ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 13 novembre 2013

Romanzo Vaticano

Vaticano, i rapporti con mafia e criminalità

Banda della Magliana. Loggia P2. Mafia. E ora la 'ndrangheta che minaccia il papa. Gli affari sporchi con la Chiesa.

di Marco Mostallino
Papa Francesco è un ingombro per la 'ndrangheta. E per le mafie che da decenni intrattengono rapporti di affari e di complicità con il Vaticano e con alcuni ambienti della Chiesa cattolica che hanno usato lo Ior, le diocesi e altri canali di istituzioni religiose per muovere denaro, investire, fare affari di ogni tipo. Grazie anche a legami con la massoneria.
L'ALLARME DI GRATTERI. Così le nuove cosche starebbero studiando il modo di sbarazzarsi del pontefice scomodo, che ha intrapreso una radicale opera di pulizia della Curia e di ciò che ruota attorno ai Sacri Palazzi. Lo sostiene il magistrato Nicola Gratteri, nel suo ultimo libro Acqua Santissima (Mondadori), scritto insieme col giornalista Antonio Nicaso.

Il regno di Marcinkus

Il legame tra ambienti vaticani e criminalità organizzata non è certo cosa nuova. Negli Anni 70 e 80 parve rafforzarsi. O forse si limitò a venire alla luce grazie agli scandali legati alla gestione dello Ior, la banca vaticana, sotto il regno del cardinale Paul Marcinkus (presidente dell'istituto dal 1971 al 1989), prelato americano spregiudicato che, sebbene indagato dalla magistratura italiana, il Vaticano protesse entro le sue mura, assicurandogli immunità dalla giustizia e permettendogli di finire i suoi giorni in una parrocchia negli Stati Uniti, al riparo da ogni richiesta di estradizione.
GLI AFFARI DI SINDONA E CALVI.Dentro lo Ior in quegli anni passavano i soldi e gli affari di Guido Calvi e Michele Sindona, i due faccendieri protagonisti delle enormi truffe legate al Banco Ambrosiano.
IL LEGAME CON GELLI. Ma Marcinkus e i suoi compari ebbero rapporti strettissimi anche con Licio Gelli, il venerabile maestro della loggia massonica P2, coacervo di politici, militari, finanzieri e criminali italiani ma non solo. Calvi e Sindona morirono poi in maniere ancora oggi oscure.

Lo strapotere del segretario Jean Villot

Questo intrico di malaffare prolificò sotto il papato di Paolo VI (1963-1978): uomo di gran fede e onestà, ma forse incapace di comprendere e di intervenire per estirpare l'erba velenosa che tra la Curia e le banche, grazie al lavoro di mafia e P2, fece dello Ior il vero centro motore della finanza sporca che infettava l'Italia in quegli anni.
Né la Chiesa né, in fondo, le autorità italiane hanno mai voluto mettere le mani fino in fondo in quel marciume economico cresciuto all'ombra delle cattedrali. Anche perché troppi nomi importanti vi erano in qualche modo invischiati.
I 33 GIORNI DI LUCIANI. Nel 1978, con la morte di papa Montini e l'ascesa al soglio di Giovanni Paolo I qualcosa sembrò cambiare. Ma il pontificato di Luciani fu troppo breve, appena 33 giorni, tra l'altro vissuti all'ombra del segretario di Stato Jean Villot, cardinale francese disinvolto, uomo di potere ben conscio del ruolo dello Ior e di numerosi prelati nel gioco sporco tra fraccendieri, mafiosi, massoni e porporati.
Papa Luciani morì in fretta, dopo aver confidato ai suoi collaboratori più stretti il desiderio di ripulire il Vaticano da questi maleodoranti intrecci.

Lo Ior di Gotti Tedeschi e lo scontro con la Curia

È fresca l'uscita di scena del banchiere Ettore Gotti Tedeschi dalla presidenza dello Ior (che guidava dal 2009) avvenuta praticamente a cavallo tra la rinuncia al soglio da parte di Benedetto XVI e l'elezione di Bergoglio che in questi mesi sta agendo con mano ferma e senza fare sconti per ripulire e riformare la banca vaticana.
LA POLEMICA SULLA GESTIONE. Gotti Tedeschi è entrato in collisione con la Curia con la quale sono volate accuse incrociate circa la gestione dell'istituto. Polemiche provocate dall'apertura di alcune indagini in Italia che dimostrano come lo Ior sia negli anni divenuto anche una lavanderia di denaro frutto delle imprese di cosa nostra e 'ndrangheta, oltre che di finanzieri disposti a tutto pur di arricchire sempre più se stessi e i loro complici, per acquisire un potere sempre più ampio nei confronti delle istituzioni italiane.
FEDE CRIMINALE. Nel suo libro, tra l'altro, Gratteri conferma che quasi tutti i membri delle cosche calabresi e siciliane ostentano una grande fede, con offerte alla Chiesa, partecipazione a cerimonie pubbliche e private, e talvolta con regali e scambi imbarazzanti con parroci e, persino, qualche vescovo del Sud.
Sarebbe il boss Matteo Messina Denaro il tessitore di gran parte di queste trame che a volte vengono alla luce, illuminate da pentiti o investigatori capaci, ma che spesso restano sotterranee, con conti in banca intestati a insospettabili religiosi ma in realtà gestiti da pezzi grossi dei clan.

Giovanni Paolo II e la banda della Magliana

Ma è stato il pontificato di Giovanni Paolo II il momento più fertile per questi intrecci criminali. Il papa polacco era così preoccupato dall'ansia di abbattere il comunismo prima, e di portare la fede in giro per il mondo poi, da non riservare nemmeno un pizzico del suo tempo all'opera di pulizia dentro lo Ior e dintorni.
IL RAPIMENTO ORLANDI. Anzi, sotto il regno di Wojtyla, ci fu il rapimento di Emanuela Orlandi, la figlia di un usciere vaticano sparita a Roma e mai più ritrovata. Poco ancor oggi si sa del caso, ma è ormai noto come diversi preti e monsignori intrattenessero ottimi rapporti col boss romano Enrico De Pedis, noto al crimine come Renatino, il quale ha avuto persino l'onore della sepoltura nella chiesa capitolina di Sant'Apollinare: un privilegio negato ai comuni mortali eppure concesso al capo della banda della Magliana (tra l'altro il 13 novembre la Guardia di Finanza ha sequestrato a Ernesto Diotallevi, considerato un ex boss della banda, 25 milioni di euro) considerato dai sacerdoti di Sant'Apollinare come un benefattore. Renatino donò molto denaro alla Chiesa, certo con un tornaconto. Come le difficili indagini sulla sparizione di Emanuela Orlandi stanno in questi mesi chiarendo.

La rivoluzione di Bergoglio

L'errore di papa Luciani fu probabilmente quello di annunciare la sua volontà di far pulizia prima ancora di cominciarla: e non ebbe il tempo di muovere alcun passo. Papa Francesco sta invece agendo con fermezza ed efficacia, senza dar modo ad alcuno, nella Curia e fuori, di mettergli per ora un freno. Ma il compito del pontefice argentino è arduo: troppi ancora gli intrecci attivi ed è per questo che ora Gratteri, esperto di indagini sulle mafie, teme per la vita del pontefice.
http://www.lettera43.it/cronaca/vaticano-i-rapporti-con-mafia-e-criminalita_43675113486.htm

Papa, alla 'ndrangheta non conviene ammazzarlo

Per l'intelligence la malavita organizzata non rischierebbe con un attentato al pontefice.

di Daniele Gensini
Parole pesanti. Pesantissime. «Non so se la criminalità organizzata sia nella condizione di fare qualcosa, ma di certo ci sta riflettendo. Può essere pericoloso». Le affermazioni del procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, nel corso di un'intervista al Fatto quotidiano in cui ha lanciato l'allarme su un possibile attacco della 'ndrangheta contro papa Francesco, hanno fatto alzare le antenne alla Gendarmeria vaticana, guidata da Domenico Giani, come ai servizi segreti italiani.
PER ORA NESSUN INDIZIO CONCRETO. Negli ambienti della sicurezza, il pericolo paventato da Gratteri, magistrato esperto e rispettato per il coraggio con cui da anni combatte la criminalità organizzata mettendo a rischio la vita, non viene sottovalutato, anche se, al momento, mancano indizi reali su un piano preparato per colpire la figura del Santo Padre. Fonti dell'intelligence, interpellate da Lettera43.it, ritengono però che la mafia calabrese, abituata a muoversi con estrema cautela - a differenza di quanto hanno fatto, pagandone le conseguenze con la successiva decapitazione dei vertici, i corleonesi di Totò Riina (che in questi giorni, stando al report di una guardia carceraria, avrebbe minacciato di morte il pm palermitano Nino Di Matteo) -, difficilmente alzerà il tiro contro il pontefice, perché «con una mossa del genere, si troverebbe alle calcagna le forze di sicurezza di mezzo mondo, e l'intera struttura sarebbe rasa al suolo in poche settimane».
ORGANIZZAZIONI MAFIOSE IN DIFFICOLTÀ. Difficile quindi, almeno stando al parere dei nostri 007, che le 'ndrine considerino davvero l'opportunità di un attacco tanto clamoroso quanto inedito per il loro modus operandi. Agenti di prima linea, che hanno condotto importanti operazioni in Italia e non solo, ricordano che le organizzazioni mafiose nazionali sono in uno stato di generale difficoltà, dopo i ripetuti blitz subìti nei mesi scorsi, e la loro esigenza principale è quella di provare a «ridarsi un ordine interno», essendo venuti meno molti interlocutori che, anche in politica, costituivano punti di riferimento essenziali. 

Rosario Priore: un rischio comune ai personaggi pubblici

Lettera43.it ha chiesto un parere sulle dichiarazioni di Gratteri a Rosario Priore, l'uomo che condusse le indagini sull'attentato subìto da papa Giovanni Paolo II, il 13 maggio del 1981. Il giudice romano ha detto: «Conosco Gratteri, e so che è pm serissimo, che non si azzarderebbe a fare dichiarazioni sulla 'ndrangheta senza avere riscontri precisi nelle inchieste e nelle carte. Certo, tutte le persone che assumono un ruolo e una dimensione mediatica pubblica, corrono pericoli. E chi più di papa Francesco? Che si espone in modo rilevante, che ama l'abbraccio della gente, e anche i bagni di folla. Sembra che faccia parte del suo carattere, e che tali modi conseguano a una certa espansività tipica dei sudamericani; per noi è una novità visto che eravamo abituati ad altri comportamenti più europei, dei papi italiani, e al self control di Benedetto XVI».
UN EFFETTO DEFLAGRANTE GLOBALE. Secondo Priore bisogna infatti soprattutto preoccuparsi di «verificare le condizioni di sicurezza del pontefice, che allo stato mi sembrano minime, a tal punto da invitare anche i più sprovveduti, singoli o organizzazioni, a progettare attentati. S'impone  al governo e alle autorità competenti di ricercare ed individuare chi possa meditare gesti del genere, che sicuramente possono albergare in organizzazioni di criminalità a tal punto potenti da nutrire progetti eversivi come l'eliminazione di un papa. Ma dobbiamo anche accertare se esistano entità politiche nelle cui finalità ci siano programmi siffatti. Che se realizzati avrebbero un effetto deflagrante globale».
I PROSSIMI APPUNTAMENTI DEL PAPA. Gli addetti alla tutela di Bergoglio, già alle prese con le problematiche legate alla sua decisione di non risiedere nel Palazzo apostolico, preparano intanto con cura i prossimi appuntamenti, a cominciare da giovedì 14 novembre, data in cui il Santo padre incontrerà Giorgio Napolitano al Quirinale.
Per l'occasione, sono annunciati cambi al protocollo, all'insegna dello stile spartano che caratterizza il Papa argentino, che sarà accolto dal capo dello Stato nel cortile d'onore del palazzo presidenziale. Seguirà la visita alla cappella interna con la presentazione del Codice purpureo di Rossano, Evangeliario greco miniato che contiene l'intero vangelo di Matteo.
Dopo, Napolitano e il pontefice si sposteranno al salone delle feste, dove terranno i rispettivi discorsi, alla presenza dei membri del governo, i presidenti delle Camere, i rappresentanti dei gruppi parlamentari e, per la prima volta, esponenti della società civile e della cultura. Bergoglio dovrebbe essere accompagnato al Colle da una delegazione composta da alti prelati, tra cui spicca l' assenza del neo segretario di Stato, Pietro Parolin, che arriverà a Roma sabato prossimo dopo la convalescenza in seguito a un intervento chirurgico.

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