Questa è la fine o il principio? Cari Italiani è solo il momento di reagire: nato nel 1861 l’esperimento Italia è da ritenersi fallito: siamo una provincia dell'Eurabia e i veri termini della questione sono: "o vivere o perire"
di Francesco Lamendola
La crisi che sta vivendo l’Italia a causa dell’emergenza sanitaria – perché non di una crisi mondiale si tratta, come vorrebbero farci credere, ma di una crisi italiana – è la più drammatica che il nostro popolo abbia mai dovuto affrontare dopo il 1945; neppure l’emergenza terrorismo è ad essa paragonabile, e neanche le alluvioni del 1966 e del 1968. È una crisi che investe letteralmente tutto, dalla politica alla finanza, all’economia, alla Costituzione, all’informazione, alla sanità, alla ricerca scientifica, alla cultura universitaria, per giungere fino alle radici della stessa sopravvivenza, fisica e psicologica, del nostro popolo. Ed è una crisi di sistema, nel senso che nulla, dopo di essa, potrà tornare come prima: un cambiamento radicale è inevitabile; resta solo da vedere di quale segno sarà, se peggiorativo o migliorativo della nostra condizione.
L’Italia è giunta al capolinea? Questo è il momento più drammatico che il nostro popolo abbia mai dovuto affrontare dopo il 1945!
I freddi numeri, specialmente quelli demografici, parlano un linguaggio impietosamente chiaro: ci stiamo estinguendo; le morti continuano a crescere rispetto alle nascite; gli stranieri, regolari e irregolari, continuano ad aumentare, mentre i giovani italiani se ne vanno sempre più numerosi, alcuni in via temporanea, altri definitiva. La grande impresa sta facendo la stessa cosa: si sta trasferendo massicciamente all’estero, e all’estero sta spostando anche le sue sedi legali e quindi la sua quota di gettito fiscale. In entrambi i casi, i giovani e la grande impresa, si tratta di una perdita secca: dopo aver sostenuto ingenti spese per la formazione dei primi e per l’espansione della seconda, l’Italia vede sfumare ogni possibilità di recuperarle e trasformarle in investimenti produttivi mediante un ritorno in termini di professionalità e di profitto, il che si ripercuote su tutto l’indotto che gravita loro intorno, dall’edilizia ai servizi più vari, i trasporti, il commercio, la stessa agricoltura, tutti penalizzati da un calo generale dei consumi. Non parliamo poi del turismo, che riguarda direttamente il 14% del nostro P.I.L. e il 15% dell’occupazione, senza contare i settori coinvolti indirettamente, e che è stato colpito al cuore dai folli provvedimenti di quarantena decisi dal governo Conte Bis, subito accompagnati da una pioggia di disdette delle prenotazioni alberghiere da parte dei turisti stranieri per l’imminente stagione balneare.
Ci stiamo estinguendo? Il momento è propizio, proprio perché un numero crescente di persone si sta svegliano dall’ipnosi e si rende conto, con maggiore o minore chiarezza, del tremendo inganno e del cinico tradimento subito dalle due massime istituzioni nelle quali aveva riposto la sua fiducia, lo Stato e la Chiesa!
Come Paese organizzato, strutturato, coeso, l’Italia è giunta al capolinea. Nata il 17 marzo 1861, dopo soli centosessant’anni di vita come nazione indipendente (centocinquantanove per l’esattezza), dopo aver sopportato due guerre mondiali e parecchie guerre minori e agitazioni interne, compresa una guerra civile, l’esperimento è da ritenersi sostanzialmente fallito e ormai appare evidente che le forze centrifughe, di vario ordine e natura, hanno preso il sopravvento su quelle centripete: in altre parole, che l’Italia sta andando a tocchi, moralmente non meno che materialmente. È venuto meno il collante morale e materiale che tiene uniti i vari fattori di una nazione: perché un Paese in cui le tasse uccidono l’impresa, la giustizia non funziona, la criminalità spadroneggia, il risparmio non è tutelato, il lavoro diminuisce e la popolazione subisce contemporaneamente l’emorragia dei propri cittadini e l’ingresso, anche in forme illegali e aggressive, di masse crescenti di stranieri provenienti da culture totalmente diverse e non assimilabili, semmai decisi ad assimilare i residenti (vedi la conversione all’islam della discutibile eroina Silvia Romano, per levare dai guai la quale è stato pagato un riscatto a molti zeri); un Paese, inoltre, nel quale si esalta l’omosessualità mentre la natalità precipita, e si reclamizzano i cibi più sofisticati per cani e gatti perché non si vendono più biberon e pannolini; un Paese, infine, dove la proprietà è mentalmente equiparata a un furto dalla cultura dominante radical-chic, e dove il merito viene sistematicamente mortificato a vantaggio della raccomandazione e della fedeltà canina agli ordini di scuderia nella pubblica amministrazione, e dove quasi non si fa più ricerca scientifica, o se la si fa, la si fa a vantaggio di enti stranieri o istituzioni internazionali e non della propria nazione, un tale Paese è avviato sulla china dell’auto-dissoluzione, e se ancora non è morto del tutto è solo perché un eroico ceto medio non si è ancora rassegnato e lotta disperatamente per lasciare qualcosa ai propri figli.
Una sostituzione etnica? Da anni gran parte dei cittadini italiani si sentono come stranieri in casa propria, figliastri di uno Stato che non fa nulla per loro!
Eppure, proprio il fatto che siamo giunti al capolinea ci offre una possibilità unica: quella di ripartire da zero, dopo aver rimosso le macerie, eliminando le storture che ci hanno portato così in basso. Non ci capiterà mai più un’occasione tanto favorevole e se non saremo capaci di afferrarla, vorrà dire che davvero non avremo meritato un destino migliore. Però, poiché noi siamo convinti che le forze sane ancora esistono, sia sul piano spirituale – gente che ha dei sani valori morali, famiglie che crescono i propri figli nel modo migliore possibile, date le condizioni generali – che su quello materiale - un cospicuo risparmio privato e un grosso patrimonio di capacità e competenze professionali – non si capisce per quale maledizione il nostro popolo non potrebbe ripartire e non potrebbe ricostruire un edificio nel quale vivere, lavorare e prosperare, assai migliore di quello in cui, con fatica e sofferenza sempre più gravi, si era rassegnato ad abitare nel corso degli ultimi decenni, non smarrendo però mai la coscienza, anche se non sempre limpida e chiara, di meritare un destino migliore di quello che le sue indegne classi dirigenti l’hanno costretto a subire, con la beffa di sentirne decantare le lodi ogni giorno dai mass-media di regime. Come quando Giuseppe Conte e il ministro Di Maio si sono vantati, dopo la liberazione della già nominata Silvia Romano, del fatto che l’Italia non abbandona mai alcuno dei suoi figli (la ragazza era stata sequestrata in Kenya ben diciotto mesi fa): e questo mentre milioni di italiani sono condannati alla povertà, e alcuni si sono già suicidati, a causa della folle decisione di bloccare gran parte delle attività imprenditoriali, commerciai e artigianali. Sicché da anni gran parte dei cittadini italiani si sentono come stranieri in casa propria, figliastri di uno Stato che non fa nulla per loro, semmai si preoccupa con sospetta premurosità per la sorte di clandestini, spacciatori e mafiosi, fino al punto di scarcerare i peggiori criminali perché, poverini, in prigione potrebbero contagiarsi con il Covid-19. Premura che non si capisce perché non dovrebbe essere estesa, se realmente legittima, all’intera popolazione carceraria e non solo ai pluriomicidi di Cosa Nostra.
I veri termini della questione sono questi: o vivere o perire, e perire di una morte ingloriosa, per mano di una cricca di pessimi politicanti e di falsi preti che ci hanno ingannati, traditi e venduti, gli uni sul piano civile, gli altri su quello religioso, consegnandoci nelle mani del Nemico, il grande potere finanziario globale!
Stiamo vivendo l’ora più difficile per la nostra Patria. Il fatto che per molti italiani la stessa parola patria, con o senza la maiuscola, non significhi più nulla, sta a indicare quanto sia difficile. Ad essere in pericolo non è l’indipendenza dell’Italia – quella se n’è già andata via da un pezzo – ma la sua sopravvivenza pura e semplice. Cioè, essa non sopravvivrà neppure come provincia, più o meno autonoma, di un impero altrui – che sia l’impero americano-atlantico o quello euro-germanico – ma è votata a sparire dalla faccia della Terra per divenire una provincia di Eurabia con una popolazione di colore che professerà la religione islamica e nella quale i cristiani subiranno la sorte dei copti egiziani: il declassamento sociale, l’emarginazione civile e la persecuzione politica. E poiché questa è l’ora più difficile, più difficile perfino dell’8 settembre 1943, poiché siamo esposti – in questo, sì, come lo sono anche i cittadini degli altri Paesi – a soggiacere a un totalitarismo che, con il pretesto della sicurezza sanitaria, vuol controllare anche le nostre menti, dopo averci spogliati di tutti i diritti fondamentali, non ne usciremo se non facendo appello alle risorse di tutti e di ciascuno, o, almeno, di una parte significativa della popolazione, posto che essa abbia compreso quali sono i veri termini della questione. E i veri termini della questione sono questi: o vivere o perire, e perire di una morte ingloriosa, per mano di una cricca di pessimi politicanti e di falsi preti che ci hanno ingannati, traditi e venduti, gli uni sul piano civile, gli altri su quello religioso, consegnandoci nelle mani del Nemico, il grande potere finanziario globale.
La cultura dominante radical-chic e il progetto massonico di un unico governo mondiale, con una sola “religione” mondiale, che altro non sarà, in ultima analisi, se non l’auto-divinizzazione dei membri della super-élite finanziaria, i quali vorranno farsi adorare (e temere, ovviamente) come se fossero dei!
Questa è la fine. O il principio?
di Francesco Lamendola
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