Riceviamo e pubblichiamo:
Qualche giorno fa, su vaticaninsider.it, è apparso un
articolo di Andrea Tornielli: “Francescani dell’Immacolata, ecco le
ragioni del commissariamento”. Devo dire che, appena letto, il titolo
prometteva molto, c’era da aspettarsi finalmente un capo d’accusa serio:
se non proprio la “pistola fumante”, almeno qualcosa di simile. Solo
che me l’aspettavo in sostegno di quei Frati che hanno chiesto il
commissariamento dell’Ordine.
Invece – per una paradossale eterogenesi
dei fini – l’articolo si è trasformato in una prova schiacciante a
favore della sostanziale innocenza di Padre Stefano Manelli (scrivo
“sostanziale”, perché nessuno è perfetto…) e, purtroppo, una
dimostrazione della sproporzione tra i provvedimenti presi da parte
della Congregazione dei Religiosi e i capi d’imputazione.
Detto in altri termini: come ragioni di commissariamento di un’intera Congregazione religiosa, ci si aspetta roba che scotta:
non dico qualcosa che entri nel merito del sesto e settimo
comandamento, come purtroppo siamo abituati a sentire, ma almeno
qualcosa di veramente serio e tale da non poter più essere affrontato
con altri mezzi.
E invece? Invece, stando
all’articolo di Tornielli, corroborato, a quanto sembra dalla
testimonianza di cinque Frati da lui esplicitamente nominati, il
problema sta semplicemente nella diffusione della Forma straordinaria
del Rito romano.
Cerchiamo di analizzare con attenzione i capi d’accusa contro Padre Stefano Manelli, riportati nell’articolo:
1. “Nel corso del Capitolo
generale del 2008, padre Manelli aveva provato a introdurre una
revisione delle Costituzioni dell’Istituto per rendere obbligatorio il
vecchio rito nelle messe conventuali. L’iniziativa aveva suscitato una
tale opposizione che era stata ritirata senza essere messa ai voti”.
Un Superiore Generale, nonché Padre fondatore,
desidera proporre una modifica nelle Costituzioni, per introdurre l’uso
del Messale del 1962 nelle Messe conventuali del proprio Ordine,
possibilità prevista tra l’altro dal Motu Proprio Summorum Pontificum,
art. 3: “Le comunita’ degli Istituti di vita consacrata e delle
Societa’ di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano,
che nella celebrazione conventuale o ”comunitaria” nei propri oratori
desiderano celebrare la Santa Messa secondo l’edizione del Messale
Romano promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola comunita’ o un
intero Istituto o Societa’ vuole compiere tali celebrazioni spesso o
abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori
maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti
particolari”. Dunque Padre Manelli fa legittimamente questa
proposta, che però suscita opposizione e dunque viene ritirata. Ora, se
Padre Manelli fosse stato realmente intenzionato a imporre la propria
posizione, sarebbe stato così ingenuo da fare questa proposta
pubblicamente, durante il Capitolo generale e di chiedere che venisse
messa ai voti? Se fosse poi un despota, come viene dipinto da alcuni,
sarebbe stato così remissivo da accettare che la proposta fosse subito
ritirata, senza nemmeno essere votata?
Invece, si evince che padre Manelli abbia agito,
nello spirito e nella lettera del Summorum Pontificum, secondo quanto
previsto dal Diritto proprio dei FI. Al n. 119 delle loro Costituzioni,
si afferma infatti che: “Eventuali modifiche da introdurre nelle
Costituzioni devono essere approvate dal Capitolo generale, con la
maggioranza dei 2/3 dei presenti, e poi sottoposte all’approvazione
definitiva della Santa Sede, alla quale spetta anche l’interpretazione
autentica del testo“. Se durante il Capitolo possono essere fatte
proposte di modifica delle Costituzioni, non si capisce perché P.
Manelli non potesse legittimamente fare una di queste proposte.
2. Si legge ancora nell’articolo di Tornielli: “Nei tre anni successivi però l’uso del messale preconciliare era stato suggerito e talvolta in qualche modo imposto”.
A parte il fatto che il Messale del 1962 non è
preconciliare, ma integralmente conciliare, visto che tutti i Padri
conciliari, Papa compreso, hanno celebrato con quello durante il
Vaticano II, occorre distinguere:
a) quanto al fatto che la Forma straordinaria sia
stata “suggerita”, che problema ci sarebbe? Adesso è pure vietato
suggerire o consigliare o raccomandare l’uso del Messale del 1962?
b) Quanto invece all’affermazione che il Messale del
’62 sarebbe stato imposto, facciamo notare che l’accusa è vaga e
generica. Se si trattasse di vera imposizione, sarebbe certamente grave,
ma il sospetto che non si tratti di qualcosa di serio è corroborato da
quei “talvolta” e “in qualche modo” presenti nel testo, che velano
chiaramente l’inconsistenza dell’accusa. Che significa “in qualche modo
imposta”? Chiunque conosca i FI sa che possono celebrare in entrambe le
forme e che, se c’è una forma prevalente, ad oggi è quella ordinaria,
sia per la Messa che, ancor più, per il Breviario.
In effetti, è lo stesso articolo a rivelare poco dopo
che la “tirannia” di Padre Manelli è un castello di carte. Così infatti
prosegue Tornielli: “In un’intervista del 2010 su un blog francese
lo stesso padre Apollonio ammetteva che il vecchio rito «è la forma
della nostra messa conventuale raccomandato dal nostro fondatore». E
veniva promosso anche il rituale antico per le ordinazioni sacerdotali.
Senza norme scritte, né decisioni assunte dal Capitolo generale, l’uso
«preferito» della liturgia antica è stato fortemente raccomandato nei
conventi dei Francescani dell’Immacolata…” . Attenzione ai verbi:
“raccomandato”, “promosso”, “raccomandato”. Dove sono le prove che la
Forma straordinaria sia stata imposta? Non può essere promosso e
raccomandato, quel patrimonio liturgico che, iuxta Benedetto XVI, “anche
per noi resta sacro e grande”? E l’istruttoria già fin troppo
traballante cade persino nel ridicolo: “e in alcuni Paesi sono stati
acquistati breviari bilingui latino-inglese così da favorire
l’introduzione della preghiera secondo l’uso antico”!
3. Riprendiamo ancora questo passaggio dell’articolo: “Senza
norme scritte, né decisioni assunte dal Capitolo generale, l’uso
«preferito» della liturgia antica è stato fortemente raccomandato nei
conventi dei Francescani dell’Immacolata…”
A parte il fatto che, come si è visto sopra, il Motu
Proprio non richiede che l’uso del Messale del 1962 negli Istituti
religiosi sia introdotto previa approvazione del Capitolo generale,
anche questa volta l’accusa si tramuta in una assoluzione piena per
Padre Stefano Manelli: secondo le affermazioni raccolte da Tornielli dai
cinque Frati che hanno fatto ricorso alla Congregazione dei Religiosi,
non ci sono né norme, né decisioni che impongono la celebrazione secondo
la Forma straordinaria, ma solo forti raccomandazioni da parte dei
Superiori. Perché dunque tutta questa urgenza di commissariare un
Istituto che tra nove mesi si trova a celebrare il proprio Capitolo
generale? Se le raccomandazioni del loro Fondatore sono tali da
suscitare la resistenza della gran parte dei Frati dell’Istituto, non
basta far altro che attendere nove mesi ed eleggere un altro Superiore.
Invece questa fretta solo per delle “raccomandazioni” rivela altro, cioè
quella miseria umana fatta di invidie, rancori, e vendette che è
presente ovunque c’è l’uomo, ordini religiosi compresi. Più di un Frate
di quelli “fuori dai giochi”, cioè non schierati a favore della Messa
tridentina, ma parimenti rattristati per il commissariamento, ha
confermato che il malumore effettivo di una parte per la diffusione
forse troppo repentina della Forma straordinaria è stato solo l’appiglio
per un’ insofferenza nei confronti di Padre Manelli, che si covava da
tempo, specie in certe case dell’Istituto…
4. Sciolta come neve al sole
l’accusa rivolta a Padre Manelli di aver imposto l’uso del Messale del
’62, verrebbe da pensare che in realtà ci siano altre ragioni ben più
gravi alla base della richiesta di commissariamento. Invece è Tornielli
stesso a rivelare che è tutto qui: “Questo [cioè quello che si è
visto in precedenza] ha fatto sì che un gruppo di frati… nel 2012 siano
ricorsi alla Congregazione vaticana dei religiosi… ”. Ed è sulla
base di “questo” e non altro, almeno stando all’articolo di
Vaticaninsider, che si accusano i FI di non “sentire cum Ecclesia”. Ed
anche questa accusa, se viene analizzata più da vicino, finisce in un
nulla. Infatti, secondo quanto già dichiarato nella Nota Ufficiale del 3
agosto, la lettera Prot. 77/2011, datata 21-11-2011, con la quale si
fornivano indicazioni non precettive per l’uso di entrambe le forme del
Rito romano, venne contestata da alcuni Frati. E’ stata premura dei
Superiori chiedere alla Pontificia Commissione Ecclesia Dei se tali
indicazioni fossero conformi a quanto il Santo Padre intendeva
promuovere con il Summorum Pontificum. L’Ecclesia Dei rispose
favorevolmente con R e s c r i t t o del 14-4-2012, Prot. 39/2011L.
Allora chi ha ragione? L’Ecclesia Dei ed i Superiori
che hanno proseguito nella linea indicata dalla Pontificia Commissione,
oppure la Congregazione per i Religiosi, che ha dato ragione a questo
gruppo di Frati? Stando alla materia in questione, cioè l’uso di
entrambe le forme del Rito romano, l’Istruzione applicativa del 2011, al
§ 9 dice chiaramente: “Il Sommo Pontefice ha conferito alla
Pontificia Commissione Ecclesia Dei potestà ordinaria vicaria per la
materia di sua competenza, in modo particolare vigilando sull’osservanza
e sull’applicazione delle disposizioni del Motu Proprio Summorum
Pontificum”. Dunque è l’Ecclesia Dei ad essere competente in tale ambito ed il suo parere è stato positivo.
Il sospetto, a questo punto, è che i FI siano divenuti il campo di battaglia di scontri annunciati
fin da quando il Motu Proprio Summorum Pontificum era nell’aria:
scontri tra Congregazioni e Commissioni vaticane, che – è risaputo – mal
sopportano intrusioni dei vicini nei propri orticelli , che si traduce
in uno scontro tra gli oppositori del Summorum Pontificum e quanti
invece lo difendono. I FI hanno avuto il “torto” di essere l’unico
ordine religioso di larga diffusione ad avvalersi del Motu Proprio e a
credere che in effetti le due forme potessero convivere in pace,
arricchendosi a vicenda. Ed è per questo che sono stati colpiti loro.
Ad aver rotto il tentativo di armonizzare le due
forme all’interno dell’Istituto, impedendo bruscamente la celebrazioni
secondo l’Usus Antiquior, di certo non è stato Padre Manelli.
E’ chiaro che non vogliamo negare che esistano da
tempo tensioni interne ai FI o che possano esserci state delle
imprudenze: ci chiediamo però se sia giusto far passare come un
dittatore chi non ha mai imposto una forma a discapito di un’altra e
come un liberatore chi di fatto impone il restringimento di un diritto
sancito da un Motu Proprio.
5. L’articolo di Tornielli così prosegue: i
cinque Frati hanno chiesto alla Congregazione dei Religiosi “che
venisse recuperato l’originario carisma e non si imponessero a tutti le
posizioni tradizionaliste…”.
E’ assurdo pensare che l’introduzione del Messale di
Giovanni XXIII abbia fatto smarrire il carisma originario dei FI.
Anzitutto perché se nelle Costituzioni dei FI non si parla
esplicitamente di ciò, è semplicemente dovuto al fatto che prima del
2007, celebrare con il Messale del ’62 era quasi impossibile, a motivo
del regime di indulto, tra l’altro concesso con il contagocce,
nonostante l’invito di Giovanni Paolo II ai Vescovi ad essere generosi
nella sua concessione. Sarebbe come dire che i Domenicani, i Minori, i
Gesuiti, etc. non possono celebrare col Messale di Paolo VI, perché non
era nel carisma originario…
Sembra allora che il problema sia tutto dell’autore
dell’articolo e di questi Frati che non vogliono darsi pace del fatto
che il Summorum Pontificum non è stata una concessione ai
tradizionalisti (categoria tra l’altro vaga e fumosa). Favorire la
riconciliazione in seno alla Chiesa è solo uno degli obiettivi del Motu
Proprio; il principale è “offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare”
(Istruzione, § 8a). Vaticaninsider a riguardo ha già commesso uno
sfondone, prontamente corretto dagli stessi FI, ma sembra che questo
principio sacrosanto sottolineato da Benedetto XVI non voglia esser
digerito; tant’è vero che poco oltre i Frati dissidenti lamentano che “il tradizionalismo «non ha nessun rapporto con il nostro carisma» e «non è obbligatorio secondo la nostra legislazione»”. E dire che hanno studiato per anni i testi del Doctor subtilis!
Qui si parla di tradizionalismo senza nemmeno specificare che cosa si
intenda con questo termine. Si lascia appositamente nel vago anche
questa accusa, perché non si è in grado di motivarla. Cosa significa che
il tradizionalismo non è obbligatorio per i FI? Etichettare come
tradizionalista in ambito ecclesiale è come dare del fascista in ambito
politico: un modo per liquidare qualcuno troppo scomodo.
In secondo luogo è davvero paradossale che i cinque
Frati pensino di interpretare meglio il Carisma dell’Istituto, allorché
sono ancora viventi entrambi i fondatori, Padre Manelli e Padre
Pellettieri, i quali non ritengono affatto che l’uso del Messale del ’62
sia un allontanamento dal carisma fondativo. Tanto più che al n. 30
delle proprie Costituzioni, approvate dalla Santa Sede, si afferma
esplicitamente: “La nostra fedeltà ai Padri Fondatori deve essere un
impegno di riconoscenza, perchè nel loro cuore l’Immacolata ha deposto
il carisma della nostra Fondazione, e solo da essi possiamo ricevere la
guida sicura per vivere secondo il carisma e farlo fruttificare in tutta
la sua ricchezza e fecondità. È grande grazia poter ricorrere ai Padri
fondatori, finché sono viventi, per ricevere da loro la più vera luce
del nostro carisma che essi solo hanno ricevuto in pienezza e che
portano nel cuore proprio per donarla a noi loro figli [...]“.
In conclusione: queste righe non sono scritte per contrapporsi a Tizio o approvare Caio, ma solo per mostrare quanto inconsistenti siano le accuse, per lo meno quelle note, rivolte a Padre Manelli.
C’è chi esorta i Frati a non sottomettersi alle
restrizioni relative alla celebrazione con il Messale del 1962, in
quanto non legittime. Ma i Frati sanno che il principio guida delle loro
azioni è questo: “La nostra obbedienza al Papa e alla Chiesa, come a
Cristo capo e al suo Corpo Mistico, deve essere primaria e senza
riserve, soprattutto in questi tempi di aperto dissenso da parte di
molti, anche consacrati, che stanno creando confusione di idee e
sbandamenti morali nel popolo di Dio. [...]“ (art. 29). Quello che
viene chiesto loro in questo momento non è di compiere qualcosa di
contrario alla legge di Dio e della Chiesa (il che motiverebbe la
“disobbedienza”), bensì di accettare il restringimento di un diritto,
che è molto diverso. Il diritto è chiaramente sancito dal Motu Proprio e
col tempo si potrà vedere che quanto disposto attualmente dal
Commissario ha tutta l’aria di essere un abuso. Ma non è questo che
importa. Chi ha fatto questa imposizione può anche aver sbagliato e, tra
non molto, ne renderà conto a Chi di dovere, ma Padre Manelli, insieme
ai Frati e alle Suore, hanno santamente scelto la via maestra
dell’obbedienza e con questa non solo non sbagliano, ma fecondano il
terreno per frutti maggiori e duraturi. La disobbedienza sarebbe
legittima se e solo se la celebrazione con il messale di Paolo VI fosse
un peccato: ma questo i Frati non l’hanno mai sostenuto. Invece quello
che viene loro imposto è di rinunciare ad un diritto, sancito dal
Summorum Pontificum: il crinale è davvero sottile, ma Padre Manelli,
vero figlio spirituale di Padre Pio, non ha avuto esitazioni.
Qualcun altro sostiene che adesso i FI si trovano di
fronte ad un bivio: obbedire e diventare modernisti, oppure disobbedire e
conservare la fede. Qui, forse, si scorge il tentativo di equiparare la
situazione dei Frati ad altre. In verità Padre Stefano Manelli si
dirige verso la via dell’obbedienza soprannaturale, quella di Mosè in
fuga dall’Egitto: il mare davanti e l’esercito di Faraone dietro; ma il
buon Dio apre una strada impossibile attraverso il mare.
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