In occasione della pandemia del coronavirus, Mons. Carlo Maria Viganò, ex Nunzio Apostolico negli Stati Uniti, ha rilasciato diverse interviste, nel corso delle quali non ha esitato a rimettere in questione gli errori conciliari, come già fa coraggiosamente da diversi mesi. Lungi dall’accontentarsi di constatare gli effetti drammatici, il prelato romano risale alle cause e denuncia l’ecumenismo, la nuova liturgia, l’apertura al mondo e la collegialità episcopale.
L’ecumenismo non piace a Dio
Il 7 aprile 2029, rispondendo alle domande del vaticanista Aldo Maria Valli Mons. Viganò attacca l’ecumenismo promosso dal Vaticano II:
«Se questa irriverenza [di Papa Francesco che considera una sciocchezza il titolo di Maria Corredentrice] scaturisce dal desiderio di compiacere gli eretici, questa è un’aggravante, e non una scusa; anzi direi che se l’ecumenismo implica di disonorare la Vergine e tacere le verità cattoliche per compiacere chi è nell’errore, abbiamo una prova ulteriore che l’ecumenismo non piace a Dio.
«C’è un altro aspetto che vorrei evidenziare: la negazione di dogmi e di verità teologiche, anche non solennemente definite, implica una conseguenza estremamente distruttiva, perché la Verità – che è Dio stesso – non può avere parti sacrificabili. Se si tocca un dogma apparentemente marginale rispetto a quelli trinitari o cristologici, si tocca l’intero edificio dottrinale. E mi permetto di ricordare che, assieme agli orrori sul meticciato mariano [Papa Francesco, il 12 dicembre, aveva anche considerato Maria come una meticcia], abbiamo anche sentito spropositi sulla divinità stessa di Cristo, surrettiziamente insinuati dalle interviste concesse a un quotidiano notoriamente anticattolico [Intervista concessa ad Eugenio Scalfari, fondatore di La Repubblica].
«Quanto alla maledetta pachamama, è evidente che si va concretizzando una progressiva sostituzione della Madre di Dio con la Madre Terra, in ossequio alla religione mondialista ed ecologista. Stiano molto attenti costoro a prendersi gioco della Vergine: le offese che Nostro Signore perdona quando sono rivolte a Lui, non le perdona se hanno come oggetto la Sua Santissima Madre».
«C’è un altro aspetto che vorrei evidenziare: la negazione di dogmi e di verità teologiche, anche non solennemente definite, implica una conseguenza estremamente distruttiva, perché la Verità – che è Dio stesso – non può avere parti sacrificabili. Se si tocca un dogma apparentemente marginale rispetto a quelli trinitari o cristologici, si tocca l’intero edificio dottrinale. E mi permetto di ricordare che, assieme agli orrori sul meticciato mariano [Papa Francesco, il 12 dicembre, aveva anche considerato Maria come una meticcia], abbiamo anche sentito spropositi sulla divinità stessa di Cristo, surrettiziamente insinuati dalle interviste concesse a un quotidiano notoriamente anticattolico [Intervista concessa ad Eugenio Scalfari, fondatore di La Repubblica].
«Quanto alla maledetta pachamama, è evidente che si va concretizzando una progressiva sostituzione della Madre di Dio con la Madre Terra, in ossequio alla religione mondialista ed ecologista. Stiano molto attenti costoro a prendersi gioco della Vergine: le offese che Nostro Signore perdona quando sono rivolte a Lui, non le perdona se hanno come oggetto la Sua Santissima Madre».
Nella stessa intervista, Mons. Viganò denuncia la nuova liturgia e la Comunione sulla mano:
«E dobbiamo anche capire che la privazione dei Sacramenti e della Messa in tutto il mondo è una punizione ulteriore per la nostra infedeltà, per i sacrilegi che vengono compiuti quotidianamente nelle nostre chiese dall’indifferenza di tanti Ministri di Dio, dalle profanazioni derivanti dalla Comunione in mano, dalla sciatteria delle celebrazioni. Alla voce composta e pura della Liturgia si è sostituito lo strepito volgare e profano: come possiamo sperare che la nostra preghiera sia gradita al Cielo?»
Il terzo segreto di Fatima riguarda l’apostasia degli uomini di Chiesa
Il 21 aprile 2020, Mons. Viganò ha rilasciato un’intervista al sito portoghese Dies Irae, in essa ha ricordato il Terzo Segreto di Fatima, mettendolo in rapporto col concilio Vaticano II:
«Chi ha letto il Terzo Segreto ha detto chiaramente che il suo contenuto riguarda l’apostasia della Chiesa, iniziata proprio all’inizio degli anni Sessanta ed oggi giunta ad una fase talmente evidente, da esser riconosciuta addirittura da osservatori laici. Questa insistenza quasi ossessiva su temi che la Chiesa ha sempre condannato, quali il relativismo e l’indifferentismo religioso, un falso ecumenismo, l’ecologismo malthusiano, l’omoeresia e l’immigrazionismo, ha trovato nella Dichiarazione di Abu Dhabi il compimento di un piano concepito dalle sette segrete da più di due secoli».
Ad una domanda sulla recente creazione di una commissione incaricata di studiare la questione del diaconato femminile, Mons. Viganò ha risposto:
«L’Ordine Sacro non può né potrà mai essere modificato nella sua essenza. L’attacco al Sacerdozio è da sempre al centro dell’azione degli eretici e del loro ispiratore, ed è comprensibile che sia così: colpire il Sacerdozio significa distruggere la Santa Messa e la Santissima Eucaristia e tutto l’edificio sacramentale. Tra i nemici giurati dell’Ordine Sacro non mancarono nemmeno i modernisti, ovviamente, che sin dall’Ottocento teorizzavano una Chiesa senza sacerdoti, o con sacerdoti e sacerdotesse. Questi deliri, anticipati da alcuni esponenti del Modernismo in Francia, riemersero subdolamente al Concilio, col tentativo di insinuare una qualche equivalenza tra il Sacerdozio ministeriale derivante dall’Ordine Sacro e il sacerdozio comune dei fedeli derivante dal Battesimo. È significativo che, proprio giocando su questo voluto equivoco, anche la liturgia riformata abbia risentito dell’errore dottrinale di Lumen gentium finendo col ridurre il Ministro ordinato a semplice presidente di un’assemblea di sacerdoti. Invece il sacerdote è alter Christus non per designazione popolare, ma per ontologica configurazione al Sommo Sacerdote, Gesù Cristo, che egli deve imitare nella santità di vita e nella dedizione assoluta rappresentata anche dal Celibato».
Mons. Viganò ha puntato il dito anche contro un opportunismo sedicente pastorale:
«Teniamo presente che questo approccio nei riguardi dei dogmi della Chiesa conferma un fatto innegabile: Bergoglio ha adottato la cosiddetta teologia della situazione, in cui i luoghi teologici sono fatti o soggetti accidentali: il mondo, la natura, la figura femminile, i giovani… Una teologia, questa, che non ha come proprio centro fondante la verità immutabile ed eterna di Dio, ma al contrario parte dalla costatazione dell’impellenza cogente dei fenomeni per dare delle risposte coerenti con le attese del mondo contemporaneo».
In più, l’ex Nunzio Apostolico denuncia l’allineamento della Chiesa col mondialismo contemporaneo, reso possibile dall’apertura al mondo propugnata dal Vaticano II. Egli nota che:
« Lo scopo di questa neo-chiesa … è quello di costituirsi come braccio spirituale del Nuovo Ordine Mondiale e fautrice della Religione Universale. In questo senso la rivoluzioneconciliare ha dovuto prima demolire l’eredità della Chiesa, la sua millenaria Tradizione, dalla quale traeva la propria vitalità e autorità come Corpo Mistico di Cristo, poi liberarsi degli esponenti della vecchia Gerarchia, e solo recentemente ha iniziato a proporsi senza infingimenti per quello che intende essere».
Alla domanda diretta: «Quali punti del Vaticano II metterebbe Lei in dubbio?», Mons. Viganò ha risposto invitando semplicemente a far cadere il Concilio nel dimenticatoio:
«Credo che non manchino personalità eminenti che meglio di me hanno espresso i punti critici del Concilio. Vi è chi ritiene che sarebbe meno complicato e certamente più saggio seguire la prassi della Chiesa e dei Papi come fu applicata con il Sinodo di Pistoia: anche in esso vi era qualcosa di buono, ma gli errori che affermava furono ritenuti sufficienti per lasciarlo cadere nel dimenticatoio».
Noi ricordiamo, tuttavia, che il sinodo diocesano di Pistoia (1786), in cui furono sviluppate le tesi gianseniste e gallicane, fu oggetto di una condanna esplicita e argomentata emessa dal Papa Pio VI con la bolla Auctorem fidei, del 28 agosto 1794.
Alla fine dell’intervista, il prelato romano indica le ragioni e i mezzi per conservare la speranza:
«La Chiesa tornerà a risplendere della gloria del suo Signore dopo questo terribile e prolungato Triduo Pasquale. Ma se la preghiera è certamente indispensabile, non dobbiamo esimerci dal combattere la buona battaglia, facendoci tutti testimoni di una coraggiosa militanza sotto il vessillo della Croce di Cristo. … Non lasciamoci intimidire! Non permettiamo che si metta il bavaglio della tolleranza a chi vuole proclamare la Verità! Chiediamo alla Vergine Santissima che la nostra lingua possa proclamare con coraggio il Regno di Dio e la Sua Giustizia»
La collegialità dissolve l’autorità dei vescovi
Il 29 aprile 2020, Mons. Viganò ha concesso un’intervista al vaticanista Marco Tosatti. In essa ha denunciato la collegialità, responsabile del silenzio di molti vescovi la cui autorità sulle loro diocesi si trova dissolta all’interno della Conferenza Episcopale Italiana (CEI):
Domanda: Molti fedeli e sacerdoti si sono sentiti abbandonati e poco tutelati dalla Conferenza Episcopale e dai Vescovi [di fronte alla proibizione delle Messe pubbliche imposta dal Governo].
Risposta: «Occorre precisare, a scanso di equivoci, che la Conferenza Episcopale non ha alcuna autorità sui Vescovi, i quali hanno piena giurisdizione nella propria Diocesi, in unione con la Sede Apostolica. E questo è ancor più importante nel momento in cui abbiamo compreso quanto la CEI sia fin troppo accondiscendente, anzi succube, nei riguardi del Governo italiano.
«I Vescovi non devono aspettare che un organismo senza alcuna giurisdizione dica loro cosa fare: spetta a loro decidere come comportarsi, con prudenza e saggezza, per garantire ai fedeli i Sacramenti e la celebrazione della Messa. E lo possono fare senza dover chiedere né alla CEI né tantomeno allo Stato, la cui autorità finisce davanti al sagrato delle nostre chiese, e lì deve fermarsi.
«È inaudito che la Conferenza Episcopale Italiana continui a tollerare un tale abuso, che lede il diritto divino della Chiesa, viola una legge dello Stato e crea un gravissimo precedente. E credo che anche il comunicato emesso domenica sera [26 aprile] rappresenti una prova della consentaneità dei vertici dell’Episcopato non solo ai mezzi, ma anche ai fini che si propone questo Governo.
«Il silenzio supino della CEI, e di quasi tutti gli Ordinari, rende evidente una situazione di subalternità allo Stato che non ha precedenti, e che giustamente è stata percepita dai fedeli e dai sacerdoti come una sorta di abbandono a se stessi: ne sono emblematico esempio le scandalose irruzioni della forza pubblica in chiesa, addirittura durante la celebrazione della Messa, con un’arroganza sacrilega che avrebbe dovuto suscitare una immediata e fermissima protesta da parte della Segreteria di Stato. Si sarebbe dovuto convocare l’Ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede, presentando una dura Nota di Protesta per la gravissima violazione del Concordato da parte del Governo, riservandosi di richiamare il Nunzio Apostolico in Italia, qualora non fosse stato ritirato il provvedimento illegittimo».
E Mons. Viganò si rivolge direttamente ai suoi confratelli nell’episcopato:
«Non permettete che con la scusa di una presunta epidemia [l’espressione “presunta epidemia” impegna solo il suo autore. NDR] si limitino le libertà della Chiesa! Non permettetelo né da parte dello Stato, né da parte della CEI! Il Signore vi chiederà conto delle anime che sono morte senza Sacramenti, dei peccatori che non hanno potuto riconciliarsi con Lui, dell’aver voi permesso che, per la prima volta nella storia a partire dall’Editto di Costantino, fosse proibito ai fedeli di celebrare degnamente la Santa Pasqua. I vostri sacerdoti non sono pavidi, ma eroici testimoni, e soffrono per gli ordini arbitrari che impartite loro. I vostri fedeli vi implorano: non restate sordi al loro grido!»
Domanda: «Sono parole che sembrano invitare alla disobbedienza all’autorità ecclesiastica ancor prima che a quella civile».
Risposta: «L’obbedienza è ordinata alla Verità e al Bene, altrimenti è servilismo. Siamo arrivati ad un tale ottundimento delle coscienze che non ci rendiamo più conto di cosa significhi “dare testimonianza alla Verità”: crede che Nostro Signore ci giudicherà per esser stati obbedienti a Cesare, quando questo significa disobbedire a Dio? Non è forse tenuto il Cristiano all’obiezione di coscienza, anche sul lavoro, quando ciò che gli è richiesto viola la Legge divina? Se la nostra Fede si basasse solo sull’obbedienza, i Martiri non avrebbero nemmeno dovuto affrontare i tormenti a cui li condannava la legge civile: sarebbe bastato obbedire e bruciare un grano d’incenso alla statua dell’Imperatore.
All’accusa di «divisione», Mons. Viganò risponde:
«L’unità nella Fede e nella Carità si fonda sulla salvezza delle anime, non in loro danno: non bastano né le “interlocuzioni” della CEI né i sorridenti incontri papali con il Primo Ministro, al quale si è concessa un’indulgente collaborazione, che svela connivenze e collaborazionismo. Proclamare la verità è necessariamente “divisivo”, perché la verità si oppone all’errore, come la luce si oppone alle tenebre. Così ci ha detto il Signore: “Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione.” Lc. 12, 51.
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