ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 22 luglio 2016

“Fa tutto da solo”

                     UN PAPA UMANO, TROPPO UMANO…

         

           Rio de Janeiro, GMG 2013, visita in ospedale, abbraccio con un ragazzo



Mutuato, anzi, trasferito da Nietzsche, il titolo del nostro servizio con cui ci apprestiamo a riportare l’ultimo ritratto di Papa Bergoglio pennellato dalla prosa di Alicia Barrios, «giornalista argentina molto vicina a Papa Francesco da oltre 20 anni, autrice del libro “Mi amigo padre Jorge”, singolare racconto che narra un’amicizia profonda, sincera e che svela, ancora una volta, la solida umanità dell’uomo e del sacerdote che ormai da più di tre anni svolge il ministero di vescovo di Roma» (Il Secolo d’Italia, 17 luglio 2016 – h. 17,28).

Umano, troppo umano, certamente, perché, dalla ricognizione che la redazione del quotidiano ha svolto sul ricalco di un’intervista concessa dalla giornalista argentina al foglio spagnolo La Razon, ne vien fuori la fisionomia di una persona che declina la propria identità poggiando più sull’apparenza del gesto comune che sull’essenza di sé e dell’azione elevata.
Ma già sarebbe anche concesso e permesso che, una tantum, l’apparenza fosse la categorìa entro la quale descrivere una personalità dal momento che l’uomo vive anche di un’esteriorità che nasconde, lasciandola filtrare da segni e segnali, una sfera intima di valori, sennonché, nel caso di specie, la categorìa di che si sostanzia la figura del descritto, Papa Bergoglio, è quella della banalità della cui elevazione a stile di vita non tanto è responsabile la giornalista, convinta di aver effettuato un alto e pedagogico servizio, quanto il “Vescovo di Roma” che non si risparmia nel descriversi quale comune uomo della strada che, in quanto tale, si distingue, appunto, per l’aspetto sciatto, banale, quotidiano e alla mano.

Qualcuno ci obietterà che non il Pontefice ma la giornalista o, in questo caso, la redazione del quotidiano sono gli autori di un servizio adulatorio, banale e, forse, anche gonfiato. E noi rispondiamo che Papa Bergoglio si è reso, e si rende, interprete di interventi calcolati ed estemporanei per cui ci sembra difficile, dato il suo stile ormai più che noto, che gli autori di cui sopra si sìano inventati amenità e sciocchezze.
L’albero si riconosce dal frutto, e tali frutti sono così abbondanti che non sospettiamo neanche per un nanosecondo sulla disonestà della giornalista.

Non staremo qui ad elencare le circostanze in cui OMISSIS – giusta dizione ex Alessandro Gnocchi – ha dato di sé, della propria cultura, della propria spiritualità e della propria funzione di Vicario di Cristo, definizioni che gli attestano il possesso di valori vacui, principiando da quel “buona sera” – 13 marzo 2013 - spregevole insulto indirizzato alla universalità cattolica e proferito dalla loggia della santa basilica petrina, fresco di elezione papale, e via via continuando sino alla confessione, ad captandam benevolentiam, di aver fumato, in gioventù, qualche spinello. E se talora prova ad entrare nell’arengo della dottrina, si produce in ermeneutiche e chiose di marca ereticale e gnostica.

Il lettore ci perdoni se non diamo di queste ultime un robusto catalogo indicando soltanto alcuni esempî: l’intervista concessa al papa laico, Eugenio Scalfari – 11 settembre 2013 – in cui nega l’esistenza di un “Dio cattolico”, definisce la coscienza individuale come unico foro di giudizio con tanti saluti al Decalogo divino, considera l’evangelizzazione “una sciocchezza”. E così, di “ponte in ponte altro parlando” (Inf. XXI, 1): la recente pastorale sul sacramento della Penitenza (12 gennaio 2016) con cui ammonisce ed  esorta il confessore a non indagare troppo sul numero dei peccati e a considerare l’eventuale resistenza del soggetto ad esporre il peccato come implicito atto di pentimento, alla faccia dell’obbligo di confessarlo, sufficiente essendo l’essersi presentato; l’ultima, subdola, sovversiva esortazioneAmoris laetitia con cui, pur non abolendo il divieto canonico, fa capire, e molto chiaramente, che è sufficiente che il divorziato risposato sia convinto, in piena e limpida coscienza – ecco che torna quella descritta a Scalfari! - di poter accedere al sacramento dell’Eucaristìa.
Questo sito ha, nel proprio archivio, numerosi articoli, nostri e di altri più validi autori, che espongono ed analizzano i pronunciamenti “bergogliani” e la deriva ereticale verso cui è trasportata la comunità cattolica.

Nel pezzo, che il quotidiano Il Secolo d’Italia ci sottopone a lettura, campeggia il titolo che dice: «Papa Francesco raccontato in un libro: “si fa la barba cantando il tango” (sic). Beh, questa, proprio, ci mancava. Né più né meno di un qualsiasi impiegato che, svegliatosi di buon mattino, si rade cantando qualche motivetto giusto per rendere l’operazione della rasatura allegra e beneaugurante. D’altra parte c’è chi, davanti allo specchio, canticchia arie liriche, chi zufola romanze, chi fischietta arie jazz, chi mugola un che di indistinto ed estemporaneo impromptu, insomma una scenografìa umana di quotidiana attualità, un’umanità laica che principia il nuovo giorno celebrando il rito tonsorio “animato” da musiche d’accompagnamento.
 
Poiché Papa Bergoglio ama definirsi “uno della porta accanto”, “uno dei tanti” un quidam inter multos a cui è bello dare del tu (cfr.: 28 agosto 2013 – telefonata allo studente padovano Stefano Cabizza), non poteva non annoverarsi, così ci dice la cronaca, tra le persone che si radono da sé e, cosa straordinaria, canticchiando durante il passaggio del rasoio uni-bi-trilama. Ma ciò che vale pregio alla notizia è quel cantare il tango. “Gli piace molto. Mentre si fa la barba ascolta musica e canta il tango. Ada Falcon è la sua cantante preferita (la chiamavano l’imperatrice del tango e morì a 97 anni, ndr)”.
 
Ora è pur vero che non esiste documento ufficiale con cui il Magistero della Chiesa condanni il ballo argentino che lo stesso san Pio X trovò non eccessivamente indecoroso preferendogli, tuttavìa, la furlana, ma è pur egualmente vero che l’episcopato francese vi scorse movenze e movimenti di particolare allusione sessuale che, a dirla tutta, sono più che allusioni per cui, permetteteci l’osservazione, non pare espressione confacente a una persona consacrata che è, per di più, Papa, specialmente se lo si immagini accompagnare il canto con passi e ancheggiamenti.
I ruoli sociali hanno il proprio codice di comportamento, di giustificazione e di responsabilità per cui ciò che è permesso a un individuo X non sempre è lecito a uno Y, l’errore di grammatica o di sintassi lecito essendo ad un analfabeta o a un acerbo studente, non lo si perdona a un docente o a un letterato. Così, se nelle balere o nelle sale dei “Centri anziani” il tango divampa tra l’ingenuo passetto dilettantesco e l’astuto tentativo di “aggancio” con quello scivolare del ballerino sul corpo della donna, non possiamo pensare a un Papa che, pur nella riservatezza – ora violata – canti un tango e s’accompagni mimando flessuose movenze che, per la funzione di cui è investito, non gli sono, lo ripetiamo, consone e permesse.
 
Questo, secondo noi, ma non secondo lui se è vero che nel 2008, arcivescovo di Buenos Aires, celebrò – si fa per dire – una Messa al ritmo tanguero con una replica in veste di Pontefice, il 21 aprile 2013, a Roma, in Piazza del Popolo. Dal che viene spontaneo il ricordo di quello squallido concerto rochettaro, tenuto a Bologna, il 27 settembre 1997, in occasione del Congresso Eucaristico regnante Giovanni Paolo II, durante il quale si esibirono i Morandi, Dalla, Celentano – tutti alfieri del puro cattolicesimo, figuriamoci! - per concludere con lo gnostico Bob Dylan definito, dal defunto cardinale Ersilio Tonini, “un profeta che interpreta la realtà” con buona pace di Isaia, Geremia, Ezechiele e di san Tommaso d’Aquino. Al cardinal Tonini fu sufficiente la chitarra di un canterino per scoprire la realtà del mondo.
 
Ma torniamo al nostro tema, leggendo il seguito del servizio reso dal quotidiano Il Secolo d’Italia.
Padre Jorge – ha ricordato la Barrios – parla con il linguaggio dell’uomo della strada, della gente comune”. Niente di più vero, visti gli esiti di questo triennio di pontificato, il cui magistero incentrato sul mantra della risposta alle “sfide” del mondo - con la vittoria di questo - ha determinato il ribaltamento della Chiesa da realtà trascendente e divina in società umana orizzontale, e si sa, sul piano orizzontale tutte le cose vengono ridotte a dimensione piatta e piana sicché non desta meraviglia se, in Piazza San Pietro, 14 febbraio 2014, il Papa si fa così comune tra i comuni tanto da travestirsi da pagliaccio per somma goduria di prelati, funzionarî, fotografi e fidanzati e Internet.
E ci riesce tanto bene ad essere comune, sicuro che questa sia la strada per convertire il mondo, che ha addirittura reso ancor più comune lo stesso Gesù Cristo - Seconda Persona della Trinità, Figlio di Dio, Fondatore e Capo della Chiesa, Giudice ultimo nel giudizio finale – tanto da averlo ridotto come un bischero vanerello che fa il ganascino davanti alle prostitute. Ricordate, infatti, cari lettori, che nel suo intervento al Convegno della Diocesi di Roma, 16 giugno 2016, producendosi in un commento sopra l’episodio dell’adultera (Gv. 8, 1/11), ebbe a dire che Gesù “non era un tipo pulito”, che “ha mancato di morale” e che con la donna aveva fatto “un po’ lo scemo”, blasfeme espressioni di cui i presenti risero beotamente e che l’ex megafono della Sala Stampa Vaticana, padre Federico Lombardi, tentò di sbianchettare portando a scusante del “vescovo di Roma” la sua non perfetta padronanza della lingua italiana, e sostituendo “scemo” con “finto tonto”. Una pezza peggiore del buco.
  
Sotto l’aspetto teologico-dogmatico-morale, che è quello che conta, il suo parlar comune ha portato a:
- equiparare, connotandola della vocazione alla violenza, la missione della Chiesa evangelizzatrice di popoli (Mc. 16, 15/16) nello spirito di mitezza e prudenza (Mt. 10, 6), all’idea di conquista insita ed inerente nell’anima dell’Islam (O. R. 17/5/2016);
- descrivere la Vergine Maria come una madre che, di soppiatto, quando San Pietro dorme, fa entrare in Paradiso anche i peccatori i quali, pur destinati all’inferno, rimangono sempre “piezze ‘e core”;
- depotenziare, fino all’annullamento, il senso di colpa e del peccato sommergendo qualsiasi obiezione in merito con la prospettiva di una misericordia divina a prezzo di saldi;
- riconoscere ufficialmente il luteranesimo quale parallela via alla salvezza, riconoscimento che il Papa conferirà il prossimo 31 ottobre quando, a Lund (Svezia), incontrerà i capi della Federazione Luterana Mondiale per “commemorare” – avete letto bene: commemorare! -  i 500 anni della “Riforma” del monaco apostata, eretico, assassino e suicida, atto con cui questa malata, bacata e alienata Gerarchìa, si dichiarerà contenta d’essere posta sul banco degli accusati da chi, al contrario, si porta la colpa grave d’aver scisso la tunica inconsutile della Chiesa di Cristo (Vatican Insider, 01 gennaio 2016 – Avvenire, 25 gennaio 2016).
 
E sono, queste, alcune indegne operazioni, tra le moltissime, di che si gloria questo pontificato che, sia detto pro veritate, è la parte conclusiva di una precedente gestione preparatoria nata all’ombra del CV II e via via sviluppatasi in senso modernista durante i pontificati conciliari a principiare dall’udienza concessa da G. XXIII, il 7 marzo 1963, al genero di N. Krusciov, il comunista A. Adjubei, per finire con la visita del già B. XVI cardinal Ratzinger al tempio luterano di Roma il 14 marzo 2010.
La teologìa “umana”, troppo umana, fondata da Paolo VI - Discorso all’ONU, 5 ottobre 1965 – è diventata comune sentire al punto che anche gli aspetti più effimeri della vita diventano, per il fatto di essere “umani”, portatori di valori ammirevoli talché il profano diventa sacro e viceversa. Illuminante il seguente esempio che - il lettore ci perdoni per il riferimento personale che “di necessità qui si registra” (Purg. XXX, 63) - ci vede protagonisti in una contesa col direttore di Avvenire, Marco Tarquinio.
In breve: appare, sulla rubrica “Lettere al Direttore”, lo scritto di tal padre giuseppino Sergio Cerracchio che, sparse calde lagrime sulla deriva della sua squadra calcistica, il Napoli, si scioglie in lamentevol pianto sul suo destino di tifoso, tradito nella “fede” sportiva partenopea e, perciò, deciso a non riconoscersi più in detta “fede” (!). Noi sentimmo di segnalare, al direttore Tarquinio, la nostra riprovazione per simile bischera uscita che non si addice ad una persona consacrata che, quanto a fede, non dovrebbe attribuire siffatta virtù a cose effimere ma avrebbe di che dolersi proprio per la perdita di quella vera e per lo stato desolante in cui versa la cattolicità, consigliandolo a destinare lo spazio della sua rubrica ad interventi più consentanei alla natura del giornale ignorando, pertanto, quelli di forma e sostanza bischeri e diseducativi.
Insomma, ci parve di far capire al Direttore che la persona consacrata a Dio dovrebbe aspirare alle “cose di lassù” (Col. 3, 2) e alla casa del Signore, siccome afferma il Salmo “Lo zelo della tua casa mi divora” (118, 139), piuttosto che sbracarsi e lasciarsi divorare in geremìadi sullo stato declinante di una squadra.
E quanto, oggi, lontana appare nel clero, e negli Ordini di vita consacrata, l’aspirazione agostiniana del “Domine, da mihi animas cetera tolle”! Per il padre giuseppino la “salus animarum suprema lex” andrebbe declinata in “salus Neapolis pedatoriae suprema lex”, cioè su tutto la “fede” calcistica.
La risposta del Direttore, apparsa sul quotidiano in data 14 luglio 2016, è l’esempio smaccato di come e quanto l’anelito a sentirsi ed essere “comune” sia diventato cultura primaria e consolidata. Ne riportiamo l’intero e breve testo:
«Dio ci guardi dal ridurci a uomini e a donne “a una dimensione”, gentile professore L. P. Dio ce ne guardi, davvero. Tutti. Credenti e non credenti, laici e consacrati. Perché in ogni attività e relazione umana c’è un po’ del senso del nostro stare al mondo e, da cristiani, del nostro camminare sulla strada aperta da Gesù. “Homo sum; humani nihil a me alienum puto”, (sono uomo e nulla di ciò che è umano lo considero da me estraneo). Non è vangelo, è un verso di Terenzio. Saggezza umana che anche un Papa grande e santo come Paolo VI fece propria. Nella mia contraddittoria piccolezza, non capisco lei e sto con lui».
Replicammo a lui obiettando l’irriverenza di considerare la spiritualità come “una dimensione” che dequalifica e appiattisce la persona e constatando, poi, come la saggezza di Terenzio –  tra l’altro la citazione prevede la successione “nihil humani” - addomesticata allo scopo della riposta, rappresentasse, oggi, per la Gerarchìa e per il clero postconciliare, proprio il segnavia del nuovo corso sacerdotale promosso da Paolo VI: prima la fede nelle cose umane - il calcio, per esempio -  e poi, se c’è tempo, in Cristo.

Chiudiamo la parentesi personale e torniamo al fatto.

Il soffietto finale della giornalista ci dice che «Papa Francesco non ha il telefonino. Usa solo il fisso e “fa tutto da solo”».
Beh, se le cronache dell’Osservatore Romano e dell’Avvenire non mentono, Papa Bergoglio potrebbe, sia concesso, non possedere un cellulare, ma sappiamo che maneggia assai bene la tecnologìa informatica tanto che, al 19 marzo 2016, gli sono stati accreditati 26 milioni di “followers” sul twitter @Pontifex_it, entrando anche in Instagram con il suo profilo@Franciscus. Dicono che sappia egregiamente districarsi, da solo, nel labirinto della tecnologìa massmediatica con computer, tablet, ipad, sicché ci dite a che gli serve un semplice cellulare?

Osservazione ultima: vorremmo ricordare alla giornalista Barrios che il Papa è, o dovrebbe essere, Vicario di Cristo e Sommo Pastore del Suo gregge in terra. Ora, la dignità di Vicario e quella di Pastore dovrebbero suggerire e stimolare atteggiamenti di sacra reverenza e non sensi di amicizia tipo pacca sulle spalle. Ma, diciamo la verità: non è stato Papa Bergoglio ad aver confessato alla giornalista messicana Valentina Alazraki (Avvenire, 17 marzo 2015) il suo recondito desiderio di poter, almeno una volta, uscire incognito dal Vaticano per ritrovarsi a mangiare tranquillamente una pizza con gli amici (e, approfittando dell’occasione, ballare un tango)?

No! Il Papa non è un uomo comune

di L. P.

2 commenti:

  1. Toglieteli tutto...anche il microfono a Santa Marta...Lui si che dovrebbe conservare un periodo congruo di silenzio ...scandalo per i cattolici ...altro che uno di mia conoscenza....ma il il Signore esaudisce la nostra preghiera e presto ci soccorrerà!amen!Sia Lodato Gesù cristo!

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  2. La grande amicona da oltre 20 anni di Bergoglio, Alicia, è per ciò stesso una vera miniera di informazioni sul papa-uomo-comune-che-piu'-comune-non-si-puo'.

    E pazienza se ad andarci di mezzo è quello che dovrebbe essere il suo specifico, il ruolo di vicario di Cristo in terra.

    Della poco opportuna (diciamo così) e sbandierata passione di Bergoglio per il tango già si sapeva.

    Ora salta fuori un'altra piccola notiziola, il suo aver fumato 'qualche spinello' in 'gioventù'.

    A quando la news del papa che dice parolacce o si mette le dita nel naso?

    Non è il caso di fare gli schizzinosi, un papa che aspira a dipingersi come il 'vero uomo comune' non si deve risparmiare.

    Se poi è anche di tendenze politicamente sinistre, per cui anche il privato è pubblico, attendiamoci pure nuove rivelazioni da fenomeno.

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