L’8 aprile 2020, Bergoglio ha concesso un’intervista sulla crisi mondiale causata dalla pandemia di coronavirus, allo scrittore e giornalista britannico Austen Ivereigh.
L’intervista si è svolta a distanza, in due tempi e in spagnolo: il giornalista ha preparato le domande su sei temi e le ha inviate a Bergoglio, che ha risposto con una registrazione delle risposte offerte in forma di riflessioni.
L’intervista è stata pubblicata simultaneamente in The Tablet (Londra) e Commonweal (New York); mentre il testo originale in spagnolo è stato pubblicato dalla rivista ABC, da qui La Civiltà Cattolica ha redatto e pubblicato la traduzione ufficiale in italiano.
Non seguiremo l’intervista nella sua integralità, soprattutto perché la maggior parte di essa è composta da riflessioni di poca rilevanza, come è usuale per Bergoglio, che ama parlare per luoghi comuni e frasi fatte.
Le cose importanti che Bergoglio avrebbe dovuto dire, come prete cattolico e come “papa”, non è riuscito a dirle, perché, come ormai si è capito da tempo, esse sono distanti dal suo orizzonte intellettivo e dalla sua sensibilità religiosa.
Rispondendo alle prime domande relative a “la pandemia e l’isolamento, … tanto sotto il profilo pratico quanto sotto quello spirituale”, come scrive il giornalista, Bergoglio risponde dicendo: « La mia preoccupazione più grande – almeno, quella che avverto nella preghiera – è come accompagnare il popolo di Dio e stargli più vicino. Questo è il significato della Messa delle sette di mattina in live streaming, seguita da molti che si sentono accompagnati; come pure di alcuni miei interventi e del rito del 27 marzo in piazza S. Pietro. E di un lavoro piuttosto intenso di presenza, attraverso l’Elemosineria apostolica, per accompagnare le situazioni di fame e di malattia».
Ora, si rimane stupiti nel leggere che “accompagnare il popolo di Dio e stargli più vicino” lo si può realizzare con la Messa trasmessa via etere, con gli interventi diffusi via mass media e, soprattutto, con la preghiera “in solitario” in una piazza San Pietro volutamente deserta, a fianco di un Crocifisso ligneo esposto alla pioggia e con Bergoglio protetto da una enorme pensilina, dove ha dimenticato, come al solito, ogni gesto di riverenza ed ogni genuflessione davanti al Santissimo… che ha pregato da seduto in poltrona.
D’accordo che ormai i fedeli si sono abituati a vedere compiere il culto dovuto a Dio alla televisione, ma proprio tale abitudine, che amplifica la distanza tra loro e il culto, non può minimamente corrispondere allo “stare più vicino al popolo”.
Non si tratta di incoerenza, ma di mera strafottenza. In questo momento così particolare, e per molti aspetti unico nella storia della Chiesa, i fedeli avrebbero avuto bisogno di un “papa” che davvero li accompagnasse, personalmente e tramite le centinaia di vescovi, per guidarli nella preghiera e nella supplica a Dio. E invece non s’è visto nulla di tutto questo. E con la scusa ipocrita e puerile delle “ingiunzioni governative”, tutti i nominali “pastori” sono scomparsi e con loro hanno fatto sparire le migliaia di preti, abbandonando i fedeli alla mercé della malattia e della imposizione governativa, perfino quelli che tale imposizione ha privato del lavoro e del sostentamento.
Ma, nella sua falsità, Bergoglio “accompagna il popolo e gli è vicino”.
Alla seconda serie di domande che confronta la pandemia attuale con la peste del 1630 a Milano, Bergoglio ha saputo rispondere dicendo: «Il popolo di Dio ha bisogno che il pastore gli stia accanto, che non si protegga troppo. Oggi il popolo di Dio ha bisogno di avere il pastore molto vicino, con l’abnegazione di quei cappuccini [di Milano nel 1630], che facevano così».
La sfacciataggine di Bergoglio è davvero senza limiti, ed è accompagnata da quella dei vescovi moderni che, al pari di lui, non si sono visti accanto al popolo. Dov’è la vicinanza? Dov’è l’abnegazione? In un “papa” che se ne sta rintanato a Casa Santa Marta o in mezzo ad una piazza vuota; e nei vescovi che fanno altrettanto?
Non era meglio stare zitto a questo proposito, invece di dire delle plateali menzogne? I fedeli se ne sarebbero fatti una ragione, ognuno a modo suo; e invece sono costretti a sorbirsi gli schiaffoni morali assestati da un personaggio vanaglorioso, falso e bugiardo.
Per di più, Bergoglio rincara la dose apostrofando scompostamente i fedeli: «La creatività del cristiano deve manifestarsi nell’aprire orizzonti nuovi, nell’aprire finestre, nell’aprire trascendenza verso Dio e verso gli uomini, e deve ridimensionarsi in casa».
Come dire che sarebbero i fedeli a doversi inventare i giusti rimedii, perfino aprendo la “trascendenza verso gli uomini”. Cosa che ha un duplice significato: primo, non significa alcunché, secondo che si può trascendere l’umano con l’umano. Concetto demenziale che solo Bergoglio poteva esprimere, col suo vuoto spinto sulla nozione stessa di “trascendenza”.
Rispondendo al quarto argomento presentato dal giornalista sulla opportunità che potrebbe offrire questa crisi attuale, e sulla quale il giornalista si compiace si solleticare la vanagloria di Bergoglio, parlando di “conversione ecologica”; Bergoglio espone tutta una serie di considerazioni sulla conversione, ma non dice una parola sulla conversione a Dio, come se il suo “dio” fosse l’ambiente o il pianeta e non Nostro Signore Gesù sommerso dalle offese arrecategli dai peccati degli uomini.
«Dice un proverbio spagnolo: “Dio perdona sempre, noi qualche volta, la natura mai”. Non abbiamo dato ascolto alle catastrofi parziali. … Non so se sia la vendetta della natura, ma di certo è la sua risposta».
«Abbiamo una memoria selettiva. Vorrei insistere su questo. Mi ha impressionato la celebrazione del settantesimo anniversario dello sbarco in Normandia» (?!).
«Quando sono stato a Redipuglia, nel centenario della fine della Prima guerra mondiale, si vedeva un bel monumento e nomi sulla pietra, e nient’altro. Ho pianto pensando a Benedetto XV (alla «inutile strage»), come pure ad Anzio, nel giorno dei defunti, pensando a tutti i soldati nordamericani sepolti là. Ognuno aveva una famiglia, al posto di ciascuno di loro potevo esserci io» (??!!).
«Oggi, in Europa, quando si cominciano a sentire discorsi populisti o decisioni politiche di tipo selettivo non è difficile ricordare i discorsi di Hitler nel 1933, più o meno gli stessi che qualche politico fa oggi» (???!!!).
«Questa crisi ci tocca tutti: ricchi e poveri. E’ un appello all’attenzione contro l’ipocrisia. Mi preoccupa l’ipocrisia di certi personaggi politici … E’ il momento di convertirci da quest’ipocrisia all’opera. Questo è un tempo di coerenza. O siamo coerenti o perdiamo tutto».
«Lei mi chiede della conversione. Ogni crisi è un pericolo, ma è anche un’opportunità. Ed è l’opportunità di uscire dal pericolo. Oggi credo che dobbiamo rallentare un determinato ritmo di consumo e di produzione (Laudato si’, 191) e imparare a comprendere e a contemplare la natura. E a riconnetterci con il nostro ambiente reale. Questa è un’opportunità di conversione».
«E’ il momento di fare il passo. Di passare dall’uso e dall’abuso della natura alla contemplazione. Noi uomini abbiamo perduto la dimensione della contemplazione; è venuto il momento di recuperarla».
La citazione è volutamente lunga, perché abbiamo cercato, ma l’unica cosa che abbiamo ricavato e una domanda, la domanda dell’uomo della strada: E DIO?
Non una parola su Dio, non una parola per Dio, non una parola per la cura delle anime, che dovrebbe essere il più elementare compito di un prete. Solo considerazioni per la cura della natura, per la quale Bergoglio arriva a parlare perfino di “contemplazione”; proprio lui che ha fustigato la vita contemplativa dei conventi dove religiosi e religiosi si dedicano alla contemplazione di Dio!!!
Sfacciataggine e ancora sfacciataggine, aggravata dall’idolatria, dalla sostituzione di Dio con la natura!
Tutti vengono accusati di tutto, ma non una parola per gli uomini che dovrebbero convertirsi a Dio, in questo mondo che continua a correre lontano da Lui, ed in cui Bergoglio vede solo le mancanze verso il “nostro ambiente reale”.
Ma evidentemente, anche Bergoglio corre col mondo: lontano da Dio!
Lo dimostra questo suo lapsus: «Mi permetto di dare un consiglio: è ora di scendere nel sottosuolo». Col quale ribadisce ancora la sua fissazione della “Chiesa in uscita”, della Chiesa dei “pastori con l’odore di pecora”; ma col quale si fa sfuggire la sua predilezione per l’infero, per lo ctonio, per il buio, per il mondo subumano… per il sottosuolo, appunto.
Totalmente dimentico del monito di San Paolo: «nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil. II, 10-11); scendere nel sottosuolo, è il consiglio di Bergoglio, non piegare il ginocchio in nome di Gesù!
Nella quinta serie di domande, il giornalista parla a Bergoglio della necessità “di ripensare il modo di essere della Chiesa: forse una Chiesa più missionaria, più creativa, meno aggrappata alle istituzioni”.
E Bergoglio, dopo una dissertazione su istituzionalizzazione e deistituzionalazzione (?), profferisce il suo vangelo: «Dobbiamo imparare a vivere in una Chiesa in tensione tra il disordine e l’armonia provocati dallo Spirito Santo. … Questa è la Chiesa che deve uscire dalla crisi».
Tensione tra disordine e armonia? Una nuova concezione bergogliana che egli non ha alcuna remora a ricondurre addirittura allo Spirito Santo!
Da che mondo è mondo, il più elementare buon senso ha sempre parlato di contrasto tra disordine e armonia, mai di “tensione”. E’ inconcepibile la “tensione” tra disordine e armonia, se non in una prospettiva tutta intrisa dalle conseguenze del peccato originale: una prospettiva tutta umana, dell’uomo decaduto, sempre in “tensione” tra il male e il bene, il disordine e l’armonia.
San Paolo ricorda: «io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me» (Rm. VII, 19-20). E ancora: « Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato» (Rm. VII, 24-25).
Questa è la “tensione” che Bergoglio auspica per la vita della Chiesa: in teoria al servizio di Dio, ma in pratica al servizio del peccato. Cosa che lui stesso conferma nel seguito della sua risposta: «Qualche settimana fa mi ha telefonato un vescovo italiano. Afflitto, mi diceva che stava andando da un ospedale all’altro per dare l’assoluzione a tutti quelli che erano all’interno, mettendosi nella hall. Ma dei canonisti che aveva chiamato gli avevano detto di no, che l’assoluzione è permessa soltanto con un contatto diretto. “Padre, che mi può dire?”, mi ha domandato quel vescovo. Gli ho detto: “Monsignore, svolga il suo dovere sacerdotale”. E il vescovo mi dice: “Grazie, ho capito”. Poi ho saputo che impartiva assoluzioni dappertutto».
Impartiva assoluzioni dappertutto! Cioè assolveva tutto e tutti; si era messo al servizio del peccato.
E chiarisce: «In altre parole, la Chiesa è la libertà dello Spirito in questo momento davanti a una crisi, e non una Chiesa rinchiusa nelle istituzioni».
Una Chiesa, cioè, che secondo Bergoglio si ritiene libera, in nome di chissà quale “Spirito”, di abbandonare le leggi di Dio e di avallare ogni mancanza umana, e questo perché, dice Bergoglio: «tutto il diritto canonico ha senso per la salvezza delle anime, ed è qui che ci viene aperta la porta per uscire a portare la consolazione di Dio nei momenti di difficoltà».
Portare la consolazione di Dio! Ma quale consolazione di Dio?! In tempo di crisi, ancor più che in tempi normali, il dovere del ministro di Dio è di portare agli uomini la Giustizia di Dio, in base alla quale ad ognuno verrà dato a seconda dei meriti e dei demeriti. Diversamente non si porta la consolazione, ma l’inganno, la menzogna! E il padre della menzogna è diavolo! Ed è il diavolo che impedisce a Bergoglio, lui consenziente, di rivolgersi ai fedeli per invitarli e pentirsi e a convertirsi.
La conclusione che possiamo trarre da questo ultimo intervento di Bergoglio, appositamente architettato per questo periodo di crisi scaturita da una situazione che ancora non si capisce bene chi l’abbia predisposta e ancor più dove finirà col condurre umanamente; la conclusione è che di fronte alla concreta possibilità che questa crisi può essere una buona occasione per richiamare il mondo e gli uomini alla giusta conversione, al ritorno a Dio, il signore vestito di bianco e chiamato a Roma fin dall’Argentina, costui, che di fatto è la controfigura dell’altro “papa” nascosto in Vaticano da sette anni, si industria per ingannare i fedeli, facendo loro credere che nella Chiesa tutto è cambiato, o sta per cambiare grazie a lui, in modo tale che il peccato non sarebbe più peccato, la grazia di Dio sarebbe sostituita dalla benevolenza degli uomini della moderna Chiesa e il destino eterno della anime lascerebbe posto alla soddisfazione terrena e passeggera dei corpi.
La crisi attuale che, lo ripetiamo, è più artificiale che reale, non induce minimamente Bergoglio ad andare col pensiero alla Vergine Maria, a riprova che il suo animo non anela il Cielo, ma la terra. Il suo sentire non respira l’aria celeste, ma lo smog terrestre. Il suo cuore non palpita per la beatifica visione di Dio, Padre Figlio e Spirito Santo, ma per il sentimentale trasporto per le “pachamane”, madri spurie e incessantemente bisognose dei sacrifici degli uomini, sia ideali, sia materiali.
L’intervista si è svolta a distanza, in due tempi e in spagnolo: il giornalista ha preparato le domande su sei temi e le ha inviate a Bergoglio, che ha risposto con una registrazione delle risposte offerte in forma di riflessioni.
L’intervista è stata pubblicata simultaneamente in The Tablet (Londra) e Commonweal (New York); mentre il testo originale in spagnolo è stato pubblicato dalla rivista ABC, da qui La Civiltà Cattolica ha redatto e pubblicato la traduzione ufficiale in italiano.
Non seguiremo l’intervista nella sua integralità, soprattutto perché la maggior parte di essa è composta da riflessioni di poca rilevanza, come è usuale per Bergoglio, che ama parlare per luoghi comuni e frasi fatte.
Le cose importanti che Bergoglio avrebbe dovuto dire, come prete cattolico e come “papa”, non è riuscito a dirle, perché, come ormai si è capito da tempo, esse sono distanti dal suo orizzonte intellettivo e dalla sua sensibilità religiosa.
Rispondendo alle prime domande relative a “la pandemia e l’isolamento, … tanto sotto il profilo pratico quanto sotto quello spirituale”, come scrive il giornalista, Bergoglio risponde dicendo: « La mia preoccupazione più grande – almeno, quella che avverto nella preghiera – è come accompagnare il popolo di Dio e stargli più vicino. Questo è il significato della Messa delle sette di mattina in live streaming, seguita da molti che si sentono accompagnati; come pure di alcuni miei interventi e del rito del 27 marzo in piazza S. Pietro. E di un lavoro piuttosto intenso di presenza, attraverso l’Elemosineria apostolica, per accompagnare le situazioni di fame e di malattia».
Ora, si rimane stupiti nel leggere che “accompagnare il popolo di Dio e stargli più vicino” lo si può realizzare con la Messa trasmessa via etere, con gli interventi diffusi via mass media e, soprattutto, con la preghiera “in solitario” in una piazza San Pietro volutamente deserta, a fianco di un Crocifisso ligneo esposto alla pioggia e con Bergoglio protetto da una enorme pensilina, dove ha dimenticato, come al solito, ogni gesto di riverenza ed ogni genuflessione davanti al Santissimo… che ha pregato da seduto in poltrona.
D’accordo che ormai i fedeli si sono abituati a vedere compiere il culto dovuto a Dio alla televisione, ma proprio tale abitudine, che amplifica la distanza tra loro e il culto, non può minimamente corrispondere allo “stare più vicino al popolo”.
Non si tratta di incoerenza, ma di mera strafottenza. In questo momento così particolare, e per molti aspetti unico nella storia della Chiesa, i fedeli avrebbero avuto bisogno di un “papa” che davvero li accompagnasse, personalmente e tramite le centinaia di vescovi, per guidarli nella preghiera e nella supplica a Dio. E invece non s’è visto nulla di tutto questo. E con la scusa ipocrita e puerile delle “ingiunzioni governative”, tutti i nominali “pastori” sono scomparsi e con loro hanno fatto sparire le migliaia di preti, abbandonando i fedeli alla mercé della malattia e della imposizione governativa, perfino quelli che tale imposizione ha privato del lavoro e del sostentamento.
Ma, nella sua falsità, Bergoglio “accompagna il popolo e gli è vicino”.
Alla seconda serie di domande che confronta la pandemia attuale con la peste del 1630 a Milano, Bergoglio ha saputo rispondere dicendo: «Il popolo di Dio ha bisogno che il pastore gli stia accanto, che non si protegga troppo. Oggi il popolo di Dio ha bisogno di avere il pastore molto vicino, con l’abnegazione di quei cappuccini [di Milano nel 1630], che facevano così».
La sfacciataggine di Bergoglio è davvero senza limiti, ed è accompagnata da quella dei vescovi moderni che, al pari di lui, non si sono visti accanto al popolo. Dov’è la vicinanza? Dov’è l’abnegazione? In un “papa” che se ne sta rintanato a Casa Santa Marta o in mezzo ad una piazza vuota; e nei vescovi che fanno altrettanto?
Non era meglio stare zitto a questo proposito, invece di dire delle plateali menzogne? I fedeli se ne sarebbero fatti una ragione, ognuno a modo suo; e invece sono costretti a sorbirsi gli schiaffoni morali assestati da un personaggio vanaglorioso, falso e bugiardo.
Per di più, Bergoglio rincara la dose apostrofando scompostamente i fedeli: «La creatività del cristiano deve manifestarsi nell’aprire orizzonti nuovi, nell’aprire finestre, nell’aprire trascendenza verso Dio e verso gli uomini, e deve ridimensionarsi in casa».
Come dire che sarebbero i fedeli a doversi inventare i giusti rimedii, perfino aprendo la “trascendenza verso gli uomini”. Cosa che ha un duplice significato: primo, non significa alcunché, secondo che si può trascendere l’umano con l’umano. Concetto demenziale che solo Bergoglio poteva esprimere, col suo vuoto spinto sulla nozione stessa di “trascendenza”.
Rispondendo al quarto argomento presentato dal giornalista sulla opportunità che potrebbe offrire questa crisi attuale, e sulla quale il giornalista si compiace si solleticare la vanagloria di Bergoglio, parlando di “conversione ecologica”; Bergoglio espone tutta una serie di considerazioni sulla conversione, ma non dice una parola sulla conversione a Dio, come se il suo “dio” fosse l’ambiente o il pianeta e non Nostro Signore Gesù sommerso dalle offese arrecategli dai peccati degli uomini.
«Dice un proverbio spagnolo: “Dio perdona sempre, noi qualche volta, la natura mai”. Non abbiamo dato ascolto alle catastrofi parziali. … Non so se sia la vendetta della natura, ma di certo è la sua risposta».
«Abbiamo una memoria selettiva. Vorrei insistere su questo. Mi ha impressionato la celebrazione del settantesimo anniversario dello sbarco in Normandia» (?!).
«Quando sono stato a Redipuglia, nel centenario della fine della Prima guerra mondiale, si vedeva un bel monumento e nomi sulla pietra, e nient’altro. Ho pianto pensando a Benedetto XV (alla «inutile strage»), come pure ad Anzio, nel giorno dei defunti, pensando a tutti i soldati nordamericani sepolti là. Ognuno aveva una famiglia, al posto di ciascuno di loro potevo esserci io» (??!!).
«Oggi, in Europa, quando si cominciano a sentire discorsi populisti o decisioni politiche di tipo selettivo non è difficile ricordare i discorsi di Hitler nel 1933, più o meno gli stessi che qualche politico fa oggi» (???!!!).
«Questa crisi ci tocca tutti: ricchi e poveri. E’ un appello all’attenzione contro l’ipocrisia. Mi preoccupa l’ipocrisia di certi personaggi politici … E’ il momento di convertirci da quest’ipocrisia all’opera. Questo è un tempo di coerenza. O siamo coerenti o perdiamo tutto».
«Lei mi chiede della conversione. Ogni crisi è un pericolo, ma è anche un’opportunità. Ed è l’opportunità di uscire dal pericolo. Oggi credo che dobbiamo rallentare un determinato ritmo di consumo e di produzione (Laudato si’, 191) e imparare a comprendere e a contemplare la natura. E a riconnetterci con il nostro ambiente reale. Questa è un’opportunità di conversione».
«E’ il momento di fare il passo. Di passare dall’uso e dall’abuso della natura alla contemplazione. Noi uomini abbiamo perduto la dimensione della contemplazione; è venuto il momento di recuperarla».
La citazione è volutamente lunga, perché abbiamo cercato, ma l’unica cosa che abbiamo ricavato e una domanda, la domanda dell’uomo della strada: E DIO?
Non una parola su Dio, non una parola per Dio, non una parola per la cura delle anime, che dovrebbe essere il più elementare compito di un prete. Solo considerazioni per la cura della natura, per la quale Bergoglio arriva a parlare perfino di “contemplazione”; proprio lui che ha fustigato la vita contemplativa dei conventi dove religiosi e religiosi si dedicano alla contemplazione di Dio!!!
Sfacciataggine e ancora sfacciataggine, aggravata dall’idolatria, dalla sostituzione di Dio con la natura!
Tutti vengono accusati di tutto, ma non una parola per gli uomini che dovrebbero convertirsi a Dio, in questo mondo che continua a correre lontano da Lui, ed in cui Bergoglio vede solo le mancanze verso il “nostro ambiente reale”.
Ma evidentemente, anche Bergoglio corre col mondo: lontano da Dio!
Lo dimostra questo suo lapsus: «Mi permetto di dare un consiglio: è ora di scendere nel sottosuolo». Col quale ribadisce ancora la sua fissazione della “Chiesa in uscita”, della Chiesa dei “pastori con l’odore di pecora”; ma col quale si fa sfuggire la sua predilezione per l’infero, per lo ctonio, per il buio, per il mondo subumano… per il sottosuolo, appunto.
Totalmente dimentico del monito di San Paolo: «nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil. II, 10-11); scendere nel sottosuolo, è il consiglio di Bergoglio, non piegare il ginocchio in nome di Gesù!
Nella quinta serie di domande, il giornalista parla a Bergoglio della necessità “di ripensare il modo di essere della Chiesa: forse una Chiesa più missionaria, più creativa, meno aggrappata alle istituzioni”.
E Bergoglio, dopo una dissertazione su istituzionalizzazione e deistituzionalazzione (?), profferisce il suo vangelo: «Dobbiamo imparare a vivere in una Chiesa in tensione tra il disordine e l’armonia provocati dallo Spirito Santo. … Questa è la Chiesa che deve uscire dalla crisi».
Tensione tra disordine e armonia? Una nuova concezione bergogliana che egli non ha alcuna remora a ricondurre addirittura allo Spirito Santo!
Da che mondo è mondo, il più elementare buon senso ha sempre parlato di contrasto tra disordine e armonia, mai di “tensione”. E’ inconcepibile la “tensione” tra disordine e armonia, se non in una prospettiva tutta intrisa dalle conseguenze del peccato originale: una prospettiva tutta umana, dell’uomo decaduto, sempre in “tensione” tra il male e il bene, il disordine e l’armonia.
San Paolo ricorda: «io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio. Ora, se faccio quello che non voglio, non sono più io a farlo, ma il peccato che abita in me» (Rm. VII, 19-20). E ancora: « Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore! Io dunque, con la mente, servo la legge di Dio, con la carne invece la legge del peccato» (Rm. VII, 24-25).
Questa è la “tensione” che Bergoglio auspica per la vita della Chiesa: in teoria al servizio di Dio, ma in pratica al servizio del peccato. Cosa che lui stesso conferma nel seguito della sua risposta: «Qualche settimana fa mi ha telefonato un vescovo italiano. Afflitto, mi diceva che stava andando da un ospedale all’altro per dare l’assoluzione a tutti quelli che erano all’interno, mettendosi nella hall. Ma dei canonisti che aveva chiamato gli avevano detto di no, che l’assoluzione è permessa soltanto con un contatto diretto. “Padre, che mi può dire?”, mi ha domandato quel vescovo. Gli ho detto: “Monsignore, svolga il suo dovere sacerdotale”. E il vescovo mi dice: “Grazie, ho capito”. Poi ho saputo che impartiva assoluzioni dappertutto».
Impartiva assoluzioni dappertutto! Cioè assolveva tutto e tutti; si era messo al servizio del peccato.
E chiarisce: «In altre parole, la Chiesa è la libertà dello Spirito in questo momento davanti a una crisi, e non una Chiesa rinchiusa nelle istituzioni».
Una Chiesa, cioè, che secondo Bergoglio si ritiene libera, in nome di chissà quale “Spirito”, di abbandonare le leggi di Dio e di avallare ogni mancanza umana, e questo perché, dice Bergoglio: «tutto il diritto canonico ha senso per la salvezza delle anime, ed è qui che ci viene aperta la porta per uscire a portare la consolazione di Dio nei momenti di difficoltà».
Portare la consolazione di Dio! Ma quale consolazione di Dio?! In tempo di crisi, ancor più che in tempi normali, il dovere del ministro di Dio è di portare agli uomini la Giustizia di Dio, in base alla quale ad ognuno verrà dato a seconda dei meriti e dei demeriti. Diversamente non si porta la consolazione, ma l’inganno, la menzogna! E il padre della menzogna è diavolo! Ed è il diavolo che impedisce a Bergoglio, lui consenziente, di rivolgersi ai fedeli per invitarli e pentirsi e a convertirsi.
La conclusione che possiamo trarre da questo ultimo intervento di Bergoglio, appositamente architettato per questo periodo di crisi scaturita da una situazione che ancora non si capisce bene chi l’abbia predisposta e ancor più dove finirà col condurre umanamente; la conclusione è che di fronte alla concreta possibilità che questa crisi può essere una buona occasione per richiamare il mondo e gli uomini alla giusta conversione, al ritorno a Dio, il signore vestito di bianco e chiamato a Roma fin dall’Argentina, costui, che di fatto è la controfigura dell’altro “papa” nascosto in Vaticano da sette anni, si industria per ingannare i fedeli, facendo loro credere che nella Chiesa tutto è cambiato, o sta per cambiare grazie a lui, in modo tale che il peccato non sarebbe più peccato, la grazia di Dio sarebbe sostituita dalla benevolenza degli uomini della moderna Chiesa e il destino eterno della anime lascerebbe posto alla soddisfazione terrena e passeggera dei corpi.
La crisi attuale che, lo ripetiamo, è più artificiale che reale, non induce minimamente Bergoglio ad andare col pensiero alla Vergine Maria, a riprova che il suo animo non anela il Cielo, ma la terra. Il suo sentire non respira l’aria celeste, ma lo smog terrestre. Il suo cuore non palpita per la beatifica visione di Dio, Padre Figlio e Spirito Santo, ma per il sentimentale trasporto per le “pachamane”, madri spurie e incessantemente bisognose dei sacrifici degli uomini, sia ideali, sia materiali.
di Belvecchio
http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV3481_Belvecchio_Bergoglio_approfitta_della_crisi_sanitaria.html
di Sabino Paciolla
Papa Francesco ha riaperto lo studio sulla possibilità di ordinazione diaconale delle donne.
Questa mattina il Vaticano ha pubblicato una nota in cui si afferma che “Il Santo Padre, nel corso di una recente Udienza concessa a Sua Eminenza il Card. Luis Francisco Ladaria Ferrer, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha deciso di istituire una nuova Commissione di studio sul diaconato femminile, chiamando a farne parte i seguenti“.
Francesco ha nominato il Cardinale Giuseppe Petrocchi, Arcivescovo dell’Aquila, come capo della nuova commissione e padre Denis Dupont-Fauville della CDF come segretario.
Le altre dieci persone ufficialmente nominate alla commissione per il diaconato femminile sono la dottoressa americana Catherine Brown Tkacz, che ha ricevuto un dottorato in studi medievali dall’Università di Notre Dame; il diacono Dominic Cerrato, teologo di Steubenville, USA; p. Santiago del Cura Elena, teologo spagnolo; la dottoressa Caroline Farey, teologa cattolica britannica; il dott. Barbara Hallensleben, teologo tedesco che insegna a Friburgo, Svizzera; P. Manfred Hauke, teologo tedesco a Lugano, Svizzera; il diacono James Keating dell’Università di Creighton, Omaha; P. Angelo Lameri, professore italiano di Liturgia; la dottoressa Rosalba Manes, italiana, vergine consacrata e biblista, e la dottoressa Anne-Marie Pelletier, biblista parigina.
Secondo Joshua J. McElwee del National Catholic Reporter (NCR), il nuovo gruppo, composto da 12 membri, sembra sostituire la precedente commissione di studio sull’argomento, che il pontefice aveva istituito nel 2016. Nessuno dei membri del precedente gruppo è stato nominato nella nuova commissione.
“Francesco aveva promesso alla fine del Sinodo dei vescovi dell’ottobre 2019 sulla regione amazzonica che avrebbe istituito una nuova commissione sulla questione, ma l’annuncio dell’8 aprile non era stato messo in circolazione e non era stato previsto”, ha scritto.
“La precedente commissione era stata istituita su richiesta dell’organizzazione umbrella mondiale delle suore cattoliche del mondo con sede a Roma. Nel maggio 2019 Francesco ha presentato all’organizzazione un rapporto sul lavoro del gruppo, dicendo che la commissione non era riuscita a trovare un accordo sul ruolo delle diaconesse nei primi secoli del cristianesimo”. (…) “Non è immediatamente chiaro quanti dei membri della nuova commissione hanno studiato le questioni relative all’ordinazione delle donne diacono” scrive sempre McElwee.
Il cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivescovo dell’Aquila in Italia, sarà il presidente della nuova commissione. Il cardinale Luis Ladaria, il capo della Congregazione per la Dottrina della Fede, era stato il presidente dell’ultima commissione.
Il card. Muller, prefetto emerito della Congregazione della Dottrina della Fede, ha luglio scorso ha scritto: “Il magistero del Papa e dei vescovi non ha alcuna autorità sulla sostanza dei sacramenti”, “Pertanto, nessun sinodo – con o senza il Papa – e anche nessun concilio ecumenico, o il Papa da solo, se parla ex cathedra, potrebbe rendere possibile l’ordinazione delle donne come vescovo, sacerdote o diacono. Sarebbero in contraddizione con la dottrina definita della Chiesa”. E aggiunge: “Non sarebbe valida”.
A parere di molti esperti, la questione è stata risolta definitivamente da san Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 22 maggio 1994″.
Infatti, in tale lettera apostolica, il Papa San Giovanni Paolo II così conclude:
Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa.
Visto che il dibattito sviluppatosi nei mesi precedenti il Sinodo dell’Amazzonia pareva avesse dimenticato questo passo, mettendo in dubbio che fosse un dogma, aprendo di fatto la strada al diaconato femminile, il cardinale Muller, il 3 ottobre, immediatamente prima dell’inizio del Sinodo dell’Amazzonia, con forza ribadì che:
È certamente fuori dubbio, tuttavia, che questa decisione definitiva di Papa Giovanni Paolo II è davvero un dogma della Fede della Chiesa cattolica e che le cose stavano ovviamente già così prima che questo Papa definisse nell’anno 1994 questa verità contenuta nella Rivelazione. L’impossibilità che una donna riceva validamente il Sacramento degli Ordini Sacri in ciascuno dei tre gradi è una verità contenuta nella Rivelazione e viene quindi infallibilmente confermata dal Magistero della Chiesa e presentata come da credere.
Un libro del gennaio 2020 scritto da Papa Benedetto XVI e dal Cardinale Robert Sarah – Prefetto della Congregazione del Culto Divino – ha escluso la possibilità che la Chiesa crei diaconi donne.
La “possibilità che le donne siano ordinate sacerdoti o diaconi”, ha affermato Sarah in From the Depths of Our Hearts, “è stata risolta definitivamente da san Giovanni Paolo II nella Lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis del 22 maggio 1994”.
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