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giovedì 24 marzo 2016

Nemici subdoli

SUL DOGMA INFALLIBILITA' PAPALE

    Il dogma dell’infallibilità papale è davvero così forzato e irragionevole? quel che emerge da una rassegna imparziale della storia è che nessun papa mai neppure nelle epoche più oscure ha mai fallito nella definizione dogmatica 
di Francesco Lamendola  


È cosa abbastanza nota che la proclamazione del dogma dell’infallibilità papale, fortemente voluta da Pio IX, si svolse nella cornice del Concilio Vaticano I, proprio per dare a tale atto la sanzione collegiale della massima assemblea dei vescovi cattolici, e non farlo apparire come una mera imposizione del papa stesso, sostanzialmente auto-referenziale; e che tale proclamazione, nel 1870, fu causa di perplessità, resistenze e perfino di una dolorosa lacerazione in seno alla Chiesa, poiché quanti non vollero riconoscerlo, specialmente nell’Europa settentrionale, si staccarono dalla Chiesa di Roma e si denominarono vetero-cattolici.
Non staremo qui a rifarne la storia, né a vagliare gli argomenti favorevoli e contrari, di tipo prettamente teologico, che si affrontarono sia a quell’epoca, sia in seguito, poiché una certa insofferenza nei confronti di tale dogma, e anche sulle procedure seguite per giungere alla sua proclamazione, ha continuato a serpeggiare lungamente e, infine, è apertamente riaffiorata, da parte di taluni esponenti del mondo cattolico, specialmente dopo il Concilio Vaticano II, particolarmente ad opera di teologi progressisti e neomodernisti, come Hans Küng, ma, in forma più abilmente sfumata, anche da parte di alcuni preti, vescovi e cardinali.
Quel che vogliamo qui considerare è se tale dogma sia giustificato, e giustificabile, sul piano del riscontro puramente storico: se, cioè, nella storia della Chiesa, si trovi qualche esempio di errore dottrinale da parte di qualche singolo pontefice, oppure no – e stiamo parlando di un arco di tempo che abbraccia quasi duemila anni: molto di più del tempo occorso alla formazione e al successivo sviluppo di tutte le nazioni d’Europa, e anche di tutte le religioni e le chiese delle quali abbiamo una sufficiente conoscenza storica.
È evidente, infatti, che, qualora si riscontrasse che taluni singoli pontefici hanno errato in materia di fede, e ciò nell’esercizio della loro suprema funzione di guide della Chiesa cattolica, ossia nella definizione di qualche dogma, se ne dovrebbe concludere che la “pretesa” di Pio IX era azzardata e temeraria, teologicamente e intellettualmente; non solo: che essa era arrischiata e pericolosa per la Chiesa stessa e per la preservazione della Verità cristiana. Al contrario, se dovesse risultare che così non è stato, allora l’iniziativa del pontefice apparirebbe sotto una luce completamente diversa, e giustificata dalla forza stessa dei fatti.
Ebbene: quel che sappiamo, è che i padri conciliari del Vaticano I, prima di votare a favore di quel dogma, passarono in esame, con molta attenzione e perfino con acribia, tutte le decisioni dogmatiche assunte dai papi nel corso della storia bi-millenaria della Chiesa, dal primo all’ultimo di essi; e che non si limitarono ad una generica fede nelle parole di Gesù durante l’Ultima cena, che pure sono inequivocabili: Molte cose avrei ancora da dirvi, ma per ora non ne siete capaci. Ma  quando verrà lui, lo Spirito di verità, egli vi guiderà verso tutta la verità, perché non vi parlerà da se stesso, ma  dirà quanto ascolta e vi farà conoscere l’avvenire. Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo farà conoscere. Tutto ciò che ha il Padre è mio; per questo vi ho detto che prenderà del mio e ve lo farà conoscere (Giov. 16, 12-15).
Premesso, dunque, che l’infallibilità papale, definita nel Concilio Vaticano I (quello “cattivo”, secondo certi teologi, preti e vescovi neomodernisti e progressisti, i quali lo contrappongono, naturalmente, a quello “buono”, anzi, all’unico di cui si riempiono sempre la bocca, il Vaticano II, peraltro interpretandolo in una maniera opinabile e tutta loro), riguarda solo ciò che il papa proclama ufficialmente ex cathedra, ossia in quanto pastore e dottore della Chiesa universale, e non quando dice o scrive qualcosa in forma non ufficiale e non vincolante, quel che emerge, da una rassegna imparziale della storia della Chiesa, è che nessun papa, mai, neppure nelle epoche più “oscure”, ha mai fallito nella definizione dogmatica della dottrina; e ciò indipendentemente dal suo personale grado di santità.
Molto chiara è una pagina che riportiamo dalla rivista dei Padri dehoniani Presenza cristiana (Andria, Bari, anno XX, n. 35  dell’8/11/1984, p. 34), non firmata, e che si deve attribuire, forse, alla penna dell’allora direttore, Paolo Tanzella (1910-1986):

In duemila ani, non è mai venuta meno l’assistenza dello Spirito Santo, la Chiesa non ha commesso nessun errore, nessun errore è stato commesso da un Papa singolarmente preso. Quando al Concilio vaticano I si procedette alla proclamazione dogmatica dell’infallibilità pontificia, tutta la storia della Chiesa venne passata al vaglio.
Si trovò che papa Liberio fu esiliato dall’imperatore Costanzo al tempo dell’eresia ariana, per aver rifiutato do condannare S. Atanasio.  Per lasciare l’esilio dovette formare una dichiarazione  di copro nesso del sinodo di Sirmione. La parola che suonava eresia mancava nel testo firmato dal Papa.
Un caso analogo capitò a Papa Onorio (638) al tempo del Concilio di Calcedonia  sulle due o una volontà in Cristo. Sembrava che il papa fosse del parere di Eutiche l’eretico.  Fu condannato perché non si era mostrato energico fin dal sorgere della controversia. Cristo è perfetto Dio e perfetto uomo, quindi ci sono due volontà. Papa Onorio aveva parlato di una nel senso che la volontà umana era guidata dalla volontà divina.
Il terzo capo che diede occasione a studi profondi fu quello di Giovanni XXII in pieno medio evo. Giovanni XXII era Papa legittimo per quanto continuasse la serie dei papi avignonesi.
Giovanni XXII prima di essere Papa aveva scritto un libro sostenendo la tesi che i giusti non erano ammessi subito alla visione beatifica dopo morte; ma dovessero aspettare un certo tempo e intanto accontentarsi di vedere il volto umano di Cristo.
Diventato Papa nel Concistoro del 3 dicembre 1334, egli contrariamente a quanto aveva scritto e pensato prima, accennò alla dottrina che sarebbe stata definita dal successore Benedetto XII, secondo la quale le anime dei giusti, pienamente purificati, vedono subito Iddio in visione beatifica.
Questi furono i vasi studiati, vagliati e definitivamente accertati quando al Concilio Vaticano I i Padri con solo due voti contrari definirono solennemente l’infallibilità del Papa quando parla “ex cathedra” cioè nelle sua piena autorità di supremo pastore della Chiesa universale, vicario di Gesù Cristo. Egli infallibile quando definisce una dottrina riguardante la fede e la morale. Definire una dottrina, significa stabilirla nei suoi termini esatti, renderla definitiva, irrevocabile.
Sotto questo aspetto il Papa non ha mai sbagliato, non sbaglia e non sbaglierà mai.
Se san Pietro e qualunque suo successore potesse insegnare una falsa dottrina come supremo pastore non sarebbe più la roccia su cui è stata costruita la Chiesa; le porte dell’inferno prevarrebbero contro di essa; contro la promessa di Cristo, l’errore sarebbe sanzionato in cielo; la fede dei fratelli non sarebbe più confermata e rafforzata; il gregge di Cristo non sarebbe più nutrito del pane della verità. Il Papa non sarebbe più Papa, la Chiesa non sarebbe più Chiesa.
Aggiungere che l’infallibilità non implica l’impeccabilità? È un argomento interessante di certi tempi e di certi Papi...

Riassumendo: in duemila anni di storia della Chiesa, sono solo tre i casi controversi, nei quali dei papi sembrano essersi discostati dalla Verità: tuttavia, esaminando approfonditamente ciascuno di quei tre casi, non emerge che alcuno di essi abbia errato in materia di fede, proclamando o difendendo delle dottrine eretiche dal punto di vista cattolico. Ora, duemila anni sono un tempo enorme: ed è cosa ben nota che la Chiesa, in quei due millenni, non è rimasta immune da tempeste, sbandamenti, disordini d’ogni tipo. Non, però, disordini dottrinali: questo non è mai accaduto. È una cosa che fa riflettere; che dovrebbe far riflettere chiunque, anche il non credente: perché, anche solo da un punto di vista meramente storico (e mettendo tra parentesi, ai fini del nostro ragionamento, l’aspetto specificamente e squisitamente teologico), essa non ha l’equivalente in nessun altro ambito. Non è mai accaduto che una qualsiasi istituzione umana, oltre a durare per un tempo così inconcepibilmente lungo (a parte la monarchia divinizzata dell’antico Egitto: ma quali differenze fra l’Antico, il Medio e il Nuovo Regno!), non errasse mai, né mai si contraddicesse.
Per il credente, la cosa non è poi così misteriosa, e tanto meno inspiegabile: egli sa che la Chiesa è una costruzione solo in parte umana, ma, per l’altra parte, divina: sa che è lo Spirito stesso di Dio che la anima, la assiste e la governa, impedendole di naufragare – e cadere nell’errore dottrinale sarebbe la peggiore forma di naufragio che le potesse mai accadere -, pur se sballottata, talvolta, in mezzo alle peggiori burrasche. Certo, per l’osservatore o per lo studioso ateo, o anche di altro credo religioso, ciò costituisce un mistero: e, nondimeno, un mistero con il quale egli deve serenamente e spassionatamente confrontarsi. Diciamo che questo fatto incredibile, inaudito, di una perenne fedeltà alla propria Verità soprannaturale, costituisce in se stesso, se lo si considera con mente imparziale e sgombra di pregiudizi, quanto meno un indizio di qualcosa d’altro: qualcosa che esiste, appunto, ma che si sottrae alla pretesa della razionalità pura di comprenderlo e spiegarlo sino in fondo, come si fa con le cose meramente umane.
Come sempre: è come se Dio, ci si passi la metafora un po’ rozza, giocasse a nascondino con l’uomo. Si mostra solo quel tanto che basta per inoculargli l’intuizione, il dubbio, il sospetto, che la dimensione soprannaturale esista, e perché quella intuizione, quel dubbio,  quel sospetto, se l’uomo è animato da retta coscienza e da limpido intelletto, se ne senta mordere il cuore e tormentare la mente, fino a quando non sia riuscito a comprendere qualche cosa di più. Però non si mostra mai del tutto, in piena luce, in maniera inequivocabile, e ciò per due buone, anzi, per due ottime ragioni. La prima è che, se lo facesse, gli uomini resterebbero accecati, folgorati, annichilati dal Suo splendore, così come perfettamente ha espresso anche Dante Alighieri (che è stato, giova ricordarlo, un grande filosofo e teologo, oltre che sommo poeta), nella terza cantica della Divina Commedia. La seconda è che, in tal caso, il libero arbitrio sarebbe annientato: all’uomo non resterebbe altro che l’obbligo di credere, e allora egli non sarebbe più il figlio, ma il servo di Dio; e il significato stesso dell’Incarnazione, della Passione e della Risurrezione sarebbe vanificato, o meglio, non vi sarebbe alcun bisogno della Redenzione. A che scopo redimere qualcuno che non può scegliere, e, pertanto, non può nemmeno decidere se accettare o meno l’amore di Dio?
La storia del protestantesimo, che inizia, appunto, da una contestazione radicale del primato del papa e dalla negazione del suo diritto a definire i contenuti dottrinali della Chiesa (anche se ancora non si parlava della sua infallibilità ex cathedra: ma il concetto, formalmente inespresso, era comunque già presente), è anche la storia, fin dal principio, di un continuo frammentarsi, spezzettarsi, dividersi, in una quantità di chiese, sette, movimenti, litigiosi su tutto e sul contrario di tutto, laddove ciascuno di essi pretendeva, e pretende tuttora, d’incarnare la Verità del Vangelo. Solo la Chiesa cattolica non ha mai allentato la presa sulla barra del timone; solo essa non è mai entrata in contraddizione con se stessa, ma è sempre rimasta salda e unita quanto al dogma (salvo lo scisma d’Oriente con le Chiese ortodosse, che nacque, peraltro, più da ragioni di ordine politico, che propriamente religioso). E anche lo storico non cattolico, crediamo, difficilmente può trattenere un moto di stupore e di ammirazione davanti ad un simile spettacolo di unità e coesione.
Oggi, purtroppo, e per la prima volta in modo grave, questa compattezza e questa unità sono messe in pericolo: non da forze esterne, ma da una deriva interna alla Chiesa stessa. Un audace manipolo di teologi e anche di pastori, traviati da dottrine di matrice gnostico-massonica, cercano di far passare, surrettiziamente, e con il pretesto di “dialogare con il mondo moderno” e “aggiornare la pastorale e la liturgia alle mutate esigenze dei tempi”, dottrine non conformi al Magistero ecclesiastico di sempre, e alla perenne verità della Rivelazione. Sono nemici subdoli; lupi travestiti da agnelli, che stanno generando confusione e provocano un danno immenso. E non si tratta solo di questo; il male è ancor più profondo. La massa dei cosiddetti cristiani è venuta a patti col mondo, ha fatto propria la sua prospettiva e, sovente, i suoi idoli. Lo si è visto, ad esempio, nel nostro Paese, quando gli elettori sono stati chiamati ad esprimersi, mediante il voto, sulle questioni del divorzio e dell’aborto. Pur continuando a dirsi cattolici, molti di essi hanno voltato le spalle al Vangelo…


Il dogma dell’infallibilità papale è davvero così forzato e irragionevole?

di Francesco Lamendola

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