ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 14 gennaio 2015

Apertura ad inammissibili compromessi

I dieci comandamenti secondo Roberto Benigni


Chiunque si accinga a parlare o scrivere sui dieci comandamenti (le famose “dieci parole” da Dio rivelate al suo popolo sulla santa montagna), per la necessaria chiarezza dovuta nei confronti di chi lo sente o lo legge, dovrebbe innanzi tutto precisare se le proprie riflessioni si basano esclusivamente sul testo cosi come scritto nei libri sacri dell’Antico Testamento (Esodo 20, 2-17 e Deuteronomio 5,6-21), ovvero sullo stesso testo, alla luce della nuova Legge o Legge evangelica: per i cattolici, infatti, è nella Nuova Alleanza in Gesù Cristo che viene rivelato il loro pieno senso.

        Sulla base di quanto disse Gesù ai suoi discepoli (“non crediate che io sia venuto ad abolire la legge o i profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento”, Mt 5, 17-19), il “Catechismo della Chiesa Cattolica”, approvato da Papa Giovanni Paolo II e pubblicato nel novembre 1992, afferma che i discorsi del Signore “non aggiungono nuovi precetti esteriori, ma arrivano a riformare la radice delle azioni, il cuore, là dove l’uomo sceglie tra il puro e l’impuro, dove si sviluppano la fede, la speranza e la carità e, con queste, le altre virtù”; la presentazione dei dieci comandamenti, nel catechismo della Chiesa cattolica, costituisce, pertanto, un’esposizione della fede, attestata e illuminata dalla Sacra Scrittura (con particolare riferimento al Nuovo Testamento), dalla Tradizione apostolica e dal Magistero della Chiesa.  

         Una simile precisazione, al fine di evitare ogni possibile fraintendimento da parte degli ascoltatori, non è stata fatta da Roberto Benigni, all’inizio delle due serate dedicate, sul primo canale della RAI, al commento dei dieci comandamenti. Va, inoltre rilevato che un commento di qualsiasi testo presuppone una sua interpretazione e che detta interpretazione (soprattutto se si tratta di un testo di legge, anche se divina) può essere letterale (quando si attiene rigorosamente a quanto è scritto), ovvero estensiva o restrittiva (quando si attribuisce alle parole della legge un significato, rispettivamente, più ampio o più ristretto di quello letterale): invero, Benigni ha fatto ricorso, a suo piacimento e senza darne alcuna giustificazione, a tutti e tre i suddetti criteri interpretativi.

        Senza nulla togliere alle indubbie qualità di Roberto Benigni, come magistrale professionista dello spettacolo,  mi permetto di formulare le seguenti osservazioni sul contenuto del suo intervento, limitatamente al commento di alcuni comandamenti, con riferimento agli ampi ed incondizionati consensi, pervenuti anche da parte di qualificati esponenti del mondo cattolico (pare che abbia ricevuto una telefonata di congratulazioni e ringraziamenti addirittura da Papa Francesco). Questi ultimi, infatti, hanno individuato nell’esposizione di Benigni un modo nuovo di propagazione della fede, riconoscendo in lui un sorprendente e nuovo evangelizzatore, tanto da indicarlo come modello di riferimento per gli stessi sacerdoti, ai quali detto compito è istituzionalmente demandato, evidentemente privilegiando la forma espositiva di quanto veniva affermato, rispetto al suo contenuto che meritava, invece, un’attenta disamina, prima di avallarlo implicitamente con i suddetti incondizionati consensi.

         Sul quinto comandamento: “non uccidere”, che riguarda la tutela del bene della vita dell’uomo, a parte l’omissione di un benché minimo accenno al suicidio, all’aborto ed all’eutanasia, Benigni cade in una grossolana svista dicendo che tale peccato non è perdonabile neanche da Dio, perché, spiega, il perdono lo può concedere solo la persona offesa che, in questo caso, non c'è più.

         Sul settimo comandamento: “non rubare”, che tutela il diritto alla proprietà privata dei beni e sull’ottavo: “non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo”, che proibisce di falsificare la verità nelle relazioni con gli altri, Benigni, sulla base di un’interpretazione estensiva di tali precetti, ricomprende, nel settimo, la corruzione, la speculazione, la privazione del lavoro e tante altre fattispecie che contravvengono al principio di giustizia e solidarietà e, nell’ottavo, il giudizio temerario, la calunnia, la maldicenza e quant’altro violi il rispetto della verità. Tutto ciò è perfettamente in linea con quanto la Chiesa cattolica ha sempre sostenuto.

         Ho voluto fare riferimento al settimo ed ottavo comandamento, prima di passare all’esame di quanto Benigni ha sostenuto sul sesto comandamento, per mettere innanzi tutto in evidenza la difformità del criterio interpretativo da lui usato nel parlare di quest’ultimo comandamento rispetto ai due successivi. Mentre, infatti, le “parole” usate nel settimo ed ottavo comandamento vengono correttamente interpretate sulla base di quello che dette “parole” lasciano intravedere, anche in mancanza di espliciti riferimenti (il concetto di “speculazione”, infatti, difficilmente può rientrare in quello di “furto”, sulla base di un’interpretazione letterale di quest’ultimo termine, come anche quello di “maldicenza” in quello di “non pronunciare falsa testimonianza”), la “parola” del sesto comandamento, secondo Benigni, deve essere interpretata in senso assolutamente letterale, senza alcuna pur doverosa precisazione del perché di tale scelta, con tutte le inevitabili conseguenze sull’intellegibilità  di tale precetto.

         In estrema sintesi, Benigni, sostiene che il comandamento in questione, nel prescrivere di “non commette adulterio” si riferisce esclusivamente all’obbligo di fedeltà imposto ai coniugi: tutto il resto sarebbe, a suo dire, un’indebita “invenzione dei preti” ed un’autentica “manomissione” della Chiesa cattolica che avrebbe sostituito arbitrariamente il “non commette adulterio” con il “non commettere atti impuri”, provocando danni ad “intere generazioni”, tali da rendere possibile (sia pure con istrionica affermazione) una “class action” per ottenerne il risarcimento, deridendo, inoltre, l’esaltazione della virtù della castità (da “praticare con moderazione”), suscitando, così, il divertito  applauso del pubblico presente, evidentemente accorso per assistere ad uno spettacolo e non certo per sorbirsi una predica di quasi due ore.

         Il voler ridurre il comandamento in questione, che è l’unico che riguarda il tema della morale sessuale, all’obbligo di fedeltà coniugale (dimenticandosi che, implicitamente, invece, detto comandamento  presuppone ed indica nel matrimonio la sede unica e naturale di detti rapporti), significa lasciare esclusi e, quindi, al di fuori di ogni giudizio, fatti da chiunque condannati, come, per esempio, la prostituzione, la pedofilia, lo stupro, la pornografia, ecc., senza considerare l’aberrante conseguenza cui si perverrebbe con tale letterale interpretazione, secondo cui il matrimonio determinerebbe, di fatto, la condanna del “libero amore” (“fornicazione”, termine incomprensibile per Benigni), che risulterebbe, invece, consentito da parte di chi non abbia vincoli matrimoniali.

        Quanto, poi, all’accusa rivolta da Benigni alla Chiesa cattolica di aver “manomesso” il sesto comandamento, sostituendo il divieto di “non commettere adulterio” con quello di “non commettere atti impuri”, basta leggere il testo ufficiale del Catechismo della Chiesa cattolica, sopra richiamato, per convincersi del contrario. Al capitolo secondo, pag. 570, Articolo 6, al titolo “Il sesto comandamento” segue l’indicazione del suo contenuto: “Non commettere adulterio (Es 20,14; Dt 5,18)”; nelle numerose pagine di commento che seguono, il termine “atto impuro” non ricorre mai. In dette pagine, il comandamento in questione viene proposto, alla luce della Nuova Legge evangelica che, come detto nella premessa, ne rivela il pieno senso, aggiungendo, pertanto, oltre alle ipotesi di rapporti sopra richiamate, anche le altre che obbiettivamente escludano il fine naturale della procreazione, come la masturbazione e l’omosessualità. Nulla cambia od aggiunge, poi, il fatto che, nella formula catechistica, il complesso di tali atti venga, sinteticamente, qualificato come “atti impuri”.

        Per completezza, anche perché Benigni dimostra chiaramente di preferire, nel commentare i dieci comandamenti, di riferirsi ai sacri testi dell’Antico Testamento, anziché a quelli del Nuovo, basti richiamarsi a quanto previsto nel Levitico, testo che segue quello dell’Esodo e che viene indicato quale testo esclusivamente legislativo, soprattutto in tema di “purità ed impurità”. Ebbene, in tale libro sacro (15, 19) vengono esplicitamente qualificati “impuri”: “la donna e l’uomo che abbiano avuto un rapporto con dispersione seminale” ed, inoltre, viene stabilito il divieto “a mangiare le cose sante” a chi “abbia avuto una dispersione seminale” (22, 4), con ciò chiaramente condannando gli atti sessuali che non siano obbiettivamente idonei alla procreazione.

        Da ultimo, per quanto riguarda il nono e decimo comandamento (“non desiderare la donna d’altri” e “non desiderare la roba d’altri”), Benigni, con un’interpretazione, questa volta, restrittiva ed arbitraria, afferma che, in questo caso, sussiste il peccato solo se il “desiderio” è accompagnato da una vera e propria “strategia” (anche se costruita solo mentalmente e, comunque, difficilmente individuabile) diretta all’effettiva realizzazione di quanto desiderato, con ciò, di fatto, cancellando entrambi i precetti, come se Gesù non avesse detto (Mt 5, 27-28) “chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore”.

          Concludendo queste brevi riflessioni, non si riesce a comprendere come mai, nel quasi unanime plauso tributato a Benigni per la sua esibizione nel commento dei dieci comandamenti, non si sia levata alcuna qualificata voce, se non di protesta, almeno di timida critica nei confronti di affermazioni o di silenzi che contraddicono inequivocabilmente taluni punti fermi della dottrina cattolica, così come emergenti dal testo ufficiale del “Catechismo della Chiesa Cattolica”, sempre che non si voglia -  per timore di una perdita di consensi da parte della grande schiera di quanti ostinatamente mostrano di non gradire taluni precetti - seguire la via di un’apertura ad  inammissibili compromessi (cosa, ovviamente, da escludersi, ma rientrante nelle aspettative di molti, che possono risultare  alimentate in presenza di talune evidenti divergenze all’interno della stessa Chiesa Cattolica, su temi così delicati).

Pubblicato da 

QUANDO BENIGNI PARLAVA MALE DEL PAPA: UNA CONVERSIONE FRUTTATAGLI 4 MILIONI DI EURO

IL COMICO TOSCANO E’ ATEO E SEMBRA NEPPURE BATTEZZATO, E NEGLI ANNI ’80 E’ STATO PROTAGONISTA DI PIU’ ATTACCHI SATIRICI CONTRO IL VATICANO. MA OGGI CI SPIEGA I 10 COMANDAMENTI

E’ passata una settimana, certo, ma consideratela una riflessione a posteriori, seppur tardiva. Roberto Benigni ha sfondato con il suo show in prima serata in due puntate “I 10 Comandamenti”, nel corso del quale ci ha spiegato, con la sua ininterrotta e magistrale favela, le dieci direttive che Dio trasmise mediante Mosè all’umanità. Immancabili i riferimenti all’attualità – specie ai fattacci di Roma – e alla politica. Nella prima puntata, dopo un cappello introduttivo, ha spiegato i primi tre comandamenti. Nella seconda, i restanti sette. Ottimo il successo di share. Nella prima puntata andata in onda lunedì scorso, ha fatto 9 milioni di spettatori, per oltre il 33% di share; nella seconda andata in onda il giorno dopo è riuscito perfino a migliorarsi, con 10 milioni di spettatori e il 38% di share. Sebbene non sia riuscito a superare gli ascolti dell’altro show molto fortunato, La più bella del mondo, nel quale ci spiegava gli articoli della Costituzione (12,6 milioni e 44% a dicembre 2012). Uno spettacolo che a Benigni è fruttato, secondo vari rumors, ben quattro milioni di euro. Anche se bisogna onestamente dire che alla Rai ne sono tornati almeno il doppio in pubblicità per gli ascolti realizzati. Una conversione del comico toscano che trova tutti felici e contenti in termini di guadagni; e pensare che negli anni ’80 contro il Papa e il Vaticano Benigni (che peraltro non è neppure battezzato) ci andava giù duro tra film e battutine.


IL PAP’OCCHIO – Nel 1980 Benigni realizza insieme a Renzo Arbore – col quale ebbe per anni un’intensa collaborazione professionale – il film Il Pap’occhio, dove si racconta l'inaugurazione di un fantomatico, e in grande anticipo sui tempi, Centro Televisivo Vaticano. In questa pellicola il comico toscano è letteralmente scatenato: da antologia le scene sul balcone papale, dove il nostro si affaccia al posto del Pontefice, e soprattutto l'impagabile monologo con l'affresco del Giudizio Universale, dapprima tagliato dalla censura e poi riproposto integralmente nel 1998, alla pubblicazione in videocassetta. Una pellicola all’epoca vittima di diverse censure, nonché stroncamenti da parte della Santa sede, che poi lo ha riabilitato trent’anni dopo.
Sempre in quell’anno fa storia il suo epiteto Wojtilaccio per apostrofare il Papa venuto dall'Est, Giovanni Paolo II, nel corso del Festival di Sanremo 1980 di cui è presentatore.
A testimonianza dell’anti-clericalismo di Benigni è anche un passaggio del film Vieni avanti cretino: mentre il protagonista (interpretato da Lino Banfi) lavora al bar, porta il caffè al cliente (sosia di Benigni, l'attore toscano Mireno Scali) e gli chiede “Scusi lei è toscano? Non è quello che parlava male del papa?”

AVVICINAMENTO GRADUALE AI PAPI - Il 10 gennaio 1999, Papa Giovanni Paolo II ha visto il film La vita è bella in una proiezione privata assieme a lui. Quest’ultimo ha dichiarato come, raccontando alla madre l'avvenimento, lei non gli abbia mai creduto.
Il 16 dicembre 2014, prima della diretta della seconda parte dell'esegesi dei Dieci Comandamenti biblici, Papa Francesco gli ha telefonato privatamente.

Forse è proprio vero che invecchiando ci si avvicini di più alla fede. Soprattutto se in ballo ci sono bei quattrini. Lui peraltro di quattrini se ne intende, come dimostra l'Impero finanziario che ha costruito.

2 commenti:

  1. la religione è una libera scelta, mettere in pratica i comandamenti ci aiuta nel combattimento spirituale contro il demonio......certi dicono che vogliono essere liberi e in verità cadono schiavi dei vizi e abbracciano il principe di questo mondo il cui premio se impenitenti è la morte eterna .......vedi che guadagno!!!il Signore illumini tutti perchè sia riconosciuta la vera Via Verità Vita che ci farà ritrovare tutti in paradiso...ma anche salvi in purgatorio non è da scartare coraggio!!!amen

    RispondiElimina
  2. Quando solo vedo questi poveracci mi viene l'orticaria, figuariamoci quando li sento.....eppure, è mio dovere pregare per Bergoglio affinchè si ravveda e si accorga che la Barca è alla deriva. A benigni invece gli invio volentieri una grossa e sonora pernacchia. Uno che si permette di reinterpretare i 10 Comandamenti, così come li ha insegnati l'Unica Maestra COMPETENTE e cioè la Chiesa Cattolica, non merita nulla, ma solo il severo Giudizio di Dio. Ci penserà Lui.

    RispondiElimina

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.