“Pietà Signor” – brano composto da don Lorenzo Perosi. L’audio è estratto da un’esecuzione del “Coro Santa Veronica – Parrocchia di Santa Maria Nascente in Bonemerse”
Di Sabino Paciolla
Sì, il titolo di questo articolo potrebbe a prima vista essere azzardato, ma prima di trarre delle conclusioni, leggete quello che scrive Ephraim Radner, professore di teologia storica al Wycliffe College.
L’articolo è stato pubblicato su First Thing e lo propongo alla riflessione dei lettori di questo blog nella mia traduzione.
Di fronte alla pandemia di COVID-19, dovremmo tutti seguire le direttive dei funzionari della sanità pubblica e ascoltare i consigli dei medici esperti. I cristiani non sono diversi dagli altri sotto questo aspetto. Condividiamo le sfide sanitarie e le ansie personali di tutti i nostri vicini, e abbiamo le stesse responsabilità durante questa crisi.
Ciò che i cristiani possono forse offrire è un senso speciale dei tempi che stiamo attraversando. Le città sono chiuse, le frontiere chiuse, le scuole chiuse, le linee di produzione e di distribuzione si sono disfatte, il lavoro e il reddito da pensione sono minacciati. Queste perturbazioni ci sono cadute addosso in modi che sembrano nuovi e dal punto di vista della fantasia travolgenti. All’improvviso, vediamo davanti a noi qualcosa di cui forse abbiamo già parlato in precedenza, ma che non abbiamo mai realmente affrontato: il modo in cui, come società, abbiamo permesso che le nostre vite personali diventassero avviluppate e apparentemente dipendenti da intricate e vaste reti di costruzione collettiva che hanno sminuito la nostra umanità. Improvvisamente dobbiamo “andare a casa”, stare con le nostre famiglie, rivolgerci a noi stessi. E abbiamo, sorprendentemente, paura!
Eppure “tornare a casa” è, in realtà, un enorme dono. Per due settimane, un mese, due mesi – vedremo – ci è stato concesso un “tempo di inattività”, in cui possiamo tornare alle nostre radici di esseri umani. La Scrittura chiama questo tempo “Giubileo” in Levitico 25. L’anno giubilare rientra nella categoria del “sabbah” (sabato, ndr), il grande momento per entrare nella potenza creatrice e nella bellezza di Dio; viene dopo aver contato un “sabbah dei sabbah”, cioè 49 anni:
E santificherete il cinquantesimo anno e proclamerete la libertà nel paese per tutti i suoi abitanti. Sarà per voi un giubileo; ognuno di voi tornerà nella sua proprietà e ognuno di voi tornerà nella sua famiglia. 11 Il cinquantesimo anno sarà per voi un giubileo; non seminerete e non raccoglierete ciò che cresce spontaneamente, e non vendemmierete le vigne non potate. 12 Poiché è il giubileo; esso sarà sacro per voi; mangerete il prodotto che vi daranno i campi (Lev 25, 10-12).
“Ritornerete alla vostra famiglia”. Durante questo tempo, il lavoro cessa mentre viviamo di ciò che ci viene dato. Il fratello o la sorella che è povero viene portato qui; lo straniero e colui che è di passaggio sono tenuti al sicuro. E “Nessuno di voi danneggi il suo vicino, ma temerai il tuo DIO; poiché io sono l’Eterno, il vostro DIO.” (25,17).
Il Giubileo non è semplicemente un momento di gioia. Non è semplicemente il momento di giocare a un forzato Scarabeo, figuriamoci di accendere la console dei giochi. È il momento di rivolgersi a Dio, di fare i conti con i doni di Dio, di prendersi cura delle responsabilità comuni e della vita data con la nascita, dai figli e dai genitori. Non si vola in giro per il mondo, non si fanno affari in sala riunioni, socialità commercializzata, non si fanno campagne politiche di massa, non si spinge per andare avanti, non si lascia il segno. Questo è invece il momento di vivere il dono della vita che Dio ha dato. Così facendo, l’essere e la grazia di Dio stesso vengono svelati alla creatura altrimenti distratta e assorbita da se stessa. “Temerai il tuo DIO; poiché io sono l’Eterno, il vostro DIO”. Osiamo dire che è provvidenziale che il Tempo del Virus sia giunto in Quaresima? Non solo per la penitenza, ma per il sabato dei sabati, un luogo dove la preghiera e il ringraziamento sono effettivamente nutriti e dove possono fiorire. Questo è qualcosa su cui i cristiani devono non solo riflettere, ma abbracciare e condividere, in una posizione non di rassegnazione, ma di gioiosa speranza.
Questo Tempo del Virus svela alcune cose meno gioiose anche per i cristiani, fallimenti della nostra comune testimonianza nel corso degli anni. Come mai abbiamo così poco da dire nella forma della preghiera su queste cose? Il secolo scorso è iniziato con la pandemia forse più distruttiva della storia: l’epidemia da influenza del 1918 che ha ucciso oltre 50 milioni di persone e che ha continuato ad affliggere vaste zone del mondo sulla scia della confusione della seconda guerra mondiale. Poi c’è stata una pandemia di mortalità quasi altrettanto orribile, la crisi dell’HIV/AIDS che persiste. E solo dieci anni fa, abbiamo visto centinaia di migliaia di persone morire nell’epidemia di influenza suina H1N1. Eppure i nostri libri di preghiere non hanno collette per malattie come questa, anche quelle che sono in corso di revisione.
È come se il secolo scorso non fosse accaduto (per non parlare della storia del mondo). Le nostre litanie si sono ridotte e vengono raramente dette; le più antiche collette del XVII secolo e i ringraziamenti per i tempi di “peste” sono stati a lungo eliminati. Ci ritiriamo dal considerare i modi in cui Dio potrebbe essere all’opera in questi tragici e travolgenti eventi. Pregare (come diceva il BCP del 1662) perché Dio possa “avere pietà di noi miserabili peccatori, che ora siamo visitati con grande malattia e mortalità” (rivolgendoci a Mosè, ad Aronne e agli israeliti nel deserto, o a Davide con il suo sconsiderato censimento e la sua conseguente “pestilenza”), disturba le nostre ipotesi sulla benevola supervisione di Dio e sulla nostra capacità di controllare la sofferenza. Che rifiutiamo o meno tali considerazioni, l’incapacità a prenderle in considerazione ha lasciato molti cristiani a vagare nell’oscurità del momento.
In effetti, il Tempo del Virus ha messo in luce profonde ironie che i cristiani dovrebbero affrontare, ma che per lo più non fanno. Da quando, cinque anni fa, il suicidio assistito è stato legalizzato e poi reso operativo tra i medici in Canada, più di 7.000 canadesi si sono uccisi con l’assistenza di personale medico e funzionari statali. La maggior parte di queste persone erano anziane. E nel momento in cui il COVID-19 si è diffuso in Canada a febbraio, il governo ha presentato proposte per estendere il suicidio assistito a coloro per i quali “la morte ragionevolmente prevedibile” non era imminente, compresi i malati di mente. Eppure in tutto il mondo si sentono giustamente voci che chiedono: “Il Coronavirus colpisce più duramente i malati e i disabili, quindi perché la società ci sta cancellando?” Mentre i politici e gli esperti ci dicono di non preoccuparci perché COVID-19 è pericoloso solo per gli anziani e per coloro che hanno la salute già compromessa, ci si chiede come mai il valore di una persona sia stato così facilmente ridotto ai calcoli di triage dei costi medici e alle limitate attrezzature. I cristiani hanno qualcosa da dire su tutto questo, ma negli ultimi anni non ne abbiamo parlato molto.
Il Tempo del Virus è quindi un dono e una provocazione per i cristiani, non solo per la nostra fede personale, ma anche per ciò che abbiamo da offrire agli altri. L’annuncio levitico – “tornate a casa vostra”, perché “temerai il tuo DIO; poiché io sono l’Eterno, il vostro DIO” – è un vangelo per il mondo, ma solo se preso sul serio da coloro a cui sono state affidate le sue profonde assicurazioni.
Di Sabino Paciolla
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