ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 24 marzo 2011

Che cos'è il modernismo?


 


Eresia o meglio complesso di eresie sorte in seno alla Chiesa al principio del ventesimo secolo sotto l’influsso della filosofia e della critica moderna, con la pretesa di elevare e di salvare la religione e la Chiesa cattolica attraverso un radicale rinnovamento.

martedì 22 marzo 2011

Non ci resta che pregare....e piangere.



Un caloroso plauso al coraggio di padre Scalise che nello stagno del pacifismo di maniera e dell'assisismo a tutti costi (anche a scapito del bene delle anime) ha gettato finalmente un sasso: per il padre non ci resta che pregare: verissimo, però ci viene anche un po' da piangere a vedere gli uomini di chiesa proni su queste posizioni e a dover rimpiangere passate e ingloriose gestioni.

Non ci resta che pregare

Tutti i media stanno giustamente sottolineando la diversità di posizioni a proposito dell’intervento militare della coalizione occidentale in Libia: critiche dall’esterno della coalizione, da parte di chi ha chiesto o almeno non ha impedito la risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza dell’ONU (Lega Araba, Russia, Cina, Germania); divergenze interne alla coalizione stessa (la Norvegia e ora, a quanto pare, anche l’Italia); contrasti fra le forze politiche che pure fanno parte della maggioranza (Lega Nord, la Destra di Storace, Formigoni); perplessità espresse da opinion leaders non certamente di sinistra (Ferrara, Sgarbi). Qualcuno potrebbe pensare che sia quanto mai inopportuno essere divisi in un momento come questo, che richiederebbe la massima unione. Personalmente, invece, ritengo molto positivo che si sentano tante voci dissonanti: segno che non tutti hanno messo il cervello all’ammasso; segno che la propaganda di regime (non mi riferisco a un’inesistente “regime” italiano; ma a quello, senza volto ma reale, che controlla le nostre esistenze a livello globale) non è ancora riuscita a farci il lavaggio del cervello; segno che la “controinformazione”, che finora si diffondeva sotterraneamente attraverso internet, incomincia ad affiorare e a raggiungere almeno le persone piú attente, che non si accontentano dell’informazione ufficiale, quella controllata dai poteri forti e convogliata attraverso i giornali e la televisione.

Ebbene, mentre prendo atto con soddisfazione di questa dialettica che si sta sorprendentemente facendo strada nel mondo laico, rimango basito dall’atteggiamento della Chiesa e del mondo cattolico. Se ne può avere un breve resoconto nell’articolo pubblicato oggi su Europa. A parte le due lodevoli eccezioni del Vicario apostolico di Tripoli, Mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, e del Vescovo di Pavia, Mons. Giovanni Giudici, Presidente di Pax Christi, si ha l’impressione che il resto della Chiesa, soprattutto a livello di CEI e di Santa Sede, o si è completamente appiattita sulle posizioni della coalizione o, presa alla sprovvista, si dimostra incapace di prendere un’iniziativa a livello diplomatico, o anche solo di elaborare un’autonoma analisi della situazione.

Capisco che il Card. Angelo Bagnasco, Presidente della Conferenza episcopale italiana, sia anche un generale dell’Esercito italiano (in quanto ex Ordinario militare), ma mi sembra inconcepibile che possa sposare in maniera totalmente acritica le tesi della coalizione. Come si fa ad accettare, senza neppure una venatura di dubbio, le motivazioni ufficiali, quando non ci crede piú nessuno, neppure coloro che fanno parte della coalizione, i quali, con una certa onestà, ammettono la presenza di altri interessi. Non credo che il cristiano debba essere un ingenuo: è vero che Gesú ci ha detto di essere semplici come le colombe, ma ci ha anche detto di essere prudenti come i serpenti. Ovviamente, la linea del Presidente della CEI si riflette su quella di Avvenire. Andatevi a leggere lo, a dir poco, sconcertante articolo di fondo di oggi, e vi farete un’idea della posizione assunta da quello che dovrebbe essere il quotidiano dei cattolici italiani.

Se poi passiamo alla Santa Sede, si ha l’impressione che abbiano avuto un totale black-out dell’informazione nei giorni scorsi. A parte le parole, necessariamente misurate, del Santo Padre all’Angelus di domenica scorsa, tutto tace. Provate a sfogliare L’Osservatore Romano di oggi: un’anodina cronaca in prima pagina (“Terzo giorno di raid”) e un altrettanto amorfo resoconto in terza pagina (“L’impegno della Lega araba decisivo per l’Onu”), dove si riportano, fra gli altri, i pareri del Presidente Napolitano (se lo sarebbero potuto risparmiare), del Card. Bagnasco e di Pax Christi. Dell’intervento di Mons. Martinelli, ne verbum quidem. E la Segreteria di Stato, che fa? Possibile che la Santa Sede non abbia niente da dire? Possibile che la diplomazia vaticana non abbia alcun ruolo da giocare? Possibile che si debba assistere a una guerra in maniera del tutto passiva, come se si trattasse di un intervento dei vigili urbani per regolare il traffico?

Certe volte mi viene da rimpiangere la gestione Sodano, che avrà pure preso le sue cantonate (vedi Jugoslavia), ma è stata capace anche di opporsi risolutamente (qualcuno direbbe “profeticamente”) alle guerre del Golfo, pagando poi un prezzo assai alto (la campagna antipedofilia in America è stata una chiara ritorsione per l’atteggiamento assunto in quelle occasioni dalla Chiesa).

Ma quel che mi lascia piú attonito è l’incoerenza fra i fiumi di parole sulla pace, che dobbiamo sorbirci ogni anno il 1° gennaio, e l’incapacità di assumere un seppur minimo atteggiamento critico nel momento in cui scoppia una guerra. Continuiamo a condannare le guerre del passato oppure i lontani conflitti locali; ma non appena sono coinvolte le “grandi potenze”, diventiamo tutto d’un tratto muti. Se poi le vergogne dell’intervento militare (pardon, “umanitario”) sono coperte dalla foglia di fico di una risoluzione ONU, allora tutto sembra permesso.

Non ci resta che pregare

sabato 19 marzo 2011

topi in trappola?

sabato 19 marzo 2011

la trappola della “continuità”...


Joseph Ratzinger ha dichiarato riguardo alle divergenze avute nel post-concilio con Küng e Rhaner: «Non sono cambiato io, sono cambiati loro» (V. Messori - J. Ratzinger, Rapporto sulla Fede,Cinisello Balsamo, San Paolo, 1985, p. 15).
Giovanni Miccoli conferma: «Più volte [Ratzinger] ha insistito sullasostanziale continuità del suo pensiero teologico» (G. Miccoli, In difesa della Fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI,Milano, Rizzoli, 2007, p. 296).









L’«arte» di Paolo VI
Paolo VI denunciò «una falsa e abusiva interpretazione del Concilio, che vorrebbe una rottura con la Tradizione, anche dottrinale, giungendo al ripudio della Chiesa pre-conciliare, e alla licenza di concepire una Chiesa “nuova”, quasi “reinventata” dall’interno, nella costituzione, nel dogma, nel costume, nel diritto» (Dichiarazione conciliare del 6 marzo 1964, ripetuta il 16 novembre 1964). Sempre Paolo VI, nel settembre-ottobre del 1964, durante il periodo “nero” – come lo chiamano i novatori – in cui l’offensiva del Coetus Internationalis Patrum e dei cardinali antimodernisti della Curia romana si fece sentire più fortemente, disse che la “collegialità” doveva essere letta “in connessione con il Concilio Vaticano I” (il quale invece è l’apoteosi del Primato monarchico del Papa e dunque l’esatto opposto della collegialità episcopale), del quale il Vaticano II sarebbe la continuazione logica[1]. Inoltre Paolo VI, in quest’ottica della “continuità”, il 18 novembre 1965 informò il Concilio che «sarebbe stata introdotta la causa di beatificazione di Pio XII e Giovanni XXIII»[2] definiti entrambi “eccelsi e piissimi e a noi carissimi”.

Il giorno 10 marzo ricorre l’anniversario della morte di mons. Francesco Spadafora. Raccomandiamo l’anima di questo intrepido difensore della Santa Madre Chiesa alle preghiere dei nostri associati.

Jan Grooaters ci spiega che «una delle maggiori preoccupazioni» di Montini (ancor arcivescovo di Milano, ma prossimo all’elezione pontificia) «fu la preparazione dei fedeli, ma soprattutto dei preti, alla ricezione del Concilio: più di altri, egli aveva già allora compreso che il destino del Vaticano II si sarebbe giocato negli sviluppi post-conciliari»[3]. Divenuto Papa, una delle ipoteche di cui «avvertiva il peso con particolare acutezza era rappresentata dalla necessità di riformare la Curia romana, di convertirla in qualche modo al Concilio, ma nello stesso tempo di rassicurarla… […]. Gli toccò a volte svolgere un compito di sentinella, tenendo, in alcune circostanze, rapporti più stretti con l’opinione pubblica della Chiesa che con il Concilio e la Curia mostrandosi più unito alle “retrovie” che alla “prima linea” dove si svolgeva la battaglia per assicurare il più possibile la continuità richiesta dal post-concilio. […]. Prevedendo le future cause di tensione, Paolo VI volle dare all’attuazione del rinnovamento un ritmo per quanto possibile uniforme, esortando i ritardatari ad affrettare il passo emoderando l’impazienza di chi voleva troppo precorre i tempi. […] il Papa appariva preoccupato di fare qualche concessione alla corrente minoritaria [cioè agli anti-modernisti], per ottenere nella votazione finale un risultato il più possibile vicino all’ unanimità morale. […]. All’inizio del quarto ed ultimo periodo del Concilio (settembre del 1965), si avvertì che l’azione del Papa aveva assunto un carattere più direttivo, parallelamente all’indebolirsi della leadership della corrente maggioritaria [cioè dei modernisti]. Si disse allora che “gli eroi erano stanchi” e che i vescovi desideravano tornarsene a casa. […]. Si deve a Paolo VI il merito […] di aver agito in senso “più progressista” di quanto facesse la maggioranza dei vescovi dell’assemblea conciliare. […] bisogna riconoscere che uno dei meriti principali di Paolo VI nei confronti del Vaticano II consistette nel preparare le condizioni per una sua attuazione che si prolungasse nel tempo e che fosse quindi conciliabile con il contesto e gli usi di tutta la Chiesa. In conclusione, Paolo VI sembra che abbia soprattutto cercato di tradurre l’evento conciliare in istituzioni»[4]. Papa Montini nel Discorso al Sacro Collegio dei Cardinali del 23 giugno 1972denunciò ancora una volta una falsa interpretazione del Concilio, che avrebbe voluto una rottura con la Tradizione.

Giovanni Paolo II sulla scia di Paolo VI
Un anno dopo la sua elezione, nel suo viaggio in Messico compiuto a cavallo tra il gennaio e il febbraio del 1979, durante la Conferenza dell’Episcopato Latino-Americano a Puebla Giovanni Paolo II parlò del Concilio nell’omelia tenuta il 26 gennaio nella cattedrale di Città del Messico. Papa Wojtyla sottolineò l’importanza di studiare i Documenti del Concilio Vaticano II, affermando che in essi non si trova «come pretendono alcuni una “nuova Chiesa”, diversa od opposta alla “vecchia Chiesa”. […]. Non sarebbero fedeli, in questo senso, coloro che rimanessero troppo attaccati ad aspetti accidentali della Chiesa, validi nel passato ma oggi superati. Così come non sarebbero neppure fedeli coloro che, in nome di un profetismo poco illuminato, si gettassero nell’avventurosa e utopica costruzione di una “nuova Chiesa” cosiddetta “del futuro”, disincarnata da quella presente»[5].
Nella sua visita pastorale in Belgio il 18 maggio 1985 Giovanni Paolo II denunciò che alcuni il Concilio «lo hanno studiato male, male interpretato, male applicato», causando «qua o là scompiglio, divisioni»[6] e nel Sinodo Straordinario del novembre-dicembre 1985 affermò: «Il Concilio deve esserecompreso in continuità con la grande Tradizione della Chiesa […]. La Chiesa è la medesima in tutti i Concili (Ecclesia ipsa et eadem est in omnibus Conciliis[7].
Nel libro-intervista con Vittorio Messori Varcare le soglie della speranza del 1994 (Milano, Mondadori) a pagina 171 Giovanni Paolo II afferma che occorre «parlare del Concilio, per interpretarlo in modo adeguato e difenderlo dalle interpretazioni tendenziose». Durante il Giubileo del 2000 ritorna sul tema e precisa la necessità di superare «interpretazioni prevenute e parziali che hanno impedito di esprimere al meglio la novità [sic] del magistero conciliare»[8]. Infine spiega che «l’ insegnamento del Vaticano II, deve essere inserito organicamente nell’ intero Deposito della Fede, e quindi integrato con l’insegnamento di tutti i precedenti Concili e Insegnamenti pontifici»[9].
In breve, Giovanni Paolo II manifesta la stessa preoccupazione di “convertire al Concilio” e al tempo stesso di “rassicurare” i cattolici sulle novità del Concilio che era stata già di Paolo VI.

Ratzinger: “Non sono cambiato io
Come si vede, “l’ermeneutica della continuità” è vecchia come il Concilio, al quale il giovane teologo Joseph Ratzinger partecipò in qualità di perito del card. Frings con spirito del tutto innovatore. Basti pensare che collaborò alla stesura del discorso di Frings su ‘le fonti della Rivelazione’, nel quale il cardinale di Colonia sostenne la teoria dell’unica fonte[10] (il Sola Scriptura di Lutero) contro lo schema approntato dalla “Commissione preparatoria”, che, riprendendo le definizioni dogmatiche, irreformabili e infallibili, di Trento (sess. IV, DB 783) e del Vaticano I (DB 1787), riaffermava la dottrina tradizionale sulle due Fonti della Rivelazione.
Anche per ‘la collegialità episcopale’ – scrive Alberigo – «efficacissimo fu l’intervento del card. Frings,per il quale è legittimo supporre il contributo del suo teologo Ratzinger. Si trattò forse del discorso più incisivo dal punto di vista critico, giacché demoliva lo schema della Commissione preparatoria»[11]. Storico è lo scontro (8 novembre 1963) che ebbe Frings con Ottaviani sulla “collegialità”, e che indurrà «Paolo VI a chiedere a Jedin, Ratzinger e ad Onclin alcuni pareri sulla riforma della Curia»[12].
Ora, Ratzinger ha dichiarato, e ci ha avvertito, riguardo alle divergenze avute nel post-concilio con Küng e Rhaner: «Non sono cambiato io, sono cambiati loro»[13] e il professor Miccoli precisa: «più volte [Ratzinger] ha insistito sulla sostanziale continuità del suo pensiero teologico»[14]. Quindi non vi è cambiamento sostanziale di rotta tra Ratzinger giovane perito conciliare e Ratzinger anziano Prelato di Curia e Pontefice: la collegialità, un’unica fonte della Rivelazione, il giudeo-cristianesimo, la “libertà” delle false religioni fanno ancora parte del pensiero teologico di Benedetto XVI[15]. Perciò non deve meravigliare la sua affermazione sull’impiego dei profilattici, quale inizio della “moralità” dell’atto sessuale con “prostituti”, anche se il loro uso (senza parlare dell’ omosessualità, che è un peccato contro natura) non è ammesso dalla Chiesa (Luce del mondo, Città del Vaticano, LEV, 2010).



[1] G. Alberigo, Breve storia del Concilio Vaticano II, Bologna, Il Mulino, 2005, p. 128.
[2] G. Alberigo, op. cit., p. 148.
[3] J. Groaters, I protagonisti del Concilio Vaticano II, Cinisello Balsamo, San Paolo 1994, p. 55.
[4] Ivi pp, 57-65..
[5] Insegnamenti di Giovanni Paolo II, II, 1979, (gennaio-giugno), Città del Vaticano, LEV, p. 151.
[6] “Discorso all’episcopato belga”, 18 maggio 1985, in “Il Regno Documenti”, Bologna, Edizioni Dehoniane, XXX, 1985, p. 328.
[7] Sinodo Straordinario Ecclesia sub verbo Dei mysteria Christi celebrans pro salute mundi, Relatio finalis, in “Enchiridion Vaticanum”, Bologna, Ed. Dehoniane, 9, 1983-1985, nr. 1785, p. 1745.
[8] “Il Regno Documenti”, Bologna, Ed. Dehoniane, XLV, 2000, p. 232.
[9] “Sinodo dell’Arcidiocesi di Cracovia del 1972”, citato in G. Miccoli, In difesa della Fede. La Chiesa di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, Milano, Rizzoli, 2007, p. 25. Sul Sinodo di Cracovia del 1972 cfr. B. Lecomte, Giovanni Paolo II, Roma, La Biblioteca della Repubblica, 2005, pp. 207 ss. e G. Weigel,Testimone della speranza. La vita di Giovanni Paolo II, Milano, Mondatori, 2005, pp. 252 ss.
[10] A. S., vol. I, cap. 3, pp. 34-35 e 139.
[11] G. Alberigo (diretta da), Storia del Concilio Vaticano IILa formazione della coscienza conciliare, ottobre 1962-settembre 1963, Bologna, Il Mulino, 1996, vol. II, p. 361.
[12] H. Jedin, Storia della mia vita, Brescia, 1987, pp. 314-315; J. Ratzinger, Das Konzil auf dem Weg.Rückblick auf die zweite Sitzungperiode, Köln, 1963-66 (tr. it., 1965-67), 4 voll., pp. 9-12.
[13] V. Messori- J. Ratzinger, Rapporto sulla Fede, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1985, p. 15.
[14] G. Miccoli, cit., p. 296.
[15] Cfr. Bernard Tissier de Mallerais, L’étrange théologie de Benoit XVI. Herméneutique de continuité ou rupture?, Avrillé, Le Sel de la terre, 2010.