ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 17 maggio 2016

Estraniarsi dalla vita divina

ISCRIZIONE APPOSITAMENTE MODIFICATA 

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QUESTO POPOLO DEI TEMPI ULTIMI

Ovviamente qualche troll deriderà. Non resta che citare Sedlmayr: “Il peccato significa, in ogni tempo, un estraniarsi dalla vita divina.  Questa concezione è andata del tutto perduta nell’uomo del secolo ventesimo oggi, nella migliore delle ipotesi, l’uomo riesce ancora a capire il peccato in maniera grettamente morale, ma non riesce a considerarlo come un turbamento del cosmo umano, dell’intera vita e delle fonti di essa”.

Gentile direttore 
Le scrivo  perché riscontro nel tempo che stiamo vivendo i “tempi ultimi” dei quali lei ha parlato in diverse conferenze. Non parlo di segnali “biblici” ma di segnali di un sistema che sta collassando, come lei stesso definisce il “capitalismo terminale” e di come il degrado dell’essere umano sia arrivato al punto di non ritorno. 
Vivo in un paese di provincia con meno di settemila anime che lo popolano (quasi duemila delle quali non autoctone) e vedo  nella piccola scala del mondo che compone il mio habitat una proiezione del pianeta a dir poco inquietante. Frequento quotidianamente un bar ove ho diversi amici, diciamo che in una giornata tipo (nell’oretta che sono al bar) vedo dalle dieci alle trenta persone; ebbene, di queste trenta persone nelle giornate di punta ne conosco pochissime che non facciano uso di sostanze stupefacenti (io spesso abuso di alcol, ma sto parlando appunto di altro). Quello che a mio parere è l’uso di droga dovrebbe essere una fuga dalla realtà (che data la sua insopportabilità, spesso è comprensibile, anche se non giustificabile), ne consegue che la funzione della droga in utilizzo dovrebbe essere di stordimento et similia, invece vedo usare un sacco di cocaina, droga che fa essere “più performanti” (non certo a livello sessuale visto che la cocaina induce a impotenza quando la si utilizza); una sera, poco dopo che mi morì un carissimo parente andai a una festa in una casa di campagna e lì vidi un sacco di persone che vedevo al bar anche più che cinquantenni fare uso appunto di cocaina, ben dopo le undici di sera.
Che cosa era la “performance” che dovevano esibire? Cosa dovevano dimostrare? Perché hanno scialaquato i loro 50 euro per una sostanza a mio avviso inutile che serve per performare il nulla? Ma purtroppo ho visto di molto peggio. 
Bene, sempre con alcuni di questi soggetti, visto che sono piuttosto bravo a cucinare, abbiamo organizzato cene in case di campagna e lì ho visto cose molto peggio della cocaina, del sesso promiscuo e dello “studio 54 way of life”, se lei vedesse i film e videogiochi che vidi quella sera ne avrebbe orrore almeno quanto me, non c’era niente di esplicitamente pornografico (quindi ascrivibile a sessualità spinta), ma una rassegnazione totale e complice al male; li ho visti ridere sguaiatamente con un volgarissimo film mainstream (comic movie) del quale io non ho sopportato nemmeno un minuto in quanto privo di comicità, ma soltanto zeppo di gratuita sguaiatezza e volgarità verbale e visiva (in una scena c’è un tizio con i testicoli sotto al mento come se la testa fosse il suo pene); il videogioco invece consisteva nell’usare una specie di fionda per lanciarsi contro bersagli al solo scopo di procurarsi più dolore possibile (naturalmente virtuale, visto che lo spirito di autoconservazione non è ancora removibile dal nostro DNA). 
Detto così sembra il nulla, invece io reputo ancor più gravi dei comportamenti attivi quelli passivi, anche perché il coinvolgimento diventa coatto e non un atto di partecipazione, ne consegue che la giustificazione si può riassumere in “è solo un film”, o “è solo un videogioco”.
Innanzitutto come fanno persone di meno di quaranta anni a trovarsi a cena e dopo aver mangiato non avere niente di meglio che guardare film o videogiochi al videoproiettore? 
Io fortunatamente sono più vecchio di loro, ho 47 anni e ho visto il mondo prima dei videogiochi, prima dei cellulari e prima di internet e con i miei amici di prima facevamo chiacchiere sino al mattino quando ce ne era l’occasione! 
Non si riesce più a parlare con le “persone comuni” anche perché dalle descrizioni antropologiche che le ho fatto ho omesso uno dei fattori più destabilizzanti del genere umano; lo smartphone. 
Si perché mentre si mangiava alla cena sopra descritta c’era sempre qualcuno che voleva fare vedere un video, un messaggio, una foto, un digitalume da condividere con i commensali, con la realtà che ormai è sempre più aliena a chi anche partecipa a un evento.
Un decimo del tempo per mangiare, un quarto del tempo di gente che fa vedere la roba del telefonino e il resto a guardare film inutili e videogiochi peggio. 
Continuo:  avendo la fortuna di avere ancora vivi gli anziani genitori, vado spesso a fare spesa al supermercato e purtroppo anche lì il paesaggio è triste. Vedo persone comprare 13 euro di spesa e usare la carta di credito rallentando le code, vedo altri che usano lo smartphone mentre guardano la merce, magari per rispondere a un messaggio su facebook, mentre in sottofondo c’è la musica atroce di questi tempi ultimi, purtroppo la musica è uno specchio dei tempi e da ex musicista e compositore posso dire che nel campo musicale la fine dei tempi è arrivata da un pezzo. La musica di adesso è ripetitiva, rimane solo il ritmo e sotto c’è l’ossessività, la melodia è sparita, c’è solo il tormentone che deve rimanere nella testa dopo solo una volta che si è sentito.
Capisco che le varie narrazioni che le ho fatto possano sembrare sconnesse, invece hanno un comune denominatore, se si vive senza cercare di capire ciò che ci circonda non ci sono più concesse scelte e nemmeno opzioni ed è tutto comodissimo se si vive come la maggioranza delle persone, cioè con la passività che mai appartenne ad alcuna specie e che ora regna sovrana sul genere umano.
Ciò si esplicita ancor meglio con gli acquisti compulsivi compiuti quotidianamente su internet, nei quali la maggior parte degli acquirenti si sente furba perché risparmia, ignorando in modo complice che sta contribuendo a far chiudere negozi e botteghe nel proprio territorio e ingrassando oligarchie mercantili che stanno monopolizzando l’offerta di beni arrivando al loro obiettivo che è il “captive demand”, cioè la costrizione del cliente a pagare il prezzo richiesto per beni non necessariamente di prima necessità, ma dei quali la necessità è un fattore indotto di priorità coatta.
Prima degli smartphones un telefono cellulare costava al massimo 150 euro, poi all’improvviso è arrivato a 700 euro l’IPHONE, “stay hungry, stay foolish“, quante volte si è sentita questa odiosa citazione? Ora per fortuna, o grazie a Dio, quello schifo di Steve Jobs è morto e spero l’inferno ne faccia supplizi quotidiani, ma ci rendiamo conto di quanto ha rovinato il mondo questo schifoso personaggio “visionario”?
Probabilmente l’Anticristo è morto (solo fisicamente)  a 56 anni, ma ha già fatto tutto quello che voleva e ha capito che la vendetta è un piatto che va consumato freddo, sta solo aspettando l’inverno per gustarselo ghiacciato e anche se è quasi estate nel momento in cui scrivo, l’inverno è comunque nel calendario e lui può aspettare.
Colgo l’occasione per salutarla e sappia che faccio tesoro di ogni articolo che lei scrive.

Con immensa stima
Paolo Lugli

Silenzio tra le generazioni. L’autismo ipermoderno.

di Roberto Pecchioli
Quando i sociologi si uniscono agli statistici scoprono l’acqua calda , o il filo per tagliare il burro. L’ultima rivelazione di questi esploratori del labirinto della nostra società è che le varie generazioni non parlano tra loro, e specialmente i giovani, che nell’istogramma statistico sono quelli tra i 18 ed i 36 anni, non comunicano con le generazioni più anziane.  Nessuna novità, nessuna sorpresa. Giriamo intorno all’argomento dagli anni 60, ed un regista italiano celebre al suo tempo, Michelangelo Antonioni fece dell’incomunicabilità il tema principale delle sue opere.
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Questa è la modernità, ragazzi. La generazione del 68 rovesciò il tavolo, ma a suo modo comunicò, contestando i genitori, l’autorità, le convenzioni, il mondo borghese. Dopo le convulsioni degli anni Settanta, che furono una modalità estrema di relazione, improntata sullo schema amico- nemico e sull’uso della violenza e della prevaricazione, il potere di sempre ha ripreso il controllo della situazione. Il nuovo capitalismo antiborghese ha assorbito facilmente le pulsioni giovanili degli anni precedenti, orientandole al consumo, al piacere immediato , alla rivendicazione di sempre nuovi “diritti”.
L’unica “narrazione” ancora ammessa, per usare il lessico di Jean François Lyotard, inventore del postmoderno, è stata una forma volgarizzata della psicoanalisi, centrata sulla morte del padre ed il principio di piacere, adatta a trascinare  le generazioni in un limbo senza leggi morali, chiusi nel soggettivismo, dipendenti del feticismo delle merci e di un individualismo egoista ed egotista. Da quasi cinquant’anni è vietato vietare, da altrettanti si decostruisce, si demitizza, si deride ogni principio veritativo, si recidono legami e radici. Il nostro tempo è quello della morte del padre, quindi della legge, della trasmissione. Perché dovremmo parlarci ? L’ipermodernità è formata da neo plebi istruite ed ignoranti dell’essenziale, desideranti, rivolte al consumo di tutto: esperienze, merci, corpi.
I giovani descritti dalla statistica sociologica sono la prima generazione dei figli del post Sessantotto e dei grandi sconvolgimenti sociali, familiari, antropologici degli anni successivi.  I loro padri hanno ucciso i nonni, nessuno stupore che i figli li ignorino. E’ il solito discorso: chi taglia il legame con il “prima”, inevitabilmente, nega la possibilità del “dopo”. C’è solo un “durante “, un presente continuato e faticoso, un quadro puntinista senza l’arte di Georges Seurat nella “Domenica pomeriggio all’isola della Grande Jatte”.  il capolavoro del “pointillisme” , peraltro, già rivela una certa indifferenza reciproca, la separatezza di singoli o piccoli gruppi che comunicano solo al proprio interno, o che, tutt’al più, si offrono allo sguardo altrui esclusivamente attraverso la moda o l’atteggiamento , oggi diremmo l’immagine.
La psicoanalisi freudiana, filosofia di serie C, ha inventato il complesso di Edipo , i suoi epigoni hanno preteso non di superare la contrapposizione con il padre, ma di abbatterne definitivamente , insieme con  l’autorità anche la figura. E’ del 1972 l’ “Anti Edipo” di Deleuze e Guattari, che accusa Freud di conservatorismo, ed invita ad andare fino in fondo, troncare ogni legame con il passato ed i padri. E’ andata così, con la complicità interessata di quel liberismo nuovo che ha compreso il vantaggio immenso di lavorare su generazioni plastiche, sradicate, possedute dalla “furia del dileguare”, cioè di liberarsi di ogni retaggio, idea ricevuta, tradizione, che Hegel, già all’inizio del XIX secolo, aveva individuato come fondamento della modernità nascente.
In più, c’è la tecnologia, che ha stravolto modi di vivere, di lavorare, di pensare la presenza nel mondo di intere masse umane. Lo verifica chiunque lavori da decenni ed abbia a che fare con giovani colleghi. L’esperienza non ha più l’importanza che ha sempre avuto, trasmettere conoscenze, segreti professionali, diventa sovente vano per l’evidente inutilità  di saperi tramontati, inservibili, e non si ha più l’autorevolezza per dirigere od organizzare, e, peggio ancora, non si sa né si vuole essere esempio. In famiglia non è diverso.  Le famiglie sono sempre più spesso divise , ed allora vincono i sensi di colpa e le soluzioni più comode. I padri si trasformano in bancomat, nessuno è in grado di pronunciare quei no, che, unici, educano alla vita. Le madri tengono botta un po’ di più: l’istinto profondo del prendersi cura non ha ancora travolto il desiderio di realizzazione o di autonomia assoluta che femminismo, modernità e tempi hanno ispirato alla stragrande maggioranza delle donne.
Del resto, l’ultimo mezzo secolo è quello dell’uccisione del padre, non della madre, e della svalutazione , se non della ridicolizzazione del maschile.  Nei mestieri, serve meno forza fisica, nelle famiglie è vietato vietare, insegnare, punire o semplicemente negare. Le biotecnologie stanno rendendo superflua persino la prestazione sessuale dalla quale scaturisce la paternità: bastano provette, siringhe ed una mesta polluzione masturbatoria in ambiente asettico. Come può essere preso sul serio un padre simile ? E perché discutere con lui, chiedere, interloquire, obbedire, dal momento che , screditato il legame di sangue e il fatto stesso di generare, la sua unica funzione nel mondo è stata quella di mettere a disposizione il seme?
Troppi adulti, peraltro, troppi padri, accettano di buon grado la retrocessione: nessuna responsabilità, nessun problema quotidiano, giacché educare, insegnare, semplicemente  parlare con i più giovani è impegnativo, richiede costanza, empatia, sconfitte, capacità di fornire risposte, mettersi in gioco. Qualcuno forse pensa, mi avete ridotto così, adesso tenetemi come sono.
Eppure, se è falso il complesso di Edipo, e folle l’anti Edipo estremo dell’anarchismo libertario, vero e presente è Telemaco. Il figlio di Ulisse non conosce il padre, partito quando lui era un infante, ne ha sentito parlare, conosce la sua gloria , sa della forza e della legge che aveva saputo porre. Vede i Proci, i giovani pretendenti al trono spadroneggiare in casa sua, insidiare la madre Penelope, cospirare contro la sua stessa vita. Va in cerca del padre, non lo trova, ma infine si ricongiunge con lui , nel riconoscimento reciproco tra le lacrime , e lo affianca nel ristabilimento della Legge. Nel libro XVI dell’Odissea, Telemaco afferma: “Se gli uomini potessero scegliere ogni cosa da soli, per prima cosa vorrei il ritorno del padre.”
Trattando con molti giovani, si avverte nei migliori tra loro questa mancanza, una nostalgia del padre e, in qualche misura della Legge. I più, purtroppo, non hanno il complesso di Telemaco, ma quello di Narciso, e la loro vita è scandita dalle mode, dall’apparire nei social network, dall’attesa delle varie vacanze e dagli sballi del fine settimana, dal riflesso della propria immagine, il triste amore di se stessi.
Costoro non hanno alcun interesse al dialogo tra generazioni, tutt’ al più sono interessati alla competizione più frivola o spregevole con i coetanei. Sazi da morire, non sanno affrontare difficoltà e fatiche, smarriti, soli. Ma tutto parte dallo stesso problema: l’omicidio premeditato dei padri – in minor misura della madri- trasformato in suicidio assistito da parte degli interessati, e dalla chiusura autistica che ne è derivata.
Il mio, di padre, era un semplice tipografo e, come Socrate, sapeva di non sapere: però dava l’esempio. I principi di fondo della vita, l’amore per la famiglia, il rispetto degli altri, l’apertura alla trascendenza, l’accettazione serena della fatica ed anche della sconfitta, la capacità di fare rinunce, le praticava senza paroloni od atteggiamenti didattici. Oggi, nessuno ci parla di sacrificio, di fedeltà a qualcuno o qualcosa, di accogliere un destino.

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