ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 23 marzo 2014

Miracoli sgaruppati

La rivincita dei “pretacci” 

presi per mano da Francesco

Il pontificato di Bergoglio rivaluta i sacerdoti delle periferie

AFP
Insieme
Papa Francesco e don Luigi Ciotti entrano in chiesa mano nella mano
alla veglia per le vittime della mafia

ROMA
L’effige della svolta è l’abbraccio alla veglia per le vittime della mafia tra Francesco e don Luigi Ciotti. Sabato il successore di Pietro e il sacerdote-simbolo del cattolicesimo di frontiera sono entrati in chiesa tenendosi per mano. Stravolte forma e sostanza all’ombra del Cupolone, nelle diocesi e nei movimenti agli «apostoli degli ultimi» viene riservato un posto d’onore. Una «riabilitazione» a tutto tondo per i «pretacci» che in passato furono quasi in odore di eterodossia per l’insofferenza al conformismo del potere e la vicinanza ai tormenti della società contemporanea.  


E’ la rivincita della chiesa «sgarruppata», insomma. Erano gli ultimi e ora, evangelicamente, sono diventati i primi. Nella Chiesa trasformata da Bergoglio in un «ospedale da campo dopo la battaglia» la rivoluzione copernicana in atto capovolge le gerarchie ecclesiastiche e di fatto mette al centro del pontificato «le periferie esistenziali e geografiche», tradizionali terre di missione dei sacerdoti di frontiera. Tra Francesco e don Maurizio Patriciello, parroco a Caiano, il feeling è scoppiato a settembre al centro per immigrati Astalli. «Si sente subito che è uno di noi, che viene dalle favelas - racconta don Maurizio, in prima fila nella lotta alla camorra della Terra dei fuochi-. Bergoglio parla in modo limpido, si schiera dalla parte dei poveri che lo Stato ha abbandonato. Ci serviva un Papa così, che dice le cose in modo meno teologico e più esistenziale. Non siamo più soli».  

Don Gino Rigoldi, presidente della «Comunità Nuova» e cappellano del carcere minorile «Beccaria» di Milano, confida: «Nei giovani che prima erano distanti e ostili, molti sono interessati alla figura e alla predicazione di Francesco e alcuni mi hanno chiesto di essere battezzati». Sulla stessa linea nelle Marche il fondatore delle comunità anti-droga Oikos, don Giuliano Fiorentini: «I nostri ragazzi sentono di essere amati e non giudicati, sentono di avere Francesco dalla loro parte nel cammino di ricostruzione delle loro vite provate dal dolore e dalla dipendenza». Infatti «per tanto tempo ci siamo sentiti ai margini anche della Chiesa, ora invece Bergoglio ha messo al centro del suo magistero il nostro essere periferici».  

Don Mimmo Battaglia, presidente della federazione italiana comunità terapeutiche, attribuisce alla «profezia» di Francesco il «riavvicinamento della Chiesa al popolo». Una «rivoluzione sulle orme di Gesù», chiarisce don Battaglia, che «qui a Catanzaro sperimentiamo quotidianamente nell’accresciuta attenzione dei lontani al magistero pontificio». E per chi da sempre opera «nella trincea della pastorale sociale» l’aiuto di Bergoglio assicura una «provvidenziale boccata di fiducia» e si traduce in «una prossimità che supera qualunque emarginazione». Infatti, «sapere di avere il Papa accanto rende meno difficile la navigazione nei mari del disagio».  

Alla comunità Papa Giovanni XXIII è un ritorno alle origini. «L’insegnamento di Bergoglio ci rimanda al carisma della condivisione diretta con gli esclusi che ci ha trasmesso don Oreste Benzi- osserva don Aldo Buonaiuto-. La carica spirituale di Francesco non è una moda passeggera, è un potente sostegno nella carità. Noi troviamo in lui il portavoce di chi non ha voce e il modello da seguire ogni giorno contro la dittatura dell’indifferenza».  

Il video di suor Cristina fenomeno su YouTube: come lei nemmeno Psy

Quasi 13 milioni di «clic» in tre giorni

di Andrea Laffranchi

Suro Cristina (Ansa)Suro Cristina (Ansa)
shadow
Più veloce del «Gangnam Style» di Psy. Che è il video più visto nella storia di YouTube con quasi due miliardi di views. Suor Cristina Scuccia ha battuto il rapper coreano in velocità: lui ci aveva messo 18 giorni a raggiungere i 10 milioni di clic, l’esibizione della religiosa a «The Voice» su Rai2 è già a quota 13 milioni in soli 3 giorni.
Blind audition
La sua «blind audition», il provino con i giudici che non vedono i concorrenti in volto, ha avuto una partenza più forte anche di quella degli altri due video che sono sul podio dei più cliccati di sempre: «Baby» di Justin Bieber con Ludacris e «On the Floor» di Jennifer Lopez e Pitbull.
Certo, ora la sfida della suora sarà quella di mantenere lo stesso passo. Per dire, Psy in meno di due mesi, 51 giorni per chi ama le statistiche, passò il traguardo dei 100 milioni. Ad aiutare la religiosa adesso ci pensa YouTube. Il video è infatti finito nell’elenco mondiale dei «popular», quelle clip su cui tutti clicchiamo alla ricerca di curiosità e tendenze. E iniziano ad arrivare i primi commenti in inglese.
Suor Cristina è un fenomeno virale. La sua voce viaggia in rete: twitter, blog, condivisioni, articoli sulle testate straniere. Tutti la cercano, tutti ne parlano. E anche i personaggi famosi si sono accorti di lei. Whoopi Goldberg, che una suora canterina l’aveva portata sul grande schermo, ha twittato entusiasta: «Per quando si desidera un assaggio di Sister Act». Anche Alicia Keys, di cui la monaca ha cantato «No One» conquistando J-Ax, Raffaella Carrà, Noemi e Piero Pelù, è una sua fan: «Ecco, questo per me è bellezza ed energia pura!», ha cinguettato la cantante americana.
Non è la prima volta che suor Cristina partecipa a una gara canora. L’anno scorso aveva vinto la quinta edizione del Good News Festival, un concorso dedicato alla musica di ispirazione cristiana organizzato da Tv2000, l’emittente della Conferenza episcopale italiana. E a quella rete ha raccontato più volte la sua storia. Che è quella di una ragazza nata a Comiso, in provincia di Ragusa, in una famiglia di «impostazione rigida» che le ha «trasmesso i valori cristiani». Valori da cui si è allontanata durante l’adolescenza. «Avevo un sogno grande dentro: diventare cantante. Avevo una band, animavo feste e matrimoni. Era l’obiettivo centrale della mia vita».
La voglia di fama la porta alle audizioni di un musical sulla figura di suor Rosa, fondatrice delle Orsoline. «Ha trasformato la mia vita. Attraverso le sue parole che invitano a donare la vita a Cristo mi sentivo provocata. Spente le luci dei riflettori e fuori dal palco mi tornavano alla mente queste domande». Dietro le quinte una suora vera le fa capire la sua chiamata. Arrivano la conversione e i voti, ma la musica rimane: «Ho un dono e ve lo dono».

RISCHIO CHE «LA SIMPATIA DI UN PAPA CARISMATICO» FACCIA «SEMBRARE POSITIVA UNA STRUTTURA CHE IN SÉ È SBAGLIATA E CHE DEVE CAMBIARE»


Papa FrancescoROMA-ADISTA. Se, con l’avvento di papa Francesco, il cambiamento di clima ecclesiale appare a tutti innegabile, il livello delle aspettative legate a una rifondazione della Chiesa varia invece notevolmente.

Di certo, tutti o quasi hanno per il papa parole di grande, profondo e caldo apprezzamento, ad esclusione della destra più reazionaria, quella, per esempio, riunita nel Tea Party, a cui, come ha sottolineato John Cassidy sulla rivista New Yorker (4/12), quello che il papa dice nella Evangelii Gaudium deve sembrare «qualcosa di incendiario, specialmente in un Paese come gli Usa, dove gli attacchi morali all’economia di mercato risultano rari nel discorso ufficiale».
O ad eccezione di alcune voci sparse, a sinistra, specialmente in Argentina, dove c’è chi fa fatica a separare la figura dell’attuale papa
da quella dell’allora cardinal Bergoglio, criticato all’epoca tanto per il suo ruolo di leader spirituale dell’opposizione al governo di Néstor Kirchner, quanto per le sue posizioni riguardo al passato regime militare.
Ma anche negli Stati Uniti, dove il passaggio dell’intervista rilasciata dal papa a Ferruccio De Bortoli (sul Corriere della Sera del 5/3) relativo alla questione degli abusi sessuali ha destato in molti perplessità e delusione (v. Adista Notizie n. 10/14).In America Latina, tuttavia, appare decisamente convinto il sostegno a papa Francesco da parte dei teologi della Liberazione, delle comunità ecclesiali di base, dei movimenti sociali (diversi dei quali hanno anche diffuso recentemente una nota di solidarietà al papa in risposta agli attacchi sferrati contro di lui dalla destra statunitense; v. Adista Documenti n. 1/14), come sta a indicare, tra innumerevoli altri esempi, il numero speciale di febbraio dell’agenzia Alai-America Latina en movimiento, dedicato al tema “Francesco e i segni dei tempi”.

«Le aspettative che ha risvegliato questo papa latinoamericano – scrive in apertura del numero il direttore della rivista Osvaldo León – lo hanno trasformato in un fenomeno non solo religioso, ma anche politico, con ripercussioni significative a livello mondiale»: non a caso la rivista Time lo ha designato come “persona dell’anno”, «per aver condotto il papato fuori dal palazzo, in strada» e spinto «la più grande Chiesa del mondo a confrontarsi con le sue più profonde necessità», bilanciando «il rigore con la misericordia». E così realizzando, in meno di un anno, «qualcosa di notevole: non ha cambiato le parole, ma ha cambiato la musica».

Un consenso, quello di cui gode papa Francesco, che si spiega, secondo León, con i suoi attacchi al neoliberismo, la sua insistenza sul primato dell’essere umano rispetto al capitale, i suoi appelli alla pace, come pure con «le sue critiche a una Chiesa autoreferenziale, il riconoscimento tacito della Teologia della Liberazione, la sua opzione per gli esclusi». E se la scelta, sul terreno della gerarchia, è stata quella «di mantenere un “equilibrio” calcolato», è chiara però la consapevolezza che «è necessario cambiare». Non per niente, come evidenzia Leonardo Boff, il papa «non è eurocentrico, né romanocentrico né tanto meno vaticanocentrico», ma «proviene da un cristianesimo nuovo che si è andato elaborando nel corso di 500 anni in America Latina con un volto proprio e una propria teologia».

Non tutti si attendono un «cambiamento rivoluzionario», a cominciare da François Houtart, che però riconosce al papa «una vicinanza affettiva ai movimenti e ai poveri», per quanto il suo approccio, sottolinea, sia più tipico della dottrina sociale della Chiesa, con i suoi richiami all’unione e alla collaborazione di tutti in vista del bene comune, che della Teologia della Liberazione, con la sua analisi in termini di opposizione strutturale delle classi sociali. Ma, prosegue, per quanto si condanni «il capitalismo più per i suoi effetti che per la sua logica», «bisogna essere felici che vi siano cambiamenti ed essere presenti negli spazi che si aprono, perché a volte questi spazi possono essere più importanti di quanto si pensi» (www.mst.org.br/node/15715).

Ed è proprio sulla sua vicinanza ai poveri che fa leva il pastoralista Edgar R. Beltrán, colombiano ma residente negli Stati Uniti, per rivolgere al papa, in una lettera, un’originale richiesta: quella di prendersi una vacanza in un Paese africano, «dove stanno morendo migliaia di bambini ogni giorno per mancanza di pane, dove i loro padri e le loro madri stanno morendo di Aids», e dove la sua denuncia sullo scandalo della fame produrrebbe uno straordinario impatto, risuonando come «un “ruggito” irresistibile verso capi di Stato, legislatori e politici». Come avvenuto a Lampedusa, scrive Beltrán, «seguiremmo in televisione la tua celebrazione in un quartiere povero, con la partecipazione dei poveri. Magari senza mitra, simbolo di potere, che dinanzi ai poveri è di troppo, ricordo del dio Mitra inventato dai generali persiani molto prima di Cristo». E rivelando così il volto di una «Chiesa samaritana che vede la vittima, si commuove e interviene».
Più che un papa

Ma, si chiede qualcuno, basterà davvero cambiare solo “la musica”? Basterà quell’«equilibrio calcolato» per riformare radicalmente la Chiesa? Insomma, basterà che il papa sia diverso, per rendere diversa la Chiesa? Scrive Bernardo Barranco (citato da Alai): «La “rivoluzione pastorale” di Francesco è in fin dei conti una provocazione rispetto alla capacità della Chiesa di dialogare con maggiore franchezza e profondità con la cultura contemporanea. Tuttavia, presenta un limite importante: si tratta di cambiamenti dall’alto verso il basso. (…). In altre parole, se le proposte di Francesco (…) non investono il terreno delle Chiese locali, non serviranno a nulla» (El País Internacional, 27/01). In questo senso, se il papa è stato molto chiaro su quello che a suo giudizio deve essere il profilo dei candidati all’episcopato (pastori che siano «vicini alla gente», «miti, pazienti e misericordiosi»; che «amino la povertà», che «non abbiano una psicologia da “Principi”», che siano «capaci di “vegliare” per il gregge», come ha detto nel suo discorso alla riunione della Congregazione per i vescovi del 27 febbraio), tuttavia, come sottolinea Marcelo Barros, non sembra questo il profilo che ha prevalso nella designazione di 12 nuovi membri della potente Congregazione dei vescovi, «a cui spetta proporre al papa il nome dei candidati all’episcopato in tutto il mondo».

Soprattutto, in America Latina e non solo, si fa fatica a digerire la scelta del card. Oscar Rodríguez Maradiaga come coordinatore del gruppo di lavoro incaricato di studiare un progetto di riforma della Curia: se sulla stampa italiana nessuno fa più riferimento al ruolo da lui giocato in occasione del golpe che, il 28 giugno del 2009, ha messo brutalmente termine al processo di cambiamento avviato dal presidente honduregno Manuel Zelaya (v. Adista nn. 79, 83 e 105/09), il popolo latinoamericano non dimentica il sostegno prestato dall’arcivescovo di Tegucigalpa al golpista Roberto Micheletti, e poi al presidente illegittimo Porfirio Lobo e ancora all’attuale presidente Juan Orlando Hernández, diventato tale grazie ai brogli elettorali (v. Adista Notizie n. 43/13).

Se insomma, scrive il teologo Oscar Fortin nel suo blog (blogs.periodistadigital.com/humanismo-de-jesus.php), non ci sono dubbi sulla reale vicinanza di papa Francesco ai poveri, tuttavia, «osservando da vicino coloro che vengono nominati per consigliarlo e per guidare i diversi dicasteri della Chiesa, il papa ci dà l’impressione di qualcuno che voglia tenere la Chiesa istituzionale lì dov’è» (a cominciare dalle responsabilità affidate all’Opus Dei, la quale certo «non gode della reputazione di essere povera e con i poveri»). Cosicché il rischio, evidenziato da Marcelo Barros, è che «la simpatia di un papa carismatico» faccia «sembrare positiva una struttura che in sé è sbagliata e che deve cambiare (la struttura attuale del papato con la sua visione di Cristianità)».

Pertanto, se, come sottolinea il teologo Xavier Pikaza, le cose che dice e che fa papa Francesco non possono non sorprendere positivamente, la Chiesa ha bisogno, però, di qualcosa di «più di un papa (per quanto un papa come Francesco sia necessario)», esattamente come ha bisogno di qualcosa di più di un Concilio.

di Claudia Fanti

http://sacerdotisposati.altervista.org/?p=25784122
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Papa Francesco e la mafia

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Non credo che i mafiosi, dai killer ai loro complici della finanza, dell’impresa e della politica, temano di andare all’inferno. Sicuramente, essi, moderni luciferi che invocano madonne e santi, temono invece di non poter fruire più della copertura storica che gerarchie e chiese locali (non tutte) hanno loro offerto, in nome dell’anticomunismo o dei privilegi di classe. In questi vent’anni la Chiesa, da Giovanni Paolo secondo a Benedetto sedicesimo, e ora con Papa Francesco che prende per mano il prete antimafia più noto e impegnato, Luigi Ciotti, ha  impresso un movimento in senso antimafioso irreversibile. Le mafie sono fuori dall’Ecclesia; i mafiosi, latae sententiae, automaticamente, sono scomunicati; il richiamo di Bergoglio alla povertà come scelta etica della Chiesa di Pietro “che non aveva cercato banche”, indicano una direttrice netta come si evince dalle misure allo studio per lo IOR e il governo della chiesa, la vergogna avvertita per gli immigrati morti di Lampedusa, gli incontri con la gente comune e l’incontro di venerdì scorso con i familiari delle vittime di mafia. Il processo è avviato, ma dovrà conquistare ancora l’animo di tutti i cattolici e non, di tutti i parroci e vescovi.
Infatti, mentre Papa Francesco faceva sapere che avrebbe partecipato alla veglia di preghiera con i familiari delle vittime, un parroco del quartiere Zisa, a Palermo città del beato Puglisi, officiava il funerale di un boss ucciso nella guerra intestina di mafia. Presenza massiccia del popolo del quartiere, adesione di tutti i commercianti che hanno abbassato le saracinesche al passaggio del corteo. Non è cambiato nulla? Le parole e gli atti di Papa Bergoglio sono una lezione di civiltà democratica per tutto quel mondo laico e religioso che si ricorda dell’antimafia solo in qualche anniversario popolato dai media, dimenticandosi della questione nei giorni successivi o nascondendosi dietro lo schermo del garantismo peloso. Perché, a sinistra come a destra, si continua a ignorare la necessità di sospendere la candidabilità dei rinviati a giudizio per mafia o corruzione? Non merita qualche riflessione il fatto che dopo i “protocolli di legalità” ritrovi le imprese mafiose nell’Expò di Milano solo grazie ai magistrati? E “la politica” dov’era? E la corruzione non va punita severamente? Non preoccupa le forze politiche e la società civile del Nord l’orientamento espresso da alcune sentenze della magistratura di quelle zone che stentano a riconoscere la natura del fenomeno mafioso come se non ci fosse la legge Rognoni-La Torre? In alcuni casi sembra tornare a quarant’anni fa quando si filosofeggiava su cos’era la mafia e se c’era o riguardava solo il superego dei siciliani o la società pastorale della Calabria o la spacconeria dei napoletani. Gli interventi del Papa danno vigore e rilanciano, con l’esempio, l’urgenza di ritornare alla difesa del bene comune partendo dai più deboli.
Le sinistre, Pd e Sel, presenti nelle istituzioni, sembrano aver delegato alla magistratura la repressione e ai movimenti dal basso della società civile la mobilitazione della coscienza pubblica, scegliendo di appiattirsi sulla politica dei governi di centrosinistra, scontandone le difficoltà di governo con le loro fragili maggioranze. Salvo a recuperare visibilità mediatica con le cinque mosse per sconfiggere le mafie promesse da Renzi rispondendo a Saviano.
Oggi, in campo c’è un movimento nazionale antimafia che sotto la guida di don Ciotti ogni anno mobilita decine di migliaia di cittadini con l’obiettivo di sensibilizzare il paese e la sua classe dirigente. Le sinistre non hanno una propria elaborazione laica capace di confrontarsi con un forte movimento d’ispirazione etica e religiosa e ricercare nel pluralismo l’unità fattuale. Anzi sempre più è afflitta da relativismo etico (v. gli indagati candidati o nominati sottosegretari), partecipa in modo passivo al movimento dell’antimafia sociale. Le sinistre attuali sembrano aver dimenticato la ricca elaborazione storica sulla funzione delle mafie nel modello di sviluppo capitalistico oggi aggiornata alla sua natura globalizzata.
Perciò se alla Zisa c’è un popolo che partecipa ai funerali religiosi di un boss, mi aspetterei un’adeguata mobilitazione civica della città di Mattarella, Pio La Torre e Pino Puglisi, cattolici e non, ma uniti laicamente nella lotta antimafia. Non vorremmo concludere che dopo un lunga storia di ricerca di dialogo tra laici e religiosi, nel momento in cui il popolo credente occupa la scena, manchino proprio gli interlocutori laici. Vito lo monaco

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