ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 5 novembre 2014

SEDEVACANTISMO

ovvero  L’INCONSISTENZA IDEOLOGICA

La lettura di un articolo – Il Vescovo di Roma: lo scisma latente e la sede vacante - di ottima fattura, stile e qualità discorsiva, apparso sul sito Radio Spada org., a firma di Guido Ferro Canale, ci dà l’occasione di intervenire sul tema indicato nel titolo, e che l’autore riconosce, in conclusione di ragionamento, quale condizione di fatto della Chiesa.
   
Vogliamo mettere in evidenza che tale affermazione scaturisce dopo che l’articolista, nell’iniziale premessa al tutto con cui si dichiara disposto a non considerare fondata siffatta ipotesi, per una sua precisa convinzione e pari strategìa dialettica, sgranate poi le ragioni contrarie al legittimismo di sede, si dice esser costretto a smentire questa sua iniziale propensione. Un artificio certamente retorico che si svolge in funzione di un’idea già adottata a monte. Un sillogismo, come si vede, concessivo, dalle premesse già improbabili.
  
Ma ciò non toglie interesse al suo intervento che si avvale di una conoscenza del CDC su cui costruisce la  convinzione che papa Bergoglio stia attuando e conducendo un magistero teso allo scisma e, perciò stesso, dichiarando storico e reale il sedevacantismo.
   “Comunque la pensiamo sul Concilio e su tutto ciò che ne è seguito fino alla rinuncia di Benedetto XVI inclusa, se abbiamo quel minimo di onestà intellettuale che basta ad ammettere i fatti evidenti e se la mia ricostruzione giuridica è corretta – come temo che sia – dobbiamo trovarci tutti d’accordo – tutti, perfino i più accesi continuasti (?) – nel concludere che la Sede è vacante”.
   Non ci attarderemo a disquisire sull’uso della premessa concessiva che porta dritto dritto a convenire con la implicita tèsi dell’autore, né tanto meno sul terreno giuridico di cui non abbiam specifica competenza versando, infatti, la nostra cultura più sui territorî della Scrittura, della filosofia, della storia e della teologìa che delle pandette canoniste. Onde, per smentire la teoria sedevacantista ci avvarremo non di brocardi e di canoni ma di sei episodî tratti dai Vangeli, la cui autorità, stante la loro ferma e intrinseca inerranza, è tale da non poter essere contraddetta o confutata o, peggio, rifiutata.
   
Noi affermiamo che l’attuale pontificato, come altri precedenti – e facciamo, tra i tanti, l’esempio di papa Liberio, di Onorio I, di Giovanni XXIII, di Clemente V, Leone X, Alessandro VI – delle cui aberrazioni dogmatiche o etiche si scrive e si parla in termini per la più parte accertati, questo pontificato, dicevamo, è legittimo ancorché in puzzo di scisma o di eresìa appaia il pastore. Una condotta e un magistero erroneo qualificano un papa erroneo e non il suo munus, una deriva modernista del magistero qualifica un papa modernista che solo un Concilio, nella sua pienezza, può destituire, come fece il concilio di Costanza con l’antipapa Giovanni XXIII (1414). Insomma: la dignità pontificale non preserva, in quanto tale, il consacrato dalla possibilità prossima o remota di cadere in errore. Se Satana ha tentato Nostro Signore crediamo forse che si arresti davanti a un uomo seppur coronato dell’infula divina?
    
Diamo, allora, visione degli episodî sopra annunciati:
1 -  «Disse loro: “Voi chi dite che io sia?”. Rispose Simon Pietro: “Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio vivente”. E Gesù: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”». (Mt. 16, 15/19);
2 - «Allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: “Dio te ne scampi, Signore, questo non ti accadrà mai”. Ma Egli, voltandosi, disse a Pietro: “Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”». (Mt. 16, 21/23);
3 -  «Una serva gli si avvicinò e disse. “Anche tu eri con Gesù, il Galileo!”. Ed egli negò davanti a tutti. “Non capisco che cosa tu voglia dire”. Mentre usciva verso l’atrio, lo vide un’altra serva e disse ai presenti. “Costui era con Gesù, il Nazareno”. Ma egli negò di nuovo giurando: “Non conosco quell’uomo”. Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: “Certo, anche tu sei di quelli, la tua parlata ti tradisce!”. Allora egli cominciò ad imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo!”. E subito un gallo cantò. E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: “Prima che il gallo canti mi rinnegherai tre volte”. E uscito all’aperto pianse amaramente» (Mt.26, 69/75);
4 -  «Ma quando Cefa venne ad Antiochia, io (Paolo) mi opposi a lui apertamente, perché egli si era reso degno di biasimo. Infatti, prima che giungessero alcuni venuti da Giacomo, egli mangiava coi Gentil, ma quando giunsero quelli, si ritraeva e se ne stava da parte, per timore dei circoncisi. E tutti gli altri Giudei lo seguirono in questa dissimulazione, tanto che persino Barnaba si lasciò trascinare a dissimulare come loro». (Gal. 2,11/13);
5 -  «Uscì allora Simon Pietro insieme all’altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. Giunse intanto Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro. . .». (Gv. 20, 3/6);
6 -  «Quand’ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro. “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. Gli rispose. “Certo, Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci i miei agnelli”. Gli disse di nuovo: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Gli rispose: “Certo Signore, tu lo sai che ti amo”. Gli disse: “Pasci le mie pecorelle”. Gli disse per terza volta: “Simone di Giovanni, mi ami?”. Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicess:. Mi ami?, e gli disse. “Signore, tu sai tutto, tu sai che ti amo”. Gli rispose Gesù: “Pasci le mie pecorelle”». (Gv. 21, 15/17).
   
Dalla prima pericope, sopra riportata, sappiamo che Gesù consacra, solennemente e pubblicamente, Pietro quale sommo Pastore investendolo del primato che, consentendo a lui, unico fra tutti, il potere di sciogliere e di legare in terra e in cielo, lo renderà suo Vicario. E su questa realtà non crediamo possa esserci obiezione, se non quella ottusa e colpevole degli scismatici  ortodossi e protestanti.
Ma sorprendentemente, non appena elevato alla dignità di sommo pastore, Pietro viene tremendamente da Gesù stesso apostrofato col titolo più blasfemo, quello di Satana, l’avversario. Sarebbe logico, diciamo secondo la ragione umana, pensare che Gesù effettuasse all’istante il ritiro della dignità poco prima conferita provocando un vero sedevacantismo ante litteram.
Eppure Gesù, dopo averlo così frustato, gli conferma il primato pastorale col dirgli: “Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano, ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede, e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Lc. 22, 31/32). Gesù prega per lui e solo per lui, per quel discepolo che, poco dopo lo rinnegherà ma che, tuttavia, riconfermato nella fede, vi renderà stabili anche i fratelli.
   
Il successivo triplice rinnegamento di Pietro, poi, dovrebbe, infatti, far pensare ad altro ritiro della dignità papale, perché non v’ha chi non consideri, quello di Pietro “negazionista”, uno vero e proprio atto di rifiuto. Negare di conoscere e di amare Cristo equivale a mettersi fuori della comunione con Lui e, perciò, rendere nullo il ruolo di guida e di pastore.
Gli evangelisti, soprattutto Giovanni – 18, 15/27 - sanno, per averlo raccontato, del plateale rinnegamento di Pietro, eppure, nell’andare al sepolcro di Gesù, il giovane discepolo – Giovanni – è  più lesto ma attende rispettosamente Pietro, perché colui che Gesù ha nominato suo Vicario, colui che lo ha rinnegato, e poi pentitosi, sia primo ad entrare e constatare la resurrezione del Maestro. Possiamo considerarlo solo un fatto di buona educazione? No, perché sarebbe stato comprensibile che il giovane Giovanni, il vitalistico “boanergé”, figlio del tuono (Mc. 3, 17) fosse entrato per primo infischiandosene dell’altro tenuto per spergiuro.
Evidentemente, già nel clima della  Chiesa nascente, all’indomani della morte di Gesù, Pietro riscuoteva non solo il rispetto dell’anzianità ma il prestigio per la dignità conferitagli, ad onta delle tante circostanze in cui aveva dato prova di avventatezza e di viltà.
   
Il sigillo definitivo alla dignità vicaria che Pietro ha ricevuto e poi rifiutato, che Pietro dimostra di non meritare, viene apposto dal Signore risorto, ancora pubblicamente davanti agli altri discepoli allorché, con la triplice domanda: “Mi ami tu?”  – contrapasso alla triplice negazione -  gli affida la guida del gregge in qualità di sommo pastore e, dopo l’Ascensione al cielo, l’ufficio di suo Vicario in terra.
  
L’episodio di san Paolo, che, per gravi questioni dottrinarie, si oppone apertamente a Cefas, dimostra come anche il sommo pastore, il papa, può incorrere nell’errore e, tuttavia, mantenere il riconoscimento della dignità papale senza, con questo, determinarsi uno stato di sedevacantismo. La Chiesa, infatti, in quell’occasione non rischiò affatto un simile esito ma chiarì il dovere di chi, in possesso di autorevolezza  e di idonei strumenti intellettuali, doveva predicare la verità anche contro un sommo pontefice errante.
  
Abbiamo affermato che un magistero erroneo qualifica un papa come erroneo ma non ne abolisce la dignità e non ne interrompe la successione apostolica, e tale realtà storica appare, quale indizio di un comune sentire, e si mostra con chiarezza nel passo dantiano, laddove il Poeta, per bocca di Ugo Capeto, annuncia, preveggendo, l’offesa che gli sgherri di Filippo IV di Francia arrecheranno, in Anagni, a Bonifacio VIII, col dir : “Veggio in Alagna intrar lo fioradaliso/e nel Vicario suo Cristo esser catto” (Purg. XX, 84/85).
Bonifacio VIII: ma non è quel pontefice di cui il poeta, per bocca di Niccolò III Orsini, anticipa la dannazione eterna, nella buca petrosa dei simoniaci? Eppure il Poeta lo riconosce “Vicario” in cui è Cristo stesso ad essere schiaffeggiato. E come non riportare un ulteriore passo in cui Dante, ancora, dà testimonianza di questa consolidata dottrina quando a Papa Niccolò III Orsini indirizza un’invettiva col dirgli: “E se non fosse che ancor lo mi vieta/la reverenza delle somme chiavi/che tu tenesti nella vita lieta/io userei parole ancor più gravi” (Inf. XIX, 100/103)?
Due Papi indegni e dannati di cui il Poeta tuttavia non  misconosce la dignità e la sacralità delmunus verso cui manifesta i tratti della reverenza dovuta al sacro. Crediamo, perciò, che, come Dante, anche l’intera cattolicità considerasse papi del tipo Niccolò III, Bonifacio VIII o Clemente V, (nuovo Jasòn sarà. . ibidem, 83) rei della pena eterna ma tuttavia in linea con la successione apostolica.
   
Ed allora, a che tutto questo fermento che, in certe frange di cattolicesimo così detto “tradizionalista”, caldeggia la teoria del “trono vuoto”?. Contendere col vuoto  ci sembra, sotto l’aspetto dialettico, non solo azione donchisciottesca ma magra raccolta di frutti. Se un’entità non esiste a che vale darle di scherma rimproverandole proprio il fatto di essere inesistente e vuota?
   
La Vergine  ha previsto, a La Salette e a Fatima, la crisi della Chiesa e la perdita della fede, in pratica un’apostasia generale, degli stessi vertici. Se avesse anche lei tifato per il sedevacantismo, non si sarebbe espressa in questi tremendi termini con i quali, contrariamente a quanto si dice e si scrive in altri siti, riconosce addirittura nel papa – il vertice -  coinvolto in questa crisi ultima, il successore di san Pietro e il  Vicario di suo Figlio. Un Vicario – non sappiamo chi - indegno, erroneo, ma sempre Vicario a cui si appresterà il giudizio finale. 
  
D’altra parte, suggerisce opportunamente un nostro carissimo amico,  che cosa può significare la domanda retorica di Gesù “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc. 18, 8)? Forse un riferimento alla terra come Papuasia o Patagonia o Italia? No! Gesù parla della Chiesa, della “Sua Chiesa” ridotta a piccolo gregge giunto alla fine dei secoli ma, in quanto Sua Chiesa, guidato in tutti i secoli passati da legittimi pastori. Anche da quelli pessimi.
Noi, all’osservazione dell’amico, vorremmo aggiungere un ulteriore rafforzo a quanto abbiamo finora sostenuto. Gesù, nel congedarsi dai discepoli, dopo aver “comandato” di evangelizzare tutto il mondo – non di dialogare - promette ed assicura la sua assistenza fino alla fine dei tempi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt. 28, 20). La qual promessa, indefettibile e perenne, garantisce alla Chiesa un Papa eletto nella successione apostolica, nella piena potestà e mai vacante.
  
Ciononostante, pur affermando come legittimo l’attuale pontificato, noi ci sentiamo di dissentire fortemente dalle troppo numerose, oggettive circostanze in cui Papa Bergoglio dimostra di comportarsi da eversore del dogma; da rivoluzionario che prospetta un ribaltamento della Chiesa verticale, trascendente e divina, trascinata nella dimensione immanente, mondana e orizzontale; da predicatore del dubbio, funzionale allo spirito del tempo relativista, che oscura la Verità.
   
Ciò che scriviamo non sembri induzione alla resistenza tacciata per disobbedienza, come taluni teologi e megafoni omologati – vedi padre Livio Fanzaga – intendono scaltramente farci credere. Il fedele, i fedeli e quanti avvertono la resa del Katechon (l’argine all’anticristo), e il progressivo crollo delle certezze, hanno il dovere di opporsi a questo moto di dissoluzione. Hanno il dovere perché ne hanno il diritto, come scrive il santo Dottore Angelico (S. Th. II IIae q. 33 - de correctione fraterna -  a. 4)  e come conferma il CDC 1983 (canone 212,§ 3); hanno il dovere di testimoniare, con l’esempio e con la parola, la fede trasmessa dalla Tradizione, difendendola dai nemici esterni ed interni con aperta e incisiva azione come ha insegnato San Paolo, come ha testimoniato Santa Caterina da Siena; hanno il dovere di denunciare operazioni temerarie e blasfeme quali quella ultima testé consumata, quel Sinodo “sulla famiglia”, illegittimo perché organizzato allo scopo di  mettere in discussione la stessa parola di Gesù per adattarla ai tempi moderni, tempi di corruzione e di apostasìa.
 
Ma combattere ed opporsi al secolarismo sempre più marcato del magistero ecclesiale ha senso solo se si considera come legittimo successore di Pietro l’attuale occupante il suo trono. Diversamente, diretta contro un inesistente bersaglio, la correzione fraterna si perde nel vuoto.  


di L. P.

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