Fratelli tutti: il verbo si è fatto liquido (in 200mila battute)
La Fratelli Tutti di Papa Francesco nelle sue 138 pagine (tre volte la Rerum Novarum) presenta un testo liquido, che si può scomporre e ricomporre. Abbandonata la dottrina, che utilità pastorale può avere un'enciclica che è un grande contenitore di affermazioni di vario genere da cui possono venire estratti vari significati? Come è ad esempio il caso della parola globalizzazione dove non si capisce che posizione assume la Chiesa.
Nell’aprire e nel leggere la nuova enciclica di papa Francesco Fratelli tutti si viene presi, prima che dai temi trattati, dalle riflessioni proposte e dalle piste d’azione suggerite, dalla domanda sulla vera utilità di documenti con queste caratteristiche redazionali. Uno scritto di 138 pagine pone diversi problemi di contenuto che vanno opportunamente considerati, ma prima di tutto pone il problema della utilità di scrivere un’enciclica di 138 pagine.
La Rerum novarum di Leone XIII era di 71.648 battute, la Fratelli tutti è di 237.877 battute, ossia più di tre Rerum novarum messe insieme. O Leone XIII aveva poco da dire o nel dire del Magistero è cambiato qualcosa. Che Leone XIII avesse detto poco perché poco aveva da dire è decisamente negato dal valore di “paradigma permanente” di quella enciclica, e dall’aver essa suscitato “l’operosità feconda di milioni e milioni di uomini che, stimolati dal magistero sociale, si sono sforzati di ispirarsi a esso in ordine al proprio impegno nel mondo”, come scrisse Giovanni Paolo II nella Centesimus annus. Quindi non resta che il Magistero abbia cambiato il suo dire e c’è da chiedersi se il fatto di averlo così gonfiato fornisca maggiori garanzie che anche ad esso seguirà un’operosità feconda.
Scorrendo le pagine della Fratelli tutti si capisce a cosa è dovuta questa lievitazione del testo. Prima di tutto sono di molto aumentate le parti dedicate alla presentazione della situazione storica del momento. Non si può sostenere che ai tempi della Rerum novarum la situazione fosse meno complessa di adesso. Eppure i tratti con i quali l’enciclica fotografava la situazione erano scarni ed essenziali, nella consapevolezza che queste analisi sociali fanno ben presto il loro tempo e che se un testo vuol durare oltre la contingenza, non può dilungarsi in esse. Nella Fratelli tutti invece l’analisi si dilunga alquanto, entrando spesso in particolari sociali, della storia, dell’economia, anche minuti fino a diventare maggiore della parte, chiamiamola così, normativa, che invece nella Rerum novarum aveva decisamente il predominio.
Il pericolo di un testo magisteriale che si dilunga a fare il quadro sociologico e storico è di adoperare linguaggi, valutazioni, osservazioni appunto di tipo sociologico. Espressioni di questo tipo sono per loro natura discutibili, sia perché si riferiscono ad osservazioni empiriche che possono essere contestate a partire da altre osservazioni empiriche, sia perché gli esperti del settore – sociologi o economisti che siano – danno interpretazioni diverse per gli stessi fenomeni constatati. Capita così che la Fratelli tutti sia piena di proposizioni discutibili. La cosa era già evidente nella Laudato si’ per la questione climatica e ambientale e ritorna ad essere evidente nella Fratelli tutti, a cominciare dalla presentazione della pandemia da Covid fino al concetto di “società aperta”. Ciò che è incerto e in discussione non può essere considerato magistero, il che amplia a dismisura, in un testo magisteriale, le parti che non sono magistero. L’effetto è la secolarizzazione dei documenti del magistero, nei quali si dicono molte cose discutibili. Se queste rilevazioni sociali fossero così importanti bisognerebbe scrivere un’enciclica ogni anno, data la velocità dei cambiamenti, ma in questo caso il magistero di questi documenti sarebbe di corto respiro. La Rerum novarum, invece, insegna anche oggi proprio perché era solo di 71648 caratteri.
Tornando e ritornando sugli stessi argomenti, un testo così lungo, da un lato si ripete, dall’altro presenta aspetti diversi dello stesso problema per cui alla fine non risulta chiara la valutazione dello stesso alla luce del Vangelo e dell’etica naturale. Nella Fratelli tutti, per esempio, è il caso della valutazione del fenomeno della globalizzazione. Sfido chiunque ad estrarre dal testo dell’enciclica la posizione della Chiesa su questo fenomeno e le direttive d’azione da essa formulate. Una enciclica così concepita diventa come un grande contenitore di affermazioni di vario genere, di vario livello, di varia natura affermativa – dichiarative, esortative, parenetiche, ipotetiche, assertorie, normative, osservative – da cui possono venire estratti vari significati, combinando diversamente le componenti del testo. Senza tener conto del continuo ritorno su temi già ampiamente presi in esame dall’attuale magistero – si pensi al tema immigrazione - o all’uso ripetuto di formule – come “erigere muri” o “cultura dello scontro” – che si prestano ad un uso tipo slogan.
Con queste osservazioni non ho detto assolutamente (ancora) nulla sui contenuti della Fratelli tutti, ma mi sono soffermato su alcuni aspetti della sua struttura comunicativa. La prima preoccupazione della Chiesa di oggi non è più la dottrina ma la pastorale. Ma appunto ci si chiede che utilità pastorale possa avere un testo così redatto. Un testo fluido o liquido, che si può scomporre e ricomporre, che accosta proposizioni di diverso tenore, che adopera frasi-slogan ormai appartenenti ad un repertorio consolidato e che sono diventate di uso fin troppo comune e meccanicamente ripetitivo.
Leggendo la Rerum novarum uno capiva che alcune (poche) frasi illustravano la situazione, che altre indicavano la valutazione della Chiesa dal punto di vista della morale naturale, che altre ancora esprimevano i fondamenti dogmatici e rivelati, che altre indicavano delle vie obbligate per l’agire sociale e altre ancora solo delle ipotesi che potevano essere liberamente interpretate o valutate nel tempo. Ora le cose si sono complicate e siamo arrivati a 237.877 battute.
Stefano Fontana
https://lanuovabq.it/it/fratelli-tutti-il-verbo-si-e-fatto-liquido-in-200mila-battute
LA FRATELLI TUTTI DI BERGOGLIO
Più che un'Enciclica, è un manifesto politico del pontificato
Nella Fratelli tutti, la terza Enciclica di Papa Francesco, la parola politica compare 66 volte oltre ad avere un capitolo dedicato. Ma tra antiliberismo, antinazionalismo e immigrazionismo, diventerà il manifesto del pontificato di Bergoglio. Resterà delusa la Sinistra europea, però: non mancano gli accenni alle ideologie di Sinistra che sono individualistiche. Il modello è l'idea di pueblo alla sudamericana.
La Fratelli Tutti, firmata sabato ai piedi della tomba del santo di Assisi, è la terza enciclica del pontificato di Papa Francesco. Dedicato alla fraternità e all'amicizia sociale, il documento si apre con un'introduzione in cui, dopo l'omaggio alla memoria del Poverello d'Assisi, viene riconosciuta l'influenza dell'incontro del 2019 con il Grande Imam Ahmad Al-Tayyeb. Il tentativo di chiarimento dell'aspetto più controverso della Dichiarazione di Abu Dhabi, quello sul «pluralismo e le diversità di religione», si trova nell'ultimo degli otto capitoli in cui è articolata la Fratelli Tutti. Bergoglio scrive che "la Chiesa apprezza l’azione di Dio nelle altre religioni (...) tuttavia come cristiani non possiamo nascondere che è "la musica del Vangelo" a "vibrare nelle nostre viscere" . "Altri bevono ad altre fonti - continua il Papa - per noi, questa sorgente di dignità umana e di fraternità sta nel Vangelo di Gesù Cristo".
CONTRO I NAZIONALISMI
Ma il dialogo interreligioso occupa solo una parte di questa nuova Enciclica sociale che raccoglie molte delle idee-guida dell'attuale pontificato. Non sono poche le bacchettate che vi vengono rifilate agli attori principali della società contemporanea: ai "gruppi populisti chiusi”, certo, così come ai "nazionalismi chiusi, esasperati, risentiti e aggressivi" ma non risparmia neppure chi si trincera "sotto il rivestimento del politicamente corretto o delle mode ideologiche". La fraternità auspicata da Francesco, infatti, non ha nulla a che vedere con quella che definisce "una falsa apertura all’universale". Il Papa se la prende coi "narcisismi localistici che non esprimono un sano amore per il proprio popolo e la propria cultura" ma prende le distanze da "chi porta con sé un risentimento non risolto verso il proprio popolo", ritenendo "necessario affondare le radici nella terra fertile e nella storia del proprio luogo, che è un dono di Dio". Tra le righe di Fratelli Tutti si sente non poco l'influenza esercitata sul pontefice regnante dal popolarismo latinoamericano da cui attinge a livello concettuale ed anche lessicale.
POPOLARE O POPULISTA?
La premura dedicata nel testo a distinguere "popolare" da "populista" denota la consapevolezza che il confine tra le due nozioni possa risultare labile, specialmente ai destinatari abituati ad un perimetro eurocentrico. Da qui la necessità di rafforzare la condanna di quella che individua come una degenerazione del "sentire di un popolo", bollata come "insano populismo". Francesco, inoltre, critica la tendenza a "classificare tutte le persone, i gruppi, le società e i governi" in base alla "divisione binaria" tra "populista o non populista”.
Anche nel rifiuto di questa polarizzazione, di cui una parte culturale si è servita in maniera ricorrente allo scopo di delegittimare chi la pensa diversamente, si manifesta la distanza di Bergoglio da tanti che, proprio alla luce di questa "divisione binaria", si sono riscoperti papisti accaniti pur avendo sempre manifestato disinteresse e disprezzo per il magistero della Chiesa. Le idee ed il sentire del pontefice argentino non sono sovrapponibili con gli atteggiamenti elitisti di un progressismo molto in voga da qualche anno a questa parte. E Francesco lo rimarca nell'Enciclica quando scrive che "a volte si hanno ideologie di sinistra o dottrine sociali unite ad abitudini individualistiche e procedimenti inefficaci che arrivano solo a pochi" mentre "nel frattempo, la moltitudine degli abbandonati resta in balia dell’eventuale buona volontà di alcuni".
L'esaltazione della categoria mitica del pueblo inteso come realtà viva riflette la sua formazione latinoamericana e novecentesca che gli rende estraneo lo snobismo di chi guarda con fastidio il mantenimento del suffragio universale. Un'alterità che si manifesta anche nel capitolo sulle "ombre di un mondo chiuso" ovvero quelle storture della società contemporanea che, a suo dire, ostacolerebbero lo "sviluppo della fraternità universale".
Francesco inserisce in questa categoria i propugnatori di una "cultura dei muri" che mette sullo stesso piano di chi vorrebbe una società in cui "certe parti dell’umanità" sono "sacrificabili a vantaggio di una selezione che favorisce un settore umano degno di vivere senza limiti". Alla luce dello shock provocato dalla pandemia, di fronte a chi s'interrogava se non fosse il caso di cominciare a dare un prezzo alla vita, Francesco riafferma il ripudio della "cultura dello scarto" dove "le persone non sono più sentite come un valore primario da rispettare e tutelare, specie se povere o disabili, se non servono ancora – come i nascituri –, o non servono più – come gli anziani".
Fratelli Tutti, nonostante il forte monito a non cedere alla "tentazione di fare una cultura dei muri", non è l'Enciclica della gauche caviar a cui risulterà incomprensibile l'invito a rifiutare "un modello di globalizzazione che mira consapevolmente a un’uniformità unidimensionale e cerca di eliminare tutte le differenze e le tradizioni in una superficiale ricerca di unità". Bergoglio, avendo come riferimento la "cultura del popolo" e insistendo su quell'opzione preferenziale per i poveri abbandonata da chi ha sposato la causa dell'austerità a tutti i costi, le preferisce i movimenti popolari espressione tipica della realtà sudamericana, lamentando la loro esclusione da "certe visioni economicistiche chiuse e monocromatiche".
ANTILIBERISMO ALLA SUDAMERICANA
L'occhio benevolo con cui il Papa guarda a queste realtà riflette, ancora una volta, la sua formazione culturale fortemente legata all'America Latina che, non a caso, lo porta nel testo ad esprimere riserve sui "liberalismi" in cui vede "limiti" dettati da "visioni (...) individualistiche". Riserve che potrebbero generare stupore nei lettori occidentali, ma che non sono rare nel mondo cattolico argentino abituato ad identificare il sistema liberale con l'ingombrante 'vicino' statunitense.
MIGRAZIONI TRA DUE I DIRITTI
In questa Enciclica, però, non c'è soltanto l'impronta della formazione culturale del Papa, ma anche il bagaglio della sua esperienza personale. Lo si nota nei capitoli dedicati al tema delle migrazioni. Nel cercare di capire perché la questione dei migranti abbia assunto sin da subito un interesse prioritario nell'agenda dell'attuale pontificato non bisogna dimenticare che lo stesso Bergoglio, come tanti suoi connazionali, ha alle spalle una storia familiare segnata in tal senso. Da qui la particolare sensibilità per il tema acuita dall'intensificarsi dei flussi negli ultimi decenni e che, come prevedibile, trova largo spazio anche nella Fratelli Tutti. Francesco esprime comprensione per chi, davanti ai numerosi sbarchi, nutre "dubbi" e "timori" considerandolo come "un aspetto dell'istinto naturale di autodifesa" ma attacca duramente la "mentalità xenofoba, di chiusura e di ripiegamento su se stessi" che, a suo dire, porterebbe a considerare i migranti "non abbastanza degni di partecipare alla vita sociale come qualsiasi altro".
Una condanna che si fa ancora più dura in casa: "E' inaccettabile - scrive il papa che i cristiani condividano questa mentalità e questi atteggiamenti, facendo a volte prevalere certe preferenze politiche piuttosto che profonde convinzioni della propria fede". E dall'Enciclica sembra arrivare un assist allo Ius soli quando si legge che "per quanti sono arrivati già da tempo e sono inseriti nel tessuto sociale, è importante applicare il concetto di cittadinanza". Tuttavia, il pontefice regnante, menzionandola, ci tiene a ricordare la validità della famosa citazione di Benedetto XVI sulla necessità di riaffermare il "diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra".
Una frase che spesso viene riproposta da quei cristiani con "certe preferenze politiche" precedentemente rimbrottati. Francesco, che sull'integrazione ha un pensiero piuttosto inequivocabile, sottolinea però i lati oscuri dei fenomeni migratori che molti, anche trincerandosi dietro alle sue parole, si ostinano a non vedere: le "aspettative irrealistiche", l'attività di "trafficanti senza scrupolo, spesso legati ai cartelli della droga e delle armi", lo "sradicamento culturale e religioso", la perdita nelle comunità d'origine degli "elementi più vigorosi e intraprendenti". L'Enciclica - che esalta l'assai poco politically correct concetto di "amore alla patria" - rimprovera anche un certo tipo di sostenitori dell'accoglienza tout court: "E' possibile - scrive Bergoglio - accogliere chi è diverso e riconoscere il suo apporto originale solo se sono saldamente attaccato al mio popolo e alla sua cultura".
UN ACCENNO AI PRINCIPI NON NEGOZIABILI
La parola 'politica' è protagonista di questa Enciclica con ben 66 menzioni ed un intero capitolo ad essa dedicato, il quinto. La Fratelli Tutti rivendica il primato della politica contro chi vuole "sostituirla con l'economia" o "dominarla con qualche ideologia". Citando Benedetto XVI, Francesco difende il diritto della Chiesa ad intervenire nel dibattito pubblico e ricorda che se "è vero che i ministri religiosi non devono fare politica partitica, propria dei laici, però nemmeno possono rinunciare alla dimensione politica dell’esistenza". Un boccone amaro da ingoiare per i tanti politici ed intellettuali che, specialmente durante il precedente pontificato, lamentavano in continuazione la presunta ingerenza della Chiesa nella sfera pubblica. E dal sapore ratzingeriano è anche quel doppio riferimento "ai principi etici basilari e non negoziabili" che rappresentano una garanzia anche per gli agnostici e alla necessità di "accettare alcuni valori permanenti" e "mai negoziabili "che "vanno al di là di ogni consenso".
D'altra parte questo documento, se in taluni passaggi come quello in cui si afferma che "il diritto alla proprietà privata si può considerare solo come un diritto naturale secondario" si richiama alla Laudato si', in molte parti si aggancia ad un'altra Enciclica sociale del passato, quella Caritas in veritate continuamente citata, specialmente per spiegare che la carità è "molto più che un sentimentalismo soggettivo" ed "ha bisogno della luce della verità (...) senza relativismi.
Concludendo l'Enciclica, Francesco dichiara di essersi ispirato al Poverello d'Assisi e al Beato Charles de Foucauld ma anche ad "altri fratelli che non sono cattolici". Inserendo tra questi anche il nome di Gandhi, personaggio entrato recentemente nel mirino della cancel culture e bollato dai BLM col marchio d'infamia di 'razzista', il Papa dà prova ancora una volta di come, pur nella sua tendenza a 'rompere gli schemi', non sia affatto incline ad accodarsi a quelle che giudica "mode ideologiche".
Nico Spuntoni
https://lanuovabq.it/it/piu-che-unenciclica-e-un-manifesto-politico-del-pontificato
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