Oggi più nessuno si cura della "Verità" divenuta figlia di nessuno, altrimenti come avrebbe potuto Bergoglio firmare il documento di Abu Dhabi? Ma la Verità è Cristo dunque chi sminuisce e disprezza la verità, disprezza Cristo!
di Francesco Lamendola
Abbiamo visto, qualche tempo fa, che perfino un papa della Chiesa cattolica, Giovanni Paolo I, sosteneva, fin dai tempi in cui era patriarca di Venezia, che la verità, in buona sostanza, non esiste, mentre esiste la persona, soggetto di diritti naturali e universali (cfr. l’articolo: “Dignitatis humanae”, il primo tradimento della verità, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 07/08/20):
I diritti della verità non esistono, non c’è un diritto della verità. La verità non è persona che cammina per la strada: vi sono solo i diritti della persona.
Vi sono solo i diritti della persona; vi sono solo i diritti naturali: la vita soprannaturale, la vita della grazia divina, è cancellata con un colpo di spugna; il dovere di cercare la verità e di restare fedeli a lei sola è negato formalmente; nessun illuminista o giacobino arrabbiato avrebbe potuto spingersi più in là, e con tanta disinvoltura, tranne quelli – come d’Holbach – i quali negavano Dio, puramente e semplicemente. Ma se la verità , non essendo persona, non ha dei diritti, che fine ha fatto, e come si può continuare a vivere senza di essa? Lo stesso Albino Luciani precisava, subito dopo aver fatto quella sconvolgente affermazione:
Si dice per modo di dire i diritti della verità, ma ci sono solo persone fisiche o morali che hanno il diritto di cercare la verità. Quindi non abbiate paura di dare uno schiaffo alla verità quando date ad una persona il diritto di usare della sua libertà.
La verità non è un soggetto di diritto; solo le persone umane sono soggetto di diritto. Si fa una metafora quando si dice: la verità ha i suoi diritti. Il possessore della verità ha dei diritti, ma le verità in astratto non hanno né diritti né doveri.
Giovanni Paolo I, sosteneva, fin dai tempi in cui era patriarca di Venezia, che la verità, in buona sostanza, non esiste!
Esiste, dunque, il diritto di cercare la verità, ma non esiste la verità come soggetto assoluto, come causa finale di tutte le cose. Le persone cercano la verità, vanno verso la verità (si spera, perché qui tutto è soggettivo) ma non si sa se la trovano, e in ogni caso il soggetto restano le persone, mai la verità: la verità è solo un oggetto, per giunta alquanto evanescente. Questa è la fine del concetto di verità; è la fine della metafisica, è la fine della teologia. E se a pensarla così erano i principi della Chiesa, nella stagione successiva al Concilio Vaticano II (quello che avrebbe dovuto portare la primavera, come disse Paolo VI, e invece portò l’inverno) è retorico domandarsi come la pensassero i rappresentanti della cultura laicista, i filosofi, gl’intellettuali di orientamento materialista e positivista. Laddove la malizia del clero (o la sua colossale ingenuità, secondo i punti di vista) è arrivata al punto di far finta che il Concilio, con la Dignitatis humanae, non abbia detto quel che ha detto; che non abbia negato la Verità di Cristo (e ci sarebbe mancato altro!), ma solo ribadito l’illiceità di voler imporre la verità con la forza. E dove, di grazia, i padri conciliari, guardandosi intorno nel vasto mondo; dove, nei cinque continenti, potevamo assistere allo spettacolo delle persone obbligate a credere Gesù Cristo? Oltre a ciò, c’era bisogno di un Concilio ecumenico per ribadire un principio laico, già largamente accettato dalla cultura laica, almeno in Occidente? I concili non dovrebbero occuparsi di questioni strettamente religiose?
Ecco come lo stesso Luciani, in un altro scritto (perseverare diabolicum) pretendeva di giustificare la svolta del Concilio, mescolando le carte dal piano storico a quello teologico e dalla realtà profana a quella sacra (Il magistero di Albino Luciani. Scritti e discorsi, Padova, 1979, pp.328 ss.; cit. in: Regina Kumer, Albino Luciani. Papa Giovanni Paolo I, Padova, Edizioni Messaggero, pp. 302-305):
Sì, sotto un certo aspetto, il Concilio ha cambiato. Ha pensato a Carlo Magno, che tagliava le teste dei sassoni, che rifiutavano il battesimo; a Bernardo Guy, l’inquisitore, che infierì contro i catari della Francia meridionale, ad altri casi simili e ha umilmente confessato: nella chiesa del passato, “di quando in quando s’è avuto un comportamento meno conforme allo spirito evangelico, anzi contrario” (“Dignitatis humanae”, 12). Il Concilio ha dunque ammesso una serie di fatti non lodevoli, li ha deplorati, ha detto che essi non si devono ripetere; in questo senso ha cambiato. Quanto all’insegnamento del passato, invece, non ha cambiato, se ha potuto affermare che la chiesa ha sempre “custodito e tramandato la dottrina del maestro degli apostoli […] che nessuno sia costretto ad abbracciare la fede” (ivi). (…)
Il concilio non s’è mai sognato di dire che siamo liberi davanti a Dio: tutti siamo tenuti a cercare la verità, ad abbracciarla, appena conosciuta, a rispondere a Dio e alla sua chiesa, se di questa abbiamo accettato di far parte. Il concilio ha inteso invece parlare della libertà davanti allo stato in cose religiose. Il titolo del documento conciliare, infatti, parla di “libertà sociale e civile in materia religiosa”. È il potere politico, cattolico o no, che, secondo il concilio, né può costringere ad abbracciare la fede religiosa che non piace, né può impedire dall’abbracciare e professare una fede che piace.
La vita soprannaturale, la vita della grazia divina, è cancellata da papa Luciani con un colpo di spugna; il dovere di cercare la verità e di restare fedeli a lei sola è negato formalmente; nessun illuminista o giacobino arrabbiato avrebbe potuto spingersi più in là!
Che infinita tristezza leggere e meditare su queste parole, dovendo per forza concludere o che Albino Luciani era animato da una colossale ingenuità oltre che da una vera e propria debolezza del pensiero, non diciamo teologico, ma anche solamente logico; oppure che era, tanto quanto quei vescovi che al concilio andarono già organizzati in un corpo progressista con le idee chiare e una precisa agenda da portare avanti, ingannando la buona fede altrui, un po’ secondo quello che più tardi, nel conclave dei cardinali, avrebbe preso le forme della cosiddetta mafia di San Gallo, ma che di fatto esisteva già dal 1958, ossia dalla morte di Pio XII e dall’elezione di Giovanni XXIII: il quale ultimo, guarda caso, scelse di chiamasi così in omaggio – contro il parere di molti canonisti - a un antipapa del Medioevo, il quale ebbe però, secondo lui, il merito d’aver convocato un concilio, quello di Costanza! Tanto per cominciare: che c’entrano le decapitazioni dei Sassoni con la Dignitatis humanae? Se è stato per fare ammenda di eventi accaduti milleduecento anni prima che i padri scrivessero il documento sulla libertà religiosa, il meno che si possa dire è che hanno sbagliato millennio. Inoltre, Carlo Magno era un sovrano laico, non un papa, che prendeva le sue autonome decisioni nel bel mezzo di una lunghissima e crudelissima guerra: non fu certo la Chiesa a ordinargli d’imporre ai prigionieri sassoni la scelta fra la conversione e la morte. Quanto a Bernardo Guy, anche qui Luciani si dimentica di dire che nel Sud della Francia, ai primi del 1200, ci fu una terribile guerra religiosa fra cattolici e albigesi, combattuta con estrema crudeltà da ambo le parti; e che san Domenico, come del resto san Francesco d’Assisi, non era affatto contrario alla repressione violenta dell’eresia, anche se lui personalmente preferiva la predicazione per convertire le anime. Ad ogni modo, che c’entrano queste cose con il 1965? A minacciare concretamente la libertà (laica) di scelta religiosa, negli anni del Concilio, non era certo la Chiesa cattolica, e neppure un qualche governo d’ispirazione cattolica, ma quel sistema comunista che aveva sprangato o distrutto le chiese in mezza Europa, perseguitato il clero e disperso i fedeli, anche deportandoli nei campi di concentramento, ma che ai due papi del Concilio piaceva così tanto da non aver voluto pronunciare una sola parola di condanna verso di esso, benché la maggiorana dei vescovi, al momento della sua convocazione, si era legittimamente aspettata appunto una scomunica solenne. Del resto, una tale iniziativa da parte della Chiesa era fuori discussione dacché Giovanni XXIII aveva deciso di sottoscrivere con la chiesa ortodossa - ossia, indirettamente, con il regime sovietico - lo scellerato accordo segreto di Metz, il 13 agosto 1962, alle spalle del Concilio e all’insaputa dei padri conciliari, in base al quale alcuni esponenti ortodossi avrebbero presenziato all’assemblea e il papa, in compenso, non avrebbe scomunicato il comunismo. La politica al posto del magistero e il calcolo machiavellico a danno dei fedeli, come illustrato anche dalle vicende dei vescovi Stepinac e Mindszenty. Una storia che oggi si ripete, col dramma della chiesa cattolica cinese.
Una sconvolgente affermazione di papa Luciani? La Verità è Cristo. Dunque, chi sminuisce e disprezza la verità, disprezza Cristo...
Ma torniamo ad Albino Luciani. Quando egli dice che sì, la Chiesa del Concilio ha cambiato strada, ma solo per deplorare gli errori del passato e impegnarsi affinché non si ripetano, dice una cosa assurda, perché da secoli nessuno ha più visto levarsi le fiamme del’Inquisizione, mentre era cronaca quotidiana, nel Novecento, la persecuzione dei cattolici, e ancora recenti erano le stragi della rivoluzione messicana e della guerra civile spagnola, nella quale furono trucidati migliaia di sacerdoti, religiosi e religiose, nonché di semplici fedeli. Il cambiamento di cui egli parla in perfetta malafede, dunque, c’era già stato, e da secoli; ma che un cambiamento si sia verificato nella dottrina, questo è il vero oggetto di qualunque seria discussione sul Concilio; e la sua affermazione che l’insegnamento è rimasto identico a quello di sempre perché la Dignitatis humanae se ne fa garante, dicendo che la chiesa ha sempre “custodito e tramandato la dottrina del maestro degli apostoli […] che nessuno sia costretto ad abbracciare la fede” (ivi) è risibile. Prima di tutto, è proprio la Dignitatis humanae che ha sollevato la contrarietà di una pare dei fedeli e anche di un vescovo, monsignor Lefebvre, come ricorda lo stesso Luciani (R. Kummer, cit., pp. 302 ss.), quindi non può essere citata per respingere le accuse di eterodossia. Questo peraltro è tipico del Concilio e dei suoi sostenitori: quando si tratta di discutere se i documenti conciliari si sono discostati o meno dalla vera dottrina di sempre, essi replicano citando ancora e sempre documenti del Concilio, quasi mai documenti anteriori ad esso; o se lo fanno, ciò avviene a prezzo di forzature palesi e d’imbarazzanti funambolismi verbali. In secondo luogo, il piano della discussione è volutamente travisato: nessuno pretendeva o pretende d’imporre il Vangelo coi metodi adoperati da Carlo Magno nella campagna contro i sassoni, o da Bernardo Guy nella guerra contro i catari, e ciò da ben prima del Concilio.
Come dice il cardinale Ravasi? Cari fratelli massoni. E monsignor Paglia? Quell’uomo di altissima spiritualità che è stato Marco Pannella. E il sedicente papa Bergoglio? Una grande italiana: Emma Bonino. No: per costoro gli unici da scomunicare sono i veri cattolici, come don Minutella; gli eretici vanno bene, benissimo, anzi più sono anticristiani e più sono ospiti graditi!
Che fine ha fatto la verità?
di Francesco Lamendola
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