Poche e sentite righe di commento a una notizia lanciata dall’Ansa in cui Bergoglio, profondo conoscitore della “Summa Marvel dei Supereroi”, discetta sulla perfezione di Dio. Devo riconoscere che è una quisquilia, una pinzillacchera, rispetto a tomi e tomi di Amoris laetitia e Laudato si’, di sedute e sedute di sinodi sull’Amazzonia, di ore e ore di magistero aereo, ma è sempre il dettaglio che uccide.
Inoltre, avevo promesso a me stesso di non occuparmi più del Circo Romano e godermi un po’ di pace. Però il compiacimento bergogliesco nel rendere infima l’idea del Creatore, per quanto quisquilioso, mi dà così fastidio che, prima di tacere per sempre sul tema, vorrei togliermelo dallo stomaco con una breve considerazione. Ecco dunque il lancio Ansa:
“Alle volte ci vengono teorie che ci fanno presentare un Dio astratto, un Dio ideologico… Un’idea, perfetto; e che ti provano l’esistenza di Dio come fosse una matematica “, invece “i santi… Hanno capito cosa è credere in un Dio che è Padre e non in un dio-Mandrake, con la bacchetta magica”. Lo ha detto Papa Francesco in un’intervista a Tv2000 che andrà in onda nel programma ‘Io credo’, in onda dal 17 febbraio, e della quale è stata diffusa una anticipazione. A intervistare il pontefice è don Marco Pozza, il cappellano del carcere di Padova.
Si apprende così che a Bergoglio ripugna l’idea di un Dio perfetto. Lo vede così poco adatto a tenere a bada il creato da considerarlo meno efficiente del mago Mandrake e non gli garba che qualcuno possa dimostrargli che Dio esiste veramente. Non ho i talenti di Eugenio Scalfari e dunque non sono dotato dell’acribìa ermeneutica necessaria a capire se questo atto di magistero a fumetti si riferisca al Mandrache alla romana della “Febbre di cavallo” o all’Uomo Drago all’americana inventato da Lee Falk. Mi pare comunque di capire che il Vicario riservi esclusivamente a se stesso gli interventi miracolosi nei destini umani esautorando in via definitiva il Titolare dal vedere e provvedere: altrimenti che Vicario sarebbe? Tutto secondo copione, anche se all’interprete va riconosciuto un certo genio nello sberleffo per le cose divine che riesce sempre a colpire. Ma è l’ultima volta che ci casco. Prima di calare il sipario, vorrei solo segnalare un particolare che non torna: l’Ansa spiega che questa perla teologica è stata gettata al popolo in un’intervista a Tv2000 che andrà in onda nel programma “Io credo”. Ecco, nel titolo c’è qualcosa che non va.
Redazione 7 Febbraio, 2020
Nuovi deragliamenti bergogliani: “Dio non è Mandrake e non ha la bacchetta magica”
“Alle volte ci vengono teorie che ci fanno presentare un Dio astratto, un Dio ideologico… Un’idea, perfetto; e che ti provano l’esistenza di Dio come fosse una matematica “, invece “i santi… Hanno capito cosa è credere in un Dio che è Padre e non in un dio-Mandrake, con la bacchetta magica”. Lo ha detto Papa Francesco in un’intervista a Tv2000, riferisce l’ANSA.
Al netto delle solite colorite ambiguità, aggiungiamo una nota sulla frase “e che ti provano l’esistenza di Dio come fosse una matematica“. Risulta insegnamento definitivo quanto segue:
“La santa Chiesa, nostra Madre, sostiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create” [Concilio Vaticano I: Denz.-Schönm., 3004]
SE CI ABBANDONA O INDUCE È UN PADRE? UN LIBRO SUL PADRE NOSTRO.
Marco Tosatti
Cari amici e nemici di Stilum Curiae, la Chorabooks ci ha mandato il comunicato di presentazione del nuovo libro curato da Aldo Maria Valli e imperniato sulle modifiche al Padre Nostro e al Gloria di recente entrate in vigore nella Chiesa Italiana. Ci sembra utile e illuminante completare quella presentazione con due brani dell’introduzione, scritta da Aldo Maria Valli. Buona lettura.
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Non più “non ci indurre in tentazione” bensì “non ci abbandonare alla tentazione”. Questo il cambiamento deciso dai vescovi italiani per la preghiera del Padre nostro. Ma perché la nuova traduzione? In controtendenza rispetto alla spiegazione che va per la maggiore, e cioè che in questo modo il testo sarebbe più in linea con il contenuto evangelico, il libro Non abbandonarci alla tentazione? Riflessioni sulla nuova traduzione del Padre nostro, a cura di Aldo Maria Valli, sostiene che il cambiamento ha origine da un indebito ammorbidimento delle parole che Gesù stesso ha insegnato ai discepoli. La nuova traduzione nasce nel clima di buonismo e misericordismo a cui si ispira la Chiesa in questa fase, ignorando però che Dio, nella Sacra Scrittura, mette più volte alla prova le persone per verificare la loro fede e che Gesù stesso, durante la permanenza nel deserto, fu esposto alle tentazioni. La smania di cambiamento è espressione del “cambio di paradigma”, o “rivoluzione culturale” che si vuole attuare nella Chiesa odierna, in nome di un “ecclesialmente corretto” che non deve disturbare la sensibilità moderna.
I contributi raccolti nel libro sono di monsignor Nicola Bux, dom Giulio Meiattini, di don Alberto Strumia e Silvio Brachetta.
Ed ecco i due brani scelti dall’introduzione:
“Tutto bene, dunque?
Certamente no. Prima di tutto perché un padre che ci abbandona alla tentazione non sembra, tutto sommato, molto migliore di uno che ci induce alla tentazione. E poi perché le preghiere, e specialmente la preghiera per antonomasia, quella che Gesù stesso ci ha insegnato, hanno un significato la cui portata va al di là della sola dimensione letterale. Nel mio caso, ad esempio, visto che fin da bambino mi è stato insegnato a dire non ci indurre in tentazione, non penso proprio che ora, a più di sessant’anni di età,
mi metterò a dire non abbandonarci. La tradizione fa parte integrante del bagaglio culturale, spirituale e religioso di una persona ed è un bene prezioso.
Se posso esprimere una valutazione del tutto personale, da semplice fedele, mi sembra che questa voglia di cambiamento rientri nel clima di buonismo e misericordismo che da tempo si è impossessato della Chiesa cattolica. Ecco dunque che ogni spigolo va smussato, ogni asperità livellata, ogni contenuto addolcito e messo in linea con l’ecclesialmente corretto”.
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“Come qualcuno sa, sono stato a lungo amico del cardinale Carlo Maria Martini, il quale, sullargomento, mi aiutò con riflessioni, secondo me, illuminanti.
Il problema di una traduzione meno scandalosa, spiegava l’arcivescovo, non si pone certamente oggi. Sant’Ambrogio, per esempio, preferiva tradurre e non permettere che cadiamo nella tentazione. In questo senso il non abbandonarci nella tentazione proposto dalla Conferenza episcopale italiana non è che uno dei tanti tentativi di risolvere un antico problema Tuttavia la vera questione è un’altra.
Il punto è che Gesù nella preghiera pone il problema della tentazione in primissimo piano e con forza. Qualunque sia il verbo utilizzato (indurci, abbandonarci o altro) dobbiamo concentrarci sul complemento. Gesù ci dice che la tentazione ci accompagna, fa parte della nostra esperienza quotidiana, come provò lui stesso che, non a caso, dopo gli anni trascorsi in famiglia, incominciò il suo ministero proprio sottoponendosi alle tentazioni di satana nel deserto.
Dunque, sia che diciamo non ci indurre in tentazione o non permettere che cadiamo nella tentazione o non abbandonarci nella tentazione, la questione vera è che Dio certamente permette la tentazione, e non in via straordinaria o marginale, ma come esperienza costante”.
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