L’EDITORIALE DEL VENERDI
di Arai Daniele
uomo con croceOggi, a sessant’anni della sciagurata realizzazione del Vaticano 2º, molti ancora credono che in quella sede la lotta contro la Tradizione sostenuta dalla Roma eterna fosse mossa solo dallo spirito protestantizzante rappresentato dai grandi prelati del Reno. Essi furono i portatori della ribellione alla Curia e dunque a quanto fosse derivato dal potere petrino e avevano imposto i loro grandi oracoli teologali tipo Rahner, Ratzinger et similia per dopo rovesciare il tavolo degli schemi preparati da due anni. Ma se hanno potuto farlo e rovesciare anche quanto prestabilito dalla legge della Chiesa a proposito, è perché avevano il consenso di Giovanni 23, dato che pure lui aveva prima, a sua volta, ribaltato silenziosamente i giudizi dei Papi, come Pio XI e Pio XII.
Tutto accade in un’azione concertata per il dominio della teologia modernista aperta all’utopia di un nuovo ordine ecumenista mondiale a scapito dell’Ordine Cristiano.
Vediamo brevemente le tappe del pianificato ribaltamento del Vaticano 2º in due piani:
- nel piano politico con lo sciagurato accordo di Metz per non condannare il comunismo che «intrinsecamente perverso non si può ammettere in nessun campo la collaborazione con esso da parte di chiunque voglia salvare la civilizzazione cristiana.» (Enc. Divini Redemptoris, Pio XI, 1937);
- nel piano dottrinale, ribaltando la condanna della «Nuova Teologia» (TL) della Enc. Humani generis di Pio XII (1950).
Giovanni 23 lo ha fatto invitando quei teologi allontanati da ogni insegnamento a causa di questa dottrina deviata come consiglieri del concilio, Sono essi Henry de Lubac, Jean Louis Daniélou, Chennu O.P., Hans Urs Von Balthasar, Yves Congar.
Ebbene, secondo De Mattei, storico del Vaticano 2º, Congar rivendica nel suo diario la paternità parziale o totale di molti suoi documenti: Lumen Gentium, De Revelatione, De ecumenismo, Dichiarazione sulle religioni non cristiane, Schema XIII [Gaudium et Spes], De Missionibus, De Libertate religiosa, de presbyteris”.
Si può infatti vedere la loro impronta in quei documenti e in altri correlati. La loro sarebbe un’opera divina per edificare quell’ammirabile mondo nuovo all’altezza della dignità dell’emancipato uomo moderno. Questo piano oscuro riassunto in parole più esplicite mirerebbe a un solo ordine globale per le due città descritte da Sant’Agostino, piano trapelato dopo un lungo percorso per esempio nel testo della «Gaudium et Spes»:
40c) Dialogo tra Chiesa e mondo - La compenetrazione di città terrena e città celeste non può certo essere percepita se non con la fede; resta anzi, il mistero della storia umana, che è turbata dal peccato fino alla piena manifestazione dello splendore dei figli di Dio. La Chiesa, certo, perseguendo il suo proprio fine di salvezza, non solo comunica all’uomo la vita divina, ma anche diffonde la sua luce con ripercussione, in qualche modo, su tutto il mondo, soprattutto per il fatto che risana ed eleva la dignità della persona umana, consolida la compagine della umana società, e immette nel lavoro quotidiano degli uomini un più profondo senso e significato. Cosi la Chiesa, con i singoli suoi membri e con tutta intera la sua comunità, crede di poter contribuire molto a rendere più umana la famiglia degli uomini e la sua storia. d) Inoltre essa volentieri tiene in gran conto il contributo che, per realizzare il medesimo compito han dato e danno cooperando insieme le altre Chiese o comunità ecclesiali. Al tempo stesso essa è persuasa che molto e in svariati modi può essere aiutata nella preparazione del Vangelo dal mondo, sia dai singoli uomini, sia dalla società umana con le loro doti e la loro operosità. Allo scopo di promuovere debitamente tale mutuo scambio e aiuto, nelle materie che in qualche modo sono comuni alla Chiesa e al mondo, vengono qui esposti alcuni princìpi generali.
«Realizzazione del medesimo compito»? L’idea implica contraddizione poiché, se la vera priorità di tale compito è la Fede, non può dipendere da utopiche combutte sociali. La priorità cristiana è nella lezione evangelica: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato per giunta’ (Mt 6, 33). E la Chiesa ha sempre insegnato che nella società il primo compito cristiano è il Culto di Dio nella professione della Fede, la cui conseguenza è tutto il resto: la fraternità umana nell’armonia terrena. Ma qui si punta a un compito che non ha attinenza con la Fede, data la cooperazione con altre chiese e comunità, o anche col mondo agnostico. Dunque il fine prioritario di questo nuovo ordine, per così dire, città, consisterebbe di valori e felicità mondane. Ma, poiché solo città che accettano ‘idee religiose affini’ possono compenetrarsi con tali principi ecumenistici, tale compenetrazione di città terrena e città celeste, evocante le due città di Sant’Agostino, è un fellone ribaltamento della Chiesa per aprirla al mondo.
A questo punto già sappiamo che nel campo teologico l’influenza non veniva solo dalla scuola di Karl Rahner o anche nebulosamente da Teilhard de Chardin, ma dai gruppi di modernisti come Roncalli legati a questi della «nuova teologia» condannata, detto «Ressourcement».
Questo gruppo all’inizio, per incidere, si era alleato ai rahneriani dei cardinali del Reno. Tra loro figurava Joseph Ratzinger, che con Rahner ha collaborato a scrivere lo schema della «Dei Verbum», lavoro decisivo nelle nuove vie conciliari. Ma dopo breve tempo Ratzinger si accorse delle differenze col «maestro», che era di un altro pianeta! Tanto è che lasciò l’importante rivista «Concilium» su cui collaborava con Rahner e Edward Schillebeeckx per inaugurare l’altra, «Communio» insieme a quelli della NT.
È bene allora andare più a fondo sull’origine e sostanza di questa «Nuova Teologia», condannata dalla «Humani generis» di Pio XII nel 1950, e ora dominante. Basta pensare che i teologi chiamati da Giovanni 23 per preparare il Vaticano 2º divennero guide dottrinali pure per i suoi prodotti, quale la «Redemptor hominis» di Giovanni Paolo 2º, il quale finì per premiarli, facendo cardinali de Lubac, Congar e Von Balthasar. Gli autori di opere condannate da Pio XII erano così, poche decadi dopo, promossi e onorati dai «papi conciliari». Cos’era successo! Erano mutati loro o il Papato? E i cattolici che tutti e tutto accettavano, avevano perso la memoria o annuito al cambiamento della religione?
Il fulcro della gnosi del grande cambiamento: la nuova dignità umana!
Seguiamo adesso quel che dice sull’origine gnostica della «nuova teologia» di de Lubac Padre Ennio Innocenti, autore di «La Gnosi Spuria» (Città Ideale, Prato, 2013, p. 92 ss). «7.1. H. De Lubac : Il Rinascimento di Pico della Mirandola come «alba incompiuta»:
«Pico aveva riscosso simpatie in Francia e lì il discorso “fiorentino” avrebbe poi avuto varie occasioni di essere ripreso e sviluppato. Garin proprio in Francia ottenne attentissima udienza alle sue competenti riflessioni su Pico. Non meraviglia, pertanto, che in ambiente ecclesiastico abbia interloquito il dotto gesuita H. De Lubac con un libro che è stato tradotto in italiano – da Jaca Book, Milano 1977 – col titolo L’alba incompiuta del Rinascimento. Ci riferiamo ora a questo volume. La foto di copertina, enigmatica, attira l’attenzione: riproduce un particolare del famoso dipinto di Piero della Francesca etichettato «Madonna e Santi e Federico da Montefeltro» (1472-1474): precisamente, il pendolo (un uovo? l’uovo cosmico?) che dalla punta della nicchia rovesciata incombe sulla «piena di grazia», «Venere» dei tempi redenti. Il geometrismo di Piero della Francesca trova in questo particolare, se non ci sbagliamo, un’espressione di tensione metafisica, quasi a significare un «centro» assoluto, un luogo divino. Qui, però, sotto il pendolo, è non la Vergine Madre «umile ed alta più che creatura», bensì il nome di Pico della Mirandola (l’alba incompiuta). De Lubac (appassionante, assicura il presentatore Bouyer, ma anche appassionato) vi parla di Pico, dei suoi ideali e dell’importanza di alcuni suoi scritti.»
Il Conte della Mirandola, è descritto come quel brillante giovane studioso di tutto, dalla Cabala alla magia, che traspare nei sue tesi inviati a Roma.
«Sul finire del Quattrocento la Chiesa di Roma era molto tollerante (eccetto che per le stregonerie), ma la presentazione pichiana dei predetti argomenti apparve a varie persone influenti poco accettabile, tanto che su Innocenzo VIII si fecero tali pressioni da indurlo a ordinare la sospensione della disputa e a nominare una commissione per l’esame delle tesi proposte. Tre di queste risultarono ai commissari pontifici come eretiche, altre tre parvero ritenere il sapore dell’eresia; altre sette furono considerate variamente censurabili. In base a tale rapporto il Papa proibì la disputa… Invece, ben presto, le tesi furono pubblicate all’estero. I curiali si domandarono cosa significasse una tale iniziativa. Pico fornì loro la risposta fuggendo; lo si accusò, pertanto, di malafede e venne spiccato contro di lui l’ordine di arresto. Ma Lorenzo il Magnifico interpose la sua protezione e il fascinoso giovane poté rifugiarsi a Firenze.»
Pico morì prematuramente a Firenze, il 17 novembre 1494 (lo stesso giorno in cui Carlo VIII entrava, hasta femine fulta, nella Città del Fiore; particolare, anche questo, annotato diligentemente dallo stesso De Lubac).
«Interpretazioni moderne di Pico - A parte la disavventura capitatagli con Innocenza VIII, Pico è stato oggetto, anche in tempi a noi vicini, di interpretazioni che confermano la pericolosa ambiguità del pensiero da lui entusiasticamente espresso all’alba del rinascimento paganeggiante che avrebbe portato l’Europa su strade molto divergenti dalla tradizione cristiana. Ammette il presentatore Bouyer: «Pico, per molti studiosi recenti (sic) del sedicesimo secolo, è divenuto, con il suo De dignitate hominis, il simbolo anticipato di una umanità che rende se stessa il centro del mondo e pretende di esserne l’unica padrona, già soppiantando, almeno implicitamente, il Dio Creatore. Più esattamente ancora, egli avrebbe preceduto taluni dei nostri esistenzialisti, per cui l’essenza dell’uomo consiste nel non averne una fissa, ma nel poter divenire tutto ciò che ambirà essere. Così, fin dall’alba del Rinascimento sarebbe stato tracciato il programma di Feuerbach: riconquistare e attribuirsi tutti gli immaginari poteri che l’uomo da sempre ha proiettato sulla figura divina, per farli realmente suoi e insediarsi al posto di quel Dio detronizzato» (o.c.p.VII). L’interpretazione di Pico sarebbe, dunque, illuminante per l’intero dramma dell’umanesimo ateo. De Lubac afferma che quello di Pico è «il messaggio più profondo di tutto il Rinascimento» (ivi, p.SS), ma è un fatto che dal secolo scorso questo messaggio è visto come un’anticipazione del modernismo e uno svuotamento dei dogmi cristiani. Secondo uno studioso di Wroclaw, «Pico sarebbe al punto di partenza di una linea che, attraverso Bruno, porta a Bacone e a Cartesio, cioè alla ricerca di una metodologia destinata a fare degli uomini i maestri e i padroni della natura, gli sfruttatori e i conquistatori del cosmo, i creatori di un mondo umano ricco di opere meravigliose» (ivi, p. 259).
«A questa va aggiunta un’interpretazione sovietica, secondo la quale Pico avrebbe insegnato questo: «Dio non ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, così come affermano i teologi ortodossi del cattolicesimo, bensì ha dato all’uomo stesso la capacità di creare la propria immagine» (p.192); che è quanto dire:l’uomo è autocreatore. Saremmo così in pieno naturalismo. Tutti sciocchi costoro? De Lubac propone la sua interpretazione “cristiana” prescindendo dal vaglio dell’entusiasmo cabalistico di Pico, quasi dando per scontato che si possa dare una versione cristiana della cabala. Eppure San Paolo ammoniva i cristiani Allá «colluctatio» contro le potenze superiori e la cabala è la superba scienza delle potenze superiori. Il giovane signore della Mirandola apparirebbe così come un geniale precursore dei filosofi che hanno trovato la loro forma estrema nell’esistenzialismo sartriano (ivi, p.65). Vittorio Rossi e Giovanni Gentile (ivi) ritenevano che l’uomo pichiano fosse creatore. Garin lo ritiene padre si se stesso, un puro Dasein divino perché si fa Dio (p.66). Questi interpreti sarebbero degli sciocchi, come i censori romani? De Lubac ammette: “Pico fa sfilare, senza far distinzione di sfumature, tutta la scuola neoplatonica: Plotino, Porfirio, Giamblico e Proclo, Ermia e Damascio, Olimpiodoro. Ma il suo orizzonte è più vasto di quello di molti umanisti del suo tempo e di tutti i tempi. Non si limita alla nostra antichità classica. La sapienza non è venuta ai greci dai barbari, come noi stessi l’abbiamo ricevuta dai greci? Si compiace, dunque, di citare Zoroastro e Salmosside, Ermete Trismegisto, Avenzoar il  Babilonese, gli Oracoli Caldei… Concede uno spazio abbondante – e questo è più originale – agli antichi misteri ebraici, ai dogmi dei cabalisti come a quelli dei mori, che ha testè scoperti. L’Islam, questo vicino feroce e potente della Cristianità, è sempre presente nei suoi pensieri; così si preoccupa di diffonderne abbondantemente la voce: non solo quella dei suoi filosofi, Avicenna, Averroè, Avempace, Alfarabi, ma quella dei persiani e del saraceno Abdallah, e ancora quella di Alkindi, senza dimenticare la grande voce dello stesso Maometto. Infine non è meno felice di poter evocare i canti di Orfeo, il mito di Osiride, l’oracolo di Delfi, e Bacco e le Muse … ” (p. 88).
Si deve considerare che, se gli uomini hanno la «dignità» di un giudizio divinamente libero, allora ogni fede e pensiero è buono! Più eclettici e ecumenisti di così si muore.
Qui è bene fare un passo indietro nella storia con un altro autore che tratta della gnosi. Vediamolo nel libro La Gnose contre la Foi di Etienne Couvert (Editions de Chiré, 1989). Dal Cap. GNOSE ET HUMANISME, p. 52-53.): «Nel 1482 gli ebrei furono espulsi dalla Sicilia e cercarono rifugio in Firenze. È stato così che Pico della Mirandola (1463-1494) si formò sotto la direzione di Elia del Medigo e Jonachan Alemann… conosce la Cabala studiando le scritture misteriose portate da Oriente… approfondisce la scienza dei numeri, con l’intenzione di trovare in essa l’incarnazione del Verbo, la divinità del Messia, la Gerusalemme celeste… vi è anche un ritorno al platonismo ad opera dei giudaizzanti. »
Ecco l’alba dell’utopia incompiuta del Pico/de Lubac pensiero come base dei documenti del Vaticano 2º
La nuova strana teologia del soprannaturale come diritto poiché intrinseco all’uomo, a ogni uomo – lo avrebbe rivelato l’Incarnazione del Verbo -, appare nella «Gaudium et Spes», dove si riconosce l’impronta di Congar e di Karol Wojtyla. Intatti quest’autore, divenuto Giovanni Paolo 2º, subito l’ha tradotta nel suo «Redemptor hominis».
Dunque, quelli che dicono – giustamente – che il Vaticano 2º è la rivoluzione iniettata nella Chiesa, il suo ’89, il suo ottobre 1917, dovrebbero aggiungere che non fu solo il «compimento» della rivoluzione illuministica – di cui si vantava spesso Ratzinger -, ma specialmente di quella umanistica imbevuta di gnosticismo preter-teosofico.
In sintesi, il Vaticano 2º rappresenta la più tenebrosa convergenza d’ogni insidia contro la Fede, così come il modernismo è la fogna d’ogni eresia. In essi si trovano le matrici successive dell’utopia di un nuovo ordine umanista, illuminista ed ecumenista mondiale, a scapito dell’Ordine Cristiano, e tutto per ribaltare la Chiesa e aprire a quella dell’Anticristo.