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Lunedì 22 dicembre papa Francesco ha colto l’occasione del tradizionale augurio natalizio ai cardinali e ai dirigenti della curia romana per sbattere loro in faccia una diagnosi catastrofica delle “malattie” della stessa curia, da lui catalogate e messe in pubblico con abbondanza di dettagli: superbia, narcisismo, ambizione, superficialità, insensibilità, calcolo, vendetta, capriccio, vanagloria, schizofrenia, dissolutezza, mormorazione, calunnia, cortigianeria, carrierismo, indifferenza, avidità, egoismo, esibizionismo, sete di potere. Persino l’Alzheimer il papa vi ha scovato, sia pure solo “spirituale”:
> “Il catalogo delle malattie”
Quella che segue è invece una critica rivolta a papa Francesco e in una certa misura anche ai suoi predecessori su un punto specifico, la comprensione dell’economia.
Ne è autore un teologo anglofono d’orientamento progressista – per altri aspetti un ammiratore di Francesco – che prima d’insegnare teologia è stato anche studioso e docente di materie economiche.
A dare spunto alla critica è stata la nota su “L’Espresso” della scorsa settimana, che individuava una certa incoerenza negli interventi di Francesco in campo economico, tale da rendere un “mistero” le reali posizioni del papa in materia:
> Il pendolo di Bergoglio, tra capitalismo e rivoluzione
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Gentile Magister,
non penso proprio che ci sia un “mistero” di papa Francesco in materia economica. Penso piuttosto che lui di queste cose non abbia la più pallida idea.
La sua mancanza di coerenza è radicata nel suo essere latinoamericano. Egli è come tanti demagoghi del Sud e del Centro America. Semplicemente non ha una coerente comprensione dell’economia.
La sua personalità lo spinge a fare scena, ad esempio con le sue ridicole auto utilitarie, e la gente cade nell’inganno, perché le masse si fanno ingannare dai demagoghi.
Sul volo di ritorno dalla Corea il papa ha rivelato di non aver mai fatto una vacanza in venticinque anni. Io non sono per niente un tifoso degli Stati Uniti, tanto meno delle pazzie della loro estrema destra. Ma lui semplicemente ha poca esperienza pratica di come funzionano o non funzionano le economie al di fuori dell’America Latina. E non c’è nessun modello di tale “funzionamento” in America Latina, dove il suo paese natale barcolla da una confusione all’altra.
Se si vuole capire chi è Bergoglio nelle questioni dell’economia e della società, non occorre guardare a qualche teoria economica, ma alla sua cultura e alla sua personalità. È l’analisi psicologica di Bergoglio che solleverà il coperchio sulla sua condotta. Questo è il mio punto di vista. E, per inciso, nel mio passato sono stato professore di economia.
Non dubito che lui abbia una metodologia teologica. Ma non ne ha una economica. E nemmeno l’hanno avuta, in questa materia, Ratzinger e Wojtyla. I testi papali su economia e politica sociale sono in gran parte dilettanteschi. Non l’ho mai detto in pubblico, ma penso che la dottrina sociale della Chiesa sia dilettantesca perché è ideologica, vale a dire non-empirica. Sono testi scritti da uomini che non otterrebbero mai successo nel campo pratico, e quindi non sono in grado di influenzare strategicamente quel campo da una prospettiva religiosa. Ecco perché non sono realizzativi: perché optano per una recita semplicistica di aforismi che forse fanno colpo sulle masse, ma non forniscono nessun punto d’appoggio per cambiare le circostanze concrete della vita. Sono di fatto privi d’efficacia per i poveri.
Ho detto abbastanza. Le auguro le benedizioni del Natale.
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QUELL’INTROVABILE PADRE DELLA CHIESA
Nel discorso alla curia del 22 dicembre papa Francesco è tornato a citare una massima latina che gli è particolarmente cara: “Ipse harmonia est”.
La prima volta che la citò fu due giorni dopo che era stato eletto papa, nel discorso rivolto ai cardinali reduci dal conclave: “Io ricordo quel padre della Chiesa che definiva lo Spirito Santo così…”.
L’ufficio vaticano che si occupa di mettere in bella copia i discorsi del papa e di corredarli di riferimenti bibliografici si arrovellò già allora per trovare chi e dove avesse detto quella frase. Ma non ci riuscì. La massima andò agli atti senza padre, senza madre, senza genealogia.
Ora, a distanza di venti mesi, papa Francesco ha risfoderato la massima attribuendole lui una paternità: “‘Ipse harmonia est’, dice san Basilio”. Ma anche questa volta essa è finita agli atti senza la nota a piè di pagina, perché nessuno è riuscito a scovare dove san Basilio abbia detto quelle parole, ammesso che le abbia dette davvero.
Miglior sorte del fantomatico Basilio ha avuto Agostino, citato dal papa subito dopo: “Finché una parte aderisce al corpo, la sua guarigione non è disperata; ciò che invece fu reciso, non può né curarsi né guarirsi”.
Per Agostino la nota di riferimento è stata trovata e pubblicata a colpo sicuro: “August. Serm., CXXXVII, 1; Migne, P. L., XXXVIII, 754″.
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2014/12/22/lo-schiaffo-di-natale-del-papa-alla-curia-con-un-piccolo-contrappasso/

Congratulazioni a Papa Francesco sul suo esercizio di autocritica 
- E 'stato Benedetto XVI che ha avuto un enorme problema di rapporto con la Curia Romana

Siamo onesti: è stato Benedetto XVI che è stato odiato dalla maggior parte della Curia Romana. Francis è amato lì come egli è nel vasto mondo laico - di conseguenza, non Vatileaks ... e nessun segno di sorta di un futuro abdicazione.

Quindi la sua critica della Curia è e deve essere inteso, quasi 2 anni dopo la sua elezione, come una sorta di autocritica. Il papato, la Curia, e la Chiesa in generale hanno guadagnato notevolmente da un Papa che si ammette di non essere un analista di fuori superiore, ma come qualcuno che è responsabile e coinvolto con la Curia come "malato" Curials stessi (2014 Natale Discorso alla Curia Romana) . Siamo abbastanza sicuri Francesco sarà felice di essere visto, a questo indirizzo, non come qualcuno si libra sopra il popolo meno, ma come un faro di umiltà e di forte autocritica - come l'ingranaggio essenziale della Curia Romana e robusto rappresentante tutte le sue caratteristiche che si è rapidamente diventato.