LA MONACA INDEMONIATA
di Francesco Lamendola
Uno degli esorcismi più complessi e delicati, nella lunga storia della lotta sostenuta dalla Chiesa cattolica contro il Diavolo e la possessione da lui operata a danno degli umani, è stato quello che ha coinvolto una monaca agostiniana spagnola vissuta nella seconda metà del XVI secolo, Maria de Olivares, e per il quale è stato chiamato a celebrare il rito di liberazione un santo dai carismi eccezionali, Giovanni della Croce. L’episodio ebbe luogo durante il quinquennio in cui il santo si trovò a soggiornare nella città di Avila, dal 1572 al 1577: vi si era recato su richiesta di suor Teresa in qualità di confessore del grande monastero dell’Incarnazione, di cui ella era prioria.
Fra Juan de la Cruz, meglio noto, in Italia, con il nome di Giovanni della Croce (1542-1591) è stato uno dei più grandi mistici spagnoli e un rinomato maestro spirituale, oltre che un poeta di profonda ispirazione e il co-fondatore, insieme a santa Teresa d’Avila (1515-1582), dell’ordine dei Carmelitani scalzi, che ha dato un impulso e uno slancio straordinario alla spiritualità cristiana negli anni succeduti alla cosiddetta Riforma protestante (in realtà, una rivoluzione violenta, che ha tentato di scardinare dalle sue basi la Chiesa cattolica e il retaggio soprannaturale della Rivelazione, di cui essa era stata eletta a custode nel corso dei secoli).
Sbaglierebbe, peraltro, chi immaginasse che un personaggio così illustre, e le cui virtù preclare erano quasi universalmente riconosciute e ammirate, abbia avuto una vita facile, caratterizzata da onori e riconoscimenti. Al contrario di quel che potrebbe pensare una mente moderna, magari impregnata, e sia pure inconsapevolmente, dei tipici pregiudizi anticattolici della cultura contemporanea, la vita di questo grande santo è stata costantemente tribolata dalla persecuzione di influenti personaggi religiosi dell’epoca, i quali scatenarono contro di lui ogni sorta di attacco, morale e materiale, per ridurlo al silenzio e all’impotenza, fino a imprigionarlo in convento e a sottoporlo non solo a maltrattamenti, ma altresì a torture psicologiche e persino fisiche. Ma questo, si direbbe, è il destino dei mistici: valga per tutti il caso di ciò che san Pio da Pietrelcina ebbe a subire da parte dei suoi superiori, lungo quasi tutto l’arco della sua vita e della sua attività spirituale in favore delle anime.
Il caso dell’esorcismo di suor Maria de Olivares fece moltissimo scalpore per una circostanza a dir poco insolita: perché costei godeva fama di sapienza teologica e di alta spiritualità, al punto che ingegni illustri, fra i massimi che la Chiesa iberica vantasse in quel momento, si erano recati al suo convento di Avila per ascoltarla, interrogarla, meditare sulle sue dotte esposizioni della Bibbia e della vita soprannaturale; fra essi, Mancio de Corpus Christi, Bartolomeo di Medina, Giovanni de Guevara, Luigi de Leon. Il fatto è che suor Maria aveva mostrato di possedere, improvvisamente, delle conoscenze teologiche e una profondità esegetica insospettate, come se un sapere di origine soprannaturale l’avesse misteriosamente investita. Il fior fiore dei teologi spagnoli, dunque, ne era rimasto colpito e affascinato e si era espresso per la provenienza divina delle virtù di quella monaca agostiniana. Però le consorelle di suor Maria, e anche i suoi superiori, non erano del tutto convinti: a loro, che potevano osservarla meglio, e continuativamente, pareva che ci fosse qualcosa di strano, d’inquietante, nella improvvisa “sapienza” di lei. Qualcosa che poteva anche avere tutt’altra origine da quella sentenziata da Mancio e dagli altri esperti di cose spirituali: e fu per questo che venne pregato di recarsi ad ascoltarla, onde farsene una precisa opinione, anche Giovanni della Croce, che allora si trovava in città, e che, inizialmente, tentò di schermirsi, adducendo vari pretesti per non doversi occupare del caso. Ma infine, avuta assicurazione di poter procedere con pieni poteri nella ricerca della verità, egli si recò nel convento di suor Maria, deciso a chiarire il mistero.
Scrivono Federico Ruiz e altri (in: A.A.V.V., Dio parla nella notte. Vita parola ambiente di San Giovanni della Croce, Arenzano, Genova, Il Messaggero del Santo Bambino Gesù di Praga, 1990, pp. 138-141):
Mentre Teresa si torva a Segovia, ad Avila accadono cose portentose nella vita di fra Giovanni. Si è acquistato fama di grande esorcista a causa del suo potere sul maligno. Il caso più famoso, seguito da tutta la città, è quello di Maria de Olivares Guillamas, agostiniana del monastero de Nuestra Señora de Gracia in cui Teresa de Cepeda y Ahumada aveva abitato come giovane educanda. Il monastero ”è un edificio piccolo, di aspetto umile, innalzato sul luogo dove sorgeva una moschea. È adagiato a sud-est della città, fuori delle mura, presso i solidi torrioni della Puerta del Alcazar” (P. Crisogono). Maria de Olivares, nativa di Avila, ha emesso i voti in quel monastero nel 1563. Comincia a farsi notare per una serie di fatti strani a cui non si può dare una spiegazione naturale. Senza aver frequentato studi particolari conosce e spiega molto bene la Sacra Scrittura. Si dice che “parla tutte le lingue, conosce tutte le scienze”. Non pochi dotti vanno ad ascoltare le sue interpretazioni bibliche e i suoi commenti teologici. Alcuni storici si divertono a compilare liste di uomini celebri, professori di teologia e di Bibbia, che esaminano quello spirito così singolare: Mancio de Corpus Cristi, domenicano: Bartolomé de Medina, anch’egli domenicano; Juan de Guevara, agostiniano, le cui lezioni all’università di Salamanca vengono qualificate come “miracolose” a causa della loro elevatezza; fray Luis de Leon, il grande maestro di tante scienze, di tanto sapere biblico, appartenente anch’egli alla famiglia agostiniana della monaca. Non sappiamo se intervengano altri personaggi di Avila, come don Francisco de Salcedo, Julian de Avila, o qualcuno dei grandi Domenicani o Gesuiti del momento, Insomma, i dotti nelle scienze sacre e i grandi eruditi che passano da Avila “sembra considerino tutti buono quello spirito e infusa quella scienza meravigliosa”.
Ma qualcosa non è chiaro. Il padre Provinciale degli Agostiniani, e sembra anche il padre Generale, visitano Avila, parlano con la monaca e on ne rimangono tranquillizzati. Hanno grosse riserve e non riescono a togliersi certi dubbi. Vengono messi al corrente della fama di santità di spirito e di dottrina di Giovani della Croce e vogliono che la incontri. Insistono: Giovanni rifiuta, portando probabilmente come motivo la sua mancanza di esperienza in questo campo e la sua stessa giovane età, non avendo egli allora più di trentadue anni. Il superiore degli Agostiniani gli conferisce i poteri necessari per entrare e uscire dal monastero affinché possa discernere il caso. Si accordano immediatamente per un primo incontro. Giovanni della Croce entra nel parlatorio. Dall’altra parte arriva la monaca. Curiosamente lei che era famosa per il suo parlare, “acuta, buona parlatrice e molto spiritosa”, sempre tanto celebrata per questo motivo, nel momento in cui incontra quel frate tanto piccolo e apparentemente insignificante, rimane senza parole, come muta, “tanto muta in presenza del Padre che i due non riuscirono a dire una parola e lei cominciò a tremare e a sudare, come il colpevole davanti al giudice”. Fra Giovanni esce dal parlatorio e annuncia in segreto al padre generale o al Provinciale che quella monaca non ha uno spirito buono, che è indemoniata e che bisognerà esorcizzarla molte volte. Il superiore conferma la sua volontà che Giovanni intervenga e faccia tutto il necessario per risolvere la situazione. Finalmente egli si dichiara disposto. Ma prima di dare inizio agli esorcismi, secondo la sua stessa testimonianza di alcuni anni dopo, “informa gli inquisitori del distretto circa il fatto che gli era stato dato il permesso perché facesse tutto il necessario” (Biblioteca Mistica Carmelitana, 14, 190). Ciò che accade da questo momento è quasi un romanzo. Giovanni non sottovaluta i rischi che corre e si prepara spiritualmente con preghiere, digiuni, sacrifici e penitenze. Vi dedica giorni e settimane di lavoro: esorcismi, visite, catechesi per liberare la povera ossessa n on solo dal demonio, ma anche dalla confusione mentale di cui è vittima.
Il demonio rifiuta di uscire dall’indemoniata affermando che è sua proprietà, dato che gli si è data con un patto volontario, scritto e sigillato con il suo sangue e firmato con il suo nome. Fra Giovanni insiste ripetuta,ente finché un giorno mentre sta celebrando la messa appare il documento. Giovanni lo brucia. Una volta scomparso il misterioso pezzo di carta la monaca sembra tornare in sé, come svegliandosi da un incubo crudele, e si avvia a tornare alla normalità. Ma il maligno non la abbandona. Le appare sotto le sembianze di fra Giovanni o di monaca, le scrive biglietti con la calligrafia di fra Giovanni dandole cattivi consigli fin quasi a renderla disperata; la fa andare in confessionale dove in veste di fra Giovanni tenta di scalzare dalle fondamenta la sua speranza di salvarsi. La battaglia finale è tremenda, gli ultimi esorcismi risultano drammatici. Dopo intense controversie e lunghe discussioni gli spiriti maligni “uscirono gridando e dicendo che da Basilio fino a quel momento nessuno aveva loro opposto una così strenua resistenza. La monaca rimase come morta. Tornò in sé. Stette un momento seduta per terra, riposandosi dalla fatica sostenuta. E si rialzò sana” (Alonso).
Fra Giovanni redige sull’accaduto un memoriale in cui dà il suo giudizio. Esso verrà allegato al processo di Maria de Olivares. L’Inquisizione di Valladolid invia il dossier al tribunale centrale di Madrid. Il 23 ottobre 1574 da Madrid viene comunicato a Madrid che “non appena si riceverà la presente, sia convocati davanti a questo Santo Ufficio fra Giovanni della Croce, carmelitano scalzo, per essere esaminato circa il memoriale inviato o consegnato a codesta Inquisizione”. Fra Giovanni parte per Valladolid. Ai primi di novembre di quello steso anno vi è condotta anche Maria de Olivares che “fu messa nel monastero de La Madre de Dios”.
San Giovanni della Croce non era affatto un fanatico dell’esorcismo e non vedeva diavoli dappertutto: era, al contrario, un uomo estremamente equilibrato e prudente. Tanto è vero che, dopo l’esorcismo di suor Maria de Olivares, venne chiamato a esprimersi anche riguardo al caso di un’altra religiosa, questa volta a Medina, Isabel de san Jeronimo, ritenuta vittima di una possessione: ma egli smentì questa tesi e dichiarò che la poveretta, semplicemente, era pazza. E in tale stato sarebbe morta, nel 1582, senza aver più recuperato la padronanza di sé. Eppure, poco prima, sempre in Avila, egli aveva scacciato da un’altra persona ben tre legioni di demoni. Era, dunque, un uomo pieno di discernimento spirituale. Non solo: era un uomo dalla intensissima vita mistica, capace di impulsi e ispirazioni improvvisi, il cui significato si rivelava appieno solo in un secondo tempo. Una volta, ad esempio, volle attraversare ad ogni costo un fiume in piena, mentre i suoi compagni di viaggio non osavano spingere in acqua le cavalcature; ed, effettivamente rischiò di annegare, trascinato dalla corrente fortissima. Poi, però, raggiunta che ebbe l’altra riva, da solo, spronò il suo mulo fino a una osteria dove giaceva, agonizzante, un uomo che era stato ferito, un ex religioso fuggito dal suo convento e disperato perché stava per morire senza assistenza spirituale. San Giovanni lo confessò, lo confortò, lo vegliò per alcune ore, sino alla fine: solo allora fu chiaro quale forza misteriosa lo avesse trascinato, contro ogni umana prudenza, a gettarsi nelle acque del fiume, sfidando un pericolo così grande in modo apparentemente irragionevole.
Sarebbe cosa troppo ardua chiedersi da quali indizi Giovanni della Croce abbia subito compreso che suor Maria de Olivares era posseduta dal Demonio, oltre alla evidente, fortissima reazione emotiva della religiosa al loro primo incontro. Senza dubbio egli lo sentì: sentì e vide la presenza del Maligno, con la stessa chiarezza con cui una persona sente e vede gli oggetti materiali che la circondano. Il mistico si distingue dal teologo (a meno che egli sia entrambe le cose insieme, come nel caso di Giovanni della Croce e di Teresa d’Avila; la quale, a sua volta, per un certo tempo, era stata creduta dai suoi superiori s dal Demonio), in questo: che le cose che il secondo conosce e descrive in forma astratta, e gli le conosce e le sperimenta in forma diretta e concreta. Per il mistico, non c’è alcun bisogno di dimostrare l’esistenza di Dio, perché egli la esperimenta personalmente, la tocca, per così dire (ma, talvolta, anche alla lettera), con mano. E la stessa cosa vale per il Diavolo e per la possessione demoniaca. L’esorcista ordinario ha bisogno di domandare alla “presenza” malefica quale sia il suo nome; il mistico la vede sin dal primo istante, con la stessa chiarezza con cui le persone comuni possono vedere e descrivere le cose materiali che hanno intorno.
Resta il fatto che Maria de Olivares aveva ingannato tutti, fino a quel momento; o meglio, aveva ingannato i dotti (non, però, le sue consorelle). Questo è un punto importante e di scottante attualità. È cosa ardua decidere se la presenza del Diavolo nell’anima e nelle azioni di una persona si possa riconoscere anche col solo strumento dell’osservazione psicologica e della ragione naturale: questo episodio parrebbe escluderlo. Per sentire la puzza del Diavolo, ci vuole un santo. Ciò significa che molti diavoli se ne vanno in giro per le strade del mondo, senza essere riconosciuti, ma, al contrario, ricevendo lodi e segni d’ammirazione: anche da parte di uomini di Chiesa, noti per la loro dottrina...
San Giovanni della Croce e la monaca indemoniata
di Francesco Lamendola
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.