ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 12 agosto 2012

Teologia per polli..!


Notimex | El Universal
Que el explorador marciano encuentre indicios de vida en Marte significaría no sólo un avance científico sino también una reformulación de preceptos religios. La sonda marciana Curiosity y la posibilidad de que recupere huellas de una verdadera evolución biológica significará (...)

SUL COSTO STRABILIANTE DELLA «CURIOSITY» SU MARTE



L’EDITORIALE DEL VENERDI

di Arai Daniele
Si dica subito che anche questa prodezza dell’intelligenza tecnologica è strabiliante. È dimostrazione, però, derivata da un’altra precedente: dell’intelligenza umana creata. Ora, chi sa che l’intelligenza umana è stata creata, sa anche che lo fu per una suprema ragione. A questo punto il più alto obiettivo di tale intelligenza è di conoscere la sua ragion d’essere.
Poiché il bene è la realizzazione dell’essere; solo alla luce di questa ragione l’intelligenza di ognuno è in grado di modellare la propria vita per compierla; a sviluppare le proprie potenzialità per l’alto fine per cui fu creato.
Ecco la conoscenza a servizio dell’intelligenza, mirante alla sapienza.

Se, al contrario, l’intelligenza per la conoscenza umana è indirizzata come fine a sé stessa, rischia di percorrere la via inversa; di allontanarsi dalla sua ragion d’essere.
Incorre questa prodezza del «Curiosity» su Marte in questo rischio?
Avvicina o allontana la verità sull’intelligenza creata col cercare la sua auto-evoluzione?
Tale scientismo, infatti, ha fatto il suo corso partendo dall’idea che la necessità e l’uso hanno fatto evolvere l’organo.
Poi i suoi fautori si sono calmati perché il cervello umano ha un suo sviluppo slegato dalle necessità vitali e di un uso mai raggiunto da nessun cervellone; confondevano la conoscenza acquisita con la capacità di conoscere.
Infatti, non c’è notizia che qualcuno abbia utilizzato il cervello in pieno; ma nemmeno a 20% della sua innata capacità. Se lo utilizziamo solo in parte, da dove viene il resto? Da quale evoluzione dovuta all’uso o alla necessità? Di andare alla Luna o a Marte?
Anche per capire il «bossone» alla radice della materia che ci circonda e di cui è fatto il nostro corpo, quanto è stato possibile impiegare di cervello? Non molto, perché si è sempre a meno della metà della mezza via della sua segreta equazione.
Anzi, non la si capisce neppure elaborata da un’«Intelligenza» che supera ogni immaginazione!
Nella spedizione del «Curiosity» verso Marte, sembra che l’essere umano stia per toccare la chiave per scoprire se vi sono altre vite e intelligenze nell’immenso universo.
Una conquista tecnologica strabiliante, ma fondata su una ragione intellettiva piuttosto vana: che la vita derivi dalla materia, in particolare dall’acqua in condizioni speciali.
Dalla «madre Terra» starebbero evolvendo verso la «dea acqua»!
Così, predomina la deduzione per cui l’intelligenza umana sarebbe prodotto di una evoluzione «creatrice» che, per caso, «crea» il più a partire dal meno; processo fisicamente impossibile, ma illuministicamente voluto e istituito!
Molti scienziati cercano la verità sull’atomo terreno e sulla vita nello spazio, ma spesso dimenticando che lo stesso pensare trascende ogni tecnologia e la vita umana, se non viene dallo Spirito, certamente non deriva da un potere decisionale dell’uomo.
Tanto, a cosa servirebbero le decisioni senza la coscienza del «fine» della vita?
Allora, pure la multimiliardaria prodezza della NASA per trovare tracce della vita su Marte e da queste nello spazio siderale; cioè, di un possibile legame vita-materia, è inutile di fronte al destino umano, la cui universale domanda è ben più seria: che sarà di noi dopo l’inevitabile estinzione della vita animata del corpo materiale?
Certo, non è questa la logica delle ricerche attuali, ma si confessi che esse possono anche allontanare dalle verità che contano per gli esseri umani: farci credere in una super intelligenza caotica che, quanto più si cercata, meno risponde con certezze, poiché esclude la vera questione, ossia, dell’ordine naturale e divino che tutto regge.
Questo il «costo» di cui si dovrebbe parlare, più del costo materiale ed economico.
Quest’ultimo già si sa com’è creato dal nulla e non per caso con la moneta che circola abbondante in ogni angolo della terra.
Ebbene, quando nelle competizioni si usano mezzi «esasperati» per raggiungere una meta; la conquista di una medaglia e di un podio, ciò è classificato di «dopping». Senz’altro ciò può portare a dei risultati straordinari, ma che sono come luccichio effimero, mentre tale costo comporta conseguenze che durano.
Non hanno lo stesso effetto di fugaci bagliori artificiali certe «conquiste» spaziali?
Se queste multimiliardarie imprese mirano a scoprire o a inventare una vita che risulti dal caso o dal caos, allora è la stessa intelligenza degli addetti a tale «scientismo» che sceglie d’essere orfana di quella logica preservatrice dell’ordine e sanità mentale.
Per essa la vita è semplicemente dono del Creatore.
Lo negano? Niente di nuovo! Tale disordine governa oggi il mondo in ogni campo.
In quello della scienza da qualche tempo predomina lo «scientismo», spacciato per scienza.
Uno sciagurato esempio di scientismo evoluzionista.
 «Nel 1904 Ota Benga, un capo-famiglia pigmeo di ventitré anni, venne catturato nel Congo belga dall’esploratore Samuel Verner, in Africa per conto delle fiera di Saint Louis. Già schiavizzato da un’altra tribù, Benga venne portato in America dai paleontologi evoluzionisti americani per esibirlo in uno show insieme ad alcune scimmie, come “anello mancante” tra lo scimpanzé e l’uomo. Il dipartimento di Antropologia dell’Università di Saint Louis, in nome di Darwin, gli affiancò nella gabbia alcuni asiatici e pellerossa, per dimostrare che il bianco anglosassone era il prodotto più nobile della scala evolutiva». William Hornaday, direttore dell’American Museum of Natural History di New York lo portò poi nello zoo del Bronx, dove fu tenuto in gabbia con un gorilla e un orango. Alcuni ministri di culto protestarono vanamente. «Ma per la disperazione un giorno Benga preferì togliersi la vita». Cfr. Giulio Meotti, «Il processo della scimmia», Lindau, pp. 39-40 (Da Antidoti di Rino Cammilleri).
Ecco il disordine mentale assassino che si è permesso di governare il mondo in nome delle teorie scientiste di moda, com’era allora la «conoscenza evoluzionista»!
Contro di essa si manifestarono con forza i Papi cattolici dichiarando, in tal caso, la certezza dell’origine unica, ossia, monogenica, della specie umana, contro i deliri dello «scientismo» del progresso irreversibile dell’uomo evoluto.
Si dica, però, che esso è di casa anche nella nuova chiesa del Vaticano II, dopo che i suoi «papi conciliari» esternarono smisurata venerazione per tale progresso.
Senza parlare di Giovanni 23 e di Paolo 6, che adeguarono il loro conciliabolo al progresso dei tempi, Giovanni Paolo 2, da subito tributò significativo omaggio ad Einstein, accentuando la collaborazione tra religione e scienza moderna secondo la sua «Gaudium et spes» certifica con l’“l’autonomia legittima della cultura e specialmente delle scienze” nella funzione investigativa della verità iscritta nella creazione.
Il problema è che tale «autonomia culturale e scientista» è, a ogni piè sospinto, punto di partenza per negarela Creazione. Così, cotanta simpatia è servita a dare il via alla gran corsa verso deliri «ultraterreni»; ad accelerarla senza la guida di una visione di stupore di fronte alla Creazione e all’Intelligenza misericordiosa in rapporto agli errori e miserie umane. Tutto verso una curiosità umana deviata che può avere un costo abissale per le anime portate a credere che gli uomini si avviino a un divenire divino di creatori, pure della mega-religione ecumenista più universale della Cattolica, per essere finalmente come dèi! Si ricade sempre nella superbia della disgrazia originale!
Insomma, lo strabiliante successo della «Curiosity» su Marte specchia un progresso tecnologico che allontana più che avvicina a un’edificazione spirituale dei popoli.
La ragione è semplice: la mentalità che associa la vita alla materia è comunque di segno materialista, aperta alla valorizzazione del materiale e terreno con l’alienazione di quanto è spirituale e ci trascende; è piuttosto di basso segno edonista.
Eppure, tutta la massa dell’universo è ordinata al piano superiore della vita, per cui un filo d’erba del campo sta al disopra della più grande stella; questa esiste per quella vita e non il contrario. Così come tutta la vita esiste per l’anima umana la cui intelligenza si manifesta a immagine e somiglianza del Creatore di tutto.
Non c’è bisogno di partire verso lo spazio siderale per capirlo; possiamo scoprirlo nei nostri piccoli, nel prossimo, in noi stessi, con le luci dateci da Dio.
La tecnologia aliena alla verità sull’uomo è vettore per abortire l’uso del buon senso e con questo, anche nelle vite germinate nel cielo materno, la vera civiltà.
Con quest’altra, l’uomo può impossessarsi d’ogni sasso della Luna e di tutti i tesori segreti di Marte; inutilmente se perde il vero bene dell’anima.
L’anima spirituale della persona umana, creata da Dio Uno e Trino nelle persone divine, è il vero bene al centro di tutto l’universo; niente in esso la supera.
Sarà troppo tardi per ricordarlo a Darwin o ad Albert Einstein.
Comunque si può ancora dirlo agli scienziati e a tutti: non c’è bisogno di tutta questa super complessa operazione marziana e siderale per conoscere l’essenziale riguardo alla vita, all’intelligenza e alle sue capacità, ma specialmente alla dignità della persona umana. Da sempre e già un secolo fa, si poteva saperlo anche da Ota Benga.
Pare un’occasione mancata!
http://www.agerecontra.it/public/press20/?p=12280


infatti...!


temponuovo.net: L'Osservatore Romano su Marte e vita cosciente
Curiosity e la sua sfida
Fantastica impresa quella realizzata dagli scienziati e ingegneri della Nasa che sono riusciti a depositare con precisione millimetrica il veicolo Curiosity sulla superficie di Marte. Non è il primo rover a scendere sul pianeta rosso, ma la novità, gravida di conseguenze, sta nella tecnologia adottata. Per la prima volta, dopo la consueta discesa balistica nell’atmosfera di Marte e il rallentamento della velocità di caduta per mezzo di un grande paracadute, Curiosity è stato calato dolcemente sul suolo marziano da una sorta di “gru spaziale”, capace di mantenersi stabilmente a pochi metri di altezza grazie a un sistema di razzi.
Curiosity mentre preleva campioni di roccia (simulazione digitale diffusa dalla Nasa)Eseguito il delicato compito, la gru si è allontanata per scendere a circa mezzo chilometro di distanza in modo da non interferire con le prossime attività del rover.
La perfetta riuscita della sequenza di ingresso nella tenue atmosfera marziana e del successivo «atterraggio» morbido e controllato di un veicolo pesante — Curiosity pesa quasi 900 chili — non è motivo d’orgoglio solo per il fatto in sé, ma perché apre la strada alla sistematica esplorazione del pianeta Marte. Forse le affermazioni entusiastiche di questi giorni — astronauti americani su Marte entro il 2030 — sono eccessivamente ottimistiche: sarà necessario risolvere prima il problema del deperimento muscolare degli astronauti conseguente a una permanenza di diversi mesi in assenza di gravità e trovare il modo di proteggerli dalla micidiale radiazione cosmica cui sarebbero inevitabilmente esposti durante il tragitto interplanetario. Sicuramente però il successo odierno permette di prevedere l’invio di complessi laboratori robotici in situ, capaci di compiere analisi sempre più approfondite e differenziate del suolo marziano. Le motivazioni scientifiche di queste missioni e delle future, che cercheranno tra l’altro di riportare a Terra dei campioni di materiale marziano, sono evidenti: si cercano le tracce di una evoluzione biologica su un pianeta che nel nostro sistema solare occupa, anche se marginalmente, la cosiddetta “fascia abitabile”, cioè quella zona, né troppo vicina né troppo lontana dalla stella centrale, che permette il mantenimento per tempi lunghi (miliardi di anni) di condizioni favorevoli allo sviluppo di strutture molecolari complesse. Un indizio anche minimo di un tale sviluppo su un pianeta diverso dalla Terra avrebbe conseguenze rivoluzionarie perché, coniugato con la scoperta che un sistema planetario attorno ad una stella è la norma più che l’eccezione – ad oggi sono stati individuati 784 pianeti extrasolari – significherebbe che l’emergere della vita nel cosmo, al pari di molte altre «emergenze», è una caratteristica globale piuttosto che una unicità terrestre.
Si tratterebbe di una rivoluzione non solo scientifica, ma che, al pari di quella “copernicana”, coinvolgerebbe appieno la filosofia e la teologia. Soprattutto quest’ultima, di fronte al clamore mediatico generato da Curiosity, dovrebbe riflettere subito sulle conseguenze di una sempre più plausibile panspermia cosmica. Non si tratta di affermare semplicemente, come già più volte è stato fatto, che eventuali esseri coscienti extraterrestri sarebbero comunque nostri fratelli (ci mancherebbe!), ma di analizzare coraggiosamente, sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite nell’ultimo mezzo secolo sulla evoluzione globale del cosmo, se la panspermia non sia addirittura una “necessità” teologica.
In un suo recente libro, il biologo e filosofo Francisco Ayala, afferma che se il nastro dell’evoluzione biologica sulla Terra venisse riavvolto e fatto ripartire, quasi sicuramente non darebbe origine alla stessa evoluzione che oggi conosciamo attraverso la storia fossile del nostro pianeta. Molto probabilmente non farebbe emergere qui, sulla Terra, la coscienza. Un universo privo di vita è ammissibile dal punto di vista teologico? Se noi crediamo, mantenendo fede al messaggio evangelico, che la creazione sia un atto libero di amore, che attende con impazienza di essere riconosciuto come tale dal creato, allora la coscienza “deve” emergere nel cosmo.
Non importa che questo avvenga sulla Terra o su un altro pianeta o satellite, né, come afferma con misurata ironia britannica il teologo John Polkinghorne, che essa si manifesti in un essere con due mani di cinque dita ciascuna. Ciò che conta per l’economia del creato è che la coscienza cosmica emerga comunque e abbia la possibilità di intuire razionalmente il suo essere «creatura»; che possa quindi accettare (o negare) liberamente la rivelazione dell’intima natura trinitaria della creazione, quale processo attuativo di un amore libero e disinteressato.
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Piero Benvenuti, Università di Padova
11 agosto 2012

http://www.osservatoreromano.va/...

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