Dopo lo sgomento, la più tremenda inquietudine. Dopo l'inquietudine, il più profondo raccapriccio.
Il Vescovo di Roma, Card. Bergoglio |
Confermando con orgoglio la nostra nomea di profeta di sventura, alla quale non vogliamo rinunziare nemmeno in queste travagliatissime circostanze, ci apprestiamo a profetizzare le calamità che si abbatteranno su Santa Madre Chiesa a partire dall'infausto giorno in cui, sottraendosi con luciferina presunzione al consiglio vivificatore del Paraclito, i due terzi dei Cardinali riuniti in Conclave sono riusciti ad imporre l'elezione di un progressista al Soglio di Pietro.
Ci avevano provato, sempre con i metodi tipici dei cospiratori, nel precedente Conclave, ma la Divina Provvidenza si era degnata concedere alla Chiesa un Pontefice che, se non ha brillato per combattività nella battaglia contro i principati e le potestà conciliari, quantomeno ha ridato un minimo di dignità e di decoro alla liturgia, liberalizzando quella tridentina e cercando di rendere meno indecorosa quella riformata.
I falliti tentativi di allora sono serviti di lezione alla setta conciliare, che ha saputo cogliere il momento propizio, probabilmente - ma questo ce lo dirà la Storia o lo rivelerà l'Onnipotente - dopo aver spinto Benedetto XVI all'abdicazione. Quando tutto era pronto, essi si sono liberati anzitempo dell'odiato Papa tedesco per allestire la farsa del Conclave e vanificare quanto egli aveva compiuto durante il proprio procelloso Pontificato. Un Conclave in cui entravano Papi personaggi ripugnanti o per collusioni col potere economico e l'associazionismo invasivo di matrice ciellina, o per cointeressenze con il movimentismo ribelle ed eretico di matrice neocatecumenale, o per i forti legami col mondo della cosiddetta cultura e degli altrettanto cosiddetti intellettuali, o infine per le turpi relazioni con la inimica vis e il suo Novus Ordo Saeclorum.
Ovviamente, al risuonar di quei nomi come possibili eligendi al Soglio, si sono scatenate le lotte intestine alle varie cordate, cercando di intralciare per via mediatica o epistolare ora l'uno ora l'altro candidato: corposidossier di meriti o colpe remote e recenti, vere e presunte, sono stati recapitati alla stampa, ma soprattutto ai segretari degli Elettori, con lo scopo di favorire questo o colpire quello. I buoni, i meritevoli, i possibili continuatori della modestissima eredità di Benedetto XVI sono stati estromessi completamente da queste manovre, confermando che nessun Burke, Ranjit o Piacenza avrebbero mai potuto nemmeno ipotizzare di essere ben accetti ai due terzi del Conclave.
I nomi dei favoriti, bruciati al pari delle schede nel camino della più astuta tattica mediatica, hanno deviato l'attenzione dei più - compresi non pochi Eminentissimi - dalla figura di Giorgio Mario Bergoglio, che se solo si fosse ventilata come possibile candidata avrebbe certamente dato modo di provare, al di là di ogni ragionevole dubbio, la sua totale adesione al verbo conciliare e alle sue ancor peggiori deviazioni degli ultimi decenni: pauperismo d'accatto, umiltà speciosa, inclinazione al più stolido ecumenismo mondialista, filogiudaismo eretizzante, irenismo, solidarismo, ostentato fastidio per la santa Liturgia e per lo splendore delle sacre celebrazioni, insofferenza per ogni forma di cerimoniale e protocollo.
Se quel nome fosse stato fatto sin dall'inizio, si sarebbe saputo che il Card. Bergoglio - dietro un'ostentata umiltà di facciata e i ben pubblicizzati viaggi in metropolitana o in autobus per visitare i suoi sacerdoti nelle periferie di Buenos Aires - è acerrimo nemico del Motu Proprio, che ha boicottato senza pudore fino a perseguitare chi osasse indossare l'abito talare; che ha partecipato attivamente a numerosi incontri ecumenici, giungendo a farsi imporre le mani e benedire da pastori di sette eretiche; che ha concesso la Cattedrale per celebrare la Shoa, incontri ecumenici, riunioni partigiane; che ha lasciato la propria Diocesi in condizioni pietose; che le sue omelie e lettere pastorali sono intrise di umanesimo piatto e orizzontale, oltreché infime per visretorica e profondità teologica; che non ha alcuna padronanza delle lingue, tanto sbandierata come indispensabile per un Papa del terzo millennio; che non ha alcuna esperienza di Curia, per cui difficilmente avrebbe saputo districarsi nei meandri dei Sacri Palazzi per sanare e reprimere perniciosi carrierismi e ambizioni al potere; che non è né giovane né forte, come si era auspicato per scongiurare l'eventualità di future dimissioni; che...
Ma perché produrre l'elenco delle malefatte di un Cardinale che doveva rimanere nell'ombra? Così, con l'astuzia che contraddistingue il Princeps mundi hujus, è stato dato rilievo alle istanze dell'America Latina e dei paesi del terzo mondo, usando come fantoccio un altro Confratello in raduni non del tutto clandestini proprio nella Basilica Liberiana. Si sono sponsorizzate le doti manageriali del Protettore di CL, al punto che la Conferenza Episcopale Italiana era così sicura di sé da inviare un telegramma al Papa che auspicava, e non a quello realmente eletto. Si sono esaltate le virtù comunicative e la profonda cultura - sic - del Cardinal Meforio, per il quale lavorava nell'ombra il Martiranese, le cui valutazioni e il cui zelo erano probabilmente annebbiati dalla prospettiva del reintregro e dalla speranza di promozioni.
Ognuno ha lavorato freneticamente per ottenere vantaggi e privilegi, per lasciare la Curia com'è pur raccomandandone ufficialmente una riforma, per incrementare il potere già esorbitante delle conferenze, dei consigli, delle assemblee, dei collegi a detrimento dell'unica potestà sovrana del Romano Pontefice. Nessuno di costoro, ne siamo certissimi, ha pensato nemmeno un istante alla salus animarum, al bene della Chiesa, alla difesa della verità cattolica, alla condanna degli errori dottrinali e morali del secolo presente. Men che meno alla gloria di Dio, il grande Estromesso a partire dal Vaticano II.
In questa squallida e inquietante strategia, coperta da sorrisi ipocriti e petizioni di principio penose, si è concretizzata l'elezione del Card. Bergoglio, qui sibi nomen imposuit Franciscum. Quale presunzione! Si è infranta una consuetudine plurisecolare circa il nome del Pontefice, scegliendone uno che pare quasi usurpato e che suona talmente ipocrita da risultare se non inappropriato, certamente inopportuno.
Inutile stracciarsi le vesti: sappiamo sin troppo bene che questi lanzichenecchi conciliari non solo sono privi delle virtù teologali e cardinali, ma finanche dei più elementari rudimenti della buona creanza e dell'educazione.Et pour cause: la delicatezza d'animo da cui scaturisce un gesto gentile, una parola cortese, trova la propria causa prima nella Carità, cioè in Dio. Viceversa, l'offesa violenta che ferisce l'animo, la cialtroneria dimostrata dai modernisti nei confronti dei loro nemici, la spietata sete di vendetta, il risentimento per l'oltraggio alla loro ridicola folie de grandeur non ha nulla di cristiano, è satanica come satanico è l'orgoglio che li muove.
Ecco allora che, nel segreto della camera lacrimatoria, si perpetrano le prime sopraffazioni sui superstiti di Benedetto XVI, ad iniziare dal Maestro delle Celebrazioni Pontificie, mons. Guido Marini, al quale non sono risparmiate le umiliazioni di veder respinte le insegne del Vicario di Cristo: Sono finite le carnevalate. Un monito che suona di una gravità estrema, poiché unisce l'arroganza del potente che sa di poter finalmente imporre la propria volontà all'umile subalternità del suddito che obbedisce alle norme del cerimoniale. Vae victis.
Eppure ci saremmo immaginati il novello Francesco raccolto in orazione, e poi umilmente obbediente al protocollo romano, timoroso di poter compiere un gesto d'orgoglio nel rifiutare ciò che va ad onore di Cristo e non dell'indegnissimo servus servorum Dei. Quella sarebbe stata umiltà sincera, e in quel gesto si sarebbe potuta cogliere anche la cortesia che il secolo appella istituzionale nei confronti del predecessore, il cui apprezzamento per la sacralità dei riti non è ignoto ad alcuno.
La semplicità artefatta e forzata del Card. Bergoglio è indice di un orgoglio monstre, cosa che accomuna i membri del sinedrio conciliare, al pari della loro villania. Una villania, si noti, che si esplica pavidamente soprattutto verso i più deboli: siano essi un vegliardo confinato in Castelgandolfo o un cerimoniere pontificio schivo e riservato. Mentre verso i potenti veri si alterna la cortigianeria alla complicità tra sodali.
Sull'altro versante, come abbiamo avuto modo di ricordare più volte, la difesa del vero e del bene si trova a doversi confrontare con mille scrupoli, mille timori: pessimi Prelati rimangono al proprio posto certi dell'impunità, per non screditarli dinanzi all'opinione pubblica; abusi intollerabili quali il sacrilegio della Comunione sulla mano non vengono condannati perché approvati in precedenza da mostri sacri dei quali si promuove addirittura la canonizzazione; innovazioni arbitrarie che contrastano con la tradizione millenaria della Chiesa vengono mantenute in vigore tra mille distinguo e timidamente aggiustate solo dopo anni, ad iniziare dalla tavola luterana dinanzi all'altare cattolico, o dai costumi circensi al posto dei preziosi paramenti romani. Usare una mitria di Pio IX, dopo decenni di orrori inauditi imposti sotto Giovanni Paolo II dal suo Maestro delle Cerimonie, viene vissuto come una vittoria sul Turco; tirar fuori dagli armadi del Sacello Apostolico una pianeta ricamata per la Santità di Nostro Signore è un atto eroico; indossare il fanone è causa di Te Deum per l'intera comunità tradizionalista, e serve nientemeno che una conferenza stampa per spiegare e circostanziare i come e i perché di una scelta così ardita. Inutile dire che la fermezza con cui è stato promulgato, pur tra non pochi rinvii e aggiustamenti, il famoso Motu Proprio Summorum Pontificum ha lasciato tutti increduli, ad iniziare dagli stessi sostenitori della Liturgia romana, mentre i fautori della riforma liturgica si mostravano in pubblico con le nere vesti della prefica, gementi e piangenti per l'oltraggio alla venerata memoria di Paolo VI e del loro adorato Annibale Bugnini.
A quei contentini mal tollerati si sono comunque dovuti accompagnare gesti pubblici e solenni di ossequio all'idolo conciliare: visite alle sinagoghe e alle moschee; abbracci con eretici e scismatici; incontri con i capi delle organizzazioni massoniche e mondialiste; incontri di preghiera ad Assisi; pellegrinaggi nei campi di sterminio nazisti e via sciorinando i precepta concilii davanti ai quali nemmeno il Romano Pontefice poteva sottrarsi. Se ci tiene alla mozzetta con l'ermellino, faccia pure: basta che con quella si faccia fotografare assieme ai rabbini o a Kiko Arguelo. E non si permetta di rimetter la tiara sul suo stemma, altrimenti si scatenano le ire della Segreteria di Stato, che a quella tiara non ha mai rinunziato.
Quei timori di Benedetto XVI, quei rispetti ahimè molto umani, quelle prudenze troppo meditate nel compiere anche il più insignificante gesto in senso vagamente conservatore rivelano comunque una cortesia, una signorilità cattolica. Meno cattolica, se ci possiamo permettere, è il tremebondo rispetto per l'eredità del Concilio e di Giovanni Paolo II, sia essa rituale o dottrinale: ogni passo che potesse anche vagamente apparire come in controtendenza rispetto all'assise romana o al Predecessore sembrava compiuto su un tappeto di chiodi, ed era sempre circostanziato e ponderato, o introdotto sub silentio sperando che desse poco nell'occhio. Ma tante precauzioni, che rappresentavano un imperativo categorico per il kantiano professore assurto al trono del Maggior Piero, suscitano disprezzo negli avversari di tutto ciò che sa di cattolico e non contano più nulla non appena si presenta l'occasione di far valere le proprie meschine rivalse.
Ogni timore, ogni rispetto, ogni prudenza viene meno se si tratta della causa progressista: l'arroganza e la cialtroneria impongono i peggiori abusi, fanno strame in pochi istanti di quel che era stato faticosamente riconquistato in anni di paziente attività diplomatica; le vedove Wojtyla reclamano i loro diritti e scalpitano per il proprio scranno in Curia, sgomitano per accaparrarsi i posti resisi vacanti dopo l'abdicazione dell'odiato vegliardo. Sono tutti lì, con le valigie pronte, la veste paonazza o purpurea appena ritirata da Gammarelli, e intanto gongolano in televisione assieme alla miserabile corte degli imi che comandano ai potenti.
Lo spettacolo offerto da questi grotteschi personaggi, forti dell'elezione di uno dei loro, supera ogni immaginazione. La ruffianeria del trivio impallidisce; il servilismo fa mostra di sé nelle versioni più ripugnanti, senza vergogna di apparire interessato e artefatto. E ancora una volta, escono come ratti dai tombini i direttori di emittenti cattoliche, i gazzettieri, i sedicenti teologi e gli intellettuali che erano stati risparmiati alla condanna e al castigo dall'eccessiva indulgenza di Benedetto XVI. I cerimonieri pontifici dovranno cambiare mestiere, sibilano nelle interviste. Le pagliacciate sono finite, annunciano nei telegiornali.
Sia ben chiaro: il valore intrinseco di un fanone o di una pianeta ricamata è praticamente nullo, in sé. Ma il peso che si attribuisce loro da parte dei modernisti è indicativo, perché rivela l'importanza della funzione simbolica - si potrebbe dire anche solo visiva - di queste vesti liturgiche. Paolo VI indossava fanone e pianeta romana, ed era un progressista convinto. Ma dopo la trasformazione dei fasti papali in grottescheperformance tribali, riportarli in auge aveva pur sempre un significato che non era sfuggito ai fautori della riforma e che oggi, senza bisogno di Novendiali, si ritengono in dovere di azzerare, chiudendo l'infausta parentesi ratzingeriana con sdegnosa sufficienza. Miserabili: non sanno nemmeno usar quel minimo di prudenza che avrebbe reso meno indigesta la loro sindrome ossessivo-compulsiva.
Intanto il Nostro, con la delicatezza e l'umiltà che lo contraddistinguono, appare dal balcone con le stesse vesti con cui San Pio X o Pio XII sarebbero andati a passeggio nei giardini vaticani, e ostenta una croce pettorale che sfigurerebbe sul petto di un eremita. Saluta con un borghesissimo Buona sera, omettendo il saluto cristianoSia lodato Gesù Cristo. Parla di sé come vescovo di Roma che presiede le altre chiese nella carità. Il Presidente degli Stati Uniti esulta: è un paladino dei poveri. Il giorno dopo manda per prima cosa un bel messaggio al Rabbino Capo Di Segni, sproloquiando di Vaticano II, dialogo, solidarietà, incontro. Poi celebra Messa nella Sistina e fa erigere il contraltare, rimosso dal predecessore. Poi predica a braccio dall'ambone, senza mitria, come un Vescovo ausiliario terrebbe un fervorino ai boy scouts. Indossa una casula mediocre e alla Consacrazione non genuflette per adorare il Corpo e il Sangue di Nostro Signore. Che umiltà: rimanere in piedi dinanzi all'Augusto Sacramento.
Il Gran Maestro del Grand'Oriente d'Italia non nasconde il proprio entusiasmo di massone:
Ecco serviti tutti gli ingredienti del cocktail conciliare: fraternità, dialogo, confronto con il mondo contemporaneo, primavera del Vaticano II, annuncio di una nuova umanità, dialogo con la Massoneria, progresso dell'umanità. Una pozione mortale che viene imposta dalla setta conciliare alla Chiesa di Cristo, sapendo che se essa berrà questo amaro calice ne morirà tra atroci tormenti.
Un cocktail, ricordiamo, che altri in precedenza avevano preparato più o meno volentieri annacquandolo, per timore delle sue conseguenze, ma senza gettare la ricetta e denunciarne gli effetti. C'è troppo ecumenismo, diceva qualcuno. Si sente il retrogusto della massoneria, si lamentavano altri. Bisognerebbe insaporirlo con qualche goccia di Tradizione, consigliavano gli ingenui.
Il barman Bergoglio, appena assunto nel tabarin conciliare, si appresta a versare gli ingredienti nello shaker e sembra che non abbia bisogno di istruzioni: conosce perfettamente la ricetta e le dosi. A quella e a queste si atterrà meticolosamente: deve dimostrare di essere all'altezza del compito affidatogli da chi lo ha ingaggiato. E deve farlo in fretta, altrimenti lo licenziano e mettono un altro al posto suo.
Ma sappia costui che, a dispetto dell'obbedienza ch'egli potrà indebitamente pretendere nell'imporre la propria volontà contro il bene della Chiesa e gli insegnamenti di Nostro Signore, troverà oggi una opposizione più consapevole in quanti, grazie a Benedetto XVI, hanno potuto intravvedere nella Liturgia romana uno spiraglio della maestà cattolica che è stata loro negata dal Vaticano II. Questi Vescovi, questi sacerdoti, questi chierici, questi fedeli non rinunceranno ai diritti che sono loro stati riconosciuti, solo perché così talenta al potente di turno.
L'era delle prevaricazioni e delle persecuzioni non è più un'eventualità del futuro prossimo: essa è presente ed è iniziata il 13 Marzo, ma con essa si moltiplicheranno le grazie celesti su quanti non sono disposti ad apostatare la Fede in nome del moloch conciliare. Confidiamo che nel novero di questo pusillus grex si possano contare anche alcuni Cardinali e Prelati che sinora avevano ritrovato il coraggio di combattere il bonum certamen. Durante il Pontificato di Benedetto XVI questo richiedeva meno eroismo: avremo modo di capire se oggi esso si accompagnerà alla perseveranza finale. E vedremo anche se il Papa emerito leverà la voce, quando lo richiederanno le circostanze, per difendere l'onore di Dio e il bene del gregge cattolico, magari senza arrampicarsi sugli specchi del Vaticano II con la fallimentare ermeneutica della continuità.
Vorremmo chiedere al Card. Ratzinger se, col senno di poi, egli presenterebbe ancora le dimissioni, lasciando la barca di Pietro in mano a questi manigoldi. Perché le sciagure presenti, e vieppiù quelle che ci attendono, non sono state determinate dalla morte di un Papa, ma dalla sua abdicazione volontaria in un momento di tempesta. Voglia l'Onnipotente Iddio, che legge nel recesso dei cuori, accogliere la resipiscenza di oggi e perdonare la pavidità di ieri.
Forse l'Anticristo non chiederà di adorare Satana al posto del Dio vivo e vero: potrebbe accontentarsi di farlo adorare ad Assisi, in un grande pantheon ecumenico, assieme agli idoli di tutte le religioni che già vi hanno cittadinanza.
Non lasciatevi inebriare dalle facili manifestazioni di amore fraterno, di solidarietà universale, di fratellanza mondiale.
Sobrii estote et vigilate.
Eppure ci saremmo immaginati il novello Francesco raccolto in orazione, e poi umilmente obbediente al protocollo romano, timoroso di poter compiere un gesto d'orgoglio nel rifiutare ciò che va ad onore di Cristo e non dell'indegnissimo servus servorum Dei. Quella sarebbe stata umiltà sincera, e in quel gesto si sarebbe potuta cogliere anche la cortesia che il secolo appella istituzionale nei confronti del predecessore, il cui apprezzamento per la sacralità dei riti non è ignoto ad alcuno.
La semplicità artefatta e forzata del Card. Bergoglio è indice di un orgoglio monstre, cosa che accomuna i membri del sinedrio conciliare, al pari della loro villania. Una villania, si noti, che si esplica pavidamente soprattutto verso i più deboli: siano essi un vegliardo confinato in Castelgandolfo o un cerimoniere pontificio schivo e riservato. Mentre verso i potenti veri si alterna la cortigianeria alla complicità tra sodali.
Sull'altro versante, come abbiamo avuto modo di ricordare più volte, la difesa del vero e del bene si trova a doversi confrontare con mille scrupoli, mille timori: pessimi Prelati rimangono al proprio posto certi dell'impunità, per non screditarli dinanzi all'opinione pubblica; abusi intollerabili quali il sacrilegio della Comunione sulla mano non vengono condannati perché approvati in precedenza da mostri sacri dei quali si promuove addirittura la canonizzazione; innovazioni arbitrarie che contrastano con la tradizione millenaria della Chiesa vengono mantenute in vigore tra mille distinguo e timidamente aggiustate solo dopo anni, ad iniziare dalla tavola luterana dinanzi all'altare cattolico, o dai costumi circensi al posto dei preziosi paramenti romani. Usare una mitria di Pio IX, dopo decenni di orrori inauditi imposti sotto Giovanni Paolo II dal suo Maestro delle Cerimonie, viene vissuto come una vittoria sul Turco; tirar fuori dagli armadi del Sacello Apostolico una pianeta ricamata per la Santità di Nostro Signore è un atto eroico; indossare il fanone è causa di Te Deum per l'intera comunità tradizionalista, e serve nientemeno che una conferenza stampa per spiegare e circostanziare i come e i perché di una scelta così ardita. Inutile dire che la fermezza con cui è stato promulgato, pur tra non pochi rinvii e aggiustamenti, il famoso Motu Proprio Summorum Pontificum ha lasciato tutti increduli, ad iniziare dagli stessi sostenitori della Liturgia romana, mentre i fautori della riforma liturgica si mostravano in pubblico con le nere vesti della prefica, gementi e piangenti per l'oltraggio alla venerata memoria di Paolo VI e del loro adorato Annibale Bugnini.
A quei contentini mal tollerati si sono comunque dovuti accompagnare gesti pubblici e solenni di ossequio all'idolo conciliare: visite alle sinagoghe e alle moschee; abbracci con eretici e scismatici; incontri con i capi delle organizzazioni massoniche e mondialiste; incontri di preghiera ad Assisi; pellegrinaggi nei campi di sterminio nazisti e via sciorinando i precepta concilii davanti ai quali nemmeno il Romano Pontefice poteva sottrarsi. Se ci tiene alla mozzetta con l'ermellino, faccia pure: basta che con quella si faccia fotografare assieme ai rabbini o a Kiko Arguelo. E non si permetta di rimetter la tiara sul suo stemma, altrimenti si scatenano le ire della Segreteria di Stato, che a quella tiara non ha mai rinunziato.
Quei timori di Benedetto XVI, quei rispetti ahimè molto umani, quelle prudenze troppo meditate nel compiere anche il più insignificante gesto in senso vagamente conservatore rivelano comunque una cortesia, una signorilità cattolica. Meno cattolica, se ci possiamo permettere, è il tremebondo rispetto per l'eredità del Concilio e di Giovanni Paolo II, sia essa rituale o dottrinale: ogni passo che potesse anche vagamente apparire come in controtendenza rispetto all'assise romana o al Predecessore sembrava compiuto su un tappeto di chiodi, ed era sempre circostanziato e ponderato, o introdotto sub silentio sperando che desse poco nell'occhio. Ma tante precauzioni, che rappresentavano un imperativo categorico per il kantiano professore assurto al trono del Maggior Piero, suscitano disprezzo negli avversari di tutto ciò che sa di cattolico e non contano più nulla non appena si presenta l'occasione di far valere le proprie meschine rivalse.
Ogni timore, ogni rispetto, ogni prudenza viene meno se si tratta della causa progressista: l'arroganza e la cialtroneria impongono i peggiori abusi, fanno strame in pochi istanti di quel che era stato faticosamente riconquistato in anni di paziente attività diplomatica; le vedove Wojtyla reclamano i loro diritti e scalpitano per il proprio scranno in Curia, sgomitano per accaparrarsi i posti resisi vacanti dopo l'abdicazione dell'odiato vegliardo. Sono tutti lì, con le valigie pronte, la veste paonazza o purpurea appena ritirata da Gammarelli, e intanto gongolano in televisione assieme alla miserabile corte degli imi che comandano ai potenti.
Lo spettacolo offerto da questi grotteschi personaggi, forti dell'elezione di uno dei loro, supera ogni immaginazione. La ruffianeria del trivio impallidisce; il servilismo fa mostra di sé nelle versioni più ripugnanti, senza vergogna di apparire interessato e artefatto. E ancora una volta, escono come ratti dai tombini i direttori di emittenti cattoliche, i gazzettieri, i sedicenti teologi e gli intellettuali che erano stati risparmiati alla condanna e al castigo dall'eccessiva indulgenza di Benedetto XVI. I cerimonieri pontifici dovranno cambiare mestiere, sibilano nelle interviste. Le pagliacciate sono finite, annunciano nei telegiornali.
Sia ben chiaro: il valore intrinseco di un fanone o di una pianeta ricamata è praticamente nullo, in sé. Ma il peso che si attribuisce loro da parte dei modernisti è indicativo, perché rivela l'importanza della funzione simbolica - si potrebbe dire anche solo visiva - di queste vesti liturgiche. Paolo VI indossava fanone e pianeta romana, ed era un progressista convinto. Ma dopo la trasformazione dei fasti papali in grottescheperformance tribali, riportarli in auge aveva pur sempre un significato che non era sfuggito ai fautori della riforma e che oggi, senza bisogno di Novendiali, si ritengono in dovere di azzerare, chiudendo l'infausta parentesi ratzingeriana con sdegnosa sufficienza. Miserabili: non sanno nemmeno usar quel minimo di prudenza che avrebbe reso meno indigesta la loro sindrome ossessivo-compulsiva.
Intanto il Nostro, con la delicatezza e l'umiltà che lo contraddistinguono, appare dal balcone con le stesse vesti con cui San Pio X o Pio XII sarebbero andati a passeggio nei giardini vaticani, e ostenta una croce pettorale che sfigurerebbe sul petto di un eremita. Saluta con un borghesissimo Buona sera, omettendo il saluto cristianoSia lodato Gesù Cristo. Parla di sé come vescovo di Roma che presiede le altre chiese nella carità. Il Presidente degli Stati Uniti esulta: è un paladino dei poveri. Il giorno dopo manda per prima cosa un bel messaggio al Rabbino Capo Di Segni, sproloquiando di Vaticano II, dialogo, solidarietà, incontro. Poi celebra Messa nella Sistina e fa erigere il contraltare, rimosso dal predecessore. Poi predica a braccio dall'ambone, senza mitria, come un Vescovo ausiliario terrebbe un fervorino ai boy scouts. Indossa una casula mediocre e alla Consacrazione non genuflette per adorare il Corpo e il Sangue di Nostro Signore. Che umiltà: rimanere in piedi dinanzi all'Augusto Sacramento.
Il contraltare ritorna nella Cappella Sistina. |
Con Papa Francesco nulla sarà più come prima. Chiara la scelta di fraternità per una Chiesa del dialogo, non contaminata dalle logiche e dalle tentazioni del potere temporale.
Uomo dei poveri e lontano dalla Curia. Fraternità e voglia di dialogo le sue prime parole concrete: forse nella Chiesa nulla sarà più come prima. Il nostro auspicio è che il pontificato di Francesco, il Papa che ‘viene dalla fine del mondo’ possa segnare il ritorno della Chiesa-Parola rispetto alla Chiesa-istituzione, promuovendo un confronto aperto con il mondo contemporaneo, con credenti e non, secondo la primavera del Vaticano II.
Il gesuita che è vicino agli ultimi della storia – prosegue Raffi – ha la grande occasione per mostrare al mondo il volto di una Chiesa che deve recuperare l’annuncio di una nuova umanità, non il peso di un’istituzione che si arrocca a difesa dei propri privilegi. Bergoglio conosce la vita reale e ricorderà la lezione di uno dei suoi teologi di riferimento, Romano Guardini, per il quale non si può staccare la verità dall’amore.
La semplice croce che ha indossato sulla veste bianca – conclude il Gran Maestro di Palazzo Giustiniani – lascia sperare che una Chiesa del popolo ritrovi la capacità di dialogare con tutti gli uomini di buona volontà e con la Massoneria che, come insegna l’esperienza dell’America Latina, lavora per il bene e il progresso dell’umanità, avendo come riferimenti Bolivar, Allende e José Martí, solo per citarne alcuni. E’ questa la ‘fumata bianca’ che aspettiamo dalla Chiesa del nostro tempo.
Ecco serviti tutti gli ingredienti del cocktail conciliare: fraternità, dialogo, confronto con il mondo contemporaneo, primavera del Vaticano II, annuncio di una nuova umanità, dialogo con la Massoneria, progresso dell'umanità. Una pozione mortale che viene imposta dalla setta conciliare alla Chiesa di Cristo, sapendo che se essa berrà questo amaro calice ne morirà tra atroci tormenti.
Un cocktail, ricordiamo, che altri in precedenza avevano preparato più o meno volentieri annacquandolo, per timore delle sue conseguenze, ma senza gettare la ricetta e denunciarne gli effetti. C'è troppo ecumenismo, diceva qualcuno. Si sente il retrogusto della massoneria, si lamentavano altri. Bisognerebbe insaporirlo con qualche goccia di Tradizione, consigliavano gli ingenui.
Il barman Bergoglio, appena assunto nel tabarin conciliare, si appresta a versare gli ingredienti nello shaker e sembra che non abbia bisogno di istruzioni: conosce perfettamente la ricetta e le dosi. A quella e a queste si atterrà meticolosamente: deve dimostrare di essere all'altezza del compito affidatogli da chi lo ha ingaggiato. E deve farlo in fretta, altrimenti lo licenziano e mettono un altro al posto suo.
Ma sappia costui che, a dispetto dell'obbedienza ch'egli potrà indebitamente pretendere nell'imporre la propria volontà contro il bene della Chiesa e gli insegnamenti di Nostro Signore, troverà oggi una opposizione più consapevole in quanti, grazie a Benedetto XVI, hanno potuto intravvedere nella Liturgia romana uno spiraglio della maestà cattolica che è stata loro negata dal Vaticano II. Questi Vescovi, questi sacerdoti, questi chierici, questi fedeli non rinunceranno ai diritti che sono loro stati riconosciuti, solo perché così talenta al potente di turno.
L'era delle prevaricazioni e delle persecuzioni non è più un'eventualità del futuro prossimo: essa è presente ed è iniziata il 13 Marzo, ma con essa si moltiplicheranno le grazie celesti su quanti non sono disposti ad apostatare la Fede in nome del moloch conciliare. Confidiamo che nel novero di questo pusillus grex si possano contare anche alcuni Cardinali e Prelati che sinora avevano ritrovato il coraggio di combattere il bonum certamen. Durante il Pontificato di Benedetto XVI questo richiedeva meno eroismo: avremo modo di capire se oggi esso si accompagnerà alla perseveranza finale. E vedremo anche se il Papa emerito leverà la voce, quando lo richiederanno le circostanze, per difendere l'onore di Dio e il bene del gregge cattolico, magari senza arrampicarsi sugli specchi del Vaticano II con la fallimentare ermeneutica della continuità.
Vorremmo chiedere al Card. Ratzinger se, col senno di poi, egli presenterebbe ancora le dimissioni, lasciando la barca di Pietro in mano a questi manigoldi. Perché le sciagure presenti, e vieppiù quelle che ci attendono, non sono state determinate dalla morte di un Papa, ma dalla sua abdicazione volontaria in un momento di tempesta. Voglia l'Onnipotente Iddio, che legge nel recesso dei cuori, accogliere la resipiscenza di oggi e perdonare la pavidità di ieri.
Forse l'Anticristo non chiederà di adorare Satana al posto del Dio vivo e vero: potrebbe accontentarsi di farlo adorare ad Assisi, in un grande pantheon ecumenico, assieme agli idoli di tutte le religioni che già vi hanno cittadinanza.
Non lasciatevi inebriare dalle facili manifestazioni di amore fraterno, di solidarietà universale, di fratellanza mondiale.
Sobrii estote et vigilate.
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