ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 16 luglio 2012

Pagliuzze e travi

L’isola che non c'è 
Alcuni danno per imminente la firma dell’accordo canonico tra i Modernisti e la FSSPX. L’Istituto Mater Boni Consilii da anni spiega come la posizione lefebvriana conduca a un vicolo cieco: o il compromesso con quelle che vengono considerate le legittime autorità della Chiesa; oppure il persistere nella prassi scismatica (disobbedire abitualmente alle cd. “legittime autorità”) tipica delle “piccole chiese”. Malgrado le supposizioni più o meno fondate di alcuni vaticanisti, non è possibile sapere in modo certo se e quando l’accordo canonico si farà.

Invece, possiamo e dobbiamo constatare quello che è ormai davanti gli occhi di tutti: la frequentazione sempre più assidua, da parte della FSSPX, dell’area dei conciliari conservatori, composta, non lo dimentichiamo, da coloro che sono le “sentinelle” del Concilio, i difensori delle giornata ecumeniche di Assisi, i sostenitori della legittimità e della validità dei nuovi riti, ecc., tutti in comunione con Benedetto XVI. 

Ma la deriva della FSSPX non si arresta a questo livello, poiché si sta consolidando la collaborazione anche con personaggi riconducibili all’organizzazione brasiliana della TFP, da molti considerata settaria, e alle sue molteplici sigle e satelliti presenti in Italia, proprio tra le fila dei conservatori. Eppure la fede e il buon senso consiglierebbero di tenersi alla larga da simili ambienti. Sembrerebbe che a forza di usare il messale del “beato Giovanni XXIII”, qualcuno stia assimilando il principio roncalliano del “cerchiamo quello che ci unisce e non quello che ci divide”…

Ricordo come il cattolico è radicalmente diviso dai modernisti (progressisti o conservatori, col rito vecchio o nuovo, col maglioncino o con l’abito ecclesiastico) dalla professione della Fede. Considerate superabili, almeno sul piano della collaborazione pratica, le divergenze dottrinali, ecco allora che si aprono alcuni spazi (comunque marginali) su argomenti di se buoni e lodevoli, ma che diventano l’occasione per far confluire, confondere e poi dissolvere i cattolici teoricamente antimodernisti nella “destra” del modernismo. Si tratta di un meccanismo particolarmente pericoloso, soprattutto per i più idealisti, i più generosi e i più ingenui, che meriterebbero di essere guidati (e prima ancora formati dottrinalmente) in modo diverso.

Una prova generale sarà una manifestazione “pro-life”, dove i lefebvriani si troveranno insieme agli istituti sacerdotali dell’Ecclesia Dei, a una congregazione Novus Ordo di frati conservatori, ai gruppi dell’area Timone-Bussola, alla TFP e alla Fondazione Lepanto e persino all’Opus Dei e ai Legionari di Cristo! Tra l’altro sarebbe interessante chiedere ai lepantini e ai “timonieri” cosa ne pensano, a proposito della vita, della condizione in cui è costretta a vivere - e a morire - l’infanzia palestinese. La rilettura dell’articolo di don Francesco Ricossa apparso sul n. 64 di Sodalitium, relativo alle edizioni “Lindau” e “Fede e Cultura” permetterà di approfondire la questione dell’assorbimento della FSSPX all’area dei modernisti conservatori e gli inquietanti legami di alcuni personaggi di quest’area con ambienti settari.

Entrando poi nella questione specifica della difesa della vita, da sempre e con molto zelo le associazioni “tradizionaliste” si sono impegnate su questo fronte, conseguenza del loro combattimento dottrinale. In Italia il divorzio e l’aborto hanno vinto anche grazie ai cedimenti del modernismo politico della D.C. e del modernismo religioso all’interno della “Gerarchia” (tra l‘altro la posizione da tenere nel referendum del 1981 segnò il passaggio di Alleanza Cattolica dal fronte antimodernista al carrozzone conciliare. Roberto De Mattei ebbe il merito di opporsi a Giovanni Cantoni ma rimase devoto discepolo di Plinio De Oliveira…).

Attualmente la situazione non è cambiata. La CEI potrebbe condurre una battaglia energica su questo tema, ma si guarda bene dal farlo (il “cardinal” Bagnasco preferisce benedire il governo Monti), i politici “cattolici” sussurrano vaghi impegni “per la vita” durante le campagne elettorali e il gruppo interparlamentare che si è recentemente costituto non sembra esattamente un’armata di crociati. Eppure la destra ratzingeriana parla di un numero sempre maggiore di “cardinali” e ”vescovi” tradizionalisti (diversi dei quali hanno aderito alla manifestazione sopracitata), confondendo forse la difesa del dogma con la cappa magna indossata nell’uso un po’ troppo teatrale del Messale Romano. Se i prelati in questione fossero davvero come vengono dipinti, stupisce allora l’assenza sistematica, nelle loro diocesi, di vigorose azioni contro il crimine dell’aborto. E prima ancora, o comunque in modo parallelo, contro gli errori in materia religiosa presenti nei testi del Concilio e nel “magistero” di Benedetto XVI.

La verità è che tra i conservatori si è creata un’idea di restaurazione nella Chiesa che non coincide con la realtà. Si possono estrapolare sistematicamente le frasi “cattoliche” dai testi modernistici di Ratzinger, si può tentare di arrampicarsi sugli specchi per giustificare l’ingiustificabile e tentare delle acrobazie da mozzafiato per conciliare l’inconciliabile, si può mentire agli altri e a se stesi, si può preferire la carriera, gli spazi giornalistici, i successi editoriali alla testimonianza della fede, ma non si può cambiare la realtà oggettiva della cose. Benedetto XVI e tutti coloro che nell’episcopato sono in comunione con lui proseguono l’opera nefasta del Concilio, con l’insegnamento di errori che offendono Nostro Signore, contraddicono la fede cattolica e il magistero dei Papi sino a Pio XII, recano danno gravissimo alle anime. La controriforma dottrinale e liturgica di Ratzinger esiste quindi solo nella fantasia dei conservatori-tradizionalisti della destra conciliare.

Tutto questo mi ricorda il titolo di una canzone di Edoardo Bennato, “l’isola che non c’è”. Un’isola, peraltro, con tanti insidiosi scogli, contro i quali rischiano di incagliarsi il clero e i fedeli della Fraternità, prima ancora che il loro comandante faccia l’atteso e definitivo inchino a Benedetto.

8 maggio 2012

don Ugo Carandino

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