ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 1 settembre 2015

C’era una volta il dio Po

Chiesa e politica: temporali d'agosto e piogge d'autunno. Come cambia il clima fra vescovi e partiti


C’era una volta il dio Po, ristoro settembrino e rito aspersorio del leghismo padano e pagano, a rinnovare le promesse battesimali e ostentare l’autonomia, e alterità, delle sue origini spirituali, celtiche e laiche, oltre che crociate. C’è adesso il Tevere, bersaglio agostano e abbaglio segreto di una Lega pellegrina e conquistatrice, italica e cattolica, nazionale e confessionale, trasfigurata da un leader che a dispetto dei propri affondi sul Vaticano non perde occasione, contestualmente, di proclamare l’identità e ortodossia del suo status di credente. Devoto ma deluso. Peccatore, ma non pentito.

C’era una volta Camillo Ruini, ammiraglio di un episcopato che considerava l’Italia l’ultima spiaggia della civiltà cristiana, estremo baluardo da difendere a beneficio dei posteri e a colpi di bordate formidabili, elettorali e referendarie, faro e riparo nella deriva del relativismo. C’è oggi Nunzio Galantino, nostromo di una flotta frontista e transfrontaliera, che molla gli ormeggi e abbandona il difensivismo (“La Chiesa non ha bisogno di mura respingenti”, avverte), nel manifesto intento di recuperare il tempo perduto, avventurandosi temerario alla scoperta di nuovi approdi (“La Chiesa ha bisogno di donne e uomini agili e curiosi”, aggiunge), incurante di attraversare gli scogli sporgenti della politica e affrontare le onde montanti della polemica.
Indipendentemente dal casus belli congiunturale, innescato dall’argomento caldo dei migranti, sussiste una competizione a freddo, strutturale, destinata inevitabilmente a sfociare in collisione tra il segretario dei vescovi e i segretario della Lega, protagonisti assoluti dell’estate italiana e in grado di surclassare, nella hit dell’interesse mediatico, le vacanze di Belén e la gravidanza della Canalis, la permanenza di Pogba e le penitenze di Balotelli.
Al di là della divergenza dei temi e del messaggio, si evidenzia una convergenza di toni e di linguaggio, che accomuna i “duellanti” e alla maniera dell’omonimo film di Ridley Scott accompagna le tappe di una transizione epocale. Non abbiamo assistito a una telenovela, tanto meno a un temporale di stagione, quanto piuttosto a un cambiamento di era climatica nei rapporti tra Chiesa e partiti: un rombo premonitore delle piogge d’autunno, quando l’armata dei vescovi sbarcherà sulle rive dell’Arno al gran completo, stato maggiore e reparti speciali, gerarchia e associazionismo, dal 9 al 13 novembre, nella città del premier e alla presenza del Papa, per il megaconvegno programmatico che va in scena ogni dieci anni e ha il compito di tracciare la rotta del futuro, dopo Verona 2006, Palermo ’95 e Loreto ’85, che come noto segnò l’ascesa di Ruini e la svolta conservatrice.
Alla stregua del calcio d’agosto, spettacolare ma sperimentale, occorre pertanto cogliere, dietro agli svarioni e alle gaffe, alle asperità e ingenuità di sorta, le coordinate di un nuovo assetto che prende piede modificando, in prospettiva, il quadro tattico del confronto. Nel loro esuberante vitalismo, i segretari della CEI e della Lega esprimono infatti la metamorfosi delle rispettive compagini, con lanci lunghi che saltano il filtro della mediazione a centrocampo, luogo elettivo del cattolicesimo politico, in cui si sono formate generazioni di talentuosi registi e operosi mediani, destrieri di razza e cavalli da traino, promotori di idee e portatori d’acqua.
In questa “singolar”, e singolare, tenzone, ciascuno dei duellanti occupa e insidia, in certo senso, il ruolo dell’altro, con incursioni e invasioni di campo, suscitando l’entrata dura e a tratti scomposta o persino a gamba tesa dell’avversario. Se Galantino, autentico homo novus della sinistra, parla sovente da capo dell’opposizione al governo (“Bisogna ridisegnare l’agenda”, dettò tranciante già un anno fa; “è del tutto assente sull’immigrazione”, ha rincarato), Salvini dà voce di rimando al dissenso interno alla Chiesa, in un calcolo ardito e astuto, lanciando l’OPA sul voto e la rappresentanza di quei credenti, silenziosi quanto numerosi, che risultano disorientati dalla linea dell’attuale Pontefice.
Ambedue, soprattutto, possiedono la consapevolezza di essere in minoranza nelle rispettive “coalizioni”: la conferenza episcopale e la “confederazione” del centrodestra. Oltre che ideologica e istituzionale, la competizione si fa quindi antropologica ed esistenziale. Così, mentre il linguaggio del vescovo può risuonare troppo laico e politico, quello del leghista riecheggia di converso insolitamente religioso, con ambizioni da Union Sacrée del XXI secolo.
L’insistenza con cui Matteo Salvini si dichiara “peccatore” postula in automatico un’appartenenza, del figlio prodigo che contende al figlio prodigio Matteo Renzi, maggiore e al momento maggioritario, la successione all’eredità. Gli stessi fulmini e fendenti alpini all’indirizzo del “signor Galantino”, con effetto studiato da talk show, non rispondono al cliché di un anticlericalismo che colpisce da fuori, bensì del sanfedismo che si erge da dentro e si elegge difensore dell’identità del popolo, scomunicando il vescovo e riducendolo ex abrupto allo stato laicale.
Parimenti aneddotiche, significative appaiono la virata teologica e disinvoltura logistica con cui Palazzo Chigi, sentendo cambiare il vento e venir meno il sostegno delle correnti montiniane, ha prontamente saputo riposizionarsi e orientare la vela verso i lidi romagnoli, ripudiati la scorsa estate. Facendo ingresso al Meeting tra gli osanna, come una città santa, e ignorando in via scaramantica il presagio biblico, evocato dal prosieguo della metafora, con la trasformazione del sentiero in Calvario.
Galantino, Renzi, Salvini: dal triangolo agostano tra Cerignola, Rimini e Pinzolo emerge una geometria inedita e si realizza una mutazione genetica. Le nuove specie di cattolici, ancorché in contrasto tra loro e fortemente differenziate, se non addirittura incompatibili, aggrediscono e occupano in compenso tutti gli spazi dell’area moderata e progressista, reazionaria e rivoluzionaria, da CL a Don Ciotti, dai seguaci di Lefebvre alle comunità di base, soppiantando l’antica e aristocratica, incompiuta e incompleta egemonia emiliana dei Camillo Ruini, dei Romano Prodi, dei Pier Ferdinando Casini. E relegando i laici DOC, di ascendenza illuminista o marxista, in ruoli comprimari e di nicchia, senza nessuna chance di aspirare alla leadership in tempi ravvicinati. A centrocampo, il vivaio parrocchiale non genera più registi e tessitori di trame orizzontali, ma lottatori e podisti da schemi verticali, votati al gioco di prima e con licenza di “offendere”, anche nel senso stretto e letterale del termine.
Paradossalmente ma non troppo la CEI, nel frangente in cui con la lectio magistrale del suo Segretario rende a De Gasperi un omaggio di altissimo spessore teoretico e storiografico, ne opera de facto il superamento pratico e metodologico. Ponendone l’azione sull’altare, solennemente, ma deponendo simultaneamente l’arte della mediazione, tra i paesaggi ermetici dell’attualità economica e i passaggi frenetici dell’attività politica.
Intanto, in anticipo sui lavori autunnali del Giubileo, si sono aperti e hanno gettato i pilastri due rumorosi, poderosi cantieri estivi, rispolverando vecchi progetti e aggiornandoli con un tocco di edilizia liturgica: il partito della Nazione e quello del neo-nazionalismo, a firma di una coppia di evangelisti e ingegneri, Mattei entrambi, ai quali Monsignor Nunzio Galantino, terzo incomodo e primo attore dal nome anche lui predestinato, non mostra però intenzione alcuna di concedere l’imprimatur dell’idoneità residenziale. Nemmeno in tempo di condoni e misericordie.C’era una volta il dio Po, ristoro settembrino e rito aspersorio del leghismo padano e pagano, a rinnovare le promesse battesimali e ostentare l’autonomia, e alterità, delle sue origini spirituali, celtiche e laiche, oltre che crociate. C’è adesso il Tevere, bersaglio agostano e abbaglio segreto di una Lega pellegrina e conquistatrice, italica e cattolica, nazionale e confessionale, trasfigurata da un leader che a dispetto dei propri affondi sul Vaticano non perde occasione, contestualmente, di proclamare l’identità e ortodossia del suo status di credente. Devoto ma deluso. Peccatore, ma non pentito.
C’era una volta Camillo Ruini, ammiraglio di un episcopato che considerava l’Italia l’ultima spiaggia della civiltà cristiana, estremo baluardo da difendere a beneficio dei posteri e a colpi di bordate formidabili, elettorali e referendarie, faro e riparo nella deriva del relativismo. C’è oggi Nunzio Galantino, nostromo di una flotta frontista e transfrontaliera, che molla gli ormeggi e abbandona il difensivismo (“La Chiesa non ha bisogno di mura respingenti”, avverte), nel manifesto intento di recuperare il tempo perduto, avventurandosi temerario alla scoperta di nuovi approdi (“La Chiesa ha bisogno di donne e uomini agili e curiosi”, aggiunge), incurante di attraversare gli scogli sporgenti della politica e affrontare le onde montanti della polemica.
Indipendentemente dal casus belli congiunturale, innescato dall’argomento caldo dei migranti, sussiste una competizione a freddo, strutturale, destinata inevitabilmente a sfociare in collisione tra il segretario dei vescovi e i segretario della Lega, protagonisti assoluti dell’estate italiana e in grado di surclassare, nella hit dell’interesse mediatico, le vacanze di Belén e la gravidanza della Canalis, la permanenza di Pogba e le penitenze di Balotelli.
Al di là della divergenza dei temi e del messaggio, si evidenzia una convergenza di toni e di linguaggio, che accomuna i “duellanti” e alla maniera dell’omonimo film di Ridley Scott accompagna le tappe di una transizione epocale. Non abbiamo assistito a una telenovela, tanto meno a un temporale di stagione, quanto piuttosto a un cambiamento di era climatica nei rapporti tra Chiesa e partiti: un rombo premonitore delle piogge d’autunno, quando l’armata dei vescovi sbarcherà sulle rive dell’Arno al gran completo, stato maggiore e reparti speciali, gerarchia e associazionismo, dal 9 al 13 novembre, nella città del premier e alla presenza del Papa, per il megaconvegno programmatico che va in scena ogni dieci anni e ha il compito di tracciare la rotta del futuro, dopo Verona 2006, Palermo ’95 e Loreto ’85, che come noto segnò l’ascesa di Ruini e la svolta conservatrice.
Alla stregua del calcio d’agosto, spettacolare ma sperimentale, occorre pertanto cogliere, dietro agli svarioni e alle gaffe, alle asperità e ingenuità di sorta, le coordinate di un nuovo assetto che prende piede modificando, in prospettiva, il quadro tattico del confronto. Nel loro esuberante vitalismo, i segretari della CEI e della Lega esprimono infatti la metamorfosi delle rispettive compagini, con lanci lunghi che saltano il filtro della mediazione a centrocampo, luogo elettivo del cattolicesimo politico, in cui si sono formate generazioni di talentuosi registi e operosi mediani, destrieri di razza e cavalli da traino, promotori di idee e portatori d’acqua.
In questa “singolar”, e singolare, tenzone, ciascuno dei duellanti occupa e insidia, in certo senso, il ruolo dell’altro, con incursioni e invasioni di campo, suscitando l’entrata dura e a tratti scomposta o persino a gamba tesa dell’avversario. Se Galantino, autentico homo novus della sinistra, parla sovente da capo dell’opposizione al governo (“Bisogna ridisegnare l’agenda”, dettò tranciante già un anno fa; “è del tutto assente sull’immigrazione”, ha rincarato), Salvini dà voce di rimando al dissenso interno alla Chiesa, in un calcolo ardito e astuto, lanciando l’OPA sul voto e la rappresentanza di quei credenti, silenziosi quanto numerosi, che risultano disorientati dalla linea dell’attuale Pontefice.
Ambedue, soprattutto, possiedono la consapevolezza di essere in minoranza nelle rispettive “coalizioni”: la conferenza episcopale e la “confederazione” del centrodestra. Oltre che ideologica e istituzionale, la competizione si fa quindi antropologica ed esistenziale. Così, mentre il linguaggio del vescovo può risuonare troppo laico e politico, quello del leghista riecheggia di converso insolitamente religioso, con ambizioni da Union Sacrée del XXI secolo.
L’insistenza con cui Matteo Salvini si dichiara “peccatore” postula in automatico un’appartenenza, del figlio prodigo che contende al figlio prodigio Matteo Renzi, maggiore e al momento maggioritario, la successione all’eredità. Gli stessi fulmini e fendenti alpini all’indirizzo del “signor Galantino”, con effetto studiato da talk show, non rispondono al cliché di un anticlericalismo che colpisce da fuori, bensì del sanfedismo che si erge da dentro e si elegge difensore dell’identità del popolo, scomunicando il vescovo e riducendolo ex abrupto allo stato laicale.
Parimenti aneddotiche, significative appaiono la virata teologica e disinvoltura logistica con cui Palazzo Chigi, sentendo cambiare il vento e venir meno il sostegno delle correnti montiniane, ha prontamente saputo riposizionarsi e orientare la vela verso i lidi romagnoli, ripudiati la scorsa estate. Facendo ingresso al Meeting tra gli osanna, come una città santa, e ignorando in via scaramantica il presagio biblico, evocato dal prosieguo della metafora, con la trasformazione del sentiero in Calvario.
Galantino, Renzi, Salvini: dal triangolo agostano tra Cerignola, Rimini e Pinzolo emerge una geometria inedita e si realizza una mutazione genetica. Le nuove specie di cattolici, ancorché in contrasto tra loro e fortemente differenziate, se non addirittura incompatibili, aggrediscono e occupano in compenso tutti gli spazi dell’area moderata e progressista, reazionaria e rivoluzionaria, da CL a Don Ciotti, dai seguaci di Lefebvre alle comunità di base, soppiantando l’antica e aristocratica, incompiuta e incompleta egemonia emiliana dei Camillo Ruini, dei Romano Prodi, dei Pier Ferdinando Casini. E relegando i laici DOC, di ascendenza illuminista o marxista, in ruoli comprimari e di nicchia, senza nessuna chance di aspirare alla leadership in tempi ravvicinati. A centrocampo, il vivaio parrocchiale non genera più registi e tessitori di trame orizzontali, ma lottatori e podisti da schemi verticali, votati al gioco di prima e con licenza di “offendere”, anche nel senso stretto e letterale del termine.
Paradossalmente ma non troppo la CEI, nel frangente in cui con la lectio magistrale del suo Segretario rende a De Gasperi un omaggio di altissimo spessore teoretico e storiografico, ne opera de facto il superamento pratico e metodologico. Ponendone l’azione sull’altare, solennemente, ma deponendo simultaneamente l’arte della mediazione, tra i paesaggi ermetici dell’attualità economica e i passaggi frenetici dell’attività politica.
Intanto, in anticipo sui lavori autunnali del Giubileo, si sono aperti e hanno gettato i pilastri due rumorosi, poderosi cantieri estivi, rispolverando vecchi progetti e aggiornandoli con un tocco di edilizia liturgica: il partito della Nazione e quello del neo-nazionalismo, a firma di una coppia di evangelisti e ingegneri, Mattei entrambi, ai quali Monsignor Nunzio Galantino, terzo incomodo e primo attore dal nome anche lui predestinato, non mostra però intenzione alcuna di concedere l’imprimatur dell’idoneità residenziale. Nemmeno in tempo di condoni e misericordie.
Piero Schiavazzi, L'Huffington Post

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