ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 9 giugno 2011

I muti parlano! Miracolo (absit injuria verbis) o cacofonìa?



 
Roma locuta est, causa finita est  

  Seconda parte:
Tradizione e accomodamento

Ecco dunque definitivamente chiusa ogni controversia intorno alla beatificazione di Giovanni Paolo II. Giusto o sbagliato che sia, Giovanni Paolo II è indicato dalla Chiesa come degno di venerazione, non ritorneremo quindi sulla questione, anche se tutte le riserve che sono state avanzate rimarranno a futura memoria.

A questo punto ci soffermiamo su due aspetti di questa beatificazione che si sembrano degni di nota e parecchio indicativi dello stato in cui versa l’ecumene cattolico sia in relazione all’insieme del mondo sia nei confronti della pratica della fede.

Il primo aspetto riguarda ciò che possiamo chiamare un altro “segno dei tempi”, di cui abbiamo parlato a a cui rimandiamo (Prima parte), il secondo attiene invece al rapporto tra l’ambito tradizionale e il resto del mondo cattolico.

Consideriamo quindi il secondo.


In questa seconda parte prenderemo in considerazione le conseguenze della beatificazione di Giovanni Paolo II in relazione al possibile futuro atteggiamento dei fedeli tradizionali.

In questi ultimi anni, nell’ambito tradizionale, si è diffusa la tendenza a giustificare comunque le parole e i comportamenti dei papi, ciò che abbiamo chiamato altrove una specie di fideismo papista.
Tale tendenza è scaturita quasi inconsciamente come una sorta di moto di difesa contro i turbamenti creati dalla grande criticabilità che ha contraddistinto i pontificati dei papi conciliari, da Giovanni XXIII e Benedetto XVI. Tendenza che ha assunto una certa maggiore consistenza proprio nel corso dal pontificato di Benedetto XVI.
Alcune aperture di questo Pontefice nei confronti del mondo tradizionale hanno indotto molti fedeli tradizionali a sentire il bisogno di difenderne l’operato anche quando certe sue azioni o decisioni cadevano inesorabilmente sotto la stessa critica di quelle dei suoi predecessori. Quasi in termini giustificativi, in questi ultimi sei anni è passata l’idea che Benedetto XVI avrebbe sicuramente raddrizzato il timone di questa barca della Chiesa che Giovanni Paolo II aveva tante volte abbandonata o condotta alla deriva.

Il 1 maggio 2011 peserà come un macigno sulla praticabilità di questo ragionamento.

Questa beatificazione ha un significato molto preciso: non si limita ad indicare alla venerazione dei fedeli un sant’uomo, ma quel Papa, con tutto ciò che egli ha rappresentato e rappresenta. I distinguo e le precisazioni le lasciamo ai cultori del cavillo, noi ci limitiamo a considerare, con i piedi per terra, che un papa beato trascina nella beatificazione tutto ciò che ha detto e ha fatto, tutto ciò che è stato e tutto ciò che è sembrato essere, tutto ciò che era e tutto ciò che gli altri credevano fosse. Soprattutto oggi che prevale l’informazione di massa.
Chi si è affrettato a realizzare questo passo sapeva benissimo che gli effetti sarebbero stati questi. Si può star certi che nessuno verrà colto alla sprovvista, tranne certi fedeli tradizionali che cercano in qualche modo di mettersi il cuore in pace.

Il Santo Padre Benedetto XVI ha fornito una descrizione parecchio esauriente di questo stato di fatto.
Nel corso dell’omelia per la beatificazione di Giovanni Paolo II, il Papa, parlando in polacco, ha detto:
Karol Wojtyła salì al soglio di Pietro portando con sé la sua profonda riflessione sul confronto tra il marxismo e il cristianesimo, incentrato sull’uomo. Il suo messaggio è stato questo: l’uomo è la via della Chiesa, e Cristo è la via dell’uomo. Con questo messaggio, che è la grande eredità del Concilio Vaticano II e del suo “timoniere” il Servo di Dio Papa Paolo VI, Giovanni Paolo II ha guidato il Popolo di Dio a varcare la soglia del Terzo Millennio, che proprio grazie a Cristo egli ha potuto chiamare “soglia della speranza”. Sì, attraverso il lungo cammino di preparazione al Grande Giubileo, egli ha dato al Cristianesimo un rinnovato orientamento al futuro, il futuro di Dio, trascendente rispetto alla storia, ma che pure incide sulla storia. Quella carica di speranza che era stata ceduta in qualche modo al marxismo e all’ideologia del progresso, egli l’ha legittimamente rivendicata al Cristianesimo, restituendole la fisionomia autentica della speranza, da vivere nella storia con uno spirito di “avvento”, in un’esistenza personale e comunitaria orientata a Cristo, pienezza dell’uomo e compimento delle sue attese di giustizia e di pace.

Nessuna esegesi complicata.
“L’uomo è la via della Chiesa e Cristo è la via dell’uomo”.
Due vie: la via dell’uomo e la via di Cristo, la prima è quella della Chiesa, la seconda è quella dell’uomo. La Chiesa segue la via dell’uomo e, dal momento che l’uomo segue la via di Cristo, sembra di capire che la Chiesa segua la via di Cristo per mezzo dell’uomo. Il che, se abbiamo capito bene, significa che non è più la Chiesa a mediare tra l’uomo e Cristo, ma è l’uomo che media tra Cristo e la Chiesa.
In questo – dice il Papa – consiste il messaggio di Giovanni Paolo II, ed è questa “la grande eredità del Concilio Vaticano II e del suo ‘timoniere’ il Servo di Dio Papa Paolo VI”.
Sembra tutto chiaro… e se lo è siamo di fronte al capovolgimento della realtà: la prevalenza della realtà divina sostituita con quella della realtà umana.

Sicuramente si potrà dire: “non avete capito bene”…voi.
Ma, se l’italiano non è un’opinione, o il Papa non sa esprimersi o noi, seppure con i nostri limiti, non siamo molto discosti dal vero significato di questa dichiarazione.
Tanto più che gli stessi richiami al Concilio e a Paolo VI confermano non solo la nostra lettura, ma soprattutto il senso complessivo di queste affermazioni, che sono illuminate da un raffronto molto istruttivo: la “speranza che era stata ceduta in qualche modo al marxismo e all’ideologia del progresso, egli l’ha legittimamente rivendicata al Cristianesimo”. Così da confermare il detto capovolgimento: la speranza rivendicata “legittimamente” al Cristianesimo è quella che era stata ceduta, inavvertitamente o colpevolmente, al marxismo e all’ideologia del progresso. Il che significa che la speranza umana del comunismo e della modernità va ricondotta, dicono questi papi, alla sua legittima fonte: il Cristianesimo. Come dire che Cristo sarebbe venuto a confermare la speranza umana, non ad offrire la speranza divina; sarebbe venuto a confermare la speranza naturale, non ad offrire la speranza soprannaturale; si sarebbe incarnato per confermare gli uomini nelle loro illusioni terrene, non per riscattarli da questo peccato d’orgoglio e offrire loro la speranza della vita futura.

In realtà, il Papa conferma che quanto abbiamo capito fin qui delle intenzioni del Concilio era ed è esatto, e adesso, con questa sua puntualizzazione, conferma anche che questa strada tracciata dal Concilio, sancita da Paolo VI, praticata con perseveranza da Giovanni Paolo II, tanto da essere additato come esempio “eroico” ai fedeli, sarà la strada che continuerà a percorrere anche lui.
Lo ribadiamo: la strada che porta al perseguimento delle speranze umane, ormai fatte proprie dal nuovo cristianesimo “rinnovato” dal Concilio.
È questa la chiave di lettura della beatificazione di Giovanni Paolo II.

Ci chiediamo: in che posizione ci veniamo a trovare noi che avanziamo queste critiche nei confronti di un papa che è stato beatificato proprio per i meriti acquisiti con quegli stessi comportamenti e insegnamenti che ci hanno spinto alla critica?
Se questo papa oggi è un beato e domani sarà un santo della Chiesa, è inevitabile dedurne che le nostre critiche erano infondate e ingiuste, fino a far sorgere il sospetto di aver rasentato l’eresia, poiché, dopo questa beatificazione, chi continuasse ad avanzare le stesse critiche di ieri si porrebbe contro la volontà della Chiesa, si porrebbe fuori dalla Chiesa.
Avrebbero quindi ragione coloro che sostengono che molti tradizionalisti in fondo non sono altro che dei “protestanti”?

Questo interrogativo, però, non riguarda solo noi, che forse siamo un po’ troppo rigidi, riguarda anche tanti altri cattolici che in questi anni hanno espresso non poche critiche nei confronti del pontificato di Giovanni Paolo II, e le hanno espresse con tutta l’accortezza e con tutta la preparazione del caso.
Quali sottigliezze sarà possibile inventare, per esempio, per sostenere che nonostante l’adunata di Assisi fosse contraria all’insegnamento cattolico, il Papa che la volle, la sostenne e la esaltò per 25 anni è un santo grazie anche ad essa? O quali argomentazioni teologiche sarà possibile escogitare per convenire con questo Papa che chiunque dev’essere libero di cambiare religione?

A questo va aggiunto che oggi i fedeli cattolici vengono informati, sì dai loro parroci, quando effettivamente li frequentano, ma soprattutto dalla stampa e dalla televisione, da cui apprendono perfino ciò che ha detto e ha fatto il Papa… e tanto loro basta, perché è arcinoto che il 90 per cento dei fedeli non ha mai preso e non prenderà mai in mano il testo di un’omelia o di un discorso del Papa. Perfino nel mondo tradizionale questo costume è ormai diffuso, e non per pigrizia, ma per due principali motivi: le cose da leggere sono troppe, le cose apprese per certe sono troppo poche.

In tale contesto sarà verosimile che molti fedeli tradizionali incomincino a chiedersi se davvero non si debba prendere in considerazione la possibilità che l’insegnamento e l’esempio di Giovanni Paolo II rappresentino realmente lo sbocco naturale e legittimamente cattolico della continuità con la Tradizione.
Questa tesi, sostenuta con forza e con perseveranza da Benedetto XVI, a partire dalla beatificazione di Giovanni Paolo II dovrà essere ricollocata perfino nel quadro della santità cattolica, così che per tutto quello che ha detto e fatto questo Papa non si potrà parlare se non di continuità, di legittime variazioni in continuità con la Tradizione della Chiesa.
Certo, si potranno fare dei distinguo, ma questi potranno riguardare solamente le conseguenze della cattiva interpretazione del Concilio e del pontificato di Giovanni Paolo II, cattive interpretazioni che portano alla rottura, come accade per i modernisti e per i fedeli alla Tradizione come noi. L’insieme, il complesso del Concilio, del post-concilio, del pontificato dei papi del post-concilio, ammetterà solo una lettura, una lettura avallata dalla santità: la legittima continuità tra la Tradizione e le innovazioni sopraggiunte col Concilio e portate avanti dai papi in questi ultimi 45 anni.

Discorso chiuso.

Ogni perplessità e ogni appunto critico, sono destinati a ridurre gli autori a meri “protestanti” che osano mettere in dubbio la santità di Giovanni Paolo II e il carisma di Benedetto XVI, … il che sarebbe quanto di più anticattolico si possa immaginare.

Per dirla in maniera spicciola: a partire dalla beatificazione di Giovanni Paolo II o si ridimensionano tutte le critiche avanzate in questi anni sulla conduzione dottrinale e pastorale della Chiesa o si mantengono.

Nel primo caso,
-    bisognerà rivedere tutte le giustificazioni sulla necessità di mantenere l’uso della liturgia tradizionale, magari cassando quelle relative al bisogno delle anime;
-    bisognerà correggere gli antichi richiami sulla necessaria armonia tra liturgia e dottrina, magari aggiornando la seconda sulla base delle esigenze liturgiche moderne;
-    bisognerà ridimensionare tutte le messe a punto in ordine alla necessità della bellezza intrinseca della liturgia, magari adottando i moderni canoni di bellezza fondati sull’estetica funzionale;
-    bisognerà riconsiderare tutti gli studi sul rapporto intrinseco tra liturgia e architettura religiosa, magari riconoscendo valenza religiosa ai canoni architettonici dei progettisti acattolici o areligiosi;
-    bisognerà reimpostare la catechesi, magari facendo propri i principi dell’autodeterminazione dei fanciulli e dell’autocoscienza degli adulti;
-    bisognerà ammodernare il senso della morale famigliare, magari abbandonando la vecchia concezione del dovere di stato a favore della nuova concezione dei diritti dei genitori e dei figli;
-    bisognerà aggiornare il senso della morale coniugale, magari scoprendo il valore della moderna teologia del corpo rispetto alle esigenze dell’anima;
-    bisognerà ricentrare il concetto di dignità dell’uomo, magari sostituendo al centro divino un punto della circonferenza umana;
-    bisognerà modificare il concetto di libertà dell’uomo, magari riferendosi allo stato paradisiaco dell’uomo fatto a immagine di Dio piuttosto che allo stato terreno dell’uomo decaduto e cacciato dal Paradiso terrestre;
-    bisognerà ridefinire il concetto di uguaglianza tra gli uomini, magari accettando il valore supremo della pari dignità tra veri e falsi credenti e tra santi e peccatori;
-    bisognerà superare l’obsoleta concezione del rapporto gerarchico tra l’uomo e la donna, magari riconoscendo la preminenza del femminile sul maschile;
-    bisognerà riscrivere tutte le obiezioni al concetto conciliare di libertà religiosa, magari scoprendo sorprendentemente che la Chiesa ha sempre insegnato che si può cambiare religione quando si vuole;
-    bisognerà riformulare tutte le argomentazioni sulla a-cattolicità dell’ecumenismo post-conciliare, magari ricercando attentamente la bontà di quest’ultimo nei documenti dei Concili che hanno condannato le eresie;
-    bisognerà sottoporre ad attento esame critico tutte le condanne del Magistero degli ultimi tre secoli, magari rivedendole alla luce delle sacrosante dichiarazioni dei vari diritti moderni, da esse condannati;
-    bisognerà rileggere certi passi del Vangelo sulla distinzione tra potere temporale e autorità spirituale, magari scoprendo che il Cesare di cui parla Gesù Cristo non esiste più e che quindi il potere temporale non deve più sottostare all’imperio di Dio e alle sue leggi;
-    bisognerà rielaborare tutte le secolari distinzioni tra fedeli di Cristo e atei dichiarati, magari incoraggiando tavole rotonde con le quali i cristiani potranno arricchire l’insegnamento ricevuto dalla Chiesa con l’apporto dei convincimenti dei nemici della Chiesa;
-    bisognerà industriarsi per ricercare tutti i punti di dottrina che necessitano di un aggiornamento e di un adeguamento alle esigenze della sensibilità degli uomini del nostro tempo, convenendo che tanti insegnamenti passati, pur essendo un patrimonio da conservare e un tesoro da rispettare, non hanno più alcun valore e vanno abbandonati.
Nel secondo caso, bisognerà prepararsi alla emarginazione in seno alla Chiesa, perché tutte le critiche avanzate in questi anni sul pontificato dei papi conciliari potranno essere oggetto solo di disquisizioni dotte riservate agli iniziati: a coloro che se ne intendono, ai competenti della riforma nella continuità. Giacché sembra che tutti gli altri che non convengono su quest’ultima è quasi certo che non possono dirsi veramente cattolici… anche perché si permettono di osservare che, seguendo tale ipotesi, la pratica della fede continuerà a condurre il mondo cattolico sempre più verso la conciliazione “conciliare” tra gli insegnamenti di Cristo e le suggestioni di Beliar.

Buon lavoro!

Abbiamo torto a pensare che mala tempora currunt …?
atque peiora premunt!

Belvecchio


PS la foto non viene dal sito Intermultiplices

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