Osservazioni sul trentennale del Nuovo Concordato
Una ricorrenza celebrata dalle sue vittime
Il trentennale del Nuovo Concordato tra lo Stato Italiano e la Santa Sede, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, è stato celebrato in modo alquanto sommesso. Tutto si è ridotto a un convegno romano tenutosi il 12 febbraio scorso, nel quale hanno parlato mons. Piero Parolin, nuovo Segretario di Stato vaticano, e mons. Nunzio Galantino, nuovo Segretario della C.E.I., ospitati dal Presidente del Senato in Palazzo Giustiniani (cfr. Avvenire, 13 febbraio 2014).
I due prelati relatori hanno elogiato il Nuovo Concordato, considerandolo un modello di collaborazione tra potere temporale e autorità spirituale, perché ha realizzato «una rivoluzione copernicana nei rapporti Stato-Chiesa», un parallelo processo di laicizzazione delle due istituzioni, all’insegna del noto motto “libera Chiesa in libero Stato”.
Infatti, da una parte, il Nuovo Concordato ha liberato lo Stato da superati obblighi confessionali e gli ha permesso di meglio guidare una nazione, ormai diventata multiconfessionale e multiculturale, basandosi su una “laicità positiva”, ossia che non si subordina alla religione né la esclude dalla società, ma la include come fattore di “umanizzazione” e di coesione della vita pubblica. Dall’altra parte, il Nuovo Concordato ha liberato la Chiesa da vecchie pretese e legami politici di origine “teocratica”, permettendole così di ricuperare “spazi di libertà” necessari alla sua missione eminentemente spirituale.
Francamente, avevo previsto che il trentennale concordatario non avrebbe portato alcun chiarimento dei suoi gravi risultati, problemi e pericoli, e che tutto si sarebbe risolto in una conformistica celebrazione.
Mi aspettavo però che il Nuovo Concordato sarebbe stato celebrato soprattutto dallo Stato laicista italiano, ossia dall’istituzione che ne ha ricevuto i maggiori vantaggi, avendo ottenuto una piena esenzione dai propri doveri religiosi e in tal modo avendo portato a compimento quel processo di secolarizzazione iniziato con la Costituzione repubblicana. Invece, a quanto pare, il trentennale è stato celebrato soprattutto dalla Chiesa italiana, ossia proprio dall’istituzione che ne ha avuto i maggiori danni, avendo perso il proprio pubblico ruolo santificatore e civilizzatore, finendo emarginata dalle istituzioni e influenzata da un analogo processo di secolarizzazione le cui premesse sembrano già operanti nello “spirito del Concilio”. Il che conferma la regola secondo cui «la secolarizzazione dello Stato favorisce quella della Chiesa», come ha recentemente ammonito l’amico prof. Miguel Ayuso, presidente internazionale dei Giuristi Cattolici.
Ci chiediamo: valeva la pena di svendere la confessionalità cristiana dello Stato, perdendone i pochi vantaggi rimasti dal passato, per ottenere presunti nuovi vantaggi che poi si sono rivelati inconsistenti, o che si sono rovesciati in danni?
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La secolarizzazione dello Stato italiano
Vale la pena ricordare brevemente ciò che è stato stabilito dal Nuovo Concordato?
Nel campo della famiglia, esso ha laicizzato il matrimonio, non riconoscendolo più come divino Sacramento né come cellula e modello della società, ma solo come mero contratto civile revocabile; per giunta, il matrimonio è stato sottratto alla competenza della giurisdizione ecclesiastica e sottomesso a quella statale. Il risultato è che oggi la famiglia ha perduto antichi e preziosi vantaggi e tutele e domani lo Stato potrebbe sancire la parificazione di tutte le forme di convivenza, comprese quelle omosessuali.
Nel campo della scuola, il Nuovo Concordato ha laicizzato l’educazione della gioventù, rinnegando il Cristianesimo come fondamento della civiltà e riducendolo a mera componente storica del popolo italiano, da insegnare solo facoltativamente assieme alle altre religioni. Il risultato è che oggi, in molte scuole, l’intervento di prelati viene proibito e l’ora di catechismo è stata sostituita dall’ora di una ecumenica “cultura religiosa”, in attesa di sostituirla con un’ora di “educazione affettiva” (ossia diseducazione sessuale) che insegni ai minori l’equivalenza di tutte le concezioni, tendenze e ruoli sessuali.
Nel campo dell’economia, il Nuovo Concordato ha laicizzato il sostegno statale alla Chiesa, riducendo la libertà ecclesiale di possedere e gestire beni e lasciando che sia lo Stato a decidere quali sono le attività religiose ritenute benefiche per la società e quindi degne di ottenere facilitazioni economiche e burocratiche. Il risultato sono stati l’emarginazione economica e il progressivo impoverimento della Chiesa, che oggi non è più in grado di sostenere le sue scuole, né di far fronte ai vari impegni di assistenza che la situazione sociale richiede.
Tutto questo è solo l’applicazione pratica del principio stabilito nel Preambolo del Nuovo Concordato, che ha laicizzato lo Stato italiano. I suoi firmatari (laici ed ecclesiastici) hanno concordemente stabilito la “neutralità” statale in materia religiosa, per cui la confessionalità cristiana dello Stato “non è più in vigore”. Si badi bene: ciò significa non che lo Stato italiano non è più cristiano di fatto, ma che non lo è più di principio, ossia che non deve esserlo, in quanto la sua confessionalità è ritenuta incompatibile con le due magnae chartae della “modernità”: la Costituzione repubblicana e il decreto conciliare Dignitatis humanae. Pertanto, la confessionalità cristiana dello Stato non è più inclusa nei cosiddetti “princìpi non negoziabili”, tanto è vero che è stata “negoziata” senza remore dalla Santa Sede, pagandola qual misero prezzo per ottenere vantaggi ritenuti ben più validi. In sostanza, i sacri diritti politici di Gesù Cristo Rex Italiae e della Sua Chiesa sono stati surclassati dai profani “diritti dell’Uomo” moderno e della sua società.
Una volta proclamata la neutralità religiosa, lo Stato italiano ha ufficialmente rinnegato le sue origini cattoliche; la sua filosofia non è più quella classico-cristiana, la sua etica civile non è più quella dei Dieci Comandamenti, la sua educazione scolastica non si basa più sul Vangelo, il suo diritto di famiglia non riconosce più la competenza ecclesiale, la sua politica non s’ispira più alla dottrina sociale della Chiesa, la sua magistratura non punisce più i pubblici peccati, nemmeno le offese fatte a Dio, a Gesù Cristo e ai santi, la città di Roma non è più rispettata come “sacra”. Da allora, non c’è più stato baluardo giuridico efficace per difendere il matrimonio e la famiglia cristiani l’educazione religiosa della gioventù, la moralità pubblica della nostra patria, l’onore della santa Chiesa; non è più stato possibile difendere il popolo cristiano da seduzioni, pressioni, ricatti e violenze fatti dalle varie lobby anticristiane. Di conseguenza, sul suolo italico si sono moltiplicati abusi, prevaricazioni, offese e sacrilegi pubblici; si sono moltiplicate leggi, norme e sentenze che pongono le premesse di una prossima persecuzione cruenta dei cristiani.
.
La secolarizzazione della Chiesa italiana
Di questa radicale secolarizzazione politico-religiosa, era facile prevedere fin dall’inizio le progressive, enormi e gravissime conseguenze pratiche. Ma quasi nessuna associazione cattolica seppe o volle farlo. Lo fece il Centro Culturale Lepanto, col suo manifesto di denuncia intitolato Può un cattolico preferire lo Stato ateo?, pubblicato su alcuni quotidiani nazionali l’11 febbraio 1984, poi ampliato nel libro L’Italia cattolica e il Nuovo Concordato, pubblicato da Roberto de Mattei (Edizioni Fiducia, Roma 1985).
Oggi, purtroppo, quelle prevedibili conseguenze si sono in gran parte già realizzate, pesano sulla vita del nostro popolo, ne compromettono il futuro, pertanto allarmano l’opinione pubblica. Solo la C.E.I. sembra non preoccuparsene, tantomeno affrontarle nelle loro cause; viene il grave sospetto ch’essa si comporti così perché considera che quelle conseguenze siano non tanto perdite quanto conquiste, non sconfitte ma vittorie, comunque prezzi da pagare per far sì che la “modernizzazione” della Chiesa si adegui a quella dello Stato.
Questo ci fa temere che il danno maggiore del Nuovo Concordato sia stato quello di aver favorito il processo di secolarizzazione della vita religiosa da tempo in atto. Infatti, la “liberazione” della Chiesa italiana dai vecchi legami con lo Stato non l’hanno resa più “pura” o “spirituale”, bensì più politicizzata, socializzata, finanziarizzata, insomma mondanizzata, anche perché quegl’inevitabili compiti e ruoli pubblici, prima delegati (bene o, più spesso, male) ai laici, essa ha dovuto assumerseli in prima persona, attirandosi così l’accusa d’invadente clericalismo.
Dopo il Nuovo Concordato, l’ansia di “liberarsi dalla politica”, col pretesto di una “scelta religiosa” promotrice del pluralismo civile, ma in realtà al fine di ritirarsi nelle sacrestie facendo spazio alle “forze emergenti della Storia”, portò la Chiesa italiana a favorire la secolarizzazione della vita pubblica, a non ostacolare la Sinistra avanzante, a trascurare la formazione di una seria élite cattolica politica e infine a rinunciare al sostegno lungamente ricevuto dalla D.C., ormai travolta da scandali e manovre. Restata senza “braccio secolare” e senza riferimenti partitici, la C.E.I. fu costretta a prendere direttamente la guida dell’impegno politico del laicato cattolico… con i risultati fallimentari che sappiamo, dei quali il caduco Governo Monti è stato l’ultimo esempio. Oggi il mondo cattolico non ha più una rappresentanza politica nelle istituzioni e i suoi proclami di principio non trovano non diciamo realizzazione, ma nemmeno sostegno efficace in una politica laicizzata e frammentata.
L’ansia di “liberarsi dal moralismo”, col pretesto di dedicarsi a una evangelizzazione interiorizzata e spiritualizzata, ma in realtà al fine di ripiegare su una pastorale sentimentale, minimalista e rinunciataria, portò la Chiesa italiana a perdere terreno nella difesa della morale pubblica, della retta politica familiare, della sana educazione giovanile. Non potendo però disertare la battaglia su un campo che diventava sempre più incandescente e che finiva col coinvolgere i suoi interessi, anche qui la C.E.I. mancando di adeguati riferimenti associativi e istituzionali, fu costretta a impegnarsi direttamente in iniziative che le pesavano, la compromettevano e la mettevano in cattiva luce presso le “forze emergenti della Storia”.
Tutto questo ha messo in evidenza uno strano contrasto che lacera la vita ecclesiale. Da una parte, si ha un notevole pragmatismo minimalistico nel campo della dogmatica (ad esempio, l’ecumenismo); dall’altra, si ha una residua intransigenza massimalistica nel campo della morale (ad esempio, la bioetica). Quello che viene permesso nel primo campo, viene vietato nel secondo. Tale contrasto stabilisce una incoerenza che non può durare troppo a lungo, poiché tutte le società devono tendere alla coerenza e all’unità, se vogliono essere credibili e durature. Difatti, oggi tale contrasto ecclesiale appare in crisi e sembra avviarsi verso l’abolizione. Ma in che modo verrà abolito? Adeguando la prassi morale a quella dogmatica, o questa a quella?
Alcuni preoccupanti segnali sembrano prevedere che si sta tentando di rinunciare all’intransigenza morale per omologarla alla transigenza dogmatica, sempre nel nome del “primato della pastorale”. Se così avvenisse, per quanto si pretenda di presentarlo come una rinuncia alle pretese mondane imposta da una riforma ecclesiale, in realtà sarebbe un salto di qualità nel processo di secolarizzazione e mondanizzazione della Chiesa: ulteriore e grave conferma che la secolarizzazione della politica favorisce quella della religione – e che quindi l’auspicabile futura risacralizzazione della religione non potrà rinunciare a quella della politica.
http://www.riscossacristiana.it/dalla-secolarizzazione-dello-stato-quella-della-chiesa-osservazioni-sul-trentennale-del-nuovo-concordato-di-guido-vignelli/
Il trentennale del Nuovo Concordato tra lo Stato Italiano e la Santa Sede, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, è stato celebrato in modo alquanto sommesso. Tutto si è ridotto a un convegno romano tenutosi il 12 febbraio scorso, nel quale hanno parlato mons. Piero Parolin, nuovo Segretario di Stato vaticano, e mons. Nunzio Galantino, nuovo Segretario della C.E.I., ospitati dal Presidente del Senato in Palazzo Giustiniani (cfr. Avvenire, 13 febbraio 2014).
I due prelati relatori hanno elogiato il Nuovo Concordato, considerandolo un modello di collaborazione tra potere temporale e autorità spirituale, perché ha realizzato «una rivoluzione copernicana nei rapporti Stato-Chiesa», un parallelo processo di laicizzazione delle due istituzioni, all’insegna del noto motto “libera Chiesa in libero Stato”.
Infatti, da una parte, il Nuovo Concordato ha liberato lo Stato da superati obblighi confessionali e gli ha permesso di meglio guidare una nazione, ormai diventata multiconfessionale e multiculturale, basandosi su una “laicità positiva”, ossia che non si subordina alla religione né la esclude dalla società, ma la include come fattore di “umanizzazione” e di coesione della vita pubblica. Dall’altra parte, il Nuovo Concordato ha liberato la Chiesa da vecchie pretese e legami politici di origine “teocratica”, permettendole così di ricuperare “spazi di libertà” necessari alla sua missione eminentemente spirituale.
Francamente, avevo previsto che il trentennale concordatario non avrebbe portato alcun chiarimento dei suoi gravi risultati, problemi e pericoli, e che tutto si sarebbe risolto in una conformistica celebrazione.
Mi aspettavo però che il Nuovo Concordato sarebbe stato celebrato soprattutto dallo Stato laicista italiano, ossia dall’istituzione che ne ha ricevuto i maggiori vantaggi, avendo ottenuto una piena esenzione dai propri doveri religiosi e in tal modo avendo portato a compimento quel processo di secolarizzazione iniziato con la Costituzione repubblicana. Invece, a quanto pare, il trentennale è stato celebrato soprattutto dalla Chiesa italiana, ossia proprio dall’istituzione che ne ha avuto i maggiori danni, avendo perso il proprio pubblico ruolo santificatore e civilizzatore, finendo emarginata dalle istituzioni e influenzata da un analogo processo di secolarizzazione le cui premesse sembrano già operanti nello “spirito del Concilio”. Il che conferma la regola secondo cui «la secolarizzazione dello Stato favorisce quella della Chiesa», come ha recentemente ammonito l’amico prof. Miguel Ayuso, presidente internazionale dei Giuristi Cattolici.
Ci chiediamo: valeva la pena di svendere la confessionalità cristiana dello Stato, perdendone i pochi vantaggi rimasti dal passato, per ottenere presunti nuovi vantaggi che poi si sono rivelati inconsistenti, o che si sono rovesciati in danni?
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La secolarizzazione dello Stato italiano
Vale la pena ricordare brevemente ciò che è stato stabilito dal Nuovo Concordato?
Nel campo della famiglia, esso ha laicizzato il matrimonio, non riconoscendolo più come divino Sacramento né come cellula e modello della società, ma solo come mero contratto civile revocabile; per giunta, il matrimonio è stato sottratto alla competenza della giurisdizione ecclesiastica e sottomesso a quella statale. Il risultato è che oggi la famiglia ha perduto antichi e preziosi vantaggi e tutele e domani lo Stato potrebbe sancire la parificazione di tutte le forme di convivenza, comprese quelle omosessuali.
Nel campo della scuola, il Nuovo Concordato ha laicizzato l’educazione della gioventù, rinnegando il Cristianesimo come fondamento della civiltà e riducendolo a mera componente storica del popolo italiano, da insegnare solo facoltativamente assieme alle altre religioni. Il risultato è che oggi, in molte scuole, l’intervento di prelati viene proibito e l’ora di catechismo è stata sostituita dall’ora di una ecumenica “cultura religiosa”, in attesa di sostituirla con un’ora di “educazione affettiva” (ossia diseducazione sessuale) che insegni ai minori l’equivalenza di tutte le concezioni, tendenze e ruoli sessuali.
Nel campo dell’economia, il Nuovo Concordato ha laicizzato il sostegno statale alla Chiesa, riducendo la libertà ecclesiale di possedere e gestire beni e lasciando che sia lo Stato a decidere quali sono le attività religiose ritenute benefiche per la società e quindi degne di ottenere facilitazioni economiche e burocratiche. Il risultato sono stati l’emarginazione economica e il progressivo impoverimento della Chiesa, che oggi non è più in grado di sostenere le sue scuole, né di far fronte ai vari impegni di assistenza che la situazione sociale richiede.
Tutto questo è solo l’applicazione pratica del principio stabilito nel Preambolo del Nuovo Concordato, che ha laicizzato lo Stato italiano. I suoi firmatari (laici ed ecclesiastici) hanno concordemente stabilito la “neutralità” statale in materia religiosa, per cui la confessionalità cristiana dello Stato “non è più in vigore”. Si badi bene: ciò significa non che lo Stato italiano non è più cristiano di fatto, ma che non lo è più di principio, ossia che non deve esserlo, in quanto la sua confessionalità è ritenuta incompatibile con le due magnae chartae della “modernità”: la Costituzione repubblicana e il decreto conciliare Dignitatis humanae. Pertanto, la confessionalità cristiana dello Stato non è più inclusa nei cosiddetti “princìpi non negoziabili”, tanto è vero che è stata “negoziata” senza remore dalla Santa Sede, pagandola qual misero prezzo per ottenere vantaggi ritenuti ben più validi. In sostanza, i sacri diritti politici di Gesù Cristo Rex Italiae e della Sua Chiesa sono stati surclassati dai profani “diritti dell’Uomo” moderno e della sua società.
Una volta proclamata la neutralità religiosa, lo Stato italiano ha ufficialmente rinnegato le sue origini cattoliche; la sua filosofia non è più quella classico-cristiana, la sua etica civile non è più quella dei Dieci Comandamenti, la sua educazione scolastica non si basa più sul Vangelo, il suo diritto di famiglia non riconosce più la competenza ecclesiale, la sua politica non s’ispira più alla dottrina sociale della Chiesa, la sua magistratura non punisce più i pubblici peccati, nemmeno le offese fatte a Dio, a Gesù Cristo e ai santi, la città di Roma non è più rispettata come “sacra”. Da allora, non c’è più stato baluardo giuridico efficace per difendere il matrimonio e la famiglia cristiani l’educazione religiosa della gioventù, la moralità pubblica della nostra patria, l’onore della santa Chiesa; non è più stato possibile difendere il popolo cristiano da seduzioni, pressioni, ricatti e violenze fatti dalle varie lobby anticristiane. Di conseguenza, sul suolo italico si sono moltiplicati abusi, prevaricazioni, offese e sacrilegi pubblici; si sono moltiplicate leggi, norme e sentenze che pongono le premesse di una prossima persecuzione cruenta dei cristiani.
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La secolarizzazione della Chiesa italiana
Di questa radicale secolarizzazione politico-religiosa, era facile prevedere fin dall’inizio le progressive, enormi e gravissime conseguenze pratiche. Ma quasi nessuna associazione cattolica seppe o volle farlo. Lo fece il Centro Culturale Lepanto, col suo manifesto di denuncia intitolato Può un cattolico preferire lo Stato ateo?, pubblicato su alcuni quotidiani nazionali l’11 febbraio 1984, poi ampliato nel libro L’Italia cattolica e il Nuovo Concordato, pubblicato da Roberto de Mattei (Edizioni Fiducia, Roma 1985).
Oggi, purtroppo, quelle prevedibili conseguenze si sono in gran parte già realizzate, pesano sulla vita del nostro popolo, ne compromettono il futuro, pertanto allarmano l’opinione pubblica. Solo la C.E.I. sembra non preoccuparsene, tantomeno affrontarle nelle loro cause; viene il grave sospetto ch’essa si comporti così perché considera che quelle conseguenze siano non tanto perdite quanto conquiste, non sconfitte ma vittorie, comunque prezzi da pagare per far sì che la “modernizzazione” della Chiesa si adegui a quella dello Stato.
Questo ci fa temere che il danno maggiore del Nuovo Concordato sia stato quello di aver favorito il processo di secolarizzazione della vita religiosa da tempo in atto. Infatti, la “liberazione” della Chiesa italiana dai vecchi legami con lo Stato non l’hanno resa più “pura” o “spirituale”, bensì più politicizzata, socializzata, finanziarizzata, insomma mondanizzata, anche perché quegl’inevitabili compiti e ruoli pubblici, prima delegati (bene o, più spesso, male) ai laici, essa ha dovuto assumerseli in prima persona, attirandosi così l’accusa d’invadente clericalismo.
Dopo il Nuovo Concordato, l’ansia di “liberarsi dalla politica”, col pretesto di una “scelta religiosa” promotrice del pluralismo civile, ma in realtà al fine di ritirarsi nelle sacrestie facendo spazio alle “forze emergenti della Storia”, portò la Chiesa italiana a favorire la secolarizzazione della vita pubblica, a non ostacolare la Sinistra avanzante, a trascurare la formazione di una seria élite cattolica politica e infine a rinunciare al sostegno lungamente ricevuto dalla D.C., ormai travolta da scandali e manovre. Restata senza “braccio secolare” e senza riferimenti partitici, la C.E.I. fu costretta a prendere direttamente la guida dell’impegno politico del laicato cattolico… con i risultati fallimentari che sappiamo, dei quali il caduco Governo Monti è stato l’ultimo esempio. Oggi il mondo cattolico non ha più una rappresentanza politica nelle istituzioni e i suoi proclami di principio non trovano non diciamo realizzazione, ma nemmeno sostegno efficace in una politica laicizzata e frammentata.
L’ansia di “liberarsi dal moralismo”, col pretesto di dedicarsi a una evangelizzazione interiorizzata e spiritualizzata, ma in realtà al fine di ripiegare su una pastorale sentimentale, minimalista e rinunciataria, portò la Chiesa italiana a perdere terreno nella difesa della morale pubblica, della retta politica familiare, della sana educazione giovanile. Non potendo però disertare la battaglia su un campo che diventava sempre più incandescente e che finiva col coinvolgere i suoi interessi, anche qui la C.E.I. mancando di adeguati riferimenti associativi e istituzionali, fu costretta a impegnarsi direttamente in iniziative che le pesavano, la compromettevano e la mettevano in cattiva luce presso le “forze emergenti della Storia”.
Tutto questo ha messo in evidenza uno strano contrasto che lacera la vita ecclesiale. Da una parte, si ha un notevole pragmatismo minimalistico nel campo della dogmatica (ad esempio, l’ecumenismo); dall’altra, si ha una residua intransigenza massimalistica nel campo della morale (ad esempio, la bioetica). Quello che viene permesso nel primo campo, viene vietato nel secondo. Tale contrasto stabilisce una incoerenza che non può durare troppo a lungo, poiché tutte le società devono tendere alla coerenza e all’unità, se vogliono essere credibili e durature. Difatti, oggi tale contrasto ecclesiale appare in crisi e sembra avviarsi verso l’abolizione. Ma in che modo verrà abolito? Adeguando la prassi morale a quella dogmatica, o questa a quella?
Alcuni preoccupanti segnali sembrano prevedere che si sta tentando di rinunciare all’intransigenza morale per omologarla alla transigenza dogmatica, sempre nel nome del “primato della pastorale”. Se così avvenisse, per quanto si pretenda di presentarlo come una rinuncia alle pretese mondane imposta da una riforma ecclesiale, in realtà sarebbe un salto di qualità nel processo di secolarizzazione e mondanizzazione della Chiesa: ulteriore e grave conferma che la secolarizzazione della politica favorisce quella della religione – e che quindi l’auspicabile futura risacralizzazione della religione non potrà rinunciare a quella della politica.
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