ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 17 dicembre 2011

TRA ERMENEUTICHE IN CONFLITTO

P. Serafino Lanzetta e l'Anno della Fede a 50 anni dal Concilio. Tra ermeneutiche in conflitto.

L'ultimo Editoriale di «Fides Catholica» 2 (2011), in uscita, riporta un nuovo articolo di Padre Serafino Lanzetta FI, dal titolo Un Anno della Fede a 50 anni dal Concilio. Tra ermeneutiche in conflitto

Il documento, acquisito anche tra quelli basilari nella colonna di sinistra del Blog, è consultabile attraverso il link. Ritengo sia interessante e utile illustrarne ed estrarne alcuni punti fondamentali, perché oltre ad essere molto centrato sulla problematica dei conflitti di interpretazione dei testi conciliari, ormai non più ignorabili, costituisce un'evoluzione della riflessione sulla vexata questio, consentendone l'ulteriore dipanarsi proprio in vista dell'Anno della Fede indetto da Benedetto XVI per il 2012, collegato - tra l'altro - idealmente con le celebrazioni per il 50 anniversario di apertura della 21ma Assise conciliare.
Viene riproposto il binomio della dottrinarietà e pastoralità, tipico del Concilio, che presenta la difficoltà di non essere sempre esplicito e dal quale nasce la necessità e anche la problematicità nonché i fraintendimenti connessi alla indispensabile ermeneutica. Padre Lanzetta evidenzia che il problema ermeneutico del Vaticano II implica 3 aspetti distinti:
  1. nel concilio ci sono delle dottrine nuove;
  2. queste sono uno sviluppo e/o ri-forma delle dottrine classiche;
  3. il grado dell’asserto magisteriale delle dottrine conciliari.
È per questo che si pone il problema di coordinare continuità e discontinuità. Non si mette in discussione l’autenticità del 21° concilio della Chiesa rispetto ai 20 precedenti, data come presupposta, ma viene reso esplicito il vero problema: in che modo il magistero del Vaticano II si colloca in continuità con quello precedente? Dove si coglie la continuità? Grazie a Mons. Gherardini e alle sue puntualizzazioni sapienti e "di scuola", si deve arrivare ad escludere la soluzione imposta finora di garantire la continuità attraverso le asserzioni conciliari identificatetout court come magistero solenne. Si tratta della posizione di P. Giovanni Cavalcoli e, di recente, di don Pietro Cantoni e di molti esponenti della cultura egemone (cfr. anche i più recenti dibattiti sul tema che coinvolgono anche - ma non solo - la FSSPX). Il magistero diventa così ragione di se stesso; il che non rende ragione delle effettive “riforme” del Vaticano II. E allora, basta esporre una nuova dottrina o invece è necessario radicarla nella Tradizione della Chiesa?

Siamo al “cuore” del problema: coordinare continuità e discontinuità secondo livelli differenti, in modo da leggere una nuova dottrina insegnata dal medesimo soggetto. È proprio qui  che P. Lanzetta coglie il nodo essenziale e formula un completamento del discorso introducendo un elemento interessante:
«la continuità è assicurata dall’unico soggetto che insegna, il magistero, che però non si identifica con la Chiesa e con l’infallibilità totale di essa, rimanendo questa più ampia e includendo ad esempio il sensus fidei del Popolo credente, dunque un’infallibilità in credendo che precede e fonda quella in docendo. È necessario radicare in modo assoluto, oggi più che mai, l’infallibilità del magistero, nelle Verità credute infallibilmente per mezzo della fede, per evitare di scadere in una visione meramente “burocratica”, in cui il soggetto docente diventerebbe l’ultima ragione del porsi della verità stessa. Ci sarà sempre un Küng che potrà inveire contro il monopolio del “potere romano”, dimenticando che la gerarchia è un’origine sacra, scende dall’alto quale munus, ministero, servizio alla Verità».
Dobbiamo esplicitare a questo proposito che il presupposto metafisico del'affermazione è contenuto nel principio di Vincenzo da Lerino, Commonitorium 23: “Nullusne ergo in Ecclesia Christi profectus habebitur religionis? Habeatur plane et maximus. [...] Sed ita tamen, ut vere profectus sit ille fidei, non permutatio. Siquidem ad profectum pertinet, ut in semetipsum unaqueque res amplificetur, ad permutationem vero, ut aliquid ex alio in aliud transvertatur. Crescat igitur oportet et multum vehementerque proficiat [...] intelligentia, scientia, sapientia, sed in suo dumtaxat genere, in eodem scilicet dogmate, eademque sententia”, in; Migne, t. 50, col. 667 e ss
La comprensione e la esegesi del mistero rivelato cresce di continuo anche nella cognizione dei fedeli. Però, il progresso=profectus esplicita, approfondisce ed amplifica l’apprendimento sempre nel rispetto del vincolo di quanto appartiene al dogma, custode fedele e permanente della verità rivelata che, dunque, deve essere presente riconoscibile e riconosciuta nella sua genuità in ogni momento del percorso storico dell'insieme dei docenti e dei credenti. Vale a dire che l'affermazione è giustificata non in sé, ma dalla corretta applicazione del suddetto principio: l'infallibilità in credendo precede e fonda quella in docendo solo nella misura in cui sono entrambe riflesso del Dogma, a sua volta fondato nella Rivelazione originaria, altrimenti si potrebbe cadere nel soggettivismo o nel convenzionalismo. Il dramma sta tutto nello sganciamento, operato dal concilio, del munus docendi da quello dogmatico.

Sono presi ora in considerazione questi due punti:
  1. la nuova forma che assume il magistero nell’ultimo Concilio: un magistero fontalmente pastorale. Infallibile quando? Sempre, o non piuttosto solo quando reitera il dato di fede definitivo? Un magistero solenne/straordinario quanto alla forma ma ordinario autentico quanto all’effettivo esercizio;
  2. i nuovi contenuti, le nuove dottrine. Negare infatti che ci siano delle dottrine nuove e che siano una ri-forma rispetto a quelle di prima, significa non vedere il Vaticano II. Il magistero può insegnare delle dottrine nuove, ma non per il fatto che le insegna sono (automaticamente) infallibili. Non infallibili poi non significa per sé erronee, ma solo non definitive. La non-infallibilità è un giudizio di valore sul grado magisteriale di cui è rivestita (dal magistero) la dottrina insegnata. L’errore è un giudizio logico che si dà ad una proposizione quanto alla sua conformità o meno al vero. Confondere errore (molto spesso tradotto con fallibilità) con non-infallibilità è un’operazione contraria alla logica e alla teologia.
Segue l'articolato esame e valutazione del metodo e dei contenuti confutativi di don Pietro Cantoni nei confronti di Mons. Gherardini, che approfondiremo nel dettaglio nella seconda parte, che seguirà.

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