Benedetto XVI lascia il pontificato. Ma dopo il ritiro non riavrà la sua privacy. Che l'ingresso in Vaticano ha cancellato.
Parole scaturite dal profondo di un uomo che, proprio nel suo saluto il giorno prima delle dimissioni, ha voluto confidare al mondo quel che provò subito quel 19 aprile del 2005, quando il Conclave lo chiamò alla successione di Giovanni Paolo II: «La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore», aggiungendo che quando una persona indossa la stola pontificale «alla sua vita viene per così dire totalmente tolta la dimensione privata».
I LIBRI E IL PIANOFORTE: INTIME PASSIONI. Ratzinger, uomo riservato e silenzioso a differenza di Karol Wojtyla, ha in questo modo rivelato di aver sofferto molto. Così, negli anni, dalla sua casa di Borgo Pio, quartiere romano a un passo dal Vaticano ma fuori dalle mura leonine, ha nel tempo fatto portare i libri, le carte personali e quel pianoforte che ama suonare e che gli permette di staccare un po' dalle incombenze del soglio. Squarci di vita privata che anche Wojtyla aveva cercato, e tutti ricordano le immagini di Giovanni Paolo II in montagna, in abiti sportivi, mentre si concedeva in incognito una giornata sugli sci, una delle sue passioni della giovinezza.
LA SPETTACOLARIZZAZIONE DELLA MORTE. Ratzinger ha in qualche modo fatto capire che sulle sue dimissioni ha pesato anche il ricordo della spettacolarizzazione della morte del suo predecessore, il quale aveva impostato il pontificato sulla comunicazione clamorosa, rimanendone poi imbrigliato anche nelle sue ultime ore.
Impossibile dimenticare la manata di Wojtyla sul leggio, quando, ammalato, nell'ultima udienza pubblica cercava invano di tirare fuori un filo di voce che il suo corpo spossato non poteva più donargli. La morte del papa come evento, anche nel puntuale racconto da parte dei media di ogni sofferenza e afflizione, sino al rifiuto di un ulteriore ricovero che avrebbe soltanto prolungato l'agonia. E poi le migliaia, forse i milioni di fotografie con i cellulari scattate da fedeli e turisti al corpo di Giovanni Paolo II esposto in San Pietro durante i funerali: i gendarmi vaticani cercarono nelle prime ore di impedire questi ritratti, poi si dovettero arrendere e da quel momento l'immagine del corpo spento del successore di Pietro circolò liberamente tra mms, email e siti web in ogni parte del mondo.
Il precedente: le foto e l'oltraggio a Pio XII
Nemmeno 50 anni prima, la scomparsa di Pio XII era stata accompagnata da una profonda violenza all'uomo, più che alla carica. Nell'autunno del 1958, mentre papa Pacelli giaceva in agonia nel suo letto all'interno del Palazzo apostolico, il suo medico personale nonché archiatra vaticano gli scattò una serie di fotografie, che vennero poi acquistate e pubblicate da alcuni giornali in Francia. Lo scandalo e l'indignazione furono planetari e il dottore, Riccardo Galeazzi Lisi, appartenente a una storica famiglia romana di nobiltà papalina, fu radiato dall'Ordine dei medici italiano e licenziato dai cardinali.
LE CARTE PRIVATE E LE MALDICENZE. Fino all'ultimo, Ratzinger è rimasto nell'incertezza di sapere se i cardinali gli avrebbero concesso di portare con sé nel convento del suo ritiro le carte private, ovvero lettere, documenti e appunti che appartengono all'uomo Joseph Ratzinger e non al pontefice Benedetto XVI: alla fine i porporati hanno detto sì, ma per diversi giorni il papa dimissionario ha rischiato di dover perdere anche questa parte della sua vita, che poteva essere confinata negli archivi segreti insieme con i documenti ufficiali.
C'è voluto un po', perché tra i principi della Chiesa aleggiava il timore che la corrispondenza e gli appunti personali di Ratzinger potessero contenere materiale esplosivo. Come quelle righe trapelate dopo la morte di Giovanni Paolo I, il Papa che sopravvisse appena 33 giorni all'elezione al Soglio.
LA VITA NEI SACRI PALAZZI VATICANI. Pochi giorni dopo il suo insediamento, Albino Luciani chiamò accanto a sé don Germano Pattaro, un sacerdote veneto suo vecchio amico e consigliere. A lui, raccontò poi Pattaro, il papa confidò il suo disagio personale legato alla vita nei sacri palazzi: «Reverendo, qui tutti sparlano di tutti: parlerebbero male anche di Gesù», disse Giovanni Paolo I riferendosi a cardinali, monsignori e personale della Curia vaticana.
I DOCUMENTI PERSONALI DI GIOVANNI PAOLO I. Fu proprio per questa ragione che, quando Luciani morì, la Santa Sede fece circolare la falsa informazione che tra le sue mani era stato trovato un libro religioso, L'imitazione di Cristo, mentre invece – si scoprì più tardi – il papa era deceduto mentre rileggeva alcuni appunti personali scritti la sera prima, al termine di una delicata e tesa discussione con l'allora segretario di Stato, cardinale Jean Villot, a proposito di nomine nei dicasteri vaticani e nello Ior. Quelle carte vennero incamerate dalla Curia e mai rese note, ultima violazione della vita privata di Luciani, perché considerate alla stregua di atti ufficiali e non di note nel diario personale di un uomo che aveva pochissime occasioni per confidare agli amici speranze, gioie, dolori e disagi della sua nuova condizione.
LA PROFEZIA DI GESÙ A PIETRO. Che il papa, ciascun papa, dovesse rinunciare a ogni singola goccia di vita privata era stato annunciato da Gesù a San Pietro: avvenne quando, affidando all'apostolo il compito di guidare il suo “gregge” (i fedeli, la chiesa), Cristo lo avvertì dicendogli che avrebbe perduto la sua libertà, poiché quando sarebbe stato vecchio altri gli avrebbero «cinto la veste» e lo avrebbero condotto «dove tu non vuoi».
LE CARTE PRIVATE E LE MALDICENZE. Fino all'ultimo, Ratzinger è rimasto nell'incertezza di sapere se i cardinali gli avrebbero concesso di portare con sé nel convento del suo ritiro le carte private, ovvero lettere, documenti e appunti che appartengono all'uomo Joseph Ratzinger e non al pontefice Benedetto XVI: alla fine i porporati hanno detto sì, ma per diversi giorni il papa dimissionario ha rischiato di dover perdere anche questa parte della sua vita, che poteva essere confinata negli archivi segreti insieme con i documenti ufficiali.
C'è voluto un po', perché tra i principi della Chiesa aleggiava il timore che la corrispondenza e gli appunti personali di Ratzinger potessero contenere materiale esplosivo. Come quelle righe trapelate dopo la morte di Giovanni Paolo I, il Papa che sopravvisse appena 33 giorni all'elezione al Soglio.
LA VITA NEI SACRI PALAZZI VATICANI. Pochi giorni dopo il suo insediamento, Albino Luciani chiamò accanto a sé don Germano Pattaro, un sacerdote veneto suo vecchio amico e consigliere. A lui, raccontò poi Pattaro, il papa confidò il suo disagio personale legato alla vita nei sacri palazzi: «Reverendo, qui tutti sparlano di tutti: parlerebbero male anche di Gesù», disse Giovanni Paolo I riferendosi a cardinali, monsignori e personale della Curia vaticana.
I DOCUMENTI PERSONALI DI GIOVANNI PAOLO I. Fu proprio per questa ragione che, quando Luciani morì, la Santa Sede fece circolare la falsa informazione che tra le sue mani era stato trovato un libro religioso, L'imitazione di Cristo, mentre invece – si scoprì più tardi – il papa era deceduto mentre rileggeva alcuni appunti personali scritti la sera prima, al termine di una delicata e tesa discussione con l'allora segretario di Stato, cardinale Jean Villot, a proposito di nomine nei dicasteri vaticani e nello Ior. Quelle carte vennero incamerate dalla Curia e mai rese note, ultima violazione della vita privata di Luciani, perché considerate alla stregua di atti ufficiali e non di note nel diario personale di un uomo che aveva pochissime occasioni per confidare agli amici speranze, gioie, dolori e disagi della sua nuova condizione.
LA PROFEZIA DI GESÙ A PIETRO. Che il papa, ciascun papa, dovesse rinunciare a ogni singola goccia di vita privata era stato annunciato da Gesù a San Pietro: avvenne quando, affidando all'apostolo il compito di guidare il suo “gregge” (i fedeli, la chiesa), Cristo lo avvertì dicendogli che avrebbe perduto la sua libertà, poiché quando sarebbe stato vecchio altri gli avrebbero «cinto la veste» e lo avrebbero condotto «dove tu non vuoi».
di Marco Mostallino
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