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venerdì 13 luglio 2018

La sola libertà del cristiano

LA LIBERTA' PER UN CRISTIANO


Monsignore, lei sa cos’è la libertà per un cristiano? "Auguro a tutti di vivere un grande amore come quello che sto vivendo io per mio marito" don Giuliano Costalunga. Belle parole, vero? Già; solo che a pronunciarle è un prete 
di Francesco Lamendola  

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Auguro a tutti di vivere un grande amore come quello che sto vivendo io per mio marito. Belle parole, vero? Già; solo che a pronunciarle è un prete, che non risulta ancora né aver chiesto la riduzione allo stato laicale, né averla subita d’ufficio. Inoltre, non c’è nessun errore di grammatica o di sintassi: sì, la frase è proprio: come quello che sto vivendo io per mio marito, e non: per mia moglie. Perché questo prete, o ex prete, o come lo si voglia considerare, non solo si è sposato, prima che la sua posizione rispetto alla Chiesa fosse chiarita, ma si è sposato con un uomo. Civilmente, anche se avrebbe voluto farlo in chiesa. All’estero: per la precisione, nell’isola di Gran Canaria, che politicamente fa parte della Spagna, come il resto dell’arcipelago. Il suo nome è don Giuliano Costalunga ed è stato parroco di un piccolo paese dei Monti Lessini, diocesi di Verona: Selva di Progno. Anche lì, fin dal suo arrivo, aveva provocato fortissime divisioni col suo modo di fare, allontanando una parte dei parrocchiani, ma trovando l’apprezzamento di altri. Ora non sappiamo cosa pensino e cosa provino, avendo appreso dalla stampa della fuga d’amore del loro ex parroco e della sua decisione di sposarsi, con un uomo, mentre ufficialmente risulta ancora sacerdote del clero diocesano.


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Il Vescovo di Verona Zenti abbraccia don Giuliano Costalunga, novello sposo con un uomo

Intanto, ben lungi dal tenere un basso profilo e da cercare di appartarsi, don Giuliano rilascia interviste ai giornali con molta disinvoltura, come questa, pubblicata su una ben nota rivista di teologia e spiritualità Vanity Fair News, il 6 luglio 2018, di cui riportiamo alcuni passaggi salienti:
NON È PIÙ PRETE?
«Per via del decreto di sospensione, non posso più celebrare pubblicamente, ma non accetto che mi si dica che non posso più essere prete nel mio privato. Il sacramento dell’Ordine rimane per sempre, proprio come il Battesimo o la Cresima. Io continuo a celebrare la messa con Paolo, nel silenzio della mia casa: la mia condizione di prete è permanente, il sacramento è indelebile, anche se cambia la modalità di servizio. Non pretendo di celebrare nelle piazze, ma non permetto che qualcuno mi dica che non posso farlo nel mio intimo».
COME È OGGI IL SUO RAPPORTO CON DIO?
«Ne sono ancora profondamente innamorato, e questo amore lo condivido con mio marito: noi preghiamo insieme, ci definiamo profondamente credenti. Andiamo anche a messa nella parrocchia in Gran Canaria. Nella chiesa ci sono preti che si fanno moralizzatori e accusatori e altri che accolgono con rispetto e permettono la partecipazione alla vita della comunità: noi ne abbiamo trovato uno cordiale e aperto, e facciamo la Comunione: l’incontro con l’eucaristia non va riservato ai puri, ma a chi ne ha bisogno. Io sento il bisogno estremo di ricevere l’eucaristia con mio marito, per noi è la completezza dell’amore umano».
VI È PESATO NON POTERVI SPOSARE IN CHIESA?
«Sì, ma sapevamo che era impossibile. Ma noi siamo andati in Spagna con la consapevolezza di volere un matrimonio, e non solo un’unione civile. Abbiamo la cerimonia con il segno della croce, è stata letta la parola Dio, sono stati fatti canti religiosi. Anche se non abbiamo avuto l’avvallo dell’autorità religiosa, c’è stata la presenza di Dio, c’era anche lui». (…)
CHE COSA DOVREBBE FARE LA CHIESA?
«Credo che la chiesa debba fare una seria riconsiderazione del celibato: non si può imporre a uomini e donne che entrano nella vita religiosa di spegnere la loro sessualità: Dio ci ha creati sessuati, è parte del suo progetto. Anche perché il rischio è quello di creare situazioni di frustrazione che possono trasformarsi in devianze pesanti, come la pedofilia, o in episodi come le orge in canonica. Sarebbe bello che la chiesa permettesse ai religiosi di vivere una sessualità ordinata all’interno della chiesa perché non è qualcosa di contrario all’amore per Dio».
E L’OMOSESSUALITÀ?
«Il mio sogno è che la chiesa inizi a prendere in considerazione seriamente la bellezza dell’amore nella sua completezza: Gesù non ha mai parlato di amore etero o omosessuale. Purtroppo c’è un’idea stereotipata dei gay che frequentano persone diverse, che praticano sesso promiscuo. Io invece auguro a tutti di vivere un amore leale, esclusivo, onesto e pulito come quello che condivido con mio marito».
Non è mai simpatico puntare il dito contro qualcuno, e non lo facciamo perché ci sentiamo in diritto di giudicare l’uomo don Giuliano, ma il sacerdote, sì; e, soprattutto, i suoi comportamenti, dei quali fanno parte le cose che dice alla stampa con tanta disinvoltura. Perché, sospeso o non sospeso, è sempre un prete che parla, e che parla in pubblico, rivolgendosi a tutti: quindi le sue parole acquistano un peso, un risonanza mediatica, mirano a ottenere un effetto nella sfera pubblica, e se lui ha il diritto di agire così, allora anche gli altri hanno il diritto di giudicare i suoi discorsi e di criticare le sue affermazioni. In particolare ci sembra significativo il passaggio in cui dice: l’incontro con l’eucaristia non va riservato ai puri, ma a chi ne ha bisogno. Io sento il bisogno estremo di ricevere l’eucaristia con mio marito, che acquista un sapore grottesco se si considera chi parla e in quali circostanza sta parlando, ma che, prima ancora di esser grottesco, è blasfemo, perché denota una radicale perversione, evidentemente del tutto intenzionale, riguardo al concetto e alla prassi del Sacrificio eucaristico. L’incontro con l’Eucaristia (che noi ci permettiamo di scrivere con la maiuscola) non va riservato ai puri, ma a chi ne ha bisogno: ma stiamo scherzando? Ma in quale seminario ha studiato costui? Quale vescovo lo ha ordinato sacerdote? L’Eucarestia è per i peccatori? Ma quando mai? L’Eucarestia è per i peccatori dopo che essi si sono pentiti e si sono riconciliati con Dio mediante un altro Sacramento, quello della Confessione. La Chiesa ha sempre insegnato che il peccatore non pentito e non riconciliato, che tuttavia si accosta al Sacrificio eucaristico, commette un gravissimo sacrilegio e mette in bocca non il Corpo di Cristo, ma la propria condanna e la propria dannazione. E sono queste le cose che quel prete diceva ai fedeli, durante le omelie della santa Messa? Sono queste le cose che diceva ai bambini del catechismo? È la solita, pacchiana falsificazione del Vangelo da parte del neoclero bergogliano: chi sono io per giudicare? E non è forse verso che Gesù si accompagnava ai peccatori?Certo che si accompagnava ai peccatori, ma per convertirli e ricondurli a Dio, mediante il pentimento. Su quale vangelo si sono formati i neopreti della neochiesa, e, peggio di loro, i neovescovi? Hanno mai letto e meditato seriamente la parabola del figlio prodigo? Non vi si parla solo della misericordia di quel padre; si parla anche del sincero, profondo, addolorato pentimento di quel figlio. Le prime parole che egli esclama, quando giunge al cospetto di suo padre, sono: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te. Non son più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come l’ultimo dei tuoi servi! Queste sono le parole di quel figlio, pentito e ravveduto, e desideroso di essere perdonato da suo padre; il quale prontamente lo abbraccia e lo perdona. Perdona e abbraccia il figlio che si è pentito, che si è ravveduto, che si dichiara indegno di essere chiamato ancora figlio.

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 Cristina la "suora canterina"

E invece cosa fa don Giuliano, e cosa fa il suo vescovo, monsignor Giuseppe Zenti, nel corso di un incontro di rappacificazione e di chiarimento? Il vescovo lo abbraccia, e gli dice di seguire liberamente la sua strada. E il “figlio” non solo non si mostra affatto pentito, ma rilascia interviste come quella che abbiamo riportato. Dalla quale, a voler sorvolare sul fatto che il peccato contro natura è sempre stato considerato dalla Chiesa come uno dei più gravi (uno dei quattro che gridano vedetta davanti a Dio, per la precisione), e che personaggi come santa Caterina da Siena hanno detto: Il maledetto peccato contro natura fa schifo anche ai demoni, non emerge affatto, non diciamo il minimo rimorso, ma neppure la più vaga consapevolezza di aver infranto nella maniera più clamorosa, e anche più traumatica per le pecorelle del gregge che gli era stato affidato, la solenne promessa fatta a Dio. Ciò che è emerge è solo una rivendicazione di diritti: io ho diritto di far così, di seguire il mio amore, di essere felice; quel che ho promesso, quel che ho giurato davanti a Dio e agli uomini, passa in secondo piano; nessuno mi può giudicare, io non sono un prete indegno, io ha ancora il doto di considerarmi prete, perfino di dire la santa Messa… Io, io, io: quel che emerge è la propria autoaffermazione, la petizione di principio sui propri diritti. Che tristezza.
Nel corso dell’incontro avvenuto nella chiesa di Selva di Progno, il vescovo ha ribadito la dottrina cattolica sul matrimonio, tuttavia – un colpo al cerchio e uno alla botte – ha anche detto, ai fedeli (forse ) sbalorditi, sicuramente sconcertati:
Ora, don Giuliano è unto a Paolo con il quale sognava di vivere di un amore autentico. Non ho nessun dirotto di giudicare don Giuliano poiché solo Dio che scruta i cuori conosce il travaglio della sua vita. (…) Ricorda don Giuliano, io ti sarò sempre vicino, fa la tua strada liberamente, adesso questa vicenda possibilmente si chiuda con buon senso di vicinanza cristiana.
Non c’è stato alcun invito al pentimento, alcuna esortazione a non peccare; ricordiamo che Gesù, quando gli venne condotta la donna adultera, nel rimandarla a casa le aveva detto: Vai, e d’ora in avanti non peccare più. Ma quella frase, a don Giuliano, il vescovo Zenti non l’ha detta. Eppure, avrebbe dovuto dirla, o una frase dal significato equivalente. Non per mortificare il suo ex parroco, che peraltro tanto mortificato non pareva, vista anche la mise a base di capelli lunghi, piercing e tatuaggi, e la spavalderia delle sue recentissime dichiarazioni alla stampa, nelle quali aveva invitato tutti quanti a peccare come lui e a tradire le sacre promesse come ha fatto lui (questo significa la frase, apparentemente dolce e gentile, Auguro a tutti di vivere un grande amore come quello che sto vivendo io per mio marito: un invito a peccare che si direbbe ispirato direttamente dal diavolo). Non per mortificarlo, monsignor Zenti avrebbe dovuto parlar chiaro e ribadire che il peccato è peccato e che solo il sincero pentimento, accompagnato dal serio e coerente proposito di cambiar vita, lo può riscattare; ma per evitare che ai fedeli, già anche troppo turbati e confusi da questa tristissima vicenda, arrivasse un messaggio totalmente sbagliato: cioè che Dio c’invita a scegliere liberamente la nostra strada, ed è contento se noi lo facciamo, qualunque essa sia, fosse pure la strada del peccato, dello scandalo pubblico e del tradimento dei sacri voti. Fai la tua strada liberamente, gli ha detto: ma lo sa, il vescovo Zenti, in che cosa consiste la libertà del cristiano?Diciamo, ancora una volta, con le parole di santa Caterina da Siena: la sola libertà del cristiano consiste nel fare la volontà di Dio. E dunque, che cosa possono aver capito, i parrocchiani di Selva di Progno, dalle parole del loro vescovo? Evidentemente, che Dio vuole da noi che calpestiamo la Sua legge, che ce ne infischiamo delle nostre promesse fatte a Lui e al prossimo, e che corriamo dietro ai nostri desideri. In altre parole, parlando così si prende Dio a testimone delle nostre bestemmie; peggio: si mettono nella bocca di Dio le parole del diavolo. Si trasforma Dio in un suggeritore e in un mallevadore del peccato. Eppure la Bibbia, per bocca del profeta Isaia, è  chiarissima su questo punto: Guai a coloro che chiamano bene il male, e male il bene!
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Monsignore, lei sa cos’è la libertà per un cristiano?
                                
di Francesco Lamendola

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