«Sollevare lo sguardo», per uscire dalla crisi
«Chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo»: il lamento di Dio espresso dal profeta Osea è il giudizio più vero e più radicale sul tempo di crisi che stiamo vivendo. Il virus è un richiamo alla conversione, ma il mondo sembra invece attaccarsi ancora di più agli idoli. È la strada della rovina.
«Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto nessuno sa sollevare lo sguardo». Il dolore di Dio espresso da Osea (capitolo 11) è il giudizio più terribile sul periodo di crisi che stiamo vivendo. Dio parla in prima persona e descrive tutto il suo amore per Israele, tutte le cose che ha fatto per attrarlo a sé: «Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me».
La cosa più preoccupante di tutto questo periodo è proprio l’incapacità di leggere quanto sta avvenendo alla luce di questo amore di Dio che ci chiama a sé, che chiede la nostra conversione, per il nostro bene. Desidera che rinunciamo agli idoli per abbracciare la Verità che, sola, può renderci liberi e felici. Invece, continuiamo a servire gli idoli e andare così sulla via della rovina.
È la fotografia del periodo storico che viviamo. Un virus sta mettendo in ginocchio il mondo intero, un virus sconosciuto, di cui – almeno all’inizio – si sapeva pochissimo e per cui non si conoscevano cure. Un fatto improvviso, imprevisto, perciò in grado di generare paura, insicurezza, incertezza; il cui impatto è diventato però devastante grazie alle risposte irrazionali venute in primis dagli “esperti” e dai politici, che a loro volta hanno generato conseguenze economiche e sociali con effetti in prospettiva ancora più gravi della pandemia in sé. Si è passati, e si continua a passare, dal «non è nulla» al «è la fine del mondo» con atteggiamenti e decisioni che, in un caso e nell’altro, appaiono irragionevoli. Basta vedere in questi giorni: chi scende in piazza al grido di “Il virus non esiste” e chi continua a proporre ed imporre misure da regime totalitario pur con una diffusione minima del contagio. Come direbbe Chesterton, non si è persa la ragione, si è perso tutto fuorché la ragione.
Il virus avrebbe dovuto essere un immediato richiamo al nostro limite, all’illusione dell’uomo di poter controllare tutto; che avrebbe dovuto rappresentare un brusco risveglio dal delirio di onnipotenza dell’uomo moderno, arrivato ormai a pensare di poter decidere sulla vita e sulla morte, come fosse lui Dio; un virus che sembrava fatto apposta per spingerci a spaccare questa gabbia che ci impone lo sguardo verso il basso, a concepire la vita solo in orizzontale; a consumarci nell’oggi, senza un domani.
Questa pandemia è un invito chiarissimo «a guardare in alto». Come tante volte accaduto nella storia, sarebbe sembrato ovvio volgersi a Dio, chiedere perdono e tornare a Lui con tutto il cuore: processioni, penitenze, messe, un cambiamento reale di vita. Per qualcuno sicuramente è stato così, un salutare ceffone che gli ha fatto aprire gli occhi sul senso della vita.
Ma nell’insieme, come popolo, abbiamo visto e vediamo l’esatto contrario. Le strade si sono svuotate, mentre le nostre giornate si sono riempite di scienziati ed esperti (veri o presunti che siano) che ci hanno riempito di informazioni che vanno dal tutto al contrario di tutto, ma sempre spacciate come la verità definitiva. È clamorosamente sparita anche la Chiesa – chiese un po’ aperte ma sconsigliate, messe prima proibite al popolo, ora ammesse con molte e gravi limitazioni - essa stessa consegnatasi volontraiamente a un comitato tecnico-scientifico dalle dubbie competenze. Sembra la scena della calamità descritta dal profeta Geremia: «Anche il profeta e il sacerdote si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare» (cap. 14).
Anziché sollevare lo sguardo, anziché volgersi verso Dio, anziché chiedere la grazia della conversione, abbiamo visto usare della crisi per rafforzare i progetti che si avevano in precedenza: i tecno-scienziati invocano più scienza; i politici affermano con forza che la soluzione sta nel votare il proprio partito; gli ecologisti ne ricavano la lezione che ci vuole un rapporto diverso con la natura (nel senso ecologista del termine); gli abortisti ne approfittano per chiedere di facilitare gli aborti; e chi voleva l’eutanasia ne ha approfittato per portarsi avanti con il lavoro. Cioè: invece di riconoscere gli idoli per quel che sono e abbandonarli, ci si sta attaccando a loro con ancora più forza. Invece di fermare l’assassinio degli innocenti, si procede con ancora più intensità.
Si pone la speranza in un vaccino, in un sistema politico, nel riconoscimento di alcuni diritti, nella disponibilità economica.
«Nessuno sa sollevare lo sguardo» è una sentenza. Al di là delle questioni medico-scientifiche, che pure è doveroso affrontare e risolvere, non abbiamo capito il senso profondo di quello che sta avvenendo, del richiamo vero che tutta questa crisi rappresenta.
E l’aspetto più drammatico è che anche la Chiesa sembra essere stata inghiottita da questo buio che si è fatto sulla terra. Abbiamo visto pastori impauriti abbandonare le proprie pecore, pastori indicare come soluzione la “conversione ecologica” invece che la conversione a Dio, pastori sottomettersi alla tecno-scienza e invocare un vaccino. Non tutti, per grazia di Dio. Ma l’impressione generale è di una Chiesa che non ha più nulla da dire di significativo, se non distribuire un po’ di alimenti e di vestiti a chi ne ha più bisogno. Finché dura.
«Nessuno sa sollevare lo sguardo». È vero, siamo duri a convertirci, siamo duri a capire, preferiamo confidare in noi stessi, coviamo sempre la speranza di cavarcela con una terapia, un vaccino, qualche riforma e possiamo metterci anche questo dramma alle spalle. Illusi.
Se non si solleva lo sguardo si imbocca la strada che va verso la rovina, si potrà superare la crisi ma solo apparentemente. Ricordiamoci la profezia di Fatima, quando ai pastorelli la Madonna annuncia la fine imminente della Prima guerra mondiale: «La guerra sta per finire, ma se non smetteranno di offendere Dio, nel regno di Pio XI ne comincerà un’altra peggiore».
Non è una minaccia, è la logica conseguenza della nostra ostinazione nel peccato e nell’idolatria. E forse non c’è epoca in cui Dio sia stato più offeso che quella attuale. «Sollevare lo sguardo», volgerci a Dio, mendicare la conversione del nostro cuore, consegnare la nostra vita nelle mani di Maria perché interceda per noi presso Cristo, è l’unica strada che abbiamo per uscire veramente da questa crisi.
Riccardo Cascioli
La Santa Comunione sulla lingua
Riceviamo e pubblichiamo
Pubblichiamo un breve messaggio giuntoci da un fedele lombardo, la cui esperienza straordinaria testimonia la forza intrinseca della celebrazione della Santa Messa secondo il rito tradizionale.
Il fatto è accaduto nella chiesa parrocchiale di San Giorgio, a Montano Lucino (Como).
E' probabile che ci sia sempre qualcuno che abbia comunque degli appunti da fare: tante teste, tante opinioni. Tuttavia è fuori dubbio che la distribuzione della Santa Comunione sulla lingua, con i fedeli in ginocchio alla balaustra o al banco, dimostra di essere un ottima pratica anche in questi tempi di epidemia.
Se i Vescovi tornassero oggi alla pratica tradizionale, tanti inconvenienti sarebbero evitati e non ci sarebbe bisogno di inventarsi improbabili e blafemi “protocolli”; sempre che abbiano voglia di far valere le prerogative legate al loro status di unici responsabili delle celebrazioni del culto da rendere a Dio.
Il fatto è accaduto nella chiesa parrocchiale di San Giorgio, a Montano Lucino (Como).
E' probabile che ci sia sempre qualcuno che abbia comunque degli appunti da fare: tante teste, tante opinioni. Tuttavia è fuori dubbio che la distribuzione della Santa Comunione sulla lingua, con i fedeli in ginocchio alla balaustra o al banco, dimostra di essere un ottima pratica anche in questi tempi di epidemia.
Se i Vescovi tornassero oggi alla pratica tradizionale, tanti inconvenienti sarebbero evitati e non ci sarebbe bisogno di inventarsi improbabili e blafemi “protocolli”; sempre che abbiano voglia di far valere le prerogative legate al loro status di unici responsabili delle celebrazioni del culto da rendere a Dio.
La chiesa parrocchiale di San Giorgio
Vi risparmio l’emozione provata e altre sensazioni personali. Mi attengo solo ai fatti.
Pochissimi partecipanti (nessuno tra celebrante e cerimonieri) ha mai indossato i cosiddetti DPI (mascherina e guanti), nessuno (immagino) ha avuto paura di presunti “contagi” (tutti i presenti erano “asintomatici”).
La chiesa era piena (a differenza di altre celebrazioni festive e prefestive nella parrocchia dove abito), per quanto si è potuto osservare: ci sono state anche difficoltà ad ottemperare al “distanziamento sociale” (è stato osservato molto a fatica).
Per la Santa Comunione sono state approntate delle panche prese dalla prima fila (perché fungessero da inginocchiatoi, visto che le “balaustre” erano state rimosse anni prima).
Tutti hanno ricevuto devotamente la Santa Ostia in bocca (e in ginocchio), senza aiuto di “ministri laici straordinari” e senza contatto tra celebrante (privo di guanti) e fedeli.
Uno dei motivi per cui ho partecipato è stato l’“assolvimento” (in forma sacramentale e non solo spirituale) del precetto pasquale, con il proposito di evitare di commettere sacrilegio.
E’ noto che la mancanza di precauzioni nella distribuzione della Santa Ostia può comportare il rischio di dispersione di “frammenti” (cioè del SANTO CORPO DI CRISTO), per non parlare di altri rischi (di sacrilegio). Tali rischi aumentano (scientificamente dimostrato: lanuovabq.it/it/sacrilegi-e-dispersioni-rischi-nella-nuova-comunione) se il fedele la riceve in mano, se il celebrante usa i guanti e, soprattutto, se gli stessi guanti vanno poi a confluire nella “raccolta differenziata” (questo è l’apice!).
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