ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 6 aprile 2013

Esegesi mellonica


Alberto Melloni
Quando abbiamo detto e scritto le ragioni del nostro allarme per l'elezione di Bergoglio, alcuni hanno osservato che i timori da noi espressi potevano esser dettati da una visione troppo conservatrice della Chiesa: visione che, ad essere onesti, è l'unica con cui a nostro avviso si può e si deve giudicare ogni evento che coinvolga la Sposa di Cristo.  Nihil est innovandum, dice l'adagio: la novità, l'amore per il nuovo, è uno dei segni distintivi dell'eresia, laddove questa novità tocchi il depositum fidei e la disciplina ecclesiastica.

In questi giorni, su Vita pastorale, è stato pubblicato un articolo estremamente istruttivo di Alberto Melloni, uno dei guru del progressismo felsineo e del movimento ereticale conciliarista. In questo articolo, segnalato da Traditio catholica proprio ieri, tutti gli argomenti da noi addotti sono stati ripresi, nessuno escluso, come chiave di lettura del nuovo pontificato bergogliano; ma quel che noi deploravamo come sciagura per la Chiesa, qui viene esaltato come promessa di grandi innovazioni agognate dalla setta conciliare.

Le parole di Melloni tradiscono l'entusiasmo scomposto di chi, dopo il regno di Benedetto XVI, può finalmente rialzare il capo e sentirsi rappresentato da un personaggio - per usare una sua infelice espressione - della medesima cerchia e dalle identiche vedute. Non è l'unico, a onor del vero, che sgomita per mettersi in mostra, sperando di trarne vantaggio: proprio l'altro giorno le Sua Eminenza Reverendissima il Card. Fernando Filoni e Sua Eccellenza Reverendissima Mons. Piero Marini hanno ricevuto in udienza privata il Vescovo di Roma. Dio non voglia che il primo sia designato alla Segreteria di Stato e il secondo Cerimoniere Pontificio o peggio Prefetto del Culto Divino. Temiamo tuttavia di doverci abituare, nostro malgrado, a veder i peggiori Prelati ricoprire i ruoli più strategici della Curia Romana, e tanto Filoni quanto Marini non hanno mai nascosto la propria smodata ambizione, né l'ideologia che li muove.

Torniamo a Melloni, e vediamo cosa lo entusiasma tanto di Bergoglio. 

Il personaggio ha avuto un esordio di pontificato impressionante. [...] Una sequenza travolgente: si è presentato senza nessuno dei segni del potere papale, quando ha parla­to non ha nemmeno indossato la stola, ha distinto in maniera molto netta il suo eloquio dalla sua funzio­ne liturgica di vescovo, non ha mai detto le parole Papa, Pontefice, vica­rio di Cristo, nessuno dei titoli che pure gli appartengono eccetto quel­lo di vescovo di Roma.

Ha fatto una serie di cose molto dotte, e non sor­prende come è giusto che sia per un padre gesuita ben formato, ma sen­za fare il professore, in modo pia­no. Cose che in tutto il mondo cristiano hanno suonato chiare: ha preso il nome di un santo non della Chiesa di Roma, scelta audace, che è l'unico santo di tutte le Chiese, un nome di santità ecumenico.
Ecco descritte in poche righe le novità del personaggio. Dalla scelta suntuaria al contenuto dei suoi primi discorsi, sino al riferimento al moloch ecumenico, che Melloni si aspetta ovviamente che venga adeguatamente onorato con gesti concreti ed altrettanto eclatanti, ma senza fare il professore. Con l'esempio, magari: genuflessioni omesse all'elevazione, Comunione nella mano, abbracci indecorosi con nemmeno troppo attempate signore, omelie pronunziate a braccio, proskinesis ai galeotti e, ultima trovata, l'augusto chirografo sul gesso di una bambina infortunata.




I moderati che ci rimproveravano di cercare col lanternino ogni minimo gesto di Bergoglio per poterne trarre argomenti di denigrazione, possono ora vedere che quel che lucidamente avevano denunciato non rappresenta un accanimento ingeneroso, ma puro realismo. Forse avevamo peccato addirittura per difetto, tralasciando di notare alcune cose che speravamo di poter aver travisato.

Esordio impressionante. Sequenza travolgente. Come si vede la scelta delle parole da parte di Melloni è misurata e composta. E ancora:

Ha fatto un atto della Chiesa an­tica, una citazione implicita di Ci­priano. [...] Quel gesto di inchinarsi davanti al popolo, che non si era mai visto né a Roma né in nessuna diocesi. È un gesto di prepotenza teologica enor­me, che dà un'idea del ministero: sei al servizio di un soggetto che ha una dignità davanti a Dio, se il po­polo prega per te, Dio l'ascolta e ti benedice: se non prega, sei nei guai. Ha anche citato sant'Ignazio di Antiochia, senza dirlo, parlando del­la presidenza nella carità, non personale di Pietro, ma della Chiesa di Roma: anche qui non esclude la funzione del ministero, ma dice la priorità dell'essere Chiesa. 

Un gesto di prepotenza teologica enorme. Sempre per non sbilanciarsi. Ma non era, il personaggio, l'epitome dell'umiltà e della modestia? Apprendiamo invece che è un prepotente teologico. D'altra parte, ce l'hanno dimostrato ampiamente negli ultimi decenni: la prepotenza è virtù conciliare, al pari dell'intemperanza, dell'arroganza, della villania, dell'insofferenza per qualsiasi cosa abbia la minima parvenza di cattolico.

Il populismo melloniano di maniera ricorda a Bergoglio: se il po­polo prega per te, Dio l'ascolta e ti benedice: se non prega, sei nei guai. Che potremmo tradurre, fuor di metafora: Se gli intellettuali secolarizzati e gli pseudoteologi progressisti ti appoggiano con articoli sulla stampa, conferenze, convegni, saggi e omelie puoi strar tranquillo; ma se non ti comporti come ci aspettiamo, sei nei guai. Anche Benedetto XVI fu nei guai, e forse è per questo che intra moenia lo davano per dimissionario già un anno prima dell'abdicazione. Lo stesso messaggio è riformulato per il successore, tant'è vero che, per dare ormai acquisita la transitorietà del Papato, Melloni butta lì questa frasetta:
Da qui al 2033 quando Bergoglio si dimetterà bisognerà trovarne un terzo.
L'incarico a Bergoglio è quindi ventennale, parola del professore.  E non è il Paraclito - ma si sapeva, sin dall'elezione di Roncalli - che ispira i Cardinali elettori, ma il Sinedrio modernista. Non pago, egli aggiunge: 
In questi mesi è venuto fuori l’immaginario iper cattolico, è stato detto che con la rinuncia Benedet­to aveva desacralizzato il papato. [...] L’ufficio non è sacro, è un ministero del vescovo di Roma a cui vengono date delle prerogati­ve.
Prendiamo nota: fa parte dell'immaginario iper cattolico ritenere che l'abdicazione di Benedetto XVI sia un vulnus al Papato, e nella dottrina della setta conciliare esso non è un ufficio sacro, ma una semplice funzione amministrativa al pari di quelle di un organismo profano. Il chief executive officer di un'azienda almeno può contare sulla liquidazione, il Vicario di Cristo, ridotto a impiegato di I livello con regolare inquadramento sindacale, no.
A questo punto Melloni cita l'auctoritas, emblematica non solo per il contenuto della citazione, ma anche per il fatto ch'egli la collega storicamente al presente:
Mi viene in mente la lettera di don Giuseppe De Luca a Montini do­po l'elezione di Roncalli: «La Roma che tu conosci e dalla quale fosti esi­liato non accenna a mutare come pa­reva che dovesse pur essere alla fine. Il cerchio dei vecchi avvoltoi, dopo il primo spavento, torna. Lentamente, ma torna. E torna con sete di nuovi strazi, di nuove vendette. Intorno al carum caput quel macabro cerchio si stringe. Si è ricomposto, certamen­te».
Guarda guarda: Melloni rispolvera nientemeno che don Giuseppe De Luca, sedicente amico di Roncalli, che nel 1961 fece in modo che Nikita Chruscev mandasse un telegramma di auguri a Giovanni XXIII per il suo ottantessimo genetliaco, favorendo così quella distensione tra l'impero sovietico e il Vaticano. La sua effige, fusa nel bronzo da Manzù, è tutt'oggi visibile sulla Porta della Morte del nartece della Basilica Vaticana. Ad un anno dalla morte (1962) Palmiro Togliatti volle tessere il suo elogio, riscontrando in don De Luca qualcosa di comune negli orientamenti della nostra cultura (cfr. l'Unità, 15 Giugno 1963).

L'amico di Montini, forse senza pensare che i suoi scritti sarebbero un giorno stati divulgati, ricorda al futuro Paolo VI l'esilio ch'egli meritò dalla Segreteria di Stato, sotto Pio XII, a causa delle sue ben note manovre con i servizi segreti comunisti, e il tradimento consumato nei confronti della Chiesa e di Papa Pacelli. E in quelle righe rivela i timori che tutte le speranze riposte nel nuovo Pontefice potessero non trovare conferma a causa dei vecchi avvoltoi, tra i quali certamente egli annoverava il Card. Ottaviani e gli altri Cardinali e Prelati cattolici che non erano disposti a svendere la Chiesa alla mentalità del mondo, né tantomeno all'ideologia bolscevica, che pure Roncalli si rifiutò di far condannare solennemente dal Concilio, nonostante le richiesta di grandissima parte dell'Episcopato mondiale. Ci pensavano già allora: al Concilio, al rinnovamento, all'apertura, al dialogo.

Melloni fa il parallelo tra le aspettative non tradite su Giovanni XXIII e quelle riposte in Bergoglio: 
Nelle cose che ha fatto finora ha dato segno di grandissima autorevo­lezza: non è il Papa ingenuo che non ha capito cosa sta facendo. Anche lo svolazzare degli avvol­toi che si sono alzati immediatamen­te intorno a lui non è detto che deb­bano avere molta fortuna. Certo, en­tra in un sistema profondissima­mente malato, e in cui ci sono incro­stazioni di potere fortissime. Rispet­to a queste cose o fa una cosa bruta­le, decisiva e micidiale, ma non mi sembra appartenga al suo stile; op­pure, come ha fatto papa Giovanni, cercherà di smontarlo poco per vol­ta. Di assorbirne le resistenze: que­sto sarà il suo problema e il suo compito nei prossimi tempi.
Non le manda a dire, Melloni: o fa una cosa bruta­le, decisiva e micidiale; op­pure, come ha fatto papa Giovanni, cercherà di smontare il sistema poco per vol­ta. Ecco le due alternative: la devastazione brutale, decisiva e micidiale, o la devastazione progressiva, come ha fatto Roncalli. Ed anche qui, cari lettori, dovrete rassegnarvi a riconoscere che, pur nella debolezza del fisico ultrasessagenario, il vostro Baronio non ha perso la lucidità dell'intelletto: sono anni che andiamo dicendo che l'opera di distruzione della Chiesa iniziò, agli alti livelli, con il Papa Buono - come se gli altri che lo hanno preceduto fossero cattivi - e che fu proprio Roncalli a revocare l'esilio a Montini, che poi prese le consegne dell'opera intrapresa e la proseguì con pari pervicacia.

Il curriculum tratteggiato da Melloni in poche parole rende Bergoglio degno di tutto il suo rispetto.

Viene da un'esperienza a Bue­nos Aires di pastorale di strada, di vero lavoro pastorale di vitalizzazione delle parrocchie. E non meraviglierebbe se si dedicasse per dav­vero a questo a Roma. Poi ha delle scelte da fare: confermare o meno i capi dicastero, il segretario di Sta­to. 
Il messaggio non è nemmeno velato: 
Sono scelte importantissime, ne può sbagliare un po', ma non tutte. Se non riesce a dare un segno di ri­cambio, energico, non sarà facile per lui cavarsela. 
Se domani Bergoglio dovesse non rispondere più alle aspettative della setta conciliare, o se prendesse iniziative in conflitto con gli ordini ricevuti, non sarà facile per lui cavarsela. Come dire: se credi che lavare i piedi ai galeotti o salutare dal balcone a colpi di "Buona domenica e buon pranzo" sia sufficiente per tenerci buoni, ti sbagli. 

Ecco dunque la lista dei compiti: 
La cosa che dovrà decidere è se fare o meno qualcosa che riguarda la collegialità. Riguar­da lui come tutti i papi dopo Paolo VI. Deve decidere se vuole essere un altro della lista ormai lunghina, il quinto di quelli che non la fanno o il primo di quelli che la fanno.
Anche qui apprendiamo che sono cinque i papi ai quali erano state date direttive per demolire il Papato: Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Non si può certo dire che nessuno di questi abbia mancato gravemente: dai gesti piacioni di Roncalli alla deposizione della tiara di Montini, e di nuovo, come in un pendolo: dai gesti demagogici - quasi cabarettistici, diremmo - di Wojtyla alla rimozione della tiara nello stemma di Ratzinger, per finire con l'abdicazione dello stesso e con l'elezione di Bergoglio. Santi subito: il totem conciliare vuole i suoi idoletti per le bancarelle dell'ecumenismo d'accatto.

Cosa ci si apetta da Bergoglio?
Un organo nuovo, di curia, per un ruolo di comunione. Lo può chia­mare senato di comunione, collegio dei capi delle Chiese, Sinodo straordi­nario a cadenza periodica, segreteria del Sinodo straordinario... O fa un or­gano nuovo o lo ricava da qualcosa di esistente. Questa è una cosa di cui deve dotarsi. 
Qualsiasi cosa purché sia un organo parlamentare e rappresentativo cui affidare il governo della Chiesa: esattamente quello che paventavamo in un nostro articolo alla vigilia del Conclave, dopo la funesta notizia dell'abdicazione di Benedetto XVI.

Scrivevamo:

Va da sé che, in questa nuova visione della Chiesa, il Primato - non risiedendo più nella sola persona del Pontefice Romano - può ed anzi deve essere esercitato da un organo collegiale, quale potrebbe essere in futuro il Sacro Collegio, oppure una forma inizialmente diarchica (un Papa regnante ed uno emerito, ad esempio) e poi oligarchica (più Papi con specifiche mansioni: uno che si occupa della Pastorale, uno delle Canonizzazioni, uno dei Viaggi Apostolici, uno dell'amministrazione ecc.).
Si comprende che, nella sostanza, l'intenzione è quella di rimuovere la figura del Pontefice depotenziandola, visto che di fatto si affiderebbero ai Papi le mansioni dei Prefetti di Dicastero.
Laddove questa sciagurata eventualità dovesse realizzarsi, non vi è dubbio che si verrebbe a creare una controchiesa che nulla ha a che vedere con la Santa Chiesa Cattolica Apostolica Romana, e che questo sinedrio infeudato in Roma non avrebbe titolo per dirsi la prosecutore della divina missione affidata da Cristo alla Sua Chiesa.

Le nostre parole, ancorché profferite da un indegnissimo ecclesiastico non insignito di alcuna autorità, sembrano ora trovar conferma nei vaneggiamenti di Melloni.


Egli raccomanda ancora: 
E deve decidere se il se­gretario di Stato deve andare avanti così, continuare a essere un piccolo Papa che fa le cose da solo o no.
Eppure il Segretario di Stato sotto il precedente piccolo Papa era raggiante all'annuncio del neoeletto, e dal balcone sprizzava gioia e contentezza da tutti i pori. Anch'io festevole corro ai tuoi pié, papa Francesco promuovi anche me. Dubitiamo che Bergoglio oserà spodestare i tiranni di Curia, se non per infeudare al loro posto i loro caudatari, ancora peggiori.

Poi, tanto per dare il colpo di grazia, ecco prospettare come inevitabile un nuovo concilio: il dubbio sta solo nel luogo in cui convocarlo, non nell'opportunità di convocarlo o meno:
Non so se Papa Francesco sarà quello che convoca il Lateranense VI, che mi piacerebbe di più del Vaticano III. La sua cattedra è il Laterano, potrebbe andare ad abitare lì. E non mi meraviglierebbe se ab­bandonasse l'ultimo pezzo del potere temporale che è il Palazzo apostoli­co. Quello che diceva Martini nel '99 è vero: ci sono questioni che vanno al di là del semplice atto dì governo.

Rimaniamo quasi sconcertati dalla faccia tosta di Melloni: è talmente sicuro dell'impunità; anzi, talmente certo di non essere il solo ad aspettarsi gesti di prepotenza teologica da Bergoglio, che non sta più nella pelle e deve dire tutto e subito, far sapere che è finita l'era Ratzinger, in cui si poteva ancora essere modernisti ma non si doveva dirlo troppo apertamente; in cui il Papa era gettato in pasto agli squali mediatici dai suoi stessi collaboratori di Curia; in cui la tiara negata a Benedetto XVI era indossata grottescamente alla terza loggia da chi oggi presenta il conto pro Missa bene cantata al Vescovo di Roma venuto dalla fine del mondo, e che verso la fine del mondo essi vogliono sprofondi tutta la Chiesa.

Va da sé che i farneticamenti di Melloni sono sono frutto esclusivo della sua megalomania né del suo settarismo: se Vita pastorale ha pubblicato con enfasi questa intervista, lo ha fatto per assegnare ai suoi lettori - principalmente ecclesiastici - i compiti a casa: predicare dai pulpiti alle masse indotte, catechizzare il popolo,  identificare i refrattari, istruire la manovalanza della setta conciliare, e soprattutto dare parvenza di un riscontro popolare alla congiura dei Novatori, sì che i Geronti possano spacciare le loro manovre come un gesto di amorevole sollecitudine nei confronti di una richiesta che viene dal basso, dalla base. 

I mandanti di Melloni sono noti, come sono noti i destinatari delle sue grottesche lezioncine. A dir la verità, ci pare che a Bergoglio non servano i memorandum di un professorucolo bolognese per dare la stura alle sue velleità mondialiste e pauperiste: il suo repertorio stupirà lo stesso Melloni e tutti i suoi sodali, ne siamo certissimi.

C'è da augurarsi nondimeno che, dinanzi allo spiegamento di forze dell'inimica vis progressista, qualche Prelato alzi la voce, che chieda e pretenda che Bergoglio la smetta di giocare al tribuno della plebe e che la sua zelantissima claque sia zittita. Se ne sono viste di tutti i colori durante il Pontificato di Giovanni Paolo II e in parte anche dopo; non vorremmo vedere riproposti, in peggio, quegli infaustissimi giorni. Di nani e ballerine ne abbiamo già sopportati sin troppi: il Circo Conciliare ha stufato. 

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