ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 8 dicembre 2014

Le parole-chiave

A Roma è stata promossa da CISM ed USMI una conferenza sulla rivoluzione comunicativa di papa Francesco e padre Lombardi ha fornito la propria esegesi di tale fenomeno analizzando, “fra le tante che dice”, sette parole chiave di Bergoglio (CLICCA QUI per leggere l’inserto di Zenit). Esegesi attenta e ragionata la sua, capace di trasmettere il forte coinvolgimento personale e quella ispirazione profonda che abbiamo potuto apprezzare quando, dopo la storica fondazione dell’ONU delle religioni, ne ha mostrato al mondo il documento ufficiale con la commossa gravità con cui qualcun altro mostrò al popolo le Tavole della Legge.

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di Patrizia Fermani

Innanzi tutto padre Lombardi è stato colpito dall’“uscita”, quella che secondo Bergoglio la Chiesa deve fare per annunciare il Vangelo. Non senza avere rinunciato prima alla sua autoreferenzialità. Un vizio, questo, che nessun papa aveva mai denunciato. In effetti, trattandosi di neologismo venuto in uso per indicare ogni tipo di autocertificazione, ci pare di capire che la Chiesa dovrebbe smetterla di vantare la propria origine divina senza sicure pezze di appoggio e rimettere democraticamente al popolo la questione della proprie referenze.

Sempre sulla “uscita”, Lombardi fa poi notare che Bergoglio si ispira anche a quell’uscire “in mare aperto” caro a Giovanni Paolo II. Ma, più modestamente, lo pratica di persona nella vita quotidiana, quando con il dribbling elude le procedure vaticane. Insomma quando, scartando valletti e guardie svizzere, trova subito la porta per arrivare al popolo di Dio.
Dunque anche il pastore deve uscire, ma purché non abbia una meta conosciuta. Infatti una volta uscito egli si deve mettere a “camminare”,  “alla ricerca della volontà di Dio nella propria vita”. Ovviamente il pastore non cammina da solo, perché il suo è “un camminare insieme, sinodale, per trovare la via” che come abbiamo visto è rigorosamente sconosciuta. Del gregge non si parla, ma supponiamo che se ne stia prudentemente al riparo in attesa di qualche ragguaglio sulla propria eventuale incerta destinazione, e anche un po’ preoccupato per la propria sorte.
Comunque andare alla cieca, “dove tu non sai”, ha i suoi vantaggi, perché si possono fare tanti incontri interessanti, puoi incontrare persino Dio, basta “ascoltare e lasciarsi stupire”. In questo senso – dice sempre commosso Lombardi – “vivere nella Chiesa di Francesco richiede una fede  grandissima”. E su questo nessuno può dargli torto.
Di qui nasce la cultura dell’“incontro”, quella per cui è dato “condividere se stessi, incontrarsi come persone ad un livello totale”. La proposizione parla da sola, ma il portavoce vaticano ci tiene a spiegarne meglio il significato: “Dopo le udienze con i capi di Stato, se Benedetto in due minuti faceva una sintesi dettagliata di quello che dicevano, Francesco parla del cuore, delle persone, dei valori”.  Concetto chiarissimo. Una cosa è sintetizzare in due parole un discorso: bisogna essere intellettualmente capaci e culturalmente preparati. Ma se uno non è capace e non ha studiato, che fa? Parla del cuore, parla delle persone e dei valori, così come capita, ed è fatta. Stavolta però ci sembra che quella vecchia volpe, a volere buttare per forza la polpetta avvelenata, si sia intrappolato da solo e non gli è riuscito di spiegare chi in concreto figuri come proprietario del cuore e dei valori, dopo le udienze con i capi di Stato. Non sarebbe generoso però dire che il diavolo fa le pentole ma non i coperchi. Sono incidenti del mestiere, anzi di percorso.
Lombardi del resto ritrova presto il tono elegiaco e ci spiega la dimensione bergogliana del “servire”. Qui emerge di nuovo il forte coinvolgimento personale: egli ci indica come può essere bello “lavare i piedi elle ragazze musulmane” e guardarle “negli occhi con tenerezza” senza “avere paura di mostrare loro” “di essere per loro fino in fondo”.  Speriamo che per la prossima Pasqua gli facciano almeno reggere il bacile!
Poi Bergoglio è anche capace di “includere”, cioè ha il coraggio, “senza il timore di essere polemico”, di denunciare il traffico di esseri umani e la schiavitù. Un coraggio – ci tiene a sottolineare il portavoce – che solo a chi è latinoamericano viene così, di getto. Insomma, ancora una volta è questione di cultura.
Infine la settima grande parola di questo pontificato è “custodire”, che sta ad indicare la responsabilità verso gli altri e verso il mondo, e sarà al centro della prossima enciclica sull’ecologia e l’ambiente. Idea nuovissima anche questa, a parte Hans Jonas e altri e, nell’attesa di questo nuovo scritto papale, Lombardi non sta più nella pelle.
Intanto per il problema dei gabbiani che mangiano le colombe a piazza S.Pietro, sarà meglio rivolgersi a padre Amorth.

 –  di Patrizia Fermani



Redazione
Una testimonianza dal blog bergoglionate [qui], della quale merita tener conto. Dice con semplicità e chiarezza cose già di per sé evidenti. Fornisce ragioni, ma il problema rimane in tutta la sua serietà e gravità, soprattutto per via della strana alleanza tra il clero eretico e quello donabbondiesco...

Spett.le Redazione,
sono un ragazzo colombiano che risiede da molti anni in Italia per motivi lavorativi. Vi scrivo per darvi un contributo da una visuale latinoamericana, realtà che per società, cultura e nascita conosco bene.

Il mio padre spirituale è un sacerdote italiano che ha iniziato a studiare a sei anni e da allora non ha mai smesso d’imparare. Viene da un ambito culturale che ha favorito la sua conoscenza, la crescita e lo sviluppo e oggi, a 50 anni, è un uomo che di storia della Chiesa, di teologia, di cristologia, di patrologia, e soprattutto di dogmatica, ne sa certo parecchio. Ho visto io stesso, più volte, che molti colleghi teologi di alto livello lo trattano con molto rispetto. L’ho visto citare i vangeli in greco a memoria a un piccolo dottore in sacra scrittura, che non sapeva dove attaccarsi per rispondere. E non vi dico come sia e cosa sia quando celebra la Santa Messa: si trasforma, diventa veramente un altra persona.

Perché ve lo racconto? È da tutto questo nasce il problema, non solo di Jorge Mario Bergoglio, ma in generale: lo scontro tra due mondi, due mentalità e due formazioni totalmente diverse, quella europea e quella latinoamericana (nello specifico quella argentina).

Prima di tutto è necessario capire la concezione che padre Bergoglio ha dell’essere cristiano-cattolico. Una concezione che si può spiegare con l’esempio di un bambino che incontra una persona affascinante e meravigliosa, il Signore Gesù: lo segue, cerca di imitarlo, ma non riesce a capirlo fino in fondo perché ha una mentalità limitata dalla sua età infantile. Per tutta la vita rimane con questa “concezione infantile” della Fede, non cerca di svilupparla, di maturarla, perché per Jorge Mario Bergoglio, come per tanti cattolici latinoamericani, l’importante è trovare un modello da seguire e un ideale sociale, politico o religioso, con il quale identificarsi.

Seconda cosa importante da capire di papa Francesco è la sua concezione dell’episcopato, dunque del papato, la quale differisce totalmente dalla concezione romana. Per lui è una visione principesca autoritaria ed estranea al popolo, racchiusa nelle strutture di governo e nei palazzi antichissimi, incapace di capire che quei palazzi nascono per dare dignità all’ufficio del vescovo e della Chiesa tutta, non certo alla persona in sé.

Per Jorge Mario Bergoglio, come per molti dei confratelli latinoamericani, il vescovo è solo un prete di campagna con un po’ più di importanza. Per lui l’importante, più che ammaestrare il gregge, è stare con i “poveri” e ascoltarli, farli sentire vicini, soprattutto si teniamo in conto che in molti paesi della America tutte le figure che rappresentano l’autorità, sempre hanno avuto in confronto del popolo un atteggiamento di padroni, di casta sociale distaccata o, nei peggiori dei casi, di dittatori.

Infine, la concezione di papa Francesco sulla dottrina e la liturgia. Per lui, come per tanti pastori latinoamericani, queste cose sono del tutto accidentali. Cose che esistono, sono lì, ma in fondo, nella vita quotidiana, hanno poco a che fare. Per papa Bergoglio, come per tanti altri, la dogmatica è una cosa storica passata e lontana dalle realtà. La parola “dogma” spaventa e disturba i pastori tipo l’attuale vescovo di Roma, perché confondono l’assolutezza della Fede con l’assolutismo dei regimi dittatoriali. Non capiscono che l’assoluto è base e fondamento della Fede.

Per papa Francesco ciò che conta è “fare esperienza”, amicizia, con Dio e basta: tutto il resto è un optional. Così Gesù, da Redentore e Maestro, diventa un “compagnone”, come appare in un film del 1999 (Dogma) che il mio padre spirituale e io abbiamo visto più volte.

Una prova di queste parole che vi scrivo è il fatto che noi non abbiamo sviluppato, come è successo qui in Europa nei 2000 anni di cristianesimo, un pensiero forte, chiaro e definitivo, riguardo alla dottrina, la liturgia e le tradizioni. Noi, in America Latina, siamo rimasti a un pensiero debole, conformista e accomodante.

Il primo confronto che noi latinoamericani abbiamo avuto in ambito apologetico è stato con le sette protestanti, pagate e promosse dal pensiero protestante nordamericano, e purtroppo dobbiamo ammettere che, fino ad oggi, sembra che noi abbiamo perso la battaglia, grazie anche ai “finti ortodossi” come l’ex vescovo di Buenos Aires – oggi vescovo di Roma – che, gesuiticamente, ha pensato di farsi “amici” i “nemici”, sprofondando nelle peggiori forme di manifesto e evidente sincretismo religioso.

A tutto questo vi prego di aggiungere la aggravante della psicologia argentina. Gli argentini sono un popolo così scioccamente orgoglioso che gli altri latinoamericani, in particolare quelli del mio paese di nascita, sono specializzati a prenderli in giro. Tutte le affermazioni popolari degli argentini hanno a che fare con il abbinamento alla parola “Dio”, proprio per mettere in luce questo loro orgoglio enorme. Esempio: “Se Gesù nascesse ancora sarebbe argentino… Gesù fece scendere lo Spirito Santo in Giudea per puri disguidi tecnici perché il cenacolo era stato programmato in Argentina … Dio parla in spagnolo con accento argentino… noi siamo perfetti come è perfetto Dio… ecc.”.

Papa Francesco si è formato negli anni ’70 in America latina prima e in Germania poi, respirando da una parte il disprezzo verso Roma dei nostri teologi della inculturazione e dell’indigenismo, dall’altra, in Germania, la romanofobia dei tedeschi.

Il dramma è che oggi, sulla Sede di Pietro, abbiamo come papa qualcuno che, nel profondo, disprezza la romanità, che non ha una teologia, né un magistero, perché la sua “teologia” e il suo “magistero” è tutto un parlare per slogan populisti. Non ha il senso dell’universalità, ma vuole trasformare la località – la sua località – in universalità: lo fa con il sorriso sulle labbra, ma in modo arrogante e sprezzante.

Ecco perché io capisco, conoscendo il contesto di provenienza e la situazione latinoamericana, le preoccupazioni di molti vescovi e di molti fedeli al vedere un papa regnante che si mette a fare “magistero” sui giornali della sinistra laicista e anticattolica.

Ultima cosa: non dimenticate che per opera dell’allora primate, cardinal Bergoglio, in Argentina sono diventati vescovi alcuni dei peggiori preti ultra-progressisti, bastava che parlassero di “poveri” e “povertà”.

Spero di essere riuscito a darvi il contributo che desideravo darvi e di essermi spiegato al meglio.
Vi porgo i miei saluti carissimi.
Jorge
13 novembre 2014

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