredentrice. Il Concilio Vaticano II descrive il suo ruolo senza pari come testimoniato dalle Scritture: “Così, la Beata Vergine avanzò nella peregrinazione della fede e serbò fedelmente la sua unione col Figlio sino alla Croce, dove, non senza un disegno divino, se ne stette, soffrendo profondamente con il suo Unigenito e associandosi con animo Materno al suo sacrificio, e acconsentiva amorevolmente all’immolazione della vittima da lei generata. Alla fine, dallo stesso Cristo Gesù morente sulla croce fu data quale madre al suo discepolo con queste parole: donna, ecco tuo figlio (Giovanni 19: 26-27)” (Lumen gentium, 58).
La Chiesa paleocristiana ha consegnato fedelmente il ruolo unico di Maria nella Redenzione contenuto nella Scrittura e nella tradizione apostolica. La Chiesa post-apostolica del II secolo trasmetteva il ruolo corredentivo di Maria all’interno del modello primitivo della “Nuova Eva”: poiché Eva aveva partecipato con Adamo alla perdita della grazia per la famiglia umana, così Maria la Nuova Eva, partecipò con Cristo, il Nuovo Adamo, nel restauro della grazia per la famiglia umana. Sant’Ireneo identifica Maria come “causa di salvezza per sé stessa e per l’intera razza umana” (Adversus haereses, 180 d.C.), e san Girolamo riassume in modo succinto “Morte per Eva, vita per Maria” (+ 420).
La Chiesa medievale avrebbe anche sostenuto il ruolo della Madonna nella Redenzione. San Bernardo di Chiaravalle parla della compassione di Maria con Gesù al Calvario e della sua “offerta di suo Figlio” per la nostra Redenzione (Sermo 3 de purificatione, + 1153); mentre il suo discepolo, Arnoldo di Chartres, si riferisce alla “co-sofferenza” e alla “co-morte” di Maria con suo Figlio al Calvario (De Laud. BVM, + 1160). Il titolo di Corredentrice viene usato per la prima volta nel XIV secolo (Cattedrale di Salisburgo) ed è più volte difeso dal grande teologo gesuita tridentino Alfonso Salmeron (Commentari in Evangel. + 1585).
I papi degli ultimi tre secoli hanno ripetutamente proposto la corredenzione di Maria, con papa Pio XI che ha esplicitamente usato tre volte il titolo di Corredentrice e il grande papa San Giovanni Paolo II che si riferì a Maria come Corredentrice in sette occasioni distinte, come insegnamento della dottrina della Corredenzione mariana, onnipresente in tutto il suo pontificato. Per esempio: “Crocifissa spiritualmente con suo Figlio crocifisso … contemplò eroicamente la morte del suo Dio … al Calvario, si unì al sacrificio di suo Figlio, che portò alla fondazione della Chiesa … In effetti, il ruolo di Maria come Corredentrice non cessò con la glorificazione di suo Figlio” (31 gennaio 1985, Guayaquil, Ecuador).
La straordinaria serie di santi canonizzati di recente, che hanno legittimamente definito Maria come Corredentrice, include san Padre Pio da Pietrelcina, santa Teresa di Calcutta, san Massimiliano Kolbe, santa Teresa Benedetta della Croce, san Josemaría Maria Escrivá de Balaguer, san John Henry Newman e, ancora una volta, papa san Giovanni Paolo II. La grande veggente di Fatima, suor Lucia, usa e spiega in modo sublime il titolo di Corredentrice per Maria in numerose occasioni nel suo ultimo scritto, Chiamate dal messaggio di Fatima.
Ma perché Maria merita in modo univoco il titolo di “corredentrice” di tutta l’umanità, e anche tra i più alti angeli?
Maria è davvero superiore a tutta l’umanità nel suo ruolo di corredentrice umana con Gesù in virtù del suo ruolo irripetibile di Madre di Dio. Solo Maria può dire del Redentore che è “osso del mio osso; carne della mia carne.” Dio non usò Maria come un tipo di “madre surrogata”, utilizzandola esclusivamente come baby maker fisica, e quindi ponendola lontana dal Figlio. Il sì di Maria all’Annunciazione fino al suo sì al Calvario la rende Corredentrice permanente del suo Figlio Redentore.
Un’altra risposta al “perché” di Maria Corredentrice è essenzialmente legata alla sua Immacolata Concezione. Maria fu creata “piena di grazia” e senza peccato, in modo da unirsi fedelmente a Gesù nella sua opera di Redenzione senza infedeltà alla sua missione, per essere il suo perfetto partner umano nella missione redentrice senza alcun “punto debole” con Satana. L’Immacolata Concezione permise anche a Maria di dare a Gesù la sua immacolata natura umana, che sarebbe diventata lo strumento della Redenzione (Ebr. 10:10). Come spiegato dal vescovo Josef Punt di Haarlem-Amsterdam in Un vescovo spiega Maria ai protestanti: “… il Padre ha potuto solo concepire l’Incarnazione di suo Figlio insieme alla Donna, dalla quale suo Figlio avrebbe preso la carne. E oggi, attraverso la scienza, sappiamo meglio cosa significa carne: non solo muscoli, ossa eccetera, ma tutto il suo DNA, il suo ‘patrimonio genetico’, tutto il suo potenziale umano e le sue qualità. Oltre alla sua divinità e alla sua anima umana, tutto il resto veniva da Maria e da Lei sola. Come diceva semplicemente Madre Teresa: ‘Niente Maria, niente Gesù’. Pertanto, nella comprensione cattolica, Maria non poteva essere un essere peccaminoso. Il peccato originale influenza anche il nostro DNA. Per grazia di Dio, una grazia derivata in anticipo dalla Redenzione, Lei è stata quindi creata nella purezza originale e nella libertà originale, non ancora corrotta dal peccato. Noi la chiamiamo Immacolata Concezione”. Doveva essere così.
Solo in quella vera libertà, nel nome di tutta l’umanità, Maria poteva dire “sì” a Dio, dove Eva ha detto “no”, e con questo atto libero, e con la sua libera sofferenza con Cristo dalla nascita alla morte, ha corretto il peccato di Eva, e divenne la “causa di salvezza per sé stessa e per l’intera razza umana”, come scrive il padre della Chiesa sant’Ireneo già nel II secolo. Il suo “sì” è cruciale nella storia dell’umanità come il “no” di Eva. Mentre Eva collaborò con Adamo nel peccato, Maria collaborò con Gesù nella Redenzione. Cristo è il nostro unico divino Redentore, ma nel senso umano Maria merita davvero di essere chiamata Corredentrice con Gesù, non solo perché è sua Madre, ma, di nuovo, perché è l’Immacolata Concezione.
È ancora possibile che il titolo di Corredentrice per Maria possa essere frainteso nel senso che pone in qualche modo Maria a un livello di uguaglianza con Gesù? Certamente potrebbe. Ma anche il primo titolo dogmatico di Maria “Madre di Dio” potrebbe essere frainteso nel senso che Maria era la madre di Dio Padre o la madre dello Spirito Santo. Ecco un’altra ragione per cui una solenne dichiarazione di che cosa intende esattamente la Chiesa quando chiama Maria Corredentrice potrebbe mettere ordine in tutto ciò.
Questi sono i motivi per cui Maria è veramente Corredentrice. Queste sono anche le ragioni per cui il popolo di Dio nel mondo continua a pregare e a presentare rispettosamente una petizione al nostro santo padre papa Francesco, per una sua solenne definizione.
Inoltre sarebbe inesatto valutare la caratterizzazione mariana del pontificato di papa Francesco solo sulla base di alcuni commenti spontanei durante la sua omelia non scritta del 12 dicembre scorso. L’influenza mariana in questo pontificato è invece evidente, nelle stesse azioni di papa Francesco, come ad esempio nell’aver stabilito la festa di Maria Madre della Chiesa, con il suo profondo significato pneumatologico il lunedì dopo la Pentecoste; la diffusione della potente devozione della Madonna che scioglie i nodi a livello globale; l’elevazione della celebrazione liturgica della Madonna di Loreto; il suo ripetuto insegnamento sull’importanza del Rosario; la sua testimonianza devozionale mariana iniziando e terminando ogni viaggio internazionale portando fiori e pregando davanti alla famosa icona Salus Populi Romani di Santa Maria Maggiore a Roma; la sua fervida devozione e il pellegrinaggio per Fatima; la sua approvazione senza precedenti dei pellegrinaggi ufficiali a Medjugorje, anche prima della sua formale approvazione di autenticità; il suo motto più volte ripetuto secondo cui “Un cristiano senza Maria è un orfano”, i suoi recenti ripetuti riferimenti alla Madonna come “Madre di tutti i popoli” (20 ottobre 2019; 8 dicembre 2019), che è la dottrina mariana generale che si richiede che possa essere solennemente definita come dogma.
Il cuore di papa Francesco è aperto alla Madre. Questo è il motivo per cui continueremo a pregare e a presentare una petizione per la solenne definizione di maternità spirituale della Madonna, inclusiva delle sue tre funzioni materne di Corredentrice, Mediatrice di tutte le grazie e Avvocata, ma sempre in completa obbedienza, fedeltà e rispetto per il vicario di Cristo sulla Terra.
Mark Miravalle
St. John Paul II Chair of Mariology
Franciscan University of Steubenville
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