ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 26 marzo 2020

Aspetta e spera..

Ora il governo può chiudere le chiese. Vescovi, ci siete?

Il decreto legge presentato dal presidente del Consiglio Conte il 24 marzo contiene una inquietante novità: la possibilità di chiudere le chiese. E, sebbene il linguaggio sia poco chiaro, potrà essere anche un sindaco a deciderlo. Un passo di arroganza ingiustificata, una decisione inaccettabile, nel merito e nel metodo. Ma qualcuno nella Chiesa farà sentire la sua voce?


Dopo il decreto del presidente del Consiglio di ieri, l’ultimo della serie, un qualsiasi Peppone, sindaco di un qualsiasi comune italiano, potrà far chiudere le chiese. Al punto h) il decreto parla di “sospensione delle cerimonie civili e religiose, limitazione dell’ingresso nei luoghi destinati al culto, nonché completa chiusura degli stessi”.

Non si era mai parlato di “chiusura” nei precedenti decreti. Era stato il vicariato di Roma a decidere per la chiusura, poi rientrata con strascico di polemiche. Ma il governo non aveva parlato di chiusura dei luoghi di culto. Aveva parlato di “limitazione o sospensione di manifestazioni … anche di carattere culturale, ludico, sportivo, ricreativo e religioso” al che, come noto, i vescovi italiani avevano deciso, senza molti distinguo e troppo in fretta, di sospendere le messe con popolo. Ma nessuno poteva far chiudere le chiese. Ora questo qualcuno può.

Ci si chiede: chi è questo qualcuno? E soprattutto: con quale criterio potrà farlo? Il decreto afferma che le misure tra cui la chiusura delle chiese possono essere assunte “per periodi predeterminati, ciascuno della durata non superiore a 30 giorni, reiterabili e modificabili anche più volte fino al 31 luglio 2020 e con possibilità di modularne l’applicazione in aumento ovvero in diminuzione secondo l’andamento epidemiologico del predetto virus”.

Qui si parla della durata dei provvedimenti, ma chi prende la decisione e con quale criterio? Sembra dirlo l’articolo 2): tali misure “possono essere adottate, secondo criteri di adeguatezza specifica e principi di proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche parti ovvero sull’intero territorio nazionale”.  Queste disposizioni non sono per niente chiare. Si può presumere che il riferimento alle “specifiche parti del territorio nazionale” conferisca il potere di chiudere le chiese ai sindaci e ai governatori regionali, mentre il riferimento all’”intero territorio nazionale” conduca al governo centrale. Ma si tratta di una presunzione.

Per quanto riguarda i criteri, le espressioni ”adeguatezza specifica” e “principi di proporzionalità” sono assolutamente generiche e possono essere interpretate soggettivamente. In un comune potrà bastare un caso di positività al coronavirus per chiudere le porte delle chiese, in un altro non saranno ritenuti sufficienti 500 casi. Se il sindaco è Peppone si chiude tutto, con o senza casi di infezione. La discrezionalità qui la fa da padrona. Il decreto trasforma i poteri locali in podestà democratici dalla cui decisione dipende se si possa andare in chiesa a dire una preghiera. Una eventuale decisione di questo genere non è nemmeno impugnabile, data l’imprecisione del suo contorno legislativo.

Ci stiamo avvicinando alla Settimana Santa. Il fatto che in questo periodo e nel giorno di Pasqua le porte delle chiese possano essere chiuse per decisione di qualcuno, per di più non ben precisato e senza criteri trasparenti, è decisamente inaccettabile, nel merito e nel metodo. Per tutti coloro che vorrebbero andare - con mascherina, guanti di lattice e a debita distanza - in chiesa per una preghiera, ma anche per tutti coloro che per timore decidessero di non farlo pur desiderandolo, le porte sbarrate darebbero un senso di abbandono e di desolazione.

Nei decreti precedenti le celebrazioni religiose venivano paragonate alle sale giochi e messe sullo stesso piano delle discoteche. Ora ne viene resa possibile addirittura la chiusura senza un quadro normativo preciso, ma assegnandone la facoltà a imprecisati soggetti e sulla base di imprecisati criteri. Per questo gli occhi sono ora puntati sui vescovi, per vedere se diranno qualcosa davanti a questo ulteriore passo di arroganza ingiustificata.

Che il governo, in momenti di necessità e urgenza, possa legiferare è previsto dalla Costituzione. Molti osservatori però fanno presente che questo governo sta sospendendo molti articoli della Costituzione tramite nemmeno un decreto-legge, ma semplicemente tramite un decreto amministrativo del presidente del Consiglio. Nel caso della chiusura delle chiese prevista dall’ultimo decreto, poi, stabilire lo stato di necessità e di urgenza è devoluto ad attori che potranno prendere decisioni assolutamente soggettive nella mancanza di criteri oggettivi.

Questo modo di fare preoccupa molti e se i vescovi dovrebbero dire qualcosa, qualcosa dovrebbe dire anche il presidente Mattarella. I presidenti della Repubblica hanno  sempre incalzato i governi a non abusare dello strumento del decreto-legge, col quale il potere esecutivo si sostituisce al legislativo. Forse una parola potrebbe metterla anche ora, a proposito di questo uso di decreti del presidente del Consiglio.

Queste nuove disposizioni sulla possibile chiusura delle chiese confermano la confusione tra i poteri dello Stato, con un Parlamento in quarantena, ministri che si riuniscono in teleconferenza, comunicati del governo che arrivano su facebook a tarda sera del sabato, decreti il cui testo non si trova nei siti istituzionali se non con grande fatica. La gente è isolata e molti non parlano che con i propri familiari. Il rischio è di non sapere chi deve decidere, o che chi deve decidere si trovi in quarantena e non possa farlo, o un black-out impedisca a chi deve riunirsi virtualmente per decidere di farlo, o che decida chi non deve decidere. 

Stefano Fontana
https://lanuovabq.it/it/ora-il-governo-puo-chiudere-le-chiese-vescovi-ci-siete




EL PAPA TERRORIZZATO DI MORIRE




COVID 19 COLPISCE IL VATICANO. 

UN ALTO PRELATO IN OSPEDALE.


                    


Carissimi Stilumcuriali, il Coronavirus ha raggiunto i piani alti del Vaticano. 
Il capo della Sezione Italiana della Segreteria di Stato, Gianluca Pezzoli, è ricoverato 
in terapia intensiva a causa del Covid 19. Gianluca Pezzoli è giovane, ha cinquantotto 
anni, è nato a Mantova nel 1962. Viene descritto da chi lo conosce come un gran l
avoratore, una persona riservata e sobria, certamente non un monsignore mondano, 
vive a Santa Marta. È molto probabile che di conseguenza sia stato contagiato 
all’interno delle Mura.
Il suo ruolo – capo della Sezione Italiana, certamente la più numerosa della Segreteria
di Stato – rende probabile che fino a quando non si è manifestata la malattia abbia avuto
 contatti con molte persone, e di conseguenza possa essere stato tramite di contagio.
Il fatto che mons. Pezzoli risieda in maniera permanente a Santa Marta aumenta, come
è naturale la preoccupazione. A Santa Marta risiedono oltre al Pontefice decine di prelati,
residenti o di passaggio.
Fonti di ottima qualità mi dicono che attualmente a Santa Marta ci sono cinque persone
In isolamento, perché sospettate di aver contratto il coronavirus.
Il papa ha smesso di pranzare nella sala comune. Passa la maggior parte del tempo chiuso
nel suo appartamento all’ultimo piano. Il suo segretario particolare gli porta pranzo e cena.
Bisogna ricordare che quando era giovane Jorge Mario Bergoglio ha subito un’operazione
chirurgica importante. Durante l’operazione i medici gli hanno asportato una larga parte di un
polmone. Questo spiega le difficoltà respiratorie, e l’affanno che lo coglie talvolta.
Naturalmente una persona che ha questo tipo di handicap può temere in maniera particolare
un virus polmonare come il Covid 19.
Il fatto che il Pontefice abbia deciso di mangiare da solo, in camera sua, indica una forte
preoccupazione. Ci ricordiamo come papa Bergoglio abbia deciso, quando è stato eletto,
di non occupare l’appartamento papale nel Palazzo pontificio, come i suoi predecessori, ma
di vivere a Santa Marta. Prendeva i suoi pasti nella sala comune, anche se una fila di alberelli
in vaso da qualche anno gli garantiva un minimo di discrezione. Ma la rinuncia a una vita
comunitaria è segno di preoccupazione e di prudenza.
L’informazione ufficiale vaticana sul Covid 19 è carente. Ieri, 24 marzo, il direttore della sala
stampa della santa sede, Matteo Bruni rispondendo alle domande dei giornalisti,  ha detto:
 “Allo stato attuale sono quattro i casi di positività al coronavirus riscontrati: oltre al primo di cui
si è data precedentemente notizia, si tratta di un dipendente dell’Ufficio Merci e di due
dipendenti dei Musei Vaticani. Le quattro persone erano state poste in isolamento in via
cautelativa prima che risultassero positive al test e il loro isolamento dura ormai da oltre 14
giorni; attualmente sono in cura in strutture ospedaliere italiane o presso la propria abitazione”.
Il primo caso positivo dello Stato della Città del Vaticano riguarda un monsignore bergamasco
convocato dalla Direzione di Sanità ed Igiene. Il monsignore doveva prendere servizio in
Vaticano venendo dalla sua città natale, Bergamo, che è una delle più colpite in Italia, con
centinaia di morti. Il monsignore è stato trovato positivo all’esame del Covid 19; ma come in
altri casi, aveva avuto tempo di diffondere il contagio, sia in Vaticano che altrove.
Nel frattempo è stato annullato un altro viaggio del Pontefice. Papa Bergoglio avrebbe dovuto
recarsi a Malta il 31 maggio, ma la visita è stata cancellata.
Vogliamo consigliarvi di seguire lo sviluppo di queste vicende su un sito particolarmente
accurato e bene informato, Korazym.org. Questo sito ha dato per primo l’allarme sulla
situazione di pericolo che si stava sviluppando dietro le Mura.
Due sono le principali fonti di contagio su cui cadono i sospetti. La prima sono i Musei
vaticani, in cui fino al momento in cui sono stati chiusi, i dipendenti hanno chiesto invano
mascherine e guanti per difendersi dal rischio rappresentato dalla massa di turisti che li visitano. La secondo fonte potrebbe essere un vescovo francese, in visita ad limina, trovato positivo al ritorno.
Durante la visita ad limina oltre che dal papa i vescovi visitano tutti i dicasteri della Curia.
Anche in questo caso le possibilità di contagio sono altissime.
Marco Tosatti
25 Marzo 2020 Pubblicato da  17 Commenti --
https://www.marcotosatti.com/2020/03/25/covid-19-colpisce-il-vaticano-un-alto-prelato-in-ospedale/

L’insegnamento di quei sindaci in preghiera

Cari amici di Duc in altum, vi propongo qui il testo del mio intervento per la rubrica 
A.M.V.
Sono sempre più numerosi i sindaci che, in questi giorni drammatici segnati dal coronavirus, vanno a pregare davanti al patrono della propria città, e lo fanno indossando la fascia tricolore, quindi non come privati cittadini ma proprio come rappresentanti della comunità.
Si tratta di sindaci del Nord e del Sud, di città piccole e grandi.
Un filosofo della politica a questo punto potrebbe dedicarsi a dotti ragionamenti sui rapporti tra Chiesa e Stato e su religione e politica. Sono ragionamenti che qualcuno, in effetti, dovrà sviluppare, perché la vicenda del coronavirus ci sta dicendo qualcosa di importante anche su questo piano. Io però non sono un filosofo della politica e dunque mi astengo. Non posso non notare, tuttavia, che la testimonianza che arriva dai sindaci è forte, anzi addirittura dirompente rispetto a un certo comune sentire al quale eravamo abituati
Tutti questi sindaci stanno dando testimonianza di un fatto. Non è vero che l’ordine dell’agire politico e quello della fede religiosa debbano restare separati e svincolati l’uno dall’altro.
Oggi siamo portati a dare per scontato che il potere politico, nei confronti delle varie opzioni religiose (compreso l’ateismo) debba solo garantire la libertà di scelta restando indifferente rispetto ai contenuti. L’individuo è libero di scegliere e il potere politico deve solo fare da garante, così che ognuno possa scegliere. Il potere politico, si dice, non deve entrare nel piano soprannaturale, non deve porsi il problema della verità. Ma ecco che questi sindaci, recandosi a pregare con la fascia tricolore (e quindi andandoci, lo ripeto, in rappresentanza di tutta la comunità civile) entrano decisamente nel piano soprannaturale, ci dicono che la verità c’è e che non solo la possiamo riconoscere, ma fa parte di noi, è nostro patrimonio, sia come individui sia come comunità.
La testimonianza di questi sindaci è dirompente perché ci mostra che l’agire politico non deve necessariamente essere a-teo, nel senso letterale di senza Dio. Ci dice che l’a-teismo (sempre in senso letterale) non è, per l’agire politico, l’unica opzione possibile né, tanto meno, è il presupposto del rispetto della libertà.
Se quei sindaci avessero voluto comportarsi in base all’idea che la politica, rispetto alla religione, può solo fare da garante della libertà di scelta, si sarebbero astenuti dall’andare a pregare. Oppure sarebbero andati a pregare in ciascuno dei luoghi di culto in cui si riuniscono i membri di tutte le religioni presenti nel loro territorio. Invece no. Invece, in quanto cattolici, sono andati a pregare in una Chiesa cattolica, davanti al santo patrono. Non sono rimasti indifferenti rispetto ai contenuti di verità delle varie scelte religiose. È come se avessero detto: “Questa è per me, per noi, la vera fede. Questa è per me, per noi, la verità. Questa è per me, per noi, la vera Chiesa. E dunque veniamo proprio qui, e non andiamo in nessun altro posto, a pregare”.
Il gesto di questi sindaci è dunque altamente significativo perché, in netta controtendenza rispetto a idee che sembravano inattaccabili, ci dice che la ragione politica può e deve riconoscere la religione vera, e può e deve farvi ricorso.
È anche un importante, aperto riconoscimento del valore pubblico della religione: la fede religiosa non è un fatto solo individuale e privato, senza incidenza sociale.
Aggiungo solo una postilla. Anche fra i cattolici è ormai abituale sentir dire che la libertà di religione si fonda sulla dignità umana. Ma è una formulazione (come nota il professor Stefano Fontana nel suo bel libro Chiesa gnostica e secolarizzazione) imprecisa e insufficiente. La dignità umana non si fonda da sola, ma a sua volta ha un fondamento, che è il Dio dei cristiani. Dunque, non si può fondare e difendere la dignità della persona, e di conseguenza la libertà religiosa, senza il riconoscimento pubblico del Dio vero e della vera religione.
Aldo Maria Valli

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