Un anno fa, il 4 febbraio 2019, papa Francesco e il grande imam di Al-Azhar firmavano la Dichiarazione di Abu Dhabi, testo che Vatican News, agenzia di stampa del Vaticano, definisce in questi giorni “un forte invito a riscoprirsi fratelli per promuovere insieme la giustizia e la pace” e “una pietra miliare non solo nei rapporti tra cristianesimo e islam”.
Purtroppo, a mio giudizio (e non solo mio) si è trattato di una pietra miliare in senso negativo, perché ha introdotto un concetto che, semplicemente, non può essere cristiano né tanto meno cattolico.
Come ha scritto autorevolmente il professor Josef Seifert, uno dei maggiori filosofi cattolici contemporanei, firmando una dichiarazione nella quale si sostiene che Dio vuole una pluralità religiosa, il papa ha sfidato sia la fede sia la ragione e ha fatto di Dio un relativista.
Certo, alcune verità su Dio e sulla legge morale naturale sono conosciute dai pagani e sono presenti anche nelle religioni non cristiane, ma sostenere, come si legge nella dichiarazione, che “il pluralismo e la diversità delle religioni sono voluti da Dio nella sua saggezza, attraverso la quale ha creato gli esseri umani” è qualcosa di inaccettabile per un battezzato.
Come può Dio aver voluto religioni che negano la divinità di Cristo? Non va questo contro la logica oltre che contro la fede? Davvero Dio può volere che le creature umane sostengano idee e fedi contraddittorie rispetto a Gesù Cristo e a Dio stesso?
Come può Dio – che ha mandato i suoi discepoli a predicare e a battezzare il mondo intero – aver voluto qualsiasi eresia cristiana, per non parlare delle religioni che negano Gesù? E Gesù non ha forse detto che solo chi crederà in Lui sarà salvato, mentre chi non lo farà sarà perduto (Gv 3,1 8)?
E se Dio davvero avesse voluto la pluralità delle religioni, perché mai Gesù ci avrebbe chiesto di predicare il Vangelo a tutte le nazioni raccomandando di battezzare nel suo nome per la salvezza dell’anima?
Come può essere vero che Dio “nella sua saggezza” ha voluto fin dalla creazione che molti uomini non credessero nell’unico Redentore?
Giustamente Seifert dice che nessuna acrobazia mentale può sostenere che l’affermazione presente nel documento di Abu Dhabi non contenga alcuna eresia. Anzi: quella proposizione appare come la sintesi di tutte le eresie, perché afferma che è volontà divina che una grande maggioranza dell’umanità possa sposare ogni tipo di credo religioso falso e non cristiano.
Attribuendo a Dio la volontà che ci siano religioni che contraddicono la sua divina rivelazione – invece di attribuirgli la volontà che tutte le nazioni dovranno credere nell’unico vero Dio e nel suo figlio e redentore – Dio viene trasformato in un relativista: o non sa che esiste una sola verità oppure non gli importa che gli uomini credano alla verità o alla falsità.
Il professor Seifert (e noi facciamo proprie le sue parole) chiede che ogni cattolico preghi perché il papa si converta e rigetti quell’orribile frase firmata da lui e dal grande imam. Invece vediamo che non solo non ci sono stati ripensamenti, ma, un anno dopo, il testo è esaltato dalla stampa vaticana come “un documento ragionato con sincerità e serietà per essere una dichiarazione comune di buone e leali volontà”.
Non solo. Sempre dalla stampa vaticana abbiamo appreso che esiste un apposito “Comitato superiore per l’attuazione del documento sulla fraternità umana” e che nell’ultima riunione del comitato un rabbino di Washington ha definito la dichiarazione di Abu Dhabi come un testo “in armonia con tutte le religioni del mondo”. “
Mi spiace per il rabbino, ma quel testo non è in armonia con tutte le religioni del mondo. Perché non è in armonia con la religione cattolica.
I cattolici contro Achille Lauro: "Vada ad Assisi per San Francesco"
Achille Lauro, dopo l'imitatio francescana, è divenuto oggetto di critiche web. E il fronte cattolico invita il cantante a perseguire la vera via francescana
Achille Lauro, dopo l'imitatio francescana, è divenuto oggetto di critiche web. E il fronte cattolico invita il cantante a perseguire la vera via francescana
La imitatio francescana di Achille Lauro non è piaciuta ad una parte di mondo cattolico. Il cantante, che ieri ha stupito tutti a Sanremo, ha spiegato il perché della sua scelta su Instagram: "La celebre scena attribuita a Giotto in una delle storie di San Francesco della basilica superiore di Assisi.
Il momento più rivoluzionario della sua storia in cui il Santo si è spogliato dei propri abiti e di ogni bene materiale per votare la sua vita alla religione e alla solidarietà".
Questo è il motivo per cui l'artista veronese, dopo l'entrata in scena, si è quasi denudato. Se San Francesco, incontrando Gesù Cristo, ha rinunciato ad ogni ricchezza materiale, Achille Lauro, partecipando alla settantesima edizione del Festival di Sanremo, ha voluto ricordare a modo suo la natura rivoluzionaria della via francescana. E dei commenti critici apparsi sul web? Con ogni probabilità, Lauro se ne frega. Tanto che l'immagine profilo della sua pagina Facebook, adesso, ritrae proprio il patrono d'Italia.
Alcuni pareri scandalizzati, come spesso capita di questi tempi, sono rintracciabili tra gli utenti dei social network. C'è anche chi ha scritto che "oggi, chiunque, liberamente, può prendersi gioco di Dio e delle cose di Dio e nessuno dice niente, questo rende l' idea su quanto Dio, in verità, sia amato". E ancora: "Le cose Sante - si legge - vengono derise in libertà". Ma non si tratta solo di una bufera nata sul web.
Maria Rachele Ruiu di Pro Vita e Famiglia, sentita da IlGiornale.it, l'ha toccata piano: "Se veramente ha detto che quella sarebbe dovuta essere la svestizione di San Francesco...come dire...gli auguro di andare ad Assisi ad incontrare davvero Francesco, che male non gli può fare". La Ruiu ha sottolineato di non aver assistito alla performance sanremese in diretta. La serata di stasera, però, sarà di sicuro attenzionata dai pro life e pro family: è previsto quello che sempre la Ruiu ha definito "il contracanto all'eutanasia", ossia l'esibizione di Paolo Palumbo, un artista che per la visione dell'esponente pro life rappresenta un "super ragazzo" che "canta con gli occhi". Palumbo, che nel 2019 è stato anche minacciato, è malato di Sla.
E poi c'è Don Alfredo Maria Morselli, uno dei pochi sacerdoti disposti a commentare l'accaduto. Il parroco emiliano-romagnolo, che rivendica di non avere la Tv e di "essere rimasto al canto gregoriano", ha posto l'accento sul "falso francescanesimo" e sulla "retorica pseudofrancescana", di cui saremmo "pieni da troppi anni". Il don, di cui abbiamo voluto ascoltare il parere, pensa che chi "si appella" al Santo di Assisi, come Achille Lauro, "dovrebbe dare ai poveri tutte le sue sostanze, vivere castamente, sottoporsi a digiuni e penitenze, partire per i paesi islamici e cercare di convertire i successori del sultano". Questa, insomma, è la vera via francescana. E non sussistono deroghe. Ma non è tutto. Morselli ha anche evidenziato come San Francesco, sul corpo, avesse la "stigmate di Gesù" e "non tatuaggi". Francesco ha "ammansito il lupo fuori di sè perché prima aveva ammansito se stesso" - ha aggiunto il consacrato - .
Un commento, infine, ci è stato rilasciato dal professor Francesco Agnoli, che ha esordito così: "Lasciamo perdere San Francesco. Tra luci, lustrini e presentatori che prendono centinaia di migliaia di euro, non avrebbe saputo che farci. O forse sì, sapeva stare con i lebbrosi, e sapeva bene che la lebbra peggiore è il peccato". Una riflessione laconica, che si inserisce nelle reazioni cattoliche all'esibizione di Lauro. Vedremo se il cantante, nel corso delle prossime serate, metterà in scena qualcosa di simile.
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Per una Chiesa più virile
È esperienza comune vedere ragazzi e ragazze lasciare la Chiesa dopo la cresima. Sebbene le parrocchie mettano spesso al primo posto la cosiddetta pastorale giovanile, i giovani se ne vanno e restano solo gli anziani. Ovviamente ci sono eccezioni, ma questo è il quadro dominante. Perché? Che cosa c’è che non va?
Ho letto in proposito un interessante intervento di Eric Sammons (scrittore cattolico ex evangelico) che cerca di affrontare la questione da un punto di vista diverso dal consueto.
Sicuramente molti programmi per i giovani, osserva Sammons, sono ben fatti e motivati dalle migliori intenzioni, eppure i giovani a Messa non vanno e la loro vita di fede sembra finire miseramente su un binario morto. Allora, anziché concentrarsi sui programmi per bambini e giovani, non sarebbe il caso di guardare altrove, e in particolare alle famiglie?
Le statistiche dicono che c’è una connessione diretta tra la vita di fede in famiglia e l’impegno religioso dei figli. Quando i genitori vanno regolarmente a Messa e alimentano la loro vita di fede con la preghiera e la frequenza dei sacramenti, ci sono più possibilità che i giovani, nonostante qualche crisi, tornino a identificarsi con la religione che hanno vissuto da piccoli.
Per quanto, anche in questo caso, ci siano eccezioni, la relazione diretta tra la vita di fede dei genitori e quella dei figli non sorprende. Ma le ricerche dicono di più, e cioè che è particolarmente importante il ruolo dei padri, con una connessione diretta tra la pratica religiosa del padre di famiglia e la vita di fede dei figli.
Detto in modo semplice: se il padre non va in chiesa, solo un bambino su cinquanta diventa a sua volta un frequentatore della Messa e dei sacramenti, e non importa quanto costanti e profonde siano le devozioni della madre e moglie. Se invece il padre va regolarmente a Messa, indipendentemente dalla pratica religiosa della madre, una percentuale significativa dei figli avrà a sua volta una vita di fede.
Le statistiche, specie in un campo così delicato, vanno sempre prese con le molle, però sembra chiaro che il ruolo dei padri è davvero importante, se non decisivo. Sono loro, i padri, ad avere, più di chiunque altro, un impatto sulle scelte dei figli in campo religioso. Di conseguenza, osserva Sammons, i programmi pastorali dovrebbero concentrarsi proprio sulla vita di fede degli uomini e in particolare dei padri, ma sappiamo bene che così non è.
Leggendo la Bibbia ci accorgiamo che Dio, quando interpella un gruppo di persone, sceglie spesso un mediatore (pensiamo ad Abramo, Mosè, Davide) il cui compito è di influenzare e guidare il gruppo. Ecco, dice Sammons, il modello per la Chiesa. Il padre può essere considerato il mediatore, il sacerdote di quella Chiesa domestica che è la famiglia. Pertanto, se si vuole assicurare una vita di fede ai figli, ha senso, da un punto di vista sia sociologico sia teologico, concentrarsi sul padre. Ma come?
Viene spontaneo pensare a iniziative di formazione e di catechesi, ma, osserva Sammons, sembra difficile che tali incontri possano avere successo o, comunque, avere effetti significativi e duraturi. Tali incontri possono magari sostenere uomini che già hanno la fede, ma difficilmente possono contribuire a rendere attraente la religione. Se vogliono attirare e mantenere l’attenzione dei padri, scrive Sammons, le parrocchie devono pensare a qualcosa di più specifico.
Avverto i lettori, e soprattutto le lettrici, che a questo punto il linguaggio dell’autore si fa provocatorio e rivela una certa misoginia. Ma, al di là delle espressioni usate, mi sembra che le considerazioni di fondo vadano prese in esame.
La prima cosa da fare, dice dunque Sammons, è smantellare l’atmosfera attuale che caratterizza la maggior parte delle parrocchie, ovvero un’atmosfera troppo femminilizzata (“attraente solo per i gay degli anni Settanta”, scrive l’autore).
Personalmente non credo che l’atmosfera dominante nelle nostre parrocchie sia “attraente solo per i gay degli anni Settanta”, tuttavia mi sembra opportuno cogliere la provocazione di Sammons e riflettere su quanto osserva: “Quando si entra in una tipica parrocchia cattolica suburbana, tutto, dall’architettura alla musica, dai cartelloni alle omelie, sembra essere affascinante per catechiste di una certa età, ma quale maschio può essere attirato da tutto questo se non possiede già una fede robusta, una fede che gli permette di andare oltre ciò che vede e sente?”.
Ripeto: il tono di Sammons è volutamente provocatorio e io non penso che nelle nostre parrocchie tutto sia fatto a misura di catechiste anziane, però, se ci pensiamo, la femminilizzazione della vita della Chiesa (ma la stessa cosa si può dire, credo, per la scuola) è abbastanza evidente. Poiché i vari servizi (dal catechismo alla cura dei ministranti, dalle letture agli impegni caritativi) sono gestiti quasi esclusivamente da donne, è fatale che abbiano un’impronta femminile e che gli uomini avvertano una certa distanza.
Dunque, che cosa si potrebbe fare per aumentare un po’, diciamo così, il tasso di virilità?
Pensando a un ipotetico parroco, Sammons fa alcune proposte. Tenetevi forte.
1) Torna a celebrare ad orientem. Gli uomini preferiscono seguire un leader in battaglia piuttosto che sedersi attorno a un tavolo per una chat. Quando un sacerdote guida il suo popolo nell’adorazione, non solo nello spirito, ma nell’orientamento del suo corpo, sfida gli uomini a seguirlo e gli uomini amano quella sfida.
2) Assicurati che ci siano solo uomini e ragazzi sull’altare. In molte parrocchie durante la Messa c’è un solo uomo all’altare: il sacerdote. Tutte le altre sono presenze femminili, comprese le chierichette. Ricorda: le donne seguono gli uomini, ma il contrario non funziona. Gli uomini non sono naturalmente propensi a seguire le donne. Alla maggior parte degli uomini la visione di orde di donne all’altare invia un messaggio poco gradevole ed effeminato.
3) In chiesa mantieni il silenzio prima e dopo la Messa. Gli uomini prediligono una liturgia seria. Entrare in una chiesa piena di chiacchiere manda un segnale negativo. Se un uomo va a Messa non sta cercando un club sociale. Addetti maschi, appostati agli ingressi, dovrebbero educatamente ricordare a tutti di fare silenzio e di smettere di chiacchierare.
4) Utilizza inni e canti tradizionali, non la musica popolare degli anni Settanta. Gli uomini vogliono ascoltare canzoni belle, che li aiutino ad arrivare ad altezze maggiori, non mille varianti di Kumbaya.
5) Istituisci gruppi maschili che si concentrino su attività concrete e pratiche. La maggior parte degli uomini non vuole sedersi in gruppo e condividere i propri sentimenti riguardo a un brano biblico. Vogliono fare cose pratiche, come lavorare in una mensa o costruire una grotta sul terreno della parrocchia.
6) Invitali al sacrificio. Gli uomini non vogliono solo sentirsi dire come essere gentili. Vogliono essere sfidati ad approfondire la fede, con impegni pratici e concreti. Quindi chiamali a fare veri sacrifici, come il digiuno del venerdì o docce fredde in riparazione dei peccati e per la salvezza delle anime.
7) Di’ le cose come stanno. Smettila di sminuzzare le parole. Opponiti al secolarismo anticattolico che sta dominando nella nostra cultura e affronta direttamente la crisi nella Chiesa. Fingere che non vi sia corruzione dilagante ai massimi livelli della Chiesa ti fa solo sembrare un sicofante codardo, non un coraggioso discepolo di Cristo che gli uomini saranno disposti a seguire.
Ecco, qui si concludono i consigli di Sammons. Che, come vedete, sono alquanto espliciti. Ammetto che mi hanno strappato un sorriso. Il tono è evidentemente esagerato, ma (chiedo di nuovo scusa alle lettrici, specie se anziane catechiste) mi sembra che la provocazione vada accolta.
A.M.V.
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