ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 8 giugno 2019

Una vergogna doppia

Quando il nemico ce l’abbiamo in casa
Pubblichiamo la seguente lettera ai fedeli, scritta dai vescovi del Lazio e, diversamente da come facciamo di solito, intercaliamo brevemente i nostri commenti. Questo perché siamo convinti che i nostri lettori si renderanno conto da soli della gravità di iniziative del genere, che testimoniano la tragica realtà di tanti pastori che sono ormai al servizio del nemico. 
Questi tanti, che avrebbero il dovere di servire Cristo e la Sua Chiesa per la salvezza delle anime, ormai non nascondono più il loro intento di servire l’Anticristo a danno delle anime.

Preghiamo perché la Santa Vergine ci ottenga la grazia del necessario intervento divino, come e quando il Signore vorrà. Per intanto è nostro dovere di cattolici non seguire questi cattivi pastori e fare quanto è in nostro potere per restare saldi nella fede in mezzo a tanto sfacelo… DEO IUVANTE.

Lettera ai fedeli delle diocesi laziali


7 giugno 2019


In occasione della solennità di Pentecoste, i vescovi del Lazio hanno indirizzato una lettera a tutti i fedeli delle diocesi laziali, che verrà letta durante le varie Messe del giorno. Di seguito il testo integrale

Carissimi fedeli delle diocesi del Lazio,
 desideriamo offrirvi alcune riflessioni in occasione della solennità di Pentecoste che ci mostra l’icona dell’annunzio a Gerusalemme ascoltato in molte lingue: pensiamolo come il segno del pacifico e gioioso incontro fra i popoli che attualizza l’invito del Risorto ad annunciare la vita e l’amore.
Falso e contraddittorio: a Pentecoste gli Apostoli, ripieni di Spirito Santo, annunciarono la Buona Novella agli Ebrei e ai proseliti convenuti a Gerusalemme da diverse parti del mondo per la “Festa delle Settimane”, e lo fecero usando le diverse lingue parlate dai pellegrini presenti. Quindi non vi fu nessun incontro “pacifico e gioioso fra i popoli”.
E questo incontro inventato qui da questi vescovi non attualizzava il comando, e non l’invito, di Gesù a istruire e battezzare tutti i popoli della terra. Piuttosto, allo stupore dei pellegrini, che chiedevano: “Che cosa dobbiamo fare, fratelli?”, Pietro rispose: “Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo” (Atti, II, 38).

Dov’è in questa lettera l’esortazione al pentimento, alla conversione e a farsi battezzare?


Purtroppo nei mesi trascorsi le tensioni sociali all’interno dei nostri territori, legate alla crescita preoccupante della povertà e delle diseguaglianze, hanno raggiunto livelli preoccupanti. Desideriamo essere accanto a tutti coloro che vivono in condizioni di povertà: giovani, anziani, famiglie, diversamente abili, disagiati psichici, disoccupati e lavoratori precari, vittime delle tante dipendenze dei nostri tempi.

Ed ecco una sfacciata propaganda politica che racconta la bugia strumentale delle “tensioni sociali all’interno dei nostri territori”, cioè alle divergenze politiche che com'è usuale hanno accompagnato le ultime elezioni europee, nelle quali gli elettori, in gran parte cattolici,  hanno sancito la clamorosa sconfitta del partito dei vescovi che ha fatto la campagna elettorale a favore dell’Europa plutocratica e massonica e contro i partiti nazionali.


Sappiamo bene che in tutte queste dimensioni di sofferenza non c’è alcuna differenza: italiani o stranieri, tutti soffrono allo stesso modo. È proprio a costoro che va l’attenzione del cuore dei credenti e – vogliate crederlo – dell’opzione di fondo delle nostre preoccupazioni pastorali.

Le “dimensioni di sofferenza” qui inventate con un linguaggio tipicamente di parte “sinistra”, sarebbero quindi all’attenzione “dell’opzione di fondo delle preoccupazioni pastorali” dei vescovi scriventi. E questa attenzione sarebbe rivolta agli “italiani” o agli “stranieri” o ad entrambi? Lo vedremo nel seguito.


Vorremmo invitarvi ad una rinnovata presa di coscienza: ogni povero – da qualunque paese, cultura, etnia provenga – è un figlio di Dio. I bambini, i giovani, le famiglie, gli anziani da soccorrere non possono essere distinti in virtù di un “prima” o di un “dopo” sulla base dell’appartenenza nazionale.


Ed ecco la solita bugia che strumentalizza le parole cattoliche per dire cose non cattoliche. E’ falso che “ogni povero” è un figlio di Dio; ed è doppiamente falso che lo sia chiunque provenga da culture diverse: primo perché a culture diverse corrispondono religioni diverse, e fin qui non si è parlato di conversione; secondo perché figli di Dio si diventa solo se si crede in Dio e in Colui che Egli ha mandato: Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio e Salvatore nostro (Cfr. Gv. I, 12-13).
Ed è anche falso che l’aiuto a chi ha bisogno non possa dipendere “dall’appartenenza nazionale”; primo perché la carità è sempre rivolta al prossimo, ed il prossimo non è il primo che ci capita vicino, ma è, in sequenza crescente, il nostro coniuge, il nostro familiare, il nostro parente, il nostro amico, il nostro fratello in Cristo, il nostro concittadino, il nostro compatriota, e solo dopo chi a noi si fa prossimo per diversi motivi occasionali.
Quindi, “i bambini, i giovani, le famiglie, gli anziani da soccorrere”, non solo “possono”, ma “devono” essere distinti “sulla base dell’appartenenza nazionale”. E questo nonostante  questi vescovi usino strumentalmente i “bambini”, i “giovani”, gli “anziani”, secondo lo stile della peggiore retorica e dimentichi della minima cura pastorale.


Da certe affermazioni che appaiono essere “di moda” potrebbero nascere germi di intolleranza e di razzismo che, in quanto discepoli del Risorto, dobbiamo poter respingere con forza. Chi è straniero è come noi, è un altro “noi”: l’altro è un dono. È questa la bellezza del Vangelo consegnatoci da Gesù: non permettiamo che nessuno possa scalfire questa granitica certezza.

Qui si supera ogni limite di spudoratezza. Primo perché affermare che “chi è straniero è come noi”, è una contraddizione in termini; secondo perché affermare che “l’altro è un dono”, è una solenne corbelleria, che magari fa l’effetto di una cosa simpatica, mentre in realtà è un’espressione senza alcun senso compiuto.
In più, sostenere, come si fa qui, che tale contraddizione e tale cosa insensata sarebbero “la bellezza del Vangelo” e costituirebbero una “granitica certezza”, è cosa che offende l’intelligenza e che un ministro di Dio non dovrebbe avere la temerarietà di affermare, né a voce né tampoco per iscritto.
Già l’inizio di questo paragrafo fa arrossire di vergogna perfino il più navigato dei comizianti e imbonitori… Cari vescovi, chi è che segue la “moda” se non voi che ripetete a pappagallo la storiella dell’accoglienza indiscriminata? Quella che da dieci-quindici anni è diventata di “moda” nei salotti “bene” di certa borghesia progressista e anticattolica.  Perché delle due l’una: o seguite la “moda” o siete voi stessi tra coloro che fomentano e alimentano la “moda” dell’accoglienza del “l’altro”. 


Desideriamo invitarvi, pertanto, a proseguire il nostro cammino di comunità credenti, sia con la preghiera che con atteggiamenti di servizio nella testimonianza di una virtù che ha sempre caratterizzato il nostro Paese: l’accoglienza verso l’altro, soprattutto quando si trovi nel bisogno. Proviamo a vivere così la sfida dell’integrazione che l’ineluttabile fenomeno migratorio pone dinanzi al nostro cuore: non lasciamo che ci sovrasti una “paura che fa impazzire” come ha detto Papa Francesco, una paura che non coglie la realtà; riconosciamo che il male che attenta alla nostra sicurezza proviene di fatto da ogni parte e va combattuto attraverso la collaborazione di tutte le forze buone della società, sia italiane che straniere.

Ed eccoci ad uno degli scopi di questa lettera: “l’accoglienza verso l’altro”; un ritornello che da mesi è servito per fare propaganda elettorale ai vescovi e che è stato rifiutato e sconfessato dai milioni di cattolici che sono andati al voto. Ma loro, i vescovi, non si arrendono e tornano alla carica con questa lettera da far leggere in tutte le parrocchie il giorno di Pentecoste. Una vergogna. 
E una vergogna doppia quando si arriva a parlare, contro ogni evidenza, di “ineluttabile fenomeno migratorio”. Cari vescovi, chi è affetto da “paura che non coglie la realtà”? Se non voi che negate la realtà di un fenomeno migratorio pilotato mirante a distruggere quel che resta della nostra cultura e della nostra religione? Ma a voi, cari vescovi, importa forse qualcosa della nostra cultura e della nostra relihione?


Le nostre diocesi, attraverso i centri di ascolto della Caritas e tante altre realtà di solidarietà e di prossimità, danno quotidianamente il proprio contributo per alleviare le situazioni dei poveri che bussano alla nostra porta, accogliendo il loro disagio. Tanto è stato fatto e tanto ancora desideriamo fare, affinché l’accoglienza sia davvero la risposta ad una situazione complessa e non una soluzione di comodo (o peggio interessata). Desideriamo che tutte le nostre comunità – con spirito di discernimento – possano promuovere una cultura dell’accoglienza e dell’integrazione, respingendo accenti e toni che negano i diritti fondamentali dell’uomo, riconosciuti dagli accordi internazionali e – soprattutto – originati dalla Parola evangelica.

Ritornello ribadito; con un’aggravante, che sarebbe stato meglio evitare: è possibile che “l’accoglienza” possa essere “una soluzione di comodo (o peggio interessata)”?
I vescovi dicono di sì, e forse parlano per cognizione di causa, dato che “Caritas e tante altre realtà di solidarietà e di prossimità” in questi anni hanno beneficiato di ogni possibile aiuto di Stato per praticare “solidarietà” e “prossimità”.
E anche noi vogliamo esprimere la nostra convinzione: “Desideriamo che tutte le nostre comunità – con spirito di discernimento – si esimano dal promuovere la cosiddetta cultura dell’accoglienza e dell’integrazione, facendo proprii gli accenti e i toni presenti nelle encicliche dei Papi, nelle quali si condannano i cosiddetti diritti fondamentali dell’uomo, riconosciuti dagli accordi internazionali e – soprattutto – contrarii alla Parola evangelica”.

Cari vescovi, studiate! Studiate!


Non intendiamo certo nascondere la presenza di molte problematiche legate al tema dell’accoglienza dei migranti, così come sappiamo di alcune istituzioni che pensavamo si occupassero di accoglienza, e che invece non hanno dato la testimonianza che ci si poteva aspettare. Desideriamo, tuttavia, ricordare che quando le norme diventano più rigide e restrittive e il riconoscimento dei diritti della persona è reso più complesso, aumentano esponenzialmente le situazioni difficili, la presenza dei clandestini, le persone allo sbando e si configura il rischio dell’aumento di situazioni illegali e di insicurezza sociale.

Ancora un altro ritornello della musica di moda. Decisamente questi vescovi sono stancamente ripetitivi. Questa volta seguono quel filone della “moda” che da diversi anni spredica perché si agevoli sempre di più l’ingresso indiscriminato dei cosiddetti “migranti”.
Cari vescovi, i “diritti della persona” esigono che i migranti restino a casa loro, così che negare per quanto possibile il facile insediamento in casa nostra equivale a stimolare tanti sbandati a restare a casa loro, con la loro gente, e a prendersi cura della loro terra.
Cari vescovi del Lazio, perché non parlate con i vostri confratelli africani che è da un bel po’ che cercano di arginare il progressivo spopolamento delle terre d’Africa, le quali, tra l’altro, sono dei potenziali serbatoi di ricchezza e, per lo stato di abbandono in cui si trovano, hanno bisogno di mano d’opera che potrebbe lavorare per parecchi decenni?


Pertanto, carissime sorelle e carissimi fratelli, sentiamo il dovere di rivolgere a tutti voi un appello accorato affinché nelle nostre comunità non abbia alcun diritto la cultura dello scarto e del rifiuto, ma si affermi una cultura “nuova” fatta di incontro, di ricerca solidale del bene comune, di custodia dei beni della terra, di lotta condivisa alla povertà. Invochiamo per tutti noi il dono incessante dello Spirito, che converta i nostri cuori per renderli solleciti nel testimoniare un’accoglienza profondamente evangelica e la gioia della fraternità, frutto concreto della Pentecoste.

I Vescovi delle diocesi del Lazio - 7 giugno 2019


Fine del commento; perché non vale mai la pena soffermarsi sui luoghi comuni.
Solo un’invocazione: “Invochiamo per tutti noi il dono incessante dello Spirito Santo, che converta i nostri cuori sulle vie del Signore, per renderli solleciti nel testimoniare la verità di Cristo, un allontanamento degli intrusi profondamente evangelico (cfr. Mt. X, 11-14)) e la gioia della fraternità in Cristo, frutto concreto della Pentecoste, che è la sola fraternità degna di un cristiano.

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