ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 15 marzo 2020

Laetantes imus

San Luigi Gonzaga immolò se stesso nella gioia, durante l’epidemia di tifo

Non si chiede certo a tutti di andare incontro alla morte, né tantomeno è obbligatorio subire il martirio. Si chiede solo di lasciare liberi coloro che hanno fede di compiere l’atto eroico della carità. San Luigi Gonzaga fu uno di loro: incurante per la propria salute fisica, rimase assieme agli ammalati di tifo, durante l’epidemia del XVI secolo, rimanendo contagiato. E la Chiesa di quel tempo glielo permise.

San Luigi Gonzaga
San Luigi Gonzaga
Nel coacervo arcano dei giudizi di Dio può accadere che un santo sia mortificato oltre misura e un altro, al contrario, godere di grande stima e affetto. Immense e difficili da sopportare, ad esempio, furono le umiliazioni di Santa Giovanna d’Arco (scomunicata e arsa viva), di Santa Bernadette Soubirous (scambiata per pazza visionaria) o di San Pasquale Baylón (vilipeso più volte con l’appellativo di “idiota” e “finto carismatico”). Ben diverso fu, invece, il trattamento riservato a San Luigi Gonzaga (1568-1591) che, per una particolare disposizione della provvidenza, si vide spesso lodato, quanto persino invidiato.
Le prime lodi Luigi le ricevette direttamente da suo padre, Ferrante Gonzaga, primo marchese di Castiglione delle Stiviere, quando ben presto si accorse che suo figlio era dotato di una pronta e acuta intelligenza. Luigi – ma si firmava Aluigi, per via del suo nome in latino, Aloysius – fu il primogenito di otto figli: famiglia nobile e imparentata con i Mondonio e i della Rovere. Come futuro signore di Castiglione, per diritto di primogenitura, lo attendeva l’eredità radiosa di una brillante carriera militare. Onori e ricchezze lo avrebbero accompagnato per tutta la sua vita, se solo avesse assecondato il consiglio di suo padre. E così sarebbe stato, se già dall’età di sette anni non avesse sentito un grande desiderio di preghiera, che appagò con la recita in ginocchio dei sette salmi penitenziali e dell’ufficio della Madonna. È quel periodo che lui stesso chiamerà «la mia conversione dal mondo a Dio».
Rinuncia ai privilegi della nobiltà
 A dieci anni Luigi si offrì spontaneamente a Dio e consacrò se stesso alla Beata Vergine Maria. Nonostante i numerosi spostamenti per l’Italia fu sempre soggetto a forti emicranie e, in generale, non fu mai in perfetta salute. Proprio nel corso di un suo viaggio a Mantova cadde malato, ma ebbe la gioia di poter ricevere la prima comunione dalle mani di San Carlo Borromeo, di passaggio per la città. Era sempre più evidente ai fratelli e, soprattutto, a suo padre, che il giovane Luigi stava covando nel cuore una decisione del tutto difforme dal futuro che altri avevano pianificato per lui. Ferrante cercò di correre ai ripari: lo spedì in viaggio per le corti d’Italia – Pavia, Parma, Torino, Ferrara – nella speranza che il giovane si potesse distrarre dalla religione e, ancor meglio, che potesse nascere in lui un sentimento amoroso per qualche nobile dama.
Tutto inutile: Luigi non solo si convinse ancor più di dover abbandonare la vanità del mondo, ma richiese ufficialmente di rinunciare al diritto di primogenitura, in favore del fratello secondogenito Rodolfo. E fu così che Ferrante, ritrovatosi con i due figli dinnanzi al notaio, scoppiò a piangere, reputando del tutto assurda la decisione del primogenito. Piansero forse anche i cittadini di Castiglione, che compresero comunque la scelta. E Luigi fu di nuovo lodato: «Non eravamo degni di averlo per padrone – dissero – egli è un santo e Dio ce l’ha tolto». Tanto più che Rodolfo era privo delle virtù umane e intellettuali del fratello. Ottenne sì la primogenitura e l’eredita di Ferrante, ma finì per morire assassinato, dopo essergli stata comminata pure una scomunica.
Del tutto risoluto, Luigi s’incamminò alla volta di Roma e, dopo il biennio di noviziato, entrò nella Compagnia di Gesù all’età di diciannove anni (1587).
La sua penitenza era di non fare penitenza
È quasi superfluo ricordare che, anche in quanto rampollo proveniente dalla nobiltà, Luigi Gonzaga fu istruito alla filosofia, alla letteratura e alla teologia nelle migliori scuole e alla presenza dei maestri migliori. Così come nella sua precedente vita di corte ebbe colloqui con gente del calibro della duchessa di Mantova e della futura regina di Francia, anche dopo il suo ingresso tra i Gesuiti fu attorniato da persone di altissima rilevanza sociale e religiosa: San Roberto Bellarmino fu suo confessore; i padri Gabriele Vasquez, Giovanni Azor, Benedetto Giustiniani e Agostino Giustiniani – tutti teologi di grande fama e scrittori fecondissimi – lo introdussero allo studio della teologia.
Come se tutte queste premure fossero state insufficienti e come se gli attestati di stima non si fossero moltiplicati nel tempo, Luigi fu nientemeno «giudicato capacissimo per la pubblica difesa di tutta la filosofia». Questo scrive Alessandro Maineri, nel suo libro “Vita di San Luigi Gonzaga” (Salani & Giuntini, 1742), nel raccontare la disputa del 1587, nella quale il giovane dovette rispondere alle domande di cardinali e teologi di grande fama. Tutto questo avvenne perché Luigi «era d’ingegno sì aperto, sì pronto, sì profondo, che con ogni poco di applicazione comprendeva le questioni e ne rimaneva poi sempre bene in possesso». In particolare, il Gonzaga era solito speculare «sopra la Somma di San Tommaso, che anche aveva eletto per Protettore dei suoi studi; né leggeva quasi mai altro Autore». Non è dunque strano che il Collegio Romano avesse riposto in Luigi molte aspettative, «trovandosi in lui tutte tre quelle doti, che sono nel mondo in tanto credito» e, cioè, «nobiltà, santità e dottrina». Già ma quale santità?
Soprattutto quella che proviene dall’umiltà e dall’obbedienza. Il giovane era talmente legato alla preghiera, ai digiuni e alle penitenze, che i superiori dovettero paradossalmente proibirgli di pregare e di mortificarsi. Scrive Mario Scudu, in un articolo, che «si crearono situazioni al limite dell’umorismo». I suoi formatori, infatti, «non trovarono di meglio che proibirgli di fare penitenza», con «il risultato che per lui la vera penitenza era non fare penitenza». Stesso discorso per la preghiera: «siccome soffriva di emicrania, il padre spirituale gli consigliò di non pensare troppo intensamente a Dio». Al che il Gonzaga rispose: «Veramente io non so che fare. Il padre rettore mi proibisce di fare orazione […] ed io maggior forza e violenza mi fò, mentre cerco di distrarre la mente da Dio […], perché questo già per l’uso mi è quasi diventato connaturale, e vi trovo quiete e riposo e non pena». Non è facile da capire, ma Dio era talmente presente a Luigi che egli giunse a pregare così: «Allontanati da me Signore».
Laetantes imus
Fede? Sì anche, ma innanzi tutto carità, poiché San Luigi fu ed è ricordato come il «santo della carità». Giunto all’età di ventitre anni un’epidemia di tifo si abbatté sull’Italia, specialmente sulla Lombardia, sulla Toscana, sull’Umbria e sulla Romagna. Nella sola città di Roma, nota Maineri, persero la vita «sessantamila persone in breve tempo», inclusi i papi (Sisto V, Urbano VII e Gregorio XIV). Anche i Gesuiti si spesero a favore dei malati. Luigi, assieme ai fratelli del suo Ordine, prese ad occuparsi della raccolta delle elemosine, e dell’assistenza ai moribondi. L’Ordine non era particolarmente contento dello zelo con cui il giovane s’impegnava: in fondo avevano per lui grandi progetti. Ne avrebbe fatta di strada il Gonzaga, forse anche fino al comando dell’intera Compagnia. Bisognava stare attenti che non si esponesse troppo al contagio.
Dio, però, aveva altri disegni: nel soccorrere un malato restò lui stesso contagiato. Il tifo lo portò alla tomba in tre mesi. Visse la malattia in modo eroico. Mai un lamento, fino all’ultimo respiro, quando al padre infermiere che gli aveva domandato «E bene, fratel Luigi, che si fa?» egli rispose: «Laetantes imus, laetantes imus» – «me ne vado allegramente dalla Terra al Cielo». Non morì però prima di ricevere l’ennesimo attestato di stima. Il Pontefice in persona (Gregorio XIV) gli fece pervenire la Benedizione e l’Indulgenza plenaria. L’umiltà, di nuovo, non fu scalfita da tale ultima tentazione: Luigi «corse con le mani a ricoprirsi il volto», tanta la vergogna che provava.
La strada della docilità
Pio XI, nella lettera apostolica Singulare illud del 1926, fa un ritratto efficace del Gonzaga, proclamandolo Patrono della gioventù cattolica. San Luigi – scrive il papa – comprese l’importanza dell’«innocenza dei costumi» e della «castità», che sono «l’ornamento più bello della gioventù». Non solo, ma i giovani saranno veri imitatori del Gonzaga (e perciò di Cristo) quando eviteranno «di lasciarsi traviare da un’intemperante brama di libertà, dall’orgoglio della mente e dall’indipendenza della volontà», retaggio di «una certa scienza che disprezza la dottrina di Cristo e della Chiesa».
La via del giovane sarà dunque la docilità, se davvero intende non fallire la propria vita. San Luigi ne è l’esempio vivente: «Coloro che vogliono militare sotto le insegne di Cristo – osserva Pio XI – debbono avere la certezza che, volendo scuotere da sé il giogo della disciplina, in luogo di raccogliere trionfi, non faranno che riportare sconfitte ignobili». La natura stessa, difatti, «richiede, per divina disposizione, che i giovani non possano realizzare alcun vero profitto, sia nella vita intellettuale e morale, sia nell’informare la propria condotta allo spirito cristiano, se non sotto l’altrui magistero».
di Silvio Brachetta

Non solo dovere, ma responsabilità

Coronavirus e medici
Stiamo tutti ammirando i medici, infermieri e personale sanitario che stanno combattendo a rischio della propria vita e salute, per salvare altre vite.
Perchè lo fanno? Per obblighi di lavoro ci verrebbe da pensare: si, ma non basta.
Se fosse solo un obbligo giuridico di lavoro sarebbe facile raggirarlo, mettendosi in malattia o aspettativa, o rifiutando di fare eccessivi straordinari, o rifiutarsi di andare in un luogo di lavoro non protetto (scarse mascherine e dispositivi di protezione), un pò come si stanno rifiutando di lavorare gli operai delle fabbriche per i rischi esistenti.
Ecco perchè il personale sanitario sta andando oltre il proprio dovere, spinto dalla responsabilità di salvare vite, di aiutare i più deboli.
Il termine responsabilità ha origine dal verbo latino “respondeo” che tra i suoi siginficati ha “rispondere ad una chiamata”, io lo interpreterei “rispondere a qualcuno, del proprio comportamento”.
MA LA RESPONSABILITA’ E’ SOLO DEI SANITARI?
CHI DEVE RISPONDERE A CHI?
 Questo “rispondere a qualcuno” (base di ogni responsabilità), deve farci interrogare anche sulla responsabilità di noi cristiani.
Noi sappiamo di essere anime immortali che vivono in un corpo (che risorgerà anch’esso), per cui ogni persona non ha solo i bisogni materiali- sanitari, ma anche spirituali, e sono i più importanti. Il nostro benessere spesso dipende più dal nostro stato spirituale come dimostra la circostanza che solo l’essere umano- tra le specie viventi- ha una spiritualità che entra in crisi. E se l’essere umano sta male spiritualmente “entra in depressione”, a volte addirittura si suicida (atto errato, ma segno della maggior importanza del dato spirituale persino su quello fisico).
Noi cristiani lo sappiamo;  per questo da secoli la dottrina e la pastorale ricordano a tutti non solo le opere di misericordia corporali, ma anche quelle spirituali che segnano la nostra responsabilità verso i nostri fratelli.
 ANCHE NOI CRISTIANI (PIU’ DEI SANITARI) ABBIAMO RESPONSABILITA’ ADDIRITTURA MAGGIORI
in quanto la perdita della vita terrena è ben poca cosa rispetto alla perdita della vita eterna. Per questo l’assistenza e la vicinanza spirituale, la preghiera e l’Eucarestia non sono solo farmaci terreni, ma farmaci che hanno effetto per la vita futura, che non passa.
La responsabilità verso il nostro fratello risale dagli albori dei rapporti umani e del rapporto dell’uomo con Dio, che già a Caino chiedeva conto della vita del fratello Abele.
Sembra quasi inutile, tanto appare scontato, soffermarsi sulla nuova legge dell’Amore consegnataci nel Nuovo testamento da Cristo stesso, che pone il nostro prossimo alla nostra stessa stregua.
 MA, SI DICE, LA LEGGE LIMITA LE ATTIVITA’, NELL’INTERESSE DI TUTTI.
 Lo Stato deve pensare ai propri fini di protezione del popolo e della sua vita fisica e materiale, ed i cristiani, da buoni cittadini, devono collaborare; ma i cristiani non possono limitarsi ad essere buoni cittadini, limitandosi al rispetto delle leggi dello Stato, i cristiani devono andare oltre e ricordare che c’è una loro responsabilità anche per la vita spirituale, propria e dei fratelli; essi sono tenuti anche al rispetto delle più alte regole morali e religiose. Può essere una comoda scorciatoia, “nascondersi” dietro la legge senza interrogarsi sulle nostre responsabilità personali che, partendo dalla legge dello Stato, devono superarla, partendo dalla giustizia noi dobbiamo testimoniare la Carità.
Senza andare a scomodare il secolare conflitto sulla prevalenza della legge naturale su quella positiva dello Stato, ognuno dovrebbe ricordare che per noi cristiani la legge e la sua giustizia – se moralmente corrette- rappresentano il livello minimo della Carità, che invece vola più alto, sino al dono di sé, sino al martirio (nella giustizia infatti rendiamo al prossimo ciò che è suo, mentre nella carità gli diamo ciò che è nostro). Se la giustizia resta una virtù morale, parte dell’ordine naturale (e quindi limitato al piano umano), la carità è la prima delle virtù teologali, che investono l’ordine soprannaturale, quindi avente origine nel rapporto con Dio.
Oggi, per inciso, notiamo con dolore che hanno sospeso le messe senza alcuna resistenza, apparentemente quasi con un senso di gratitudine verso la legge dello Stato che ha giustificato ogni eventuale pavidità, ha evitato di interrogarsi su ciò che si sarebbe dovuto fare come cristiani, che devono rispondere, sì alla legge dello Stato, ma andare oltre, verso la legge dell’Amore. E questo senza nemmeno considerare la possibilità se lo Stato potesse limitare la libertà religiosa (diritto costituzionale) o modificare unilateralmente  il Concordato ed i suoi allegati (come evidenziato dalla sempre brava Costanza Miriano).
Su questo crinale inclinato, della dimenticanza “dei diritti di Dio” oltre che dei fedeli, ieri hanno persino chiuso le chiese a Roma, impedendo anche ai (pochi) fedeli di inginocchiarsi dinanzi al Santissimo (salvo poi accorgersi dell’errore e riaprirle il giorno dopo).
Facile dunque nascondersi dietro le legge degli uomini, ma Cristo ci ricorda che Cesare non può pretendere tutto, ma che dobbiamo dare a Dio ciò che è di Dio.
Cristo infatti chiede di più ai suoi discepoli, di ogni tempo:
“Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e farisei,
non entrerete nel Regno dei cieli”.
In pace.
di Gianni Silvestri
https://www.sabinopaciolla.com/non-solo-dovere-ma-responsabilita/

I cattolici al tempo del coronavirus / 14

Qui Lecco
Oggi, visto che il potere mi impone il digiuno eucaristico, scelgo di praticare il digiuno dagli altri cibi. Farò così ogni domenica, fin tanto che non si potrà avere ancora la Messa.
Paolo Gulisano
Lecco
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Qui Abbiategrasso (Milano)
Buongiorno caro dottor Valli, è la prima volta che le scrivo anche se la seguo da tempo. Preparando le lezioni a distanza per i miei alunni (sono insegnante) mi sono imbattuto in un passo de I promessi sposi che avevo dimenticato. Nel capitolo XXIX, dove si parla dell’arrivo dei lanzichenecchi, Manzoni descrive il momento in cui don Abbondio lascia il paese per fuggire sotto la protezione dell’Innominato. Al momento di partire, il prete guarda la chiesa chiusa e fa questa riflessione: “Al popolo tocca a custodirla, che serve a lui. Se hanno un po’ di cuore per la loro chiesa ci penseranno; se poi non hanno cuore, tal sia di loro”. Attuale, che ne dice? È il popolo che deve salvare la Chiesa da pastori pavidi. Naturalmente ricordiamo che a fronte di un don Abbondio che scappa davanti al pericolo, c’è un fra Cristoforo che dal suo esilio sicuro torna a Milano per assistere gli appestati e muore. Speriamo che i fra Cristoforo siano tanti!
Alessandro Grittini
Abbiategrasso (Milano)
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Qui Monza
Gentile dottor Valli, la seguo da molto tempo con grande ammirazione e profondo interesse per le sue analisi e per le sue battaglie.
Siccome ho visto che nel suo blog sta raccontando il modo in cui i fedeli italiani stanno tentando di reagire alla situazione di emergenza di queste settimane, alla impossibilità di partecipare alla Santa Messa e di ricevere il Corpo di Cristo nell’Eucaristia, le voglio segnalare l’iniziativa che io e altri miei coetanei abbiamo preso da qualche giorno nel tentativo di riscoprire l’essenziale e affidarci a Dio e a Maria Santissima.
Abbiamo deciso di riunirci “virtualmente”, ogni giorno alle 19, per recitare insieme il Santo Rosario, offrendolo per la grave situazione che la Chiesa, l’Italia e il mondo intero stanno vivendo, affinché questo tempo di Quaresima, che per ognuno di noi sta rappresentando un deserto, si trasformi in un’occasione di bellezza e ricchezza.
Crediamo nella preghiera, soprattutto quella comunitaria, ancor di più se a recitarla sono tanti giovani.
Spero che questa iniziativa possa essere da stimolo e conforto per tutti coloro che, come noi, vivono una condizione di turbamento spirituale per la grande sofferenza di queste settimane e, soprattutto, per la inspiegabile reazione delle gerarchie ecclesiastiche.
Con lei nella preghiera
Salvatore Scaletta
Monza
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Qui Sesto San Giovanni (Milano)
Buongiorno, sono un prete, tuo affezionato lettore. Avendo preso parte a un triste e ridotto momento di esequie, ho visto una lapide, la cui scritta (Vita mutatur, non tollitur, Vita mutata, non tolta), contenuta nel rito della Messa per i defunti, mi ha ricordato il senso del mio ministero sacerdotale. Grazie per i tuoi spunti di riflessione, spesso pungenti, e grazie per il bene che vuoi alla Chiesa.
Uniti nella preghiera
Lettera firmata
Sesto San Giovanni (Milano)
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Qui Roma / 1
Vorrei che qualcuno mi spiegasse come si può stare un po’ in chiesa e pregare in raccoglimento (visto che ora qui a Roma si può andare, certo restando a “debita distanza” e poi non si può fare altro!) e non contravvenire alle disposizioni governative antivirus che vietano spostamenti da casa se non per i noti motivi di necessità e urgenza, pena rischio ammenda e arresto dalle pattuglie di polizia in servizio di vigilanza.
Lettera firmata
Roma
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Qui Roma / 2
Si chiudono le chiese per il coronavirus perché Gesù non è al primo posto. I nostri nonni avranno avuto innumerevoli difetti anche gravi, ma possedevano un unico grande pregio: la speranza. Avevano fede in Dio e lavoravano per garantire un’esistenza migliore ai propri figli. Nel mondo di oggi, tutto ciò non accade perché la grande maggioranza delle persone sta escludendo Cristo. Mi avrebbe fatto piacere se il papa avesse espresso questo concetto. Preghiamo anche per lui.
Lettera firmata
Roma
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Qui Puglia
Dopo esserci visti togliere la Messa, e avvertendo un vuoto incolmabile solo al pensiero di dover stare senza Gesù Eucaristia, lo Spirito mi ha spinta ad agire. L’idea è stata di chiedere se davvero le norme vigenti ci togliessero qualunque accesso a Gesù. Così mi sono rivolta al parroco, il quale ha detto di avrebbe riflettuto. Non era la risposta che desideravo, così sono andata oltre, ho preso il telefono e ho chiamato il nostro arcivescovo. Dopo avergli esposto il doloroso disagio (che io definisco quasi una violenza per l’anima) causato dal poter vivere la comunione con Cristo e avergli sottolineato che tanti di noi non possono essere privati del Cibo spirituale, gli ho chiesto chiaramente di poter ricevere la Santa Eucaristia fuori dalla Messa come si fa con gli ammalati. In fondo, si ci è garantito il cibo materiale per il sostentamento del corpo, perché deve esserci tolto quello spirituale, sostentamento dell’anima?
La risposta positiva dell’arcivescovo mi ha dimostrato che non c’è freno che tenga di fronte alla Provvidenza di Dio e alla sua infinita misericordia: nulla può separare la sposa dallo Sposo!
Cristiani di tutto il mondo, vi dico: non arrendetevi davanti a nulla! Finché lasciano agire Cristo in noi, la sua volontà vincerà sempre! Ricordiamoci le sue parole: “Sarò con voi ogni giorno, fino alla fine del mondo”. Non è certo Gesù che ci abbandona. Viva Gesù! Viva Maria!
Sia lodato e ringraziato ogni momento il Santissimo e Divinissimo Sacramento.
Lettera firmata
Puglia

GOTTI, CORONAVIRUS. LA SFIDA ALLE LEGGI NATURALI È LA RADICE.

15 Marzo 2020 Pubblicato da  1 Commento --


Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, il prof. Ettore Gotti Tedeschi ci ha inviato una terza riflessione sulla realtà che stiamo vivendo, a causa dell’epidemia di coronavirus. Siamo ben lieti di condividerla con voi. Le riflessioni precedenti le potete trovare a questo collegamento e a questo collegamento. Buona lettura. 

§§§

Ettore Gotti Tedeschi a Tosatti
Terza riflessione sul coronavirus. Caro Marco, sono solo un economista di fede cattolica, ma vorrei ugualmente proporre ai lettori di Stilum Curiae una terza riflessione “real-spirituale” da fare in questi giorni di reclusione forzata.
Noi dobbiamo tornare a guardare a Cristo scrollandoci di dosso questa indifferenza tragica ed insostenibile a Cristo stesso. Questa indifferenza è la vera origine delle calamità che oggi ci affliggono. Vi propongo alcune spiegazioni su cui riflettere.
– Lo spiegò la Congregazione della Dottrina della Fede (Istr.Libertatis Conscientiae) nel marzo del 1986.Ci avvisava che, negando Dio, il Suo Principio e il Suo Fine, viene alterato l’Ordine della Creazione visibile, quello sociale ed economico…più di così!
– Lo spiegò San Giovanni Paolo II in Sollecitudo Rei Socialis, dove aveva profetizzato che all’uomo troppo immaturo, preoccupato di investire solo in scienza e tecnica, ma non in sapienza, gli strumenti sofisticati sarebbero sfuggiti di mano….più di così!
– Lo spiegò Benedetto XVI in Caritas in Veritate confermando che l’uomo privo di valori di riferimento avrebbe permesso agli strumenti da lui creati di prendere autonomia morale e rivolgersi contro di lui…più di così!
– Cercherò di proporre anch’io una spiegazione. Nonostante questi richiami, abbiamo continuato a vivere come se Dio fosse solo tanto “misericordioso” da permetterci di ignorare o confondere le sue leggi. Questo falso “abbandono” ha anche offuscato la nostra razionalità al punto da non riuscire a capire le vere cause di fondo (di origine morale) di questo virus, ma solo da cercare di limitarne gli effetti. Le cause che vogliamo ignorare stanno nella negazione di leggi naturali, persino quelle riferite alla vita umana (ridotta a esser considerata quale evoluzione di un bacillo) e alle nascite.
Leggi naturali che son state disprezzate, anzi son state sfidate, per dimostrare che non esistono perché non deve esistere un legislatore-Creatore. E questa sfida è stata persa proprio… con un vero bacillo.
Che fare quindi ?
Anzitutto torniamo a guardare a Cristo come le Scritture insegnano. Nel Libro dei Numeri dell’Antico Testamento (Num 21, 4-9) si narra come il popolo di Israele, lasciato l’Egitto, stanco di non trovare la terra promessa, cominciò a mormorare contro Mosè e persino contro il Signore. Per castigarlo il Signore mandò fra loro serpenti velenosi che uccisero molti israeliti. Allora il popolo si pentì e chiese a Mosè di chiedere perdono al Signore. E il Signore disse allora a Mosè di fare un serpente e metterlo sulla cima di un’asta, affinché chi fosse stato morso, ma lo avesse guardato, sarebbe stato salvato.
Nel Nuovo Testamento (Gv 3, 14-15) Nicodemo ricorda questo passo riferendolo a Gesù, spiegando che per esser salvati bisogna innalzare Cristo e guardare a Lui. Come dire: il primo antidoto è sempre in Cristo e nella sua dottrina di salvezza. Elevare Cristo sulla cima di tutte le attività umane avrebbe dovuto essere il nostro compito.
Poi facciamo come gli ammalati del Vangelo che chiedevano a Gesù di guarirli, e riscopriamo il nostro Angelo Custode. Domenica 12 aprile sarà Pasqua di Resurrezione, facciamo in modo che in quel giorno così vicino, gli stessi motivi che oggi ci angosciano possano trasformarsi in motivi di gioia.
Poi verrà Pentecoste e sentiremo ciò che ci suggerirà, per il futuro, lo Spirito Santo.
Ettore Gotti Tedeschi

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