ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 25 aprile 2016

Porgi la guancia altrui..

Quelli che la carità la fanno pagare sempre agli altriSi susseguono gli esempi, incoraggiati dall’alto, prodotti da un formidabile equivoco da catechismo della dottrina cattolica. Ma  l’altra guancia da porgere è la tua, non quella altrui, e se il cuore ti trabocca di amor del prossimo, è alle tue tasche che devi attingere, non a quelle degli altri. Eppure…
Bene ha fatto il nostro direttore a puntare il dito sul trito slogan terzomondista, risuonato nel recente convegno della Caritas, che l’accoglienza che «dobbiamo» agli immigrati è solo «un atto di restituzione». Insomma, la solita menata che i poveri sono tali per colpa dei ricchi. Inutile estenuarsi in spiegazioni per dimostrare, dati alla mano, che ciò non è vero. Proprio inutile. 
Purtroppo, spesso si ritrovano con alti incarichi persone che un buon talent-scout avrebbe classificato come caporali di giornata: uno, che sarebbe atto all’organizzazione del servizio quotidiano in caserma, fa invece il comandante di distretto militare senza nemmeno aver frequentato la scuola di alti studi strategici.

Bivacco di immigrati in una strada di MilanoPremesso questo, ricordo, anni fa, una puntata di talkshow in cui un intero quartiere, esasperato, inveiva contro il parroco. Costui, sovrabbondante di carità, aveva aperto le porte delle strutture parrocchiali a una quantità spropositata di immigrati africani.E in breve l’intero quartiere, già lindo, ordinato e pacifico, era diventato un posto invivibile: risse, piccolo spaccio, degrado, bisogni corporali open air, molestie sessuali, minacce, intimidazioni; insomma, la solita coreografia a cui, ormai, abbiamo fatto il callo noi italiani. 
Risultato: bambini tappati in casa, saracinesche abbassate, ronde in strada autogestite di cittadini. Ovviamente, queste ultime avevano scatenato i centri sociali e le anime belle del buonismo blindato ai Parioli. I leghisti a quel punto erano scesi in piazza e i riflettori mediatici si erano accesi, abbaglianti, su un pezzo di provincia fin lì tranquilla. Il vero responsabile di tutto questo casino (mi scuso, ma è il termine ormai corrente) era quel parroco, persona assolutamente incompetente e inadeguata. Ma in tivù seguitava a prendersela con la «durezza di cuore» dei suoi parrocchiani, il cui grave deficit di «solidarietà» era meritevole di disprezzo e biasimo. 
Era, quell’uomo, il perfetto esempio di un formidabile equivoco da catechismo della dottrina cattolica. Infatti, così come l’altra guancia da porgere è la tua, non quella altrui, allo stesso modo, se il cuore ti trabocca di amor del prossimo, è alle tue tasche che devi attingere, non a quelle di chi ama un prossimo diverso da quello per cui tu stravedi. 
Ecco un altro esempio. In un pellegrinaggio di gruppo in Terrasanta ci fu imposto unprete d’accompagnamento. Il quale, per tutto il tempo, non risparmiò panegirici ai «nostri fratelli ebrei» e ai «nostri fratelli musulmani». Né ci risparmiò la sua faccia, non dico disgustata ma quasi, quando tirammo fuori i rosari e li recitammo in latino, cosa che, ai suoi occhi, ci classificava come cattolici “di destra” o “integralisti”. Cioè, il male assoluto. In tempi di confusione come quelli presenti, nei quali i preti fanno i laici e i laici fanno i preti, ognuno spara il suo concetto di “vero cristianesimo”, che diventa giacobinismo quando pretende di costringere tutti a professarlo. 
Così, spesso mi capita qualche lettore che vuol spiegare a me come si comportavano i Santi. A me. Dopo essermi armato di (santa) pazienza, rispondo che il cattolico deve imitare Cristo, non i Santi; infatti, i Santi, lungi dall’imitarsi l’un l’altro, così facevano. E chi, avendo letto qualche alata biografia curiale, insiste, lo rimando alla saggistica seria. Che è, certo, faticosa, così piena di aride pagine, di note, di bibliografia. Ma è l’unico modo per conoscere il cristianesimo, quello dei fatti, non il fai-da-te sentimentale ed emotivo corrente. 
Ebbene, i fatti ci dicono che quando i teologi francescani medievali si accorsero che alcuni erano troppo ricchi e tanti troppo poveri, non organizzarono invasioni con scasso nelle case dei primi, ma, cristianamente, cercarono una soluzione che non facesse male a nessuno, nemmeno ai «duri di cuore». E inventarono i Monti di Pietà, istituzioni foraggiate, volontariamente, si badi, da ricchi di buona volontà, alle quali i poveri potevano attingere per sollevarsi dalla loro condizione. 
I nomi di questi teologi ve li risparmio perché la Chiesa li conosce bene, avendoli tutti canonizzati. Ecco i (veri) Santi. Gli odierni caritatevoli forse sono in buona fede, ma la santità è intelligente. Travasare l’Africa e il Medioriente in Italia, sperando che dall’Italia possano sciamare per tutto l’Occidente (così impara) è ideologia, non santità. Non è nemmeno bontà. Come tutte le ideologie si fonda sull’odio per alcuni, non sull’amore per tutti. E, come tutte le ideologie, finirà in un disastro.  

di Rino Cammilleri 25-04-2016
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-quelli-che-la-carita-la-fanno-pagare-sempre-agli-altri-15954.htm

Il vescovo di Fano: “I poveri italiani non fanno notizia, non arrivano con il barcone”

migranti“I poveri italiani non fanno notizia, non arrivano col barcone. Bisognerebbe chiedere scusa anche a loro”. Lo dice Monsignor Arando Trasarti, vescovo della diocesi marchigiana di Fano- Fossombrone- Cagli- Pergola.
Eccellenza Trasarti, esiste un grave problema migratorio. Il Papa  chiede perdono per le nostre durezze di cuore…
” Il Papa  svolge correttamente la  sua funzione di pastore e ci invita al dovere di carità e di solidarietà. Da vescovo di una realtà locale vedo  però che aumenta il numero dei poveri locali, quelli italiani. Ma questi non fanno notizia, non arrivano col barcone. E’ giusto occuparsi dei migranti, ma con la stessa incisività si parli anche di quelli di casa nostra .Lo dice la Scrittura, aiutare i lontani senza dimenticarsi dei vicini anzi  badando prima  a loro. Con questa  logica rischiamo di rendere un cattivo servizio proprio ai migranti”.
Perchè?
” Esiste la possibilità del sorgere del razzismo di ritorno. Mi spiego. Gli indigenti italiani, quelli che non se la passano bene, alla fine detesteranno i migranti quando sentono di tante attenzioni.  Per carità, io non dico di negare solidarietà, ma si dia agli italiani la stessa attenzione di coloro che arrivano da fuori.  I poveri sono tutti uguali. Ci vuole equilibrio”.
In che senso, scusi?
” Che alcune volte noto un certo sbilanciamento nei confronti degli stranieri. Inoltre costoro non sempre sanno ringraziare la generosità di chi si sacrifica e compie sforzi enormi. Da qualche parte sento dire che dobbiamo dare luoghi di culto agli islamici.  Il principio della libertà di culto va rispettato, ma a condizione di reciprocità, lo assicurino nelle terre islamiche ai cristiani. La mia senzazione è che spesso dietro tanta apertura verso gli immigrati, assieme alla generosità, si nascondano interessi economici”.
Interessi?
“Giochini strani dei professionisti della immigrazione, di chi ne ha fatto e ne fa un business come si è visto in alcune realtà italiane. Sembra che talvolta gli immigrati siano diventati un buon affare”.
I poveri italiani sono in crescita?
” Per quanto riguarda la mia diocesi dico senza dubbio di sì. Lo vedo nelle strutture caritatevoli dove il numero degli italiani  aumenta. E allora non comprendo da dove sorga l’ entusiasmo e l’ ottimismo di chi ci governa”.
Che cosa intende dire?
” La politica non ci racconta la verità. La mia sensazione è che Renzi ci narra un film diverso dalla realtà e dalla verità, parla di un Paese che non c’è. Non sempre la stampa, quella grande ce ne da conto . L’economia non cammina come dovrebbe e la politica neppure”.
Bruno Volpe
A 125 anni dalla Rerum Novarum di Leone XIII
di Stefano Fontana24-04-2016
Leone XIII in un raro filmato del 1896
La ricorrenza dei 125 anni della Rerum novarum (1891-2016) ci invita non solo a rileggere l’enciclica leonina, considerata la prima pietra nella costruzione della Dottrina sociale della Chiesa nella modernità, ma ci obbliga anche a riconsiderare l’insieme del progetto di Leone XIII, per chiedersi se sia ancora valido. LaRerum novarum, infatti, non è isolata nell’insegnamento di quel Pontefice, ma è inserita in un contesto di altre otto encicliche che costituiscono, insieme, un corpus unitario. Quello, e non solo la Rerum novarum, costituisce il progetto di Leone XIII. 
Vediamo innanzitutto il contesto da cui nasce quel progetto. Gli Stati europei, compreso quello italiano, avevano espulso la Chiesa da tre ambiti fondamentali per la sua missione storica: il matrimonio, l’educazione, la solidarietà nella società civile. La legislazione liberale sul matrimonio civile e il divorzio, la statalizzazione della scuola, l’abolizione delle corporazioni e delle opere pie avevano fatto piazza pulita della presenza della Chiesa nell’ambito pubblico. Molti Stati europei avevano poi perseguito iniziative anche più direttamente di vilipendio della religione cattolica, abolendo gli ordini religiosi contemplativi e incamerando i loro beni e avocando a se - con l’exequatur - l’approvazione delle nomine dei vescovi. Formalmente le costituzioni facevano ancora riferimento a Dio come fonte dell’autorità, ma le politiche si dissociavano da questo principio, cercando l’espulsione di Dio dall’ambito pubblico.
Il progetto di Leone XIII era di iniziare una fase storica in cui i cattolici riconquistavano per Dio un posto nell’ambito pubblico. La Dottrina sociale della Chiesa a questo doveva servire e a questo serve tuttora. Se lo si esclude, allora hanno ragione coloro – e sono tanti – che non giustificano l’esistenza stessa della Dottrina sociale della Chiesa.
A riprova di ciò basta riflettere sulle prime parole della Rerum novarum: “L’ardente brama di novità (rerum novarum) che da gran tempo ha cominciato ad agitare i popoli, doveva naturalmente dall’ordine politico passare all’ordine simile dell’economia sociale”. L’enciclica non viene scritta per andare incontro alle novità moderne ma per dare loro contro. Le novità politiche createsi soprattutto dopo la rivoluzione francese hanno prodotto poi conseguenti novità sociali ed economiche, che hanno continuato a quei livelli l’espulsione di Dio dalla sfera pubblica. La Dottrina sociale della Chiesa doveva esprimere un progetto a ciò contrario e teso a ricollocare Dio al suo posto. 
Leone XIII fu un grande filosofo della politica. Secondo Del Noce è stato il più grande filosofo cristiano del XIX secolo. La sua idea – ma altro non è che l’idea cattolica – era che la ragione fuori della fede si trasforma sempre in positivismo. E’ inevitabile che se tiriamo fuori la ragione dalla fede, essa, la ragione, perda consistenza in quanto ragione e diventi una anti-ragione, oltre che una anti-fede: il positivismo appunto. La ragione fuori della fede diventa una nuova religione antireligiosa. Leone XIII vedeva che l’attacco alla fede cattolica era molto radicale. Il positivismo era diventato ragione di Stato o, meglio, nuova religione civile dello Stato il cui sommo sacerdote in Italia era Roberto Ardigò. 
Per questo motivo la prima delle encicliche sociali di Leone XIII deve essere considerata laAeterni Patris (1879) con la quale viene ribadito il giusto rapporto tra ragione e fede nello sforzo di contrapporre al positivismo, insegnato nelle università e nei licei italiani come filosofia del regime crispino e carducciano, la filosofia eterna di San Tommaso d’Aquino. Dentro questo quadro si collocano poi le altre encicliche sociali di Leone XIII che chiariscono il senso della libertà cristiana, la fonte divina dell’autorità, il carattere pubblico e indissolubile del matrimonio, la costituzione cristiana degli Stati, il diritto della Chiesa ad una supremazia legislativa nel campo del matrimonio e dell’educazione. Dentro questa complessa e completa architettura trova luogo anche la Rerum novarum, che esamina le conseguenze economiche e sociali degli sconvolgimenti moderni per sostenere che “non c’è soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo”. Con il che si ridà a Dio il suo giusto posto nel mondo.
Ricordare i 125 anni della Rerum novarum, richiede anche di riconsiderare l’intero progetto di Leone XIII, dal quale oggi sembra di essere molto lontani. Le sue esigenze, però, non possono essere liquidate semplicisticamente.
La Centesimus annus di Giovanni Paolo II, scritta al compimento del centesimo compleanno della Rerum novarum e che ricordiamo in questi giorni nei suoi 25 anni, è stata, tutto sommato, il tentativo di rilanciare il progetto leonino nella sua totalità. Mente la Aeterni Patris aveva anticipato la Rerum novarum, la Fides et ratio di Giovanni Paolo II ha seguito la Centesimus annus, ma ciò non toglie che ambedue appartengano al medesimo quadro, insieme alla Veritatis splendor e alla Evangelium vitae. La Fides et Ratio ristabilisce il corretto rapporto cattolico tra fede e ragione, rifacendosi ampiamente alla filosofia dell’essere di san Tommaso d’Aquino, come aveva fatto la Aeterni Patris. Ci sono delle diversità, intendiamoci, ma è ugualmente chiaro l’impegno per riprendere non segmenti particolari, ma un intero progetto. La Centesimus annus, infatti, riconferma che non c’è soluzione alla questione sociale fuori del Vangelo. Sia la Rerum novarum che la Centesimus annus intendono rivendicare lo statuto pubblico della Chiesa cattolica. Giovanni Paolo II riconferma che la ragione fuori della fede si trasforma in positivismo, ossia in una nuova religione atea.
Leone XIII aveva davanti a sé lo “scandalo” del matrimonio civile. Oggi noi ci troviamo davanti al matrimonio omosessuale. Se ci troviamo in queste condizioni dovremmo pur valutare cosa ne abbiamo fatto del progetto di Leone XIII. Un dato della sua attualità è certo: i danni causati dal suo abbandono.

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