ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 12 aprile 2019

L’agonia è lunga, durerà ancora decenni

«La crisi dell'Europa? È conseguenza del rifiuto di Dio»


La situazione dell'Europa, la crisi della Chiesa e del sacerdozio, il rilancio della missione, la tendenza a una Chiesa solo orizzontale, la riforma che nasce solo dalla santità. Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo l'intervista concessa dal cardinale Robert Sarah al mensile cattolico francese Le Nef (clicca qui per l'originale in francese), in occasione dell'uscita del suo libro Le soir approche et déjà le jour baisse. La versione italiana uscirà in settembre a cura dell'editore Cantagalli.


                                     Il cardinale Sarah

Per gentile concessione dell'editore, pubblichiamo l'intervista concessa dal cardinale Robert Sarah al mensile cattolico francese Le Nef (clicca qui per l'originale in francese), in occasione dell'uscita del suo libro Le soir approche et déjà le jour baisse.

Il cardinale Robert Sarah pubblica la terza parte delle sue conversazioni con Nicolas Diat: Le soir approche et déjà le jour baisse. Un'analisi impeccabile, e tuttavia piena di speranza, del nostro crollo spirituale e morale. Un gran bel libro. Intervista esclusiva


La Nef – Lei descrive nella prima parte del suo libro "il crollo spirituale e religioso": da cosa si manifesta questo crollo? Riguarda solo l'Occidente? Altre parti del mondo, come l'Africa, sono risparmiate da questa crisi?
Cardinale Robert Sarah - Questa crisi spirituale riguarda il mondo intero, ma ha la sua origine in Europa. Il rifiuto di Dio si è sviluppato nelle coscienze occidentali.
Il crollo spirituale ha quindi caratteristiche propriamente occidentali. Vorrei sottolineare in particolare il rifiuto della paternità. Hanno convinto i nostri contemporanei che per essere liberi, non occorresse dipendere da nessuno. Questo è un tragico errore. Gli occidentali sono convinti che ricevere sia contrario alla dignità della persona. Eppure l'uomo civilizzato è fondamentalmente un erede, riceve una storia, una cultura, un nome, una famiglia. Questo è ciò che lo distingue dal barbaro. Rifiutarsi di entrare in una rete di dipendenza, eredità e filiazione ci condanna a entrare nudi nella giungla della concorrenza di un'economia abbandonata a se stessa. Poiché si rifiuta di accettarsi come erede, l'uomo si autocondanna all'inferno della globalizzazione liberale in cui gli interessi individuali si scontrano con la sola legge del profitto a tutti i costi.
In questo libro voglio, invece, ricordare agli occidentali che la vera ragione di questo rifiuto di ereditare, di questo rifiuto della paternità è fondamentalmente il rifiuto di Dio. Vedo nei cuori degli occidentali un profondo rifiuto della paternità creatrice di Dio. È da lui che riceviamo la nostra natura di uomo e donna, cosa inconcepibile per le mentalità moderne. L'ideologia gender è un rifiuto luciferino di ricevere da Dio una natura sessuale. L'Occidente si rifiuta di ricevere, accetta solo ciò che costruisce da sé. Il transumanesimo è l'ultimo avatar di questo movimento. Anche la natura umana, in quanto dono di Dio, diventa insopportabile all’uomo occidentale.
Questa rivolta è nella sua essenza spirituale. È la rivolta di Satana contro il dono della grazia. Fondamentalmente, credo che l'uomo dell'Occidente si rifiuti di essere salvato per pura misericordia. Rifiuta di ricevere la salvezza e vuole costruirsela da sé. I "valori occidentali" promossi dall'ONU si basano su un rifiuto di Dio che io paragono a quello del giovane ricco del Vangelo. Dio ha guardato l'Occidente e l'ha amato perché ha fatto grandi cose. Lo ha invitato ad andare oltre, ma l'Occidente si è ribellato, ha preferito quella ricchezza accumulata unicamente per suo stesso merito.
L'Africa e l'Asia non sono ancora completamente ammorbate dall'ideologia gender, dal transumanesimo o dall'odio per la paternità. Ma lo spirito neocolonialista delle potenze occidentali le incalza ad adottare queste ideologie di morte.

“Cristo non ha mai promesso ai suoi fedeli che sarebbero stati in maggioranza”, scrive Lei (p. 34), e continua: “Nonostante i più grandi sforzi missionari, la Chiesa non ha mai dominato il mondo. Perché la missione della Chiesa è una missione d'amore, e l'amore non domina” (p. 35); e prima lei scrive che «è stata quella  “piccola minoranza” che ha salvato la fede»: se mi permette questa provocazione, voglio chiederLe, dov'è il problema allora, dato che questa “piccola minoranza” esiste e in un mondo ostile alla fede, riesce a mantenerla?
I cristiani devono essere missionari, non possono tenere tutto per loro il tesoro della fede. La missione, l'evangelizzazione rimane un'emergenza spirituale.
Come possiamo dormire sonni tranquilli se così tante anime ignorano l'unica verità che libera: Gesù Cristo? Il relativismo dilagante giunge a considerare il pluralismo religioso un bene in sé. No! La pienezza della verità rivelata ricevuta dalla Chiesa cattolica deve essere trasmessa, proclamata, predicata.
Tuttavia, l'obiettivo dell'evangelizzazione non è dominare il mondo, ma servire Dio. Non dimentichiamo che la vittoria di Cristo sul mondo ... è la Croce! Non dobbiamo ambire a impadronirci del potere secolare. L'evangelizzazione è fatta dalla Croce.
I martiri sono i primi missionari. Eppure agli occhi degli uomini, le loro vite sono un fallimento. L'obiettivo dell'evangelizzazione non è “essere numerosi” secondo la logica dei social network che vogliono "far notizia". Il nostro obiettivo non è quello di spopolare nei media, bensì che ogni anima, tutte le anime, siano salvate da Cristo. L'evangelizzazione non è una questione di successo, è una realtà profondamente interiore e soprannaturale.

Torno a ciò che ha detto nella domanda precedente: intendeva forse dire che la cristianità in Europa, che è stata in grado di imporre il cristianesimo all'intera società, è stata una parentesi nella storia e non può quindi essere un modello? Nel senso che il cristianesimo “ha dominato” e si è imposto tramite una certa coercizione sociale?
Una società irrigata dalla fede, dal Vangelo e dalla legge naturale è auspicabile. Spetta ai fedeli laici costruirla. Fa parte della loro stessa vocazione. Essi servono il bene di tutti, costruendo una città conforme alla natura umana e aperta alla Rivelazione. Ma lo scopo profondo della Chiesa non è quello di costruire un particolare modello sociale. Alla Chiesa è stato dato il mandato di proclamare la salvezza, una realtà soprannaturale. Una società retta dispone le anime a ricevere il dono di Dio, ma non può procurare loro la salvezza. Può esserci, al contrario, una società giusta e conforme alla legge naturale senza il dono della grazia nelle anime?
Urge annunciare il cuore della nostra fede: solo Gesù ci salva dal peccato. Tuttavia, bisogna sottolineare che l'evangelizzazione è completa solo quando raggiunge le strutture della società. Una società ispirata dal Vangelo protegge i più deboli dalle conseguenze del peccato. Al contrario, una società staccata da Dio diventa rapidamente una struttura di peccato. Incoraggia il male. Questo è il motivo per cui si può dire che non ci può essere una società giusta senza un posto per Dio nell’ambito pubblico. Uno stato che proclama l'ateismo è uno stato ingiusto. Uno stato che limita Dio alla sfera privata è uno stato lontano dalla vera fonte del diritto e della giustizia. Uno stato che afferma di basare la legge esclusivamente sulla sua benevolenza, che non cerca di basare la legge su un ordine oggettivo ricevuto dal Creatore, rischia di sprofondare nel totalitarismo.

Nel corso della storia europea, siamo gradualmente passati da una società in cui il gruppo ha prevalso sulla persona (olismo medievale) - un tipo di società tuttora esistente in Africa e che continua a caratterizzare l'islam - a una società in cui la persona si è emancipata dal gruppo (individualismo); possiamo anche dire, schematicamente, che siamo passati da una società dominata dalla ricerca della verità a una società dominata dalla ricerca della libertà; la stessa Chiesa ha approfondito la propria dottrina a fronte di questa evoluzione proclamando il diritto alla libertà religiosa (Vaticano II): come analizza Lei la posizione della Chiesa di fronte a questa evoluzione? Possiamo trovare il giusto equilibrio tra i due poli "verità" e "libertà", nella misura in cui forse siamo passati da un estremo all'altro? D’altro canto l’una tira l’altra.
È inappropriato parlare di "equilibrio" tra questi due poli: verità e libertà. In effetti, questo modo di parlare presuppone che queste realtà siano esterne e opposte l'una all'altra. La libertà è essenzialmente una tensione verso il bene e la verità. La verità esige di essere conosciuta e abbracciata liberamente. Una libertà che non sia in se stessa orientata e guidata dalla verità non ha significato. L'errore non ha alcun diritto. Il Vaticano II ha ricordato che la verità è imposta solo dalla forza della verità stessa e non dalla coercizione. Ha anche ribadito che il rispetto per le persone e la loro libertà non dovrebbe in alcun modo renderci indifferenti alla verità e al bene.
La Rivelazione è l'irruzione della verità divina nelle nostre vite. Non ci costringe. Dio nel dare se stesso, nel rivelare se stesso, rispetta la libertà che Lui stesso ha creato. Credo che l'opposizione tra verità e libertà sia il risultato di una concezione distorta della dignità umana.
L'uomo moderno ipostatizza la sua libertà, la rende assoluta fino al punto di credere che essa sia minacciata quando riceve la verità. Tuttavia ricevere la verità è l'atto di libertà più bello che all’uomo sia permesso compiere. Penso che la sua domanda sveli quanto la crisi della coscienza occidentale sia fondamentalmente una crisi di fede. L'uomo occidentale ha paura di perdere la sua libertà ricevendo il dono della vera fede. Preferisce chiudersi in una libertà svuotata di contenuto. L'atto della fede è l'incontro tra libertà e verità. Ecco perché ho insistito nel primo capitolo del mio libro sulla crisi della fede.
La nostra libertà è fatta per sbocciare dicendo sì alla verità che si rivela. Se la libertà dice no a Dio, essa rinnega se stessa.

Lei evoca intensamente la crisi del sacerdozio e giustifica il celibato sacerdotale: quale motivo vede soprattutto nei casi di abusi sessuali su minori da parte di sacerdoti, e cosa si è portato a casa dal summit che si è appena svolto a Roma su questo tema?
Sono convinto che la crisi del sacerdozio sia un elemento centrale della crisi della Chiesa. I sacerdoti sono stati derubati della loro identità. È stato fatto credere loro che debbano essere uomini efficaci. Ma un prete è fondamentalmente un continuatore tra noi della presenza di Cristo. Non dovrebbe essere definito da ciò che fa ma da ciò che è: ipse Christus, Cristo stesso.
La scoperta di numerosi abusi sessuali su minori rivela una profonda crisi spirituale. Certo, ci sono dei fattori sociali - la crisi degli anni '60, l'erotizzazione della società - che si riflettono nella Chiesa. Ma bisogna avere il coraggio di andare oltre. Le radici di questa crisi sono spirituali. Un prete che non prega, che non vive concretamente come un altro Cristo, è tagliato fuori dal suo essere, dalla sua origine. Finisce per morire. Ho dedicato questo libro ai sacerdoti di tutto il mondo perché so che stanno soffrendo. Molti si sentono abbandonati.
Noi vescovi abbiamo una pesante responsabilità nella crisi del sacerdozio. Siamo stati dei padri per loro? Li abbiamo ascoltati, compresi, guidati? Abbiamo dato loro l’esempio? Le diocesi sono spesso trasformate in strutture amministrative. Le riunioni si moltiplicano. Il vescovo dovrebbe essere il modello del sacerdozio. Ma siamo lontani dall'essere i primi a pregare in silenzio e cantare l'Ufficio nelle nostre cattedrali. Temo che ci stiamo smarrendo in responsabilità profane e secondarie.
Il posto di un prete è sulla Croce. Quando celebra la messa, è all’origine di tutta la sua vita, cioè la Croce. Il celibato è uno dei modi concreti che ci consente di vivere questo mistero della Croce nelle nostre vite. Il celibato incide la Croce nella nostra carne. Ecco perché il celibato è inconcepibile per il mondo moderno. Il celibato è uno scandalo per i moderni, perché la Croce è uno scandalo.
In questo libro, ho voluto incoraggiare i sacerdoti. Ho voluto dire loro: amate il vostro sacerdozio! Siate orgogliosi di essere crocifissi con Cristo! Non abbiate paura dell'odio del mondo! Ho voluto trasmettere il mio affetto di padre e fratello ai sacerdoti di tutto il mondo.

In un’opera che ha fatto grande scalpore, Sodoma, l'autore spiega che i prelati omosessuali sono molto numerosi in Vaticano, dando così ragione a mons. Viganò quando denunciava l'influenza di una potente lobby gay all'interno della Curia: cosa ne pensa? Esiste un problema di omosessualità nella Chiesa e, in tal caso, perché è così un tabù?
La Chiesa vive oggi con Cristo gli oltraggi della Passione. I peccati di alcuni le ritornano indietro come sputi in faccia. Alcuni cercano di strumentalizzare questi peccati per fare pressione sui vescovi. Si vorrebbe che adottassero i giudizi e la lingua del mondo. Alcuni vescovi davanti a ciò hanno ceduto. Li si vede rivendicare l'abbandono del celibato sacerdotale o fare dichiarazioni dubbie sugli atti omosessuali. Come esserne sorpresi? Gli stessi Apostoli fuggirono dall'orto degli ulivi. Abbandonarono Cristo nel momento più difficile.
Penso che dobbiamo essere realistici e pratici. Sì, ci sono dei peccatori. Sì, ci sono sacerdoti, vescovi e persino cardinali infedeli che vengono meno alla castità ma anche, e questo è altrettanto grave, alla verità della dottrina!
Il peccato non deve sorprenderci. D'altra parte, bisogna avere il coraggio di chiamarlo col suo nome. Dobbiamo avere il coraggio di trovare le vie della guerra spirituale: preghiera, penitenza e digiuno. Dobbiamo avere la lucidità di punire le infedeltà. Dobbiamo trovare i mezzi concreti per prevenirle. Credo che senza una vita di preghiera comune, senza un minimo di vita fraterna e comune tra i sacerdoti, la fedeltà sia un'illusione. Dobbiamo ritornare al modello degli Atti degli Apostoli.
Per quanto riguarda i comportamenti omosessuali, non cadiamo nella trappola dei manipolatori. Nella Chiesa non c’è un "problema di omosessualità", bensì di peccati e infedeltà. Non lasciamo che il vocabolario dell'ideologia LGBT si imponga. L'omosessualità non definisce l'identità delle persone, descrive atti devianti e peccaminosi. Per questi atti, come per gli altri peccati, i rimedi sono noti. Si tratta di ritornare a Cristo, di lasciare che Lui ci converta. Quando la colpa è pubblica, si deve applicare la legge penale della Chiesa. Punire è un atto di misericordia. La pena ripara il bene comune ferito e permette al colpevole di riscattarsi. La punizione fa parte del ruolo paterno dei vescovi. Infine, dobbiamo avere il coraggio di applicare chiaramente le norme relative all'ammissione dei seminaristi. Non si possono accettare come candidati al sacerdozio delle persone con una psicologia radicata stabilmente e profondamente nell'omosessualità.

Un capitolo è dedicato alla "crisi della Chiesa": a quando la fa risalire esattamente Lei e come la analizza? Più in particolare, come colloca, la "crisi della fede" in relazione a quella della "teologia morale" (cf. pagina 173)? L’una precede l'altra?
La crisi della Chiesa è soprattutto una crisi di fede. Si vuol fare della Chiesa una società umana e orizzontale. Si vuol farle parlare un linguaggio mediatico. Si vuole renderla popolare. Una Chiesa del genere non interessa a nessuno. La Chiesa ha interesse solo perché ci permette di incontrare Gesù. È legittima solo perché ci trasmette la Rivelazione. Quando la Chiesa si sovraccarica di strutture umane, ostacola lo splendore di Dio in lei e attraverso di essa. Siamo tentati di credere che la nostra azione, le nostre idee salveranno la Chiesa. Sarebbe meglio iniziare a lasciarsi salvare da essa.
Credo che siamo a un punto di svolta nella storia della Chiesa. Sì, essa ha bisogno di una profonda e radicale riforma che deve partire dal riformare lo stile di vita dei sacerdoti. Ma tutti questi mezzi sono al servizio della sua santità. La Chiesa è santa in se stessa. Noi impediamo alla sua santità di risplendere attraverso i nostri peccati e le nostre preoccupazioni mondane. È tempo di abbattere tutte queste sovrastrutture perché si sveli finalmente la Chiesa così come Dio l'ha plasmata. A volte si crede che la storia della Chiesa sia segnata da riforme strutturali. Sono sicuro che sono i santi a cambiare la storia. Le strutture vengono dopo e si limitano a perpetuare l'azione dei santi.
Abbiamo bisogno di santi che abbiano il coraggio di portare uno sguardo di fede su tutto, che abbiano il coraggio di illuminarsi alla luce di Dio. La crisi della teologia morale è la conseguenza di una cecità volontaria. Ci siamo rifiutati di guardare alla vita nella luce della fede.
Nella parte conclusiva del mio libro, parlo di questo veleno di cui siamo tutti vittime: ateismo liquido. Si infiltra in tutto, persino nei nostri discorsi ecclesiastici. Consiste nell'accettare, parallelamente alla fede, degli stili di pensiero e di vita radicalmente pagani e mondani. E siamo soddisfatti di questa coesistenza contro natura! Questo dimostra che la nostra fede è diventata liquida e inconsistente! La prima riforma da fare è nel nostro cuore. Consiste nel non scendere più a patti con la menzogna. La fede è allo stesso tempo il tesoro che vogliamo difendere e la forza che ci consente di difenderla.

La seconda e la terza parte del suo libro riguardano le nostre società occidentali in crisi: l'argomento è così vasto e lei affronta così tante questioni cruciali: dal dilagare della "cultura della morte" ai problemi del consumismo legati al liberalismo globale, attraversando questioni di identità, trasmissione, islamismo, ecc. Affrontarli tutti è impossibile; tra questi problemi da Lei sviluppati, quali ritiene che siano veramente i più importanti e quali sono le cause principali di questo declino occidentale?
Vorrei prima di tutto spiegare perché io, figlio dell'Africa, mi permetto di rivolgermi all'Occidente. La Chiesa è il guardiano della civiltà. Eppure sono convinto che la civiltà occidentale stia vivendo una crisi mortale. Ha raggiunto i limiti dell'odio autodistruttivo. Come al tempo della caduta di Roma, le élite si preoccupano solo di aumentare il lusso della loro vita quotidiana e le persone sono anestetizzate da spettacoli sempre più volgari. In qualità di vescovo, è mio dovere avvertire l'Occidente! I barbari sono ormai dentro la città. I barbari sono tutti quelli che odiano la natura umana, tutti quelli che oltraggiano il significato del sacro, tutti coloro che disprezzano la vita.
L'Occidente è accecato dalla sua sete di ricchezza. La brama del denaro che il liberalismo diffonde nei cuori narcotizza i popoli. Nel frattempo, continua la tragedia silenziosa dell'aborto e dell'eutanasia. Nel frattempo, la pornografia e l'ideologia gender distruggono bambini e adolescenti. Siamo abituati alla barbarie, non ci sorprende più! Ho voluto lanciare un grido di allarme che è anche un grido d'amore. L'ho fatto con il cuore pieno di riconoscenza filiale per i missionari occidentali che sono morti sul mio suolo africano. Voglio continuare la loro opera, raccogliere la loro eredità!
Come non sottolineare anche il pericolo di nome islamismo? I musulmani disprezzano l'Occidente ateo. Si rifugiano nell'islamismo rifiutando una società dei consumi che viene loro spacciata per religione. L'Occidente sarà in grado di offrire loro chiaramente la fede? Per far questo, però, esso deve prima ritrovare le sue radici e la sua identità cristiana. Si martellano i paesi del Terzo Mondo, con la credenza secondo cui l'Occidente è il paradiso in Terra perché è governato dal liberalismo dilagante. Ciò favorisce flussi migratori deleteri per l'identità dei popoli. Un Occidente che rinnega la sua fede, la sua storia, le sue radici è condannato al disprezzo e alla morte.
Tuttavia, voglio sottolineare che i mezzi per il rinnovamento ci sono. Vedo famiglie, monasteri, parrocchie che sono come tante oasi in mezzo al deserto. È da queste oasi di fede, liturgia, bellezza e silenzio che l'Occidente rinascerà.

Conclude questo bellissimo libro con una parte intitolata "Ritrovare la speranza: la pratica delle virtù cristiane": cosa vuole dire e come questa pratica può essere una cura per la crisi multiforme di cui abbiamo parlato in questa intervista ?
Non c'è bisogno di un programma. Dobbiamo solo vivere la nostra fede completamente e radicalmente. Le virtù cristiane sono lo sbocciare della fede in tutte le facoltà umane. Tracciano il percorso di una vita felice secondo Dio. Dobbiamo creare luoghi in cui esse possano fiorire. Invito i cristiani a far crescere oasi di gratuità nel deserto della redditività trionfale. Dobbiamo creare dei luoghi in cui l'aria sia respirabile, dove, semplicemente, la vita cristiana sia possibile. Le nostre comunità devono mettere Dio al centro. Nella valanga delle menzogne, dobbiamo essere in grado di trovare luoghi in cui la verità non sia solo spiegata ma sperimentata. Si tratta semplicemente di vivere il Vangelo. Non pensarlo come un'utopia, ma farne concretamente esperienza. La fede è come un fuoco. Uno ne deve essere lui stesso ardente per poterlo trasmettere. Vegliate su questo sacro fuoco! Possa essere il vostro calore nel cuore dell'inverno dell’Occidente. Quando un fuoco rischiara la notte, gli uomini, a poco a poco, vi si radunano attorno. Questa è la nostra speranza. "Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi? "


Christophe Geffroy


I^ - MULTICULTURALISMO


Parte I^ - Multiculturalismo: la nuova Religione politica. Il totalitarismo progressista e l'attacco epocale contro la civiltà ereditata: si diffonde un furioso "multiculturalismo" deciso a polverizzare quel che resta dell’Europa 
di Roberto Pecchioli  


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Ovunque nel nostro pezzetto di mondo si moltiplicano fatti che attestano l’esistenza e la portata di un attacco epocale contro la civiltà ereditata; si diffonde un furioso multiculturalismo deciso a polverizzare quel che resta dell’Europa di sempre. E’ in auge una vera e propria religione politica tesa a obliterare ogni traccia del passato per riconfigurare un’umanità nuova.
In Italia gli attacchi violenti, scomposti, gonfi di odio nei confronti delle giornate della famiglia hanno visto schierato al completo il gotha mediatico, accademico e intellettuale, con il rinforzo di personaggi dello spettacolo, politici di sinistra e, ahimè, non pochi esponenti cosiddetti moderati e della destra liberale. Chiesa cattolica in imbarazzato silenzio, rotto esclusivamente per prendere le distanze e deprecare “il metodo”. In Francia da mesi la lotta dei gilè gialli, rivolta insieme economica e identitaria del vasto mondo di provincia, è repressa con violenza furibonda e demonizzata come retriva, conservatrice, antimoderna. In Spagna, il governo socialista vuole cacciare Franco dalla sua tomba dopo 43 anni, abbattere la grande croce della valle de los Caìdos e la legge punisce con pene più severe gli atti di violenza commessi da uomini, considerati in blocco violenza di genere. Un tribunale ha indagato il vice presidente del partito Vox per aver affermato in un comizio elettorale di voler combattere l’islamizzazione. Delitto di odio, secondo il magistrato, omologo alla nostra legge Mancino.

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Hanno occupato, in Europa e in America, le casematte del potere educativo e dei mezzi di comunicazione, cattedre da cui impartiscono la loro velenosa lezione. Officiano uno storicismo pezzente, un’apocalisse semianalfabeta, una rivoluzione senza possibilità di dialogo dinanzi a ogni conflitto: sesso, razza, religione, classe sociale, età!

Se fossimo polemisti politici, chiameremmo “progrecrazia” il totalitarismo progressista che, con il pretesto della difesa di ogni minoranza, di ogni causa estrema e di qualunque gruppuscolo di squinternati, sta imponendo a società libere un soffocante burqaideologico. Un cuore di tenebra si è impadronito dell’Europa e dell’occidente, e lancia contro la civiltà nostra l’attacco finale, facendo suo il grido di Kurtz, il protagonista del romanzo di Conrad, l’orrore, oh, l’orrore. Sì, impera l’orrore, rivolto contro secoli e millenni di storia comune, imposto da una proterva minoranza di chierici della dissoluzione.  Fa specie il silenzio di chi non condivide l’agenda progressista e soprattutto l’incapacità della destra culturale di opporre valori, principi, simboli e convincimenti all’attacco sferrato da quello che dobbiamo chiamare nemico. La destra politica sembra perduta alla causa, dedita agli intrighi al servizio del potere economico, finanziario e tecnologico neoliberista.
Tentiamo di ricostruire ciò che sta accadendo, comprenderne la portata, svelare il progetto storico di quanto è sotto i nostri occhi, la nascita e l’imposizione di una religione civile del tutto nuova, il multiculturalismo. Il suo perno è l’aggressione contro gli europei, le loro idee, credenze, tradizioni, modi di vivere, identità religiose, spirituali e culturali attraverso l’enfatizzazione di ogni minoranza, la mistica rovesciata dei diritti umani e la rilettura in senso distruttivo dell’intera esperienza storica, civile, valoriale dei nostri popoli. Come termiti, stanno portando a termine dal di sotto, da tutte le sentine della società, una distruzione lungamente programmata e realizzata in tappe successive.
Il crollo finale è questione di tempo, ma che cosa resterà oltre le macerie? Una legalità astratta in cui dominerà la legge del denaro, la divisione in innumerevoli ghetti e segmenti l’uno contro l’altro armati, tra solitudine, vuoto esistenziale, aridità intellettuale, ogni bizzarria e qualunque follia spacciata per originalità, l’ossessione di distinguersi in un mondo di automi identici, la finta neutralità del potere, depositario della nuova verità imposta.

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Erede del marxismo in decomposizione con la complicità interessata del liberismo economico, grande beneficiario della decomposizione sociale, il multiculturalismo ha rinnovato in profondità il progetto progressista, sino a convertirlo in religione politica imposta per coazione a ripetere, intimidazione e demonizzazione dell’avversario.

Tralasciamo due aspetti, l’evidente alleanza tra le oligarchie del denaro e della tecnica e le transavanguardie progressiste multiculturali, nonché il mezzo metaculturale utilizzato, la neolingua politicamente corretta, per concentrarci sulle radici del fenomeno, i suoi ascendenti ideologici, i suoi scopi ultimi. Illuminante, al riguardo, è l’opera di un giovane pensatore franco canadese, Mathieu Bock-Coté, autore del fondamentale saggio Le multiculturalisme comme religion politique, un testo che non vedremo tradotto nella nostra lingua. Formatosi in Nord America, Bock-Cotè riconosce la scia delle guerre culturali annunciate da Herbert Marcuse e Theodore Roszak, il padre del termine controcultura, accolte dal post Sessantotto francese per definire una nuova legittimità, la diversità multiculturale. In sostanza si tratta dell’eliminazione delle culture nazionali europee e nordamericane come fonti di trasmissione di valori e idee. Tematizzata mezzo secolo fa, la negazione della civiltà occidentale trionfa oggi, nonostante il suo arsenale concettuale si limiti a disconoscere le tradizioni che combatte.
Agisce un nichilismo del presente che ci riporta al sanguinario utopismo comunista, quello del giovane Marx e del vecchio Bakunin, screditato dopo la caduta del muro di Berlino, risorto con implacabile ferocia leninista per impadronirsi di quelli che Antonio Gramsci chiamò apparati ideologici. Hanno occupato, in Europa e in America, le casematte del potere educativo e dei mezzi di comunicazione, cattedre da cui impartiscono la loro velenosa lezione. Officiano uno storicismo pezzente, un’apocalisse semianalfabeta, una rivoluzione senza possibilità di dialogo dinanzi a ogni conflitto: sesso, razza, religione, classe sociale, età. Il passato, sempreché sia europeo o occidentale, è colpevole di tutti i problemi esistenti; la soluzione è cancellare la nostra civiltà colpevolizzandola dei fallimenti altrui. Siamo ben oltre l’oicofobia, l’odio di sé, della propria casa, teorizzato da Roger Scruton. Per questo distruggono non solo le idee, ma innanzitutto i simboli: la nostra è la prima civilizzazione che non solo non vuole, ma neppure comprende o riconosce i simboli. Bandiere, personalità eminenti, date che rappresentano i valori unitari delle comunità sono disprezzate, ridicolizzate, condannate all’oblio o alla damnatio memoriae.
Diventa “discorso di odio”, punito a termini di legge penale, l’amore di ciò che è proprio, con una inversione semantica che lascia sgomenti. E’ proibito l’amore per il passato comune, per la religione ricevuta, per la patria costruita, i miti e i simboli che la sostengono. Il multiculturalismo ha un fine preciso: dissolvere tutto ciò che è comune. L’impulso irrefrenabile di delegittimare sino all’ illegalizzazione – una finestra di Overton invertita- tutto ciò che i paesi europei e di radice europea hanno apportato all’umanità è la forma postmoderna del totalitarismo, un pericolo mortale per una cultura che, senza radici, è condannata a sparire. Riaffiora la preoccupazione di Benjamin Constant, un liberale che sapeva vedere il pericolo della libertà moderna, in cui gli uomini, assorti nel godimento dell’indipendenza privata e nel perseguimento degli interessi individuali, rinunciano a partecipare al dibattito civile.

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I chierici del multiculturalismo non considerano la democrazia il mezzo del confronto tra concezioni concorrenti del bene comune, ma il terreno da cui sradicare il Male. Chi non si converte al culto “diversitario” è il diavolo in persona!

Ed anche all’onere di pensare, ricordando che la libertà degli antichi, è la lezione di Constant, consisteva nella partecipazione attiva alle decisioni della comunità in cui ci si identificava. Vale per il multiculturalismo la definizione allarmata data al politicamente corretto da Marcello Veneziani.  Una lente ideologica che altera la vista di uomini, idee e cose secondo un pregiudizio indiscutibile, assunto a priori come chiave della verità, del bene e del progresso: tutto ciò che proviene dal passato (dal nostro passato, beninteso) è falso, superato, negativo.  
Screditato il marxismo reale, tramontato il sogno della rivoluzione, la palingenesi è l’unificazione dello spirito ex comunista e neoliberale, fusi nel codice progressista i cui eroi positivi sono il migrante, il nomade, la femminista, l’omosessuale, il nero, lo straniero. E’ una miracolosa tisana che infonde la benefica sensazione, per chi vi aderisce, di essere buoni, giusti, moderni, moralmente superiori.
Il multiculturalismo è apparso negli anni 60 come una rivelazione. Non pretende di migliorare la società, ma di smantellarla per rifarla integralmente secondo un’antropologia di nuovo conio. Si presenta con un’inusitata escatologia: da un lato il mondo di ieri, colpevole di peccati imprescrittibili contro la diversità, dall’altro il mondo di oggi, teso al paradiso “diversitario” transnazionale, tappa ultima dell’avventura umana e unico volto possibile della postmodernità. Secondo le tavole della legge multiculturale, le vecchie istituzioni si devono estinguere a vantaggio delle rivendicazioni di tutti gli esclusi della terra, circonfusi, in quanto tali, dell’aura cristica dei reietti da riscattare.
Da ciò scaturisce una concezione assai particolare dello scontro politico, poiché i chierici del multiculturalismo non considerano la democrazia il mezzo del confronto tra concezioni concorrenti del bene comune, ma il terreno da cui sradicare il Male. Chi non si converte al culto “diversitario” è il diavolo in persona, e Satana è per definizione intollerante, razzista, omofobo, islamofobo, eteropatriracale, eccetera. Il dibattito pubblico è confiscato da una minoranza, il clero progressista che minaccia di innalzare roghi al pensiero dissidente.

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La famiglia naturale, definita tradizionale? Per rinchiuderla nel passato oscuro, non vale più di ogni altra unione provvisoria e persino momentanea: le regole e le credenze di ieri diventano, al massimo, opzionali, salvo per espiare i crimini commessi contro le diversità santificate, il che conduce ad una rapida estinzione!

Il multiculturalismo sorge sulle rovine del comunismo come metamorfosi dell’immaginario marxista. Fin dagli anni Cinquanta del Novecento alcuni intellettuali marxisti presero atto che l’URSS, la loro Gerusalemme, assomigliava più a un infermo concentrazionario che a al paradiso dei lavoratori. Fu la prima fase di un socialismo migrante, o tropicale: molti cercavano la terra promessa in Cina, a Cuba, in Africa. Ma è solo dagli anni Sessanta che il progressismo cambia pelle e si stacca dall’ortodossia rossa. Il Sessantotto marca il trionfo del “gauchisme”, la controcultura che scavalca il comunismo a sinistra e riformula il mito rivoluzionario. E’ l’epoca in cui Herbert Marcuse parla con disprezzo di “classi popolari conservatrici”. La sinistra radicale constata che il proletariato aspira più a divenire classe media che alla rivoluzione; si prepara ad agire senza il popolo e, se necessario, contro di esso. Il ruolo di nuove categorie levatrici della rivoluzione è assegnato alle minoranze, nel senso più ampio del termine.
E’ ovvia la debolezza concettuale del nuovo verbo. Perché vivere insieme se non si condivide la stessa cultura, si chiede Mathieu Bock-Coté? Il multiculturalismo, lasciando senza risposta tale quesito fondamentale, anziché mantenere le sue promesse, non produce che una pluralità infinita di appartenenze entro società frammentate, divise in mille comunità ciascuna con una diversa tavola di valori, potenzialmente ostili e spesso incompatibili. La critica deve tuttavia andare oltre gli aspetti dei rischi alla pace civile. L’ideologia multiculturalista obbedisce a una logica di estirpazione delle radici basata sullo smantellamento delle istituzioni e dei sistemi normativi vigenti attraverso l’inversione del dovere di integrazione.
L’immigrato non deve più inserirsi nell’alveo della cultura d’accoglienza, ma è questa che si deve adattare a quella di importazione, perdendo così il suo statuto referenziale. La famiglia naturale, definita tradizionale per rinchiuderla nel passato oscuro, non vale più di ogni altra unione provvisoria e persino momentanea. Le regole e le credenze di ieri diventano, al massimo, opzionali, salvo per espiare i crimini commessi contro le diversità santificate, il che conduce ad una rapida estinzione.

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Il multiculturalismo fondato sulle sabbie mobili decreta la fine della nostra civiltà per tedio di sé. Un suicidio senza istinto di conservazione, una resa senza condizioni nell’ indifferenza delle proprie ragioni.

Erede del marxismo in decomposizione con la complicità interessata del liberismo economico, grande beneficiario della decomposizione sociale, il multiculturalismo ha rinnovato in profondità il progetto progressista, sino a convertirlo in religione politica imposta per coazione a ripetere, intimidazione e demonizzazione dell’avversario. Il multiculturalismo ha conseguito una grandiosa vittoria ideologica in coincidenza con la sconfitta storica del comunismo reale novecentesco, riuscendo a diventare intellettualmente e mediaticamente dominante a partire dagli anni 90, nonostante le ripetute disfatte elettorali di tutte le sigle vetero e neo comuniste. Preso atto della sconfitta definitiva del comunismo come prospettiva economica, la nuova sinistra, osserva Bock Coté, è riuscita a imporre il suo discorso nel vasto campo della “democrazia diversitaria”. La nuova alba rivoluzionaria è stata rivolta a realizzare il crepuscolo tanto atteso dello Stato nazionale e della democrazia una volta borghese.
I nuovi Lumi non sono venuti dall’ Oriente, vaccinato contro l’infezione comunista, ma dal cuore della cultura occidentale, le università. Preso atto che il proletariato non è più la classe eletta e che la storia ha decretato il fallimento del comunismo, i ceti intellettuali hanno pensato di rifiutare in blocco il passato e porre sul trono ogni genere di minoranze. Nei pensatoi universitari si sono sviluppate le teorie della decostruzione, trasformate in vero e proprio progetto politico negativo, il multiculturalismo che rifiuta tutto ciò che unisce ed esalta ogni subcultura, devianza e condizione minoritaria, una filosofia fondata, conclude Bock-Coté, “sulla disoccidentalizzazione e la denazionalizzazione”.  
Lo sbocco è una società destinata a scomporsi in mille rivoli, un fiume impantanato in un delta paludoso che non trova la via del mare. Privo di centro, avverso all’unità, il multiculturalismo fondato sulle sabbie mobili decreta la fine della nostra civiltà per tedio di sé. Un suicidio senza istinto di conservazione, una resa senza condizioni nell’ indifferenza delle proprie ragioni. L’agonia è lunga, durerà ancora decenni. Emil Cioran, pessimista di genio, scrisse che una civiltà tanto grande e di così lunga durata avrebbe avuto una fine prolungata e dolorosa. Non previde il multiculturalismo, per il resto fu buon profeta.

MULTICULTURALISMO. LA NUOVA RELIGIONE POLITICA

di Roberto Pecchioli

Parte I

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