Quanto belli erano in piazza, tutti di rosso vestiti, preferibilmente griffati (sono radical, sì, ma pur sempre chicchini), a fare girotondo tenendosi per mano.
Giro, girotondo, casca il mondo ma loro non se ne accorgono, salutano dal Titanic su cui si sono felicemente imbarcati e si risciacquano la coscienza con i flash mob da Villaggio Valtour. Che – come commentava una ragazzina – “neanche nel peggio grest”.
E si trovano tutti giù per terra, ma non se ne rendono conto. Hanno perduto tutto: voti, consensi, faccia, e persino il senso del ridicolo, che resta sempre l’ultimo baluardo. Ma non mollano. Le poltrone non saranno più frau, ma valgono comunque una sceneggiata, costi pure dei fischi a scena aperta.
I signori in rosso sono di estrazione variegata, tenuti insieme dalla schiuma vischiosa della rabbia contro il nuovo nemico oggettivo. Che è una colla potente e serve per cementare i cascami di ideologie diverse, ma parimenti autodistruttive.
Il nemico oggettivo, questo babau “condiviso” (per usare il loro gergo cattocomunistoide), oggi è il “populismo”, epiteto (ab)usato da lorsignori in tono sprezzante e denigratorio: dovrebbe significare, dal loro punto di vista, l’inabilità a governare di chi, mosso da mera demagogia, intercetti un consenso di pancia senza possedere la “competenza” dei professionisti del sistema. I generati dal sistema, nutriti dal sistema, lanciati dal sistema, applauditi dal sistema.
Visto da davanti, tuttavia, lo stesso identico termine “populismo” suona politicamente lusinghiero al sommo grado, perché riporta al senso vero, originario (e perduto) della democrazia, e titilla la voglia di riscatto identitario di un popolo reso servo delle oligarchie sovranazionali (facendogli credere peraltro che il giogo fosse inevitabile, e fosse per il suo bene). Populista diventa allora sinonimo di anti-sistema (dove il sistema è la tirannide travestita da democrazia) e significa il rifiuto delle strutture di un potere fattosi élite.
L’elitismo antipopulista
Ma perché la marmellata rossa, di laici clericali e di chierici laicisti, ha così tanto in odio il cosiddetto populismo? Perché lo teme. E lo teme perché la matrice degli antipopulisti – che sono immigrazionisti, globalisti, egualitaristi, progressisti, evoluzionisti, abortisti, omosessualisti, genderisti (tutte “qualità” intimamente collegate l’una all’altra e alimentate in blocco dai potentati finanziari) – è quella tipicamente elitaria che implica, dietro il buonismo ecumenico e la solidarietà universale, un effettivo disprezzo per il popolo. Anzi, per il genere umano, che essi vogliono “umanitariamente” ridurre, da bravi nipotini di Malthus. I plutocrati dediti alla filantropia, da coniugi Gates in giù, sono tutti dei malthusiani sfegatati, votati al decremento demografico, prodighi elargitori di programmi di sterilizzazione di massa e di omicidi seriali di innocenti.
Sono impregnati, gli antipopulisti, di una disposizione paternalistica e filantropica che presuppone un radicato complesso di superiorità verso tutti gli altri, i quali, non all’altezza, necessiterebbero di essere educati, guidati, eterodiretti e, all’occorrenza, resi destinatari di una carità pelosa e sempre, immancabilmente, interessata. Da bravi nipotini di Darwin.
Fatto sta che, inalberando la bandiera dei buoni sentimenti e spendendo una presunta, apodittica superiorità morale – con la chiesa ex cattolica a fare da garante stabile, su mandato non più di Cristo ma di Soros e dei suoi sodali – sono riusciti a irretire le masse e a cristallizzare un potere basato su un’autoinvestitura continuativa. Credevano nella propria inamovibilità.
Ma poi l’imprevisto è successo, il trillo di una campanella ha svegliato tanti che parevano assopiti e forse lo erano per rassegnazione. Il gioco è stato in parte scoperto. Si capisce allora come le élite e i loro scagnozzi più o meno consapevoli abbiano dovuto correre ai ripari moltiplicando le esibizioni a scopo promozionale, ieri arcobaleno, oggi tinta unita, domani chissà.
La religione umanitaria anticristiana
Il credo di Soros e della Bonino, rilanciato pari pari dal ripetitore di Santa Marta, è la nuova religione unica della società aperta (Open Society) multi etnica, multi culturale e multi religiosa: idolatra dei falsi diritti di minoranze artefatte, urlanti e iperfinanziate, spietata negatrice dei diritti veri delle maggioranze silenziose. Guardacaso i signori in rosso sono gli stessi che, sfilata la camicetta, teorizzano e praticano l’uccisione seriale degli innocenti: aborto ed eutanasia i loro cavalli di battaglia.
Che poi è l’agenda ONU, con i suoi obiettivi del millennio. Che, poi, è il decalogo del Nuovo Ordine Mondiale dell’internazionale massonica e paramassonica la cui rete è stesa in modo capillare ed è tanto radicata quanto agguerrita, ora pure incattivita perché tirata fuori d’improvviso dall’ombra confortevole nella quale era abituata a macchinare.
In questa rete globale, la saldatura tra organismi “umanitari” e neochiesa è ormai compiuta. Così come è compiuta la contraffazione della sempiterna legge naturale e divina, fatta ormai combaciare con la categoria secolare dei diritti umani, cioè del super-diritto positivo che è emanazione del potere sovrano.
Ma tutto questo armamentario, ideologico più che ideale, condito di mondialismo, pacifismo, fratellanza e filantropia universale, a ben vedere, è pari pari la filosofia coltivata da circa un secolo con costanza e impegno nelle conventicole a vocazione umanitaria, Rotary e Lions in testa. Il lavoro sistematico dei club – la cui forza di attrazione è la presunta “esclusività” capace di regalare agli adepti la lusinga di un certo tono di promozione sociale – è servito per preparare in sordina il terreno favorevole ad accogliere il verbo ora professato dai signorini in maglietta rossa. La minestra è sempre la stessa.
E può essere interessante ripassarne al volo la ricetta, giusto per capire che quanto ci propinano non l’hanno inventato loro, è un vecchio menu fisso. Ciò che è cambiato nel tempo è piuttosto la lista dei commensali. Ma anche questo era in programma.
Il vivaio rotariano
Nato in America nei primi anni del Novecento come movimento sovrannazionale, sovraculturale, sovrarazziale – come dice don Curzio Nitoglia in una documentata analisi – il Rotary si è votato a riunificare tutte le nazioni in un Nuovo Ordine Mondiale mediante un sentimento di amicizia filantropica. Dall’America si è poi irradiato in ogni parte del mondo; in Italia è approdato nel 1923, quando è stato inaugurato il primo club a Milano.
È evidente la contiguità tra la dottrina e la prassi del club con la dottrina e la prassi della massoneria: la differenza consiste nella assenza, nel primo, dei connotati di segretezza e di esoterismo e dei rituali iniziatici che contraddistinguono la seconda. In sostanza, afferma don Nitoglia, “il Rotary appare come una massoneria pubblica e come l’anticamera di quella esoterica e segreta, ove i massoni possono facilmente pescare le persone, che vi sono entrate per ingenuità, per farne dei ‘fratelli a tre puntini’”.
A causa dei suoi motivi ispiratori (demo-plutocrazia, mondialismo, pacifismo), il Rotary fu soppresso in Italia sotto il fascismo così come nella Spagna di Francisco Franco, dove venne riammesso solo nel 1983.
Anche la Chiesa Cattolica espresse ben presto un fermo giudizio di condanna verso il Rotary, la cui “morale – parole dell’Osservatore Romano del 1928 – non è che un travestimento di quella massonica”. Su La Civiltà Cattolica – organo dei gesuiti – esso veniva definito apertis verbis come “un’emanazione massonica, una nuova specie di massoneria che opera in pieno giorno”. Sarà un decreto del Sant’Uffizio del 1929 a proibire ai chierici l’iscrizione alla associazione – divieto che in Spagna fu esteso anche ai laici battezzati – in quanto basata su una morale autonoma e laicista, una filosofia soggettivista e relativista e una concezione di fratellanza filantropica non compatibile con la virtù teologale della carità: perché la vera sorgente della beneficienza per i cattolici è l’amore di Dio e ha ad oggetto i benefici spirituali e l’edificazione dell’anima, non l’amore dell’uomo per l’uomo.
Questo giudizio della chiesa mutò, non per nulla, quando essa intraprese la deriva antropocentrica che la portò a sostituire il culto dell’uomo a quello di Dio, cioè a realizzare una vera e propria deificazione dell’uomo.
Giovanni XXIII prima, Paolo VI poi, cominciarono a legittimare il Rotary allacciando rapporti con le sue delegazioni.
L’apertura della chiesa conciliare all’orizzonte mondialista e sincretista si è fatta, ai giorni nostri, piena unità di vedute e di intenti.
Il matrimonio (riparatore) tra Rotary e chiesa
Tant’è che nel 1999 Bergoglio viene addirittura nominato membro onorario del Rotary Club di Buenos Aires, la città ad altissimo tasso di massoneria di cui il gesuita era arcivescovo. Nel 2005 il Rotary lo premia “uomo dell’anno” con il Laurel de Plata, cioè l’Alloro d’argento.
Durante il giubileo 2016 – scrive il sito del Rotary – “migliaia di Rotariani, motivati da un invito speciale di Papa Francesco, si sono recati a Roma alla fine di aprile per celebrare un messaggio di compassione, inclusione e servizio all’umanità”. “Dopo l’udienza giubilare, Papa Francesco ha incontrato una piccola delegazione del Rotary guidata dal Presidente K.R. Ravindran”. Ravindran, che è Indù, ha raccontato di essere molto onorato per l’incontro col papa, che lo ha fatto sentire “più che mai orgoglio per il passato del Rotary, fede per il suo presente e ottimismo per il suo futuro”.
Non molto tempo prima, il Rotary aveva organizzato un evento pro-invasione con Radio Vaticana in cui rappresentanti del World Food Programme, Jesuit Refugee Service e UNHCR (UN Refugee Agency) discutevano dei modi per aiutare i rifugiati a ricominciare la loro vita in nuovi Paesi.
Sempre il Rotary, d’altra parte, è in prima linea nella diffusione scolastica, con relativi finanziamenti, del nuovo dogma omosessualista e genderista: confeziona progetti sull’inclusione, la lotta alle discriminazioni sessuali e sociali, l’abbattimento degli stereotipi di genere, il contrasto alla violenza sulle donne, e tutto quanto serve a propagandare l’indifferentismo sessuale e morale in vista della liquefazione identitaria delle nuove generazioni.
Fatto sta che l’agenda dell’internazionale massonica possiede ora l’imprimatur vaticano.
E anche quello episcopale. Nell’autunno 2010 il Rotary Club di Assisi ha consegnato al direttore del quotidiano della CEI Avvenire, Marco Tarquinio, il premio «Ideale Rotariano 2010». Motivo: «per aver saputo interpretare l’ideale di servizio che il Rotary pone alla base della propria presenza nella società».
Eppure, nel tempo in cui la Chiesa adorava Dio e non l’uomo, era molto esplicita l’Enciclopedia Cattolica (1948-1954) che, per la penna di monsignor Giovanni Battista Buzzetti, spiegava: “La mentalità ch’esso [il Rotary] proclama può facilmente diventare indipendenza dall’insegnamento della Chiesa, anche nel campo della fede e dei costumi e favorire l’infiltrazione di elementi massonici ed anticlericali”
Del resto, persino l’Espresso, in un’inchiesta alla massoneria del 2017, scrive: “il tema della cinghia di trasmissione fra massoneria ufficiale, non ufficiale e associazioni paramassoniche non è da trascurare. Nel tempio, come sostiene Venzi [Gran Maestro, noto peraltro per aver teorizzato la piena compatibilità tra chiesa e massoneria], ‘un fratello non mi deve sbagliare una deambulazione’. Vietatissimo parlare d’affari. In una cena al Rotary è diverso. Non si portano guanti e grembiule. L’ambiente è più informale. E il Venerabile o gli Ispettori Magistrali non sorvegliano”.
A margine, come nota di colore, segnaliamo come alle cene rotariane ci si possa imbattere non soltanto in prelati e in personaggi del demi-monde massonico. Il Gran Maestro Fabio Venzi, sempre lui – si trattava di fare chiarezza su come a Trapani e in Calabria la malavita organizzata incroci spesso la Loggia – sentito dalla Commissione parlamentare antimafia dichiarò: «Bisogna verificare gli ambienti di Rotary, Lions e Kiwanis, dove massoni regolari e irregolari si incontrano. La ’ndrangheta sceglie le obbedienze spurie piuttosto che sopportare le nostre riunioni a carattere filosofico-culturale».
Delassus aveva capito tutto
Siamo partiti dalle magliette rosse e siamo arrivati alle degenerazioni criminal-massoniche delle accolite a sfondo “umanitario”. Ma a tenere insieme tutte queste cose un filo c’è. È rosso anche lui.
L’opera imponente e magistrale in cui monsignor Henri Delassus traccia la storia dei movimenti sovversivi – leggi: massoneria – che hanno mosso guerra alla civiltà cristiana, a partire dagli albori del processo rivoluzionario (cfr. H. Delassus, Il problema dell’ora presente. Antagonismo tra due civiltà. Effedieffe, 2015, vol. I) offre la chiave storica, teologica, concettuale, per comprendere a fondo le molteplici strategie di penetrazione del proteiforme tarlo massonico contro la religione rivelata, il diritto naturale e l’ordine sociale.
La religione che il Delassus definisce “americana”, perché ha avuto in America le sue origini e il suo sviluppo e americani furono gli adepti che l’hanno introdotta in Europa è – dice – una “religione umanitaria per il fine che si propone, che è di sostituire l’uomo a Dio”.
Compito dei framassoni infatti è “quello di introdurre nel cattolicesimo e in ciò che resta di stabile nelle altre religioni, elementi di dissoluzione, che le condurranno tutte a confondersi in una vaga religiosità umanitaria. I dogmi formano, per così dire, l’ossatura delle religioni, ed è altresì per essi che si distinguono fra di loro e sono separate le une dalle altre. Il grande sforzo degli apostoli della religione umanitaria deve dunque esser quello di farli sparire”. Ecco che “da lungo tempo si lavora ad abbassare le barriere dogmatiche e ad unificare le confessioni in modo da favorire le vie all’umanitarismo”.
Numerose società e molto attive si sono formate a questo scopo, tutte imbevute di due idee fondamentali: “1° che una religione assolutamente universale deve stabilirsi sulle rovine di tutte le religioni, e cioè mediante l’abbassamento delle barriere e l’abolizione dei dogmi; 2° che questa religione universale dev’essere una religione sociale, una religione umanitaria, una religione di progresso umano, che giunge sino a procurare all’uomo il paradiso sulla terra”.
Del resto, gli ordini della massoneria erano chiari. Bisognava “rovesciare tutte le frontiere […], abolire tutte le nazionalità, cominciando dalle piccole, per farne un solo Stato; cancellare ogni idea di patria; rendere comune a tutti la terra intera che appartiene a tutti; tutto preparare per una vasta democrazia […]”.
Gli “imbecilli”
Secondo le istruzioni, la confusione delle menti e l’abbandono dei principi devono passare per le parole. La medesima parola, tributata dal lessico naturale e cattolico, quindi famigliare, viene caricata di un significato altro, e così viene usata per creare una atmosfera morale viziata, che avvolge tutti e che tutti respirano.
In particolare, ciò vale per la diade “libertà e uguaglianza” in senso massonico, definita “la coppia incantatrice e misteriosa”, dove il mistero è contenuto proprio nella loro abbinata, perché, compenetrandosi, l’una porta nell’altra “un concetto che modifica il senso primo e naturale di ognuna di esse”. “La framassoneria – spiega Dellassus – non ha punto cessato di mistificare il pubblico con queste parole, ch’essa e i suoi prendono in un senso, e gli uomini onesti in un altro”.
Considerata da sola, infatti, la parola libertà “è il dono più prezioso che Dio ha fatto alla natura umana, che la pone in un regno così superiore a quello degli animali: il dono di fare degli atti che non siano necessari, che, per conseguenza, portano seco la responsabilità e il merito, e permettono perciò a ciascuno di noi di innalzarsi indefinitamente”.
La parola uguaglianza, da sola, “applicata al genere umano, indica che nella diversità delle condizioni la comunanza di origine e di fine ultimo dà a tutte le personalità che lo compongono una stessa dignità”.
La massoneria “voleva che il senso da essa stessa posto nella unione di queste due parole fosse inteso dai suoi adepti e tenuto nascosto al volgo”. Ed “era lì il suo mistero”.
L’uguaglianza che la massoneria si prefiggeva di stabilire nel mondo era infatti una cosa molto diversa da quella di cui sopra, che ha a che fare con la nostra comune origine e i nostri comuni destini. Era invece “l’uguaglianza sociale, quella che deve abolire ogni gerarchia e per conseguenza ogni autorità”. Essa è indissolubilmente legata alla libertà, sempre in senso massonico. “L’uguaglianza voluta – continua infatti l’Autore – non si troverebbe che nella libertà, vale a dire nell’indipendenza di tutti rispetto a tutti, dopo avere spezzato tutti i vincoli che uniscono reciprocamente gli uomini. Dunque non più padroni né magistrati, non più preti né sovrani, e perciò non subordinati per qualsiasi titolo: tutti uguali nel livello massonico, tutti liberi della libertà degli animali, che possono seguire i loro istinti”.
Ora, è proprio in base alla comprensione (o non comprensione) di queste cosiddette “parole sacre”, che si distinguerebbero, in seno a coloro che bazzicano le varie associazioni, i diversi “strati” sociali con i rispettivi gradi di ascesa nella scala gerarchica di logge e retro-logge. Le categorie sarebbero sostanzialmente tre, spiega Delassus: “gli spiriti penetranti, gli spiriti inquieti e gl’imbecilli”. La differenza tra i tre tipi umani viene chiarita così: “I primi non tardano molto a conoscere il senso vero: i secondi non devono esser condotti a quest’alta conoscenza che a gradi e per mezzo di emblemi che loro si propongono a decifrare. Dai terzi non si esige altro che tengano dietro ad occhi chiusi e senza riserva, pur tenendoli vincolati con la paura, se mai violassero il sacro giuramento”.
Di questi ultimi (gli imbecilli), ancora, viene detto: “Essi non sapevano della massoneria se non quanto si poteva far loro sapere senza pericolo, e non avevano motivo di inquietarsi, pensando che non appartenevano se non ai gradi inferiori, nei quali la sostanza delle dottrine non appariva che confusamente attraverso l’allegoria, e dove molti altro non vedevano che un’occasione di divertirsi e banchettare allegramente”. In poche parole, a loro basta(va) mangiare, bere e spassarsela in compagnia.
Ma l’Alta Vendita – vertice del carbonarismo – sollecitava il coinvolgimento anche di costoro. Recitavano infatti le Istruzioni: “Non ne mancano in Italia ed altrove che aspirino agli onori, molto modesti, del grembiule e della cazzuola simbolica. Ve ne sono altri diseredati o proscritti. Accarezzate tutti questi ambiziosi di popolarità; arruolateli nella framassoneria: l’Alta Vendita vedrà poi quello che se ne potrà fare per la causa del progresso […]. Intanto essi serviranno di vischio per gl’imbecilli, gl’intriganti, i borghesi e gli spiantati. Essi faranno gli affari nostri credendo di fare i propri. Serviranno d’insegna alla bottega […]. È sulle logge che noi facciamo assegnamento per raddoppiare le nostre file; esse sono, senza che lo sappiano, il nostro noviziato preparatorio. Esse discorrono sempre dei pericoli del fanatismo, della felicità dell’uguaglianza sociale e dei grandi princìpi della libertà religiosa. Esse hanno, tra due banchetti, delle scomuniche fulminanti contro l’intolleranza e la persecuzione […]. Vi è qui tutto il necessario per formare degli adepti. Un uomo imbevuto di queste belle cose non è lontano dalle nostre idee; altro non occorre che irregimentarlo […] Nelle circostanze presenti non bisogna ancora levarsi la maschera. Contentatevi di girare attorno all’ovile cattolico; ma, da buoni lupi, afferrate al passaggio il primo agnello che vi si offrirà nelle condizioni volute”.
Ecco perfettamente descritte, a cavallo tra Ottocento e Novecento, le varie figure archetipiche che a tutt’oggi si stagliano immutate sulla scena sociale, con caratteristiche spesso autenticamente caricaturali.
Ecco spiegati anche gli “imbecilli” con la maglietta rossa. E non solo loro.
di Roberto Dal Bosco e Elisabetta Frezza
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