ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 2 luglio 2013

Chi l'ha vista (o sentita nominare?)

Più collegialità, più unità, più carità. E la Verità?

"I capisaldi del Vaticano II", indiscusso e indiscutibile, sono diventati il nuovo credo del "popolo di Dio" che facciamo sempre più fatica ad identificare con "il corpo mistico di Cristo".
Massimo Introvigne, su La nuova Bussola quotidiana, lancia - senza peraltro argomentarle - perentorie affermazioni sulla ritenuta salvaguardia del primato petrino, di fronte alle perplessità suscitate da fatti e detti del nuovo papa. Un atto: istituzione del Consiglio della Corona e ripetute affermazioni riguardanti la "collegialità" - peraltro trasformata addirittura in "sinodalità" - nonché l'"unirsi nelle differenze", sia in occasione delconferimento del pallio il 29 giugno scorso che nei recenti incontri con il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli: "dialogo come scambio di doni" .
Ci troviamo di fronte all'ennesimo esempio di "allineamento" acritico sull'onda del sempre più  consolidato "conservatorismo conciliare". In chiusura, viene chiamata in causa anche la Tradizione; ma con il solito refrainapodittico, che dimostra quanto le ragioni esplicitate e documentate da pastori e studiosi, non solo non siano prese in considerazione, ma neppure confutate con un minimo di argomentazione, per essere sommariamente messe a tacere evocando la proclamata e mai dimostrata 'riforma in continuità'. Riporto alcuni punti-chiave con le relative chiose.
Comincio a chiedermi l'utilità di queste mie puntualizzazioni, che restano circoscritte in quest'alveo in fondo di nicchia, perché nessuna Agorà di quelle più gettonate dalla corrente ecclesiale egemone le ospiterebbe mai. E dunque si tratta di riflessioni che non entrano in un circuito comune. Almeno così è accaduto finora e nulla mi lascia pensare che sia cambiato qualcosa.

...Il Conclave ha chiesto al nuovo Pontefice d'immettere nella Chiesa più collegialità, più consultazione fra Curia romana e vescovi sparsi nel mondo. Francesco annuncia che si muoverà in questa direzione, ma purché non si metta in discussione il primato del Papa, senza il quale viene meno l'unità della Chiesa.
Il Papa ha proposto tre pensieri sul ministero petrino, secondo tre diversi significati del verbo «confermare»: confermare nella fede, confermare nell'amore, confermare nella carità.
Confermare nella fede. ... E anche il Papa, ha detto Francesco, corre «il pericolo di pensare in modo mondano». Anche questa non è una novità, la troviamo nel Vangelo. Sono passati pochi minuti dall'istituzione del pontificato e già Pietro si mette ad argomentare appunto «in modo mondano», a suggerire a Gesù che forse la crocifissione non è proprio necessaria, attirandosi la nota durissima risposta del Signore: «Va’ dietro a me, Satana! Tu mi sei di scandalo» (Mt 156,23). «Quando lasciamo prevalere i nostri pensieri, i nostri sentimenti, la logica del potere umano - commenta Francesco - e non ci lasciamo istruire e guidare dalla fede, da Dio, diventiamo pietra d’inciampo». Che questo valga anche per i Papi lo sappiamo da quel primo famosissimo dialogo fra Gesù e Pietro.
1. Quel "confermare nella fede", pur partendo da un esempio calzante tratto del Vangelo, riduce il tutto al rischio di "cadere nella logica del potere umano", che è solo uno dei rischi in cui può incorrere ogni cristiano e lo stesso pontefice nell'esercizio della sua funzione. Il papa sembra però dimenticare che il "confermare nella fede" richiede anche il riconoscere gli errori e rifiutarli. E si coglie una inquietante deriva nella ventilata "unità nelle diversità", quando sappiamo bene come molte delle diversità alle quali il papa si riferisce nascondo da errori secolari che hanno creato le fratture componibili solo attraverso il reditus degli eretici (non più tali ma semplicemente fratelli-separati) alla vera Chiesa e non nella ricerca comune di una verità al di fuori di essa. Questa dimenticanza già sembra creare un vulnus di non poco conto, perché tra l'altro tutte queste "diversità" sono unite nel rifiuto del primato petrino mentre riuscirebbero ad accettare un papa che fosse un primus inter pares, come sembrerebbe proporsi il Vescovo di Roma in virtù di una "collegialità" applicata nelle sue più estreme conseguenze, peraltro non conciliabili con la divina istituzione del primato di Pietro sugli altri Apostoli.
Può affermare di aver conservato la fede solo colui che può dire con Paolo ai Corinti : "Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l'ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano!" (1 Cor 15,1)
E ai Galati (1, 8-9): "Ma se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!"
Confermare nell'amore. San Paolo al termine della sua vita può scrivere: «Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede» (2 Tm 4,7). «Di quale battaglia si tratta?», si chiede Francesco. «Non quella delle armi umane, che purtroppo insanguina ancora il mondo; ma è la battaglia del martirio. San Paolo ha un’unica arma: il messaggio di Cristo e il dono di tutta la sua vita per Cristo e per gli altri. Ed è proprio l’esporsi in prima persona, il lasciarsi consumare per il Vangelo, il farsi tutto a tutti, senza risparmiarsi, che lo ha reso credibile e ha edificato la Chiesa». Se vuole essere credibile, anche il Papa, il Vescovo di Roma è chiamato a testimoniare il suo amore per la Chiesa in modo totale, senza temere le contraddizioni,  le persecuzioni e il martirio. E questo è anche il  compito di tutti i vescovi, simboleggiato dalla consegna del pallio.
2. "Confermare nell'amore" e farsi tutto a tutti: ottimo proposito. Ma può esserci vera carità senza verità? Può esserci vera carità, se non c'è la conferma anche nella verità, che può vedere come vera unità solo quella creata dal Signore in chi "rimane" in Lui e non ne rinnega gli insegnamenti custoditi dalla sua Chiesa e non può comprendere l'unità fittizia messa insieme dal volontarismo umano, "guardando a ciò che unisce" mentre ciò che divide continua a generare fratture tuttora non risolte? Si corre il rischio di cadere in una prassi ateoretica in cui l'agire precede il conoscere con conseguenze facilmente intuibili. Lo confermerebbero i suoi insegnamenti "in pillole", lanciati come frecce acuminate, che colpiscono il sentimento ma non nutrono la ragione e, mancando dei necessari approfondimenti, risultano monchi e quindi passibili di interpretazioni plurime. 
Confermare nell’unità. Lo stesso pallio è anche «simbolo di comunione con il Successore di Pietro». La Costituzione dogmatica «Lumen gentium» del Concilio Ecumenico Vaticano II, ha ricordato Francesco, definisce il Papa «principio e fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione». Lo stesso testo conciliare afferma che il Signore «costituì gli Apostoli a modo di collegio o gruppo stabile, a capo del quale mise Pietro, scelto di mezzo a loro». Com'è noto, questo fu un problema centrale e difficile per il Vaticano II: armonizzare il primato del Papa, senza il quale non c'è unità, con la collegialità tra i vescovi, che è necessaria al governo di una Chiesa sempre più estesa e complessa e senza la quale, ha detto Francesco, l'unità rischia di trasformarsi in una sterile «uniformità». Dopo il Concilio i Papi hanno cercato di promuovere «il Sinodo dei Vescovi, in armonia con il primato. Dobbiamo andare per questa strada della sinodalità, crescere in armonia con il servizio del primato».
Su questo punto abbiamo ampiamente dibattuto in un precedente articolo del quale richiamo il link.

La carrellata di Introvigne non manca di tirare in ballo anche la Tradizione:
.. la Fraternità Sacerdotale San Pio X, appunto l'organizzazione fondata da mons. Lefebvre, ha pubblicato una dichiarazione ufficiale in cui ribadisce che non è disponibile ad accettare, come chiedeva Benedetto XVI, i documenti del Vaticano II interpretandoli secondo una «ermeneutica di riforma nella continuità» con il Magistero precedente, ma intende rifiutare questi documenti - o almeno buona parte di essi - in quanto rimane convinta che «la causa degli errori che stanno demolendo la Chiesa non risiede in una cattiva interpretazione dei testi conciliari, ma nei testi stessi». La dichiarazione cita la libertà religiosa, l'ecumenismo, il dialogo interreligioso, la liturgia, ma rifiuta anche esplicitamente la Costituzione dogmatica «Lumen gentium», affermando che la nozione di collegialità «distrugge l'autorità della Chiesa». ...Tuttavia in tema di libertà religiosa, ecumenismo, relazioni con gli ebrei e ora anche collegialità Francesco continua a ribadire - sulla scia di Benedetto XVI - che gli insegnamenti del Vaticano II non sono facoltativi, denunciando implicitamente posizioni che peraltro esistono anche al di fuori del mondo «lefebvriano» . È giusto e anzi doveroso approfondire l'interpretazione dei documenti conciliari, denunciando le false ermeneutiche che li presentano come rottura con il Magistero precedente.  Ma interpretare non può significare rifiutare, né accettare solo quanto nei testi del Vaticano II si limita a ribadire il Magistero precedente. Benedetto XVI parlava non di semplice «continuità» ma di «riforma nella continuità», e Francesco sta ora ribadendo uno per uno i momenti riformatori, nello stesso tempo interpretandoli «in continuità» sulla scia di Papa Ratzinger: dell'ecumenismo ai rapporti con il mondo ebraico e alla collegialità. Chi rifiuta i capisaldi del Vaticano II non può affermare di essere in armonia e in comunione con il Pontefice.
4. Anche qui siamo a un deja vu di conio ormai stantio. Peccato che della cosiddetta "riforma nella continuità", che nessuno potrebbe rifiutare pregiudizialmente[1], ci sia solo la reiterata proclamazione, come del resto in questo articolo, in luogo della chiara individuazione - da più parti e più volte invocata - degli elementi che la costituiscono. Mentre, per contro, ci sono fondati motivi per individuare punti certi di 'rottura', già motivati e documentati ma liquidati con le affermazioni apodittiche che anche qui stiamo registrando. È questo il grande dramma, è questa la ragione della crisi -dai più neppure riconosciuta- che viviamo nella Chiesa del nostro tempo. "I capisaldi del Vaticano II", indiscusso e indiscutibile, sono diventati il nuovo credo del "popolo di Dio" che facciamo sempre più fatica ad identificare con "il corpo mistico di Cristo".
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1. Pur se l'uso del termine riforma abbinato a continuità appare quasi un ossimoro e, di per sé, è già poco rassicurante perché ben si discosta dal proclamato aggiornamento. 

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