Nella storica omelia di Santa Marta di lunedì 11 gennaio, il Papa ha introdotto questa novità: chi riceve bustarelle o commette l’evasione fiscale «merita – dice Gesù, non lo dico io – che gli mettano al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Non parla di perdono, qui». (che vi sia qui una strizzatina d’occhio alla pena di morte?…)
Il sito di Radio Vaticana così titola: «Il Papa: ingiusto essere benefattore della Chiesa e rubare allo Stato, no ai cristiani dalla doppia vita».
Prendiamo atto di questa ulteriore rivoluzione metafisica – immaginiamo significhi che l’inferno non è vuoto come dicevano quelli, anzi, è pieno di corrotti – ma vogliamo comunque ricordare due figure a noi care.
La prima, è quella di Charles Keating. Nato nel 1932, Keating fu campione di nuoto per l’Università di Cincinnati, per poi divenire – sin dagli anni Cinquanta – frontale nemico della diffusione della pornografia, al punto da prendere parte alla «Commissione sull’oscenità e la pornografia» voluta dal presidente Lyndon Johnson nel 1969. Profondamente religioso, Charles fu in prima linea nel denunciare il magnate pornografo Larry Flint (lo si può vedere nel film di Milos Forman Larry Flynt – Oltre lo scandalo), l’esplosione del cinema softcore con i film di Russ Meyer, e perfino le edicole vicino al suo ufficio che vendevano copie di Playboy.
Keating, che aveva un fratello deputato e un’ampia copertura da parte di certi senatori USA, negli anni Settanta divenne il più grande immobiliarista dell’Arizona. Poi si dedicò ai magheggi di Wall Street, fondando la finanziaria Lincoln Savings and Loans Association. La Lincoln fallì nel 1989, creando un buco da 3 miliardi di dollari e lasciando 23 mila clienti con bond inutilizzabili. Lo accusarono di frode, bancarotta, associazione a delinquere. Finì in galera per quattro anni. Nello scandalo, finì dentro pure il senatore McCain. Mentre era in galera, si fece avanti una nuova querela di unacorporation che pretendeva da Keating e sua moglie 4,3 miliardi di dollari: seguì la condanna più esosa mai inflitta ad una singola persona nella storia americana. Per tutta la prigionia Keating si dichiarò innocente: «sono un prigioniero politico del governo americano, sono il capro espiatorio del più grande scandalo finanziario della storia». Essere rimasto integro negli anni di galera, dice, è stata la realizzazione di cui va più fiero in tutta la sua vita.
Caduto in disgrazia, pochi si sono ricordati della sua massiva attività filantropica: diede un milione di dollari alla Covenant House, la più grande agenzia che in America fornisce un tetto e un pasto agli homeless e agli scappati di casa. Il fondatore, il padre francescano Bruce Ritter, disse che incontrare Keating «ti ricorda che la Provvidenza esiste».
Ma ancora più importante fu l’incontro con Madre Teresa. Keating le versò donazioni milionarie, e lei, durante il processo, scrisse al procuratore distrettuale che seguiva il caso di essere clemente con il finanziere americano. Nel suo libro La posizione della missionaria, il defunto polemista ateo Christopher Hitchens (ah, quanto sarebbe andato d’accordo con il nuovo corso del Papato se fosse sopravvissuto di qualche mese al cancro!) scrive che il procuratore Paul Turley alla richiesta rispose ingiungendo la restituzione dei danari donati da Keating alle Missionarie di Carità[1]. La beata di Calcutta gli aveva scritto: «guardate nel vostro cuore. Cosa farebbe Gesù?». Niente da fare: il Turley, d’accordo con il mangiapreti Hitchens (e con altri), considerava la corruzione come un crimine che ha la precedenza su ogni cosa, un delitto la cui retribuzione è non-negoziabile. Sono le nuove priorità del mondo, e anche – ci pare di capire – del mondo cattolico.
Keating è ancora vivo. Dobbiamo immaginare che – nonostante la Fede professata e praticata, i sacramenti, il lavoro svolto per la comunità cristiana mondiale, la generosità, la sofferenza patita in anni di carcere – andrà all’inferno? Madre Teresa gli ha messo una macina da mulino al collo e lo ha buttato nel Golfo del Bengala?
Ma c’è un esempio meno esotico che mi piacerebbe qui ricordare.
Ne siamo stati informati dal libro L’Uomo che sussurrava ai potenti, furba confessione-fiume dell’ex-faccendiere boiardo del para-stato Luigi Bisignani. Nel capitolo intitolato Il potere della Chiesa, Bisignani ci illustra un retroscena che proprio non conoscevamo: «quello che le posso dire è che Craxi ebbe funerali religiosi nella cattedrale di Tunisi, e tra le mani, nella bara, aveva il rosario che gli aveva regalato proprio Papa Wojtyla. Da quando stava in Tunisia il Papa non mancava mai di fargli avere i suoi saluti. Nel settembre 1999, un anno prima di morire, Craxi scrisse poche righe meste a Wojtyla: “Santo Padre, Don Verzè mi porta il suo messaggio augurale, grazie. La mia grande fiducia è in Lei. Offro la mia sofferenza per il mio paese e per le intenzioni della Vostra santità”. Copia della lettera autografa l’ho avuta dalla figlia Stefania. Erano gli anni in cui anche il Papa aveva già iniziato, purtroppo, la sua lunga sofferenza»[2].
Non so voi, ma io raramente ho letto parole più autentiche e struggenti di queste. Un uomo, gettato nello sconforto dell’infamia, colpito dalla malattia che lo fece morire fuori dal Paese che aveva tanto amato. Craxi era a capo di un sistema corrotto? Può darsi. Altrimenti, il suo partito negli anni Ottanta non avrebbe raggiunto vertici di corruttela da barzelletta («sai quando non bisogna mai baciare in bocca un socialista? Quando si hanno i denti d’oro…»).
Certo. Ma volete dirmi che, come corrotto, Craxi non sarà perdonato? Nemmeno se, di fatto, Di Pietro e i suoi mandanti una macina al collo gliela hanno affibbiata, gettandolo dall’altra parte del mare? Nemmeno se ha pagato con una decade di umiliazione e sofferenza?
Volete dirmi che un uomo che scrive al Papa «La mia grande fiducia è in Lei. Offro la mia sofferenza per il mio paese e per le intenzioni della Vostra santità» è un uomo che non merita il perdono di Dio? Secondo il nuovo corso, sembra di no. Wojtyla, apprendiamo, gli scriveva spesso. Per Bergoglio invece uno come Craxi potrebbe meritare il fuoco eterno.
Qualcosa, nella Chiesa, deve essere cambiato.
La realtà è che, oltre che un peccatore, anche in punto di morte Craxi si è dimostrato così un grande statista, un Re che si offre in sacrificio per il suo popolo, perché la terra guasta dell’Italia, per tramite dell’azione della Chiesa di Cristo, torni a fiorire. A differenza di tanti vescovi e cardinali italiani, nel dolore dei suoi giorni Craxi ha compreso il mistero del dolore, l’enigma cristiano per cui esso è sostanza fertile, è seme per un bene maggiore. La parabola di corruzione di Bettino – se così vogliamo vederla – si è conclusa con una conversione autentica, carnale: una storia intrisa di scherno, di odio persecutorio e di morte, come da paradigma cristiano.
Che la Chiesa non sia più in grado di capire né questo né altro è il vero scandalo. È il sentire della Chiesa, la sua capacità di percepire la realtà e Dio, ad essere ormai corrotto sino al midollo.
Ma – incredibile – noi poveri cristiani peccatori possiamo perdonare anche questo.
Prendiamo atto di questa ulteriore rivoluzione metafisica – immaginiamo significhi che l’inferno non è vuoto come dicevano quelli, anzi, è pieno di corrotti – ma vogliamo comunque ricordare due figure a noi care.
La prima, è quella di Charles Keating. Nato nel 1932, Keating fu campione di nuoto per l’Università di Cincinnati, per poi divenire – sin dagli anni Cinquanta – frontale nemico della diffusione della pornografia, al punto da prendere parte alla «Commissione sull’oscenità e la pornografia» voluta dal presidente Lyndon Johnson nel 1969. Profondamente religioso, Charles fu in prima linea nel denunciare il magnate pornografo Larry Flint (lo si può vedere nel film di Milos Forman Larry Flynt – Oltre lo scandalo), l’esplosione del cinema softcore con i film di Russ Meyer, e perfino le edicole vicino al suo ufficio che vendevano copie di Playboy.
Keating, che aveva un fratello deputato e un’ampia copertura da parte di certi senatori USA, negli anni Settanta divenne il più grande immobiliarista dell’Arizona. Poi si dedicò ai magheggi di Wall Street, fondando la finanziaria Lincoln Savings and Loans Association. La Lincoln fallì nel 1989, creando un buco da 3 miliardi di dollari e lasciando 23 mila clienti con bond inutilizzabili. Lo accusarono di frode, bancarotta, associazione a delinquere. Finì in galera per quattro anni. Nello scandalo, finì dentro pure il senatore McCain. Mentre era in galera, si fece avanti una nuova querela di unacorporation che pretendeva da Keating e sua moglie 4,3 miliardi di dollari: seguì la condanna più esosa mai inflitta ad una singola persona nella storia americana. Per tutta la prigionia Keating si dichiarò innocente: «sono un prigioniero politico del governo americano, sono il capro espiatorio del più grande scandalo finanziario della storia». Essere rimasto integro negli anni di galera, dice, è stata la realizzazione di cui va più fiero in tutta la sua vita.
Caduto in disgrazia, pochi si sono ricordati della sua massiva attività filantropica: diede un milione di dollari alla Covenant House, la più grande agenzia che in America fornisce un tetto e un pasto agli homeless e agli scappati di casa. Il fondatore, il padre francescano Bruce Ritter, disse che incontrare Keating «ti ricorda che la Provvidenza esiste».
Ma ancora più importante fu l’incontro con Madre Teresa. Keating le versò donazioni milionarie, e lei, durante il processo, scrisse al procuratore distrettuale che seguiva il caso di essere clemente con il finanziere americano. Nel suo libro La posizione della missionaria, il defunto polemista ateo Christopher Hitchens (ah, quanto sarebbe andato d’accordo con il nuovo corso del Papato se fosse sopravvissuto di qualche mese al cancro!) scrive che il procuratore Paul Turley alla richiesta rispose ingiungendo la restituzione dei danari donati da Keating alle Missionarie di Carità[1]. La beata di Calcutta gli aveva scritto: «guardate nel vostro cuore. Cosa farebbe Gesù?». Niente da fare: il Turley, d’accordo con il mangiapreti Hitchens (e con altri), considerava la corruzione come un crimine che ha la precedenza su ogni cosa, un delitto la cui retribuzione è non-negoziabile. Sono le nuove priorità del mondo, e anche – ci pare di capire – del mondo cattolico.
Keating è ancora vivo. Dobbiamo immaginare che – nonostante la Fede professata e praticata, i sacramenti, il lavoro svolto per la comunità cristiana mondiale, la generosità, la sofferenza patita in anni di carcere – andrà all’inferno? Madre Teresa gli ha messo una macina da mulino al collo e lo ha buttato nel Golfo del Bengala?
Ma c’è un esempio meno esotico che mi piacerebbe qui ricordare.
Ne siamo stati informati dal libro L’Uomo che sussurrava ai potenti, furba confessione-fiume dell’ex-faccendiere boiardo del para-stato Luigi Bisignani. Nel capitolo intitolato Il potere della Chiesa, Bisignani ci illustra un retroscena che proprio non conoscevamo: «quello che le posso dire è che Craxi ebbe funerali religiosi nella cattedrale di Tunisi, e tra le mani, nella bara, aveva il rosario che gli aveva regalato proprio Papa Wojtyla. Da quando stava in Tunisia il Papa non mancava mai di fargli avere i suoi saluti. Nel settembre 1999, un anno prima di morire, Craxi scrisse poche righe meste a Wojtyla: “Santo Padre, Don Verzè mi porta il suo messaggio augurale, grazie. La mia grande fiducia è in Lei. Offro la mia sofferenza per il mio paese e per le intenzioni della Vostra santità”. Copia della lettera autografa l’ho avuta dalla figlia Stefania. Erano gli anni in cui anche il Papa aveva già iniziato, purtroppo, la sua lunga sofferenza»[2].
Non so voi, ma io raramente ho letto parole più autentiche e struggenti di queste. Un uomo, gettato nello sconforto dell’infamia, colpito dalla malattia che lo fece morire fuori dal Paese che aveva tanto amato. Craxi era a capo di un sistema corrotto? Può darsi. Altrimenti, il suo partito negli anni Ottanta non avrebbe raggiunto vertici di corruttela da barzelletta («sai quando non bisogna mai baciare in bocca un socialista? Quando si hanno i denti d’oro…»).
Certo. Ma volete dirmi che, come corrotto, Craxi non sarà perdonato? Nemmeno se, di fatto, Di Pietro e i suoi mandanti una macina al collo gliela hanno affibbiata, gettandolo dall’altra parte del mare? Nemmeno se ha pagato con una decade di umiliazione e sofferenza?
Volete dirmi che un uomo che scrive al Papa «La mia grande fiducia è in Lei. Offro la mia sofferenza per il mio paese e per le intenzioni della Vostra santità» è un uomo che non merita il perdono di Dio? Secondo il nuovo corso, sembra di no. Wojtyla, apprendiamo, gli scriveva spesso. Per Bergoglio invece uno come Craxi potrebbe meritare il fuoco eterno.
Qualcosa, nella Chiesa, deve essere cambiato.
La realtà è che, oltre che un peccatore, anche in punto di morte Craxi si è dimostrato così un grande statista, un Re che si offre in sacrificio per il suo popolo, perché la terra guasta dell’Italia, per tramite dell’azione della Chiesa di Cristo, torni a fiorire. A differenza di tanti vescovi e cardinali italiani, nel dolore dei suoi giorni Craxi ha compreso il mistero del dolore, l’enigma cristiano per cui esso è sostanza fertile, è seme per un bene maggiore. La parabola di corruzione di Bettino – se così vogliamo vederla – si è conclusa con una conversione autentica, carnale: una storia intrisa di scherno, di odio persecutorio e di morte, come da paradigma cristiano.
Che la Chiesa non sia più in grado di capire né questo né altro è il vero scandalo. È il sentire della Chiesa, la sua capacità di percepire la realtà e Dio, ad essere ormai corrotto sino al midollo.
Ma – incredibile – noi poveri cristiani peccatori possiamo perdonare anche questo.
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[1] Christopher Hitches, The Missionary Position: Mother Teresa in Theory and Practice, Verso, Londra 1995; p.70
[2] Luigi Bisignani – Paolo Madron, L’uomo che sussurrava ai potenti, Chiarelettere, Milano 2013; p.75.
il Sig. Bergoglio vuole giocare a fare il Sig. Robespierre? speriamo lo imiti bene sino all'atto finale...
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