ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 9 agosto 2016

La democrazia e la libertà hanno pur un prezzo!

9 agosto, Nagasaki. Il diavolo arriva alle ore 11.02

.
z.ngskErano le ore 11.02 a Nagasaki. Il 9 agosto 1945, alle ore 11.02, a Nagasaki arrivò l’orrore, scese il demonio a replicare la devastazione già con successo collaudata tre giorni prima su Hiroshima.
il Giappone, ormai annientato, tenuto in piedi solo da uno smisurato orgoglio nazionale, conobbe così per la seconda volta l’apocalisse atomica. 60.000 morti al momento dell’esplosione, e poi altre migliaia e migliaia che persero la vita per le ferite riportate e, anche dopo anni, per gli effetti delle radiazioni nucleari. Migliaia le donne incinte che persero il figlio o che partorirono bimbi con mostruose deformità, causate dai danni che le radiazioni avevano causato sul corredo cromosomico dei feti.
“Fat Man”. Questo era il nome che gli spensierati ragazzoni americani, i cow boy esportatori di democrazia, avevano dato all’ordigno sganciato su Nagasaki. Altrettanto goliardico era il nome dato alla pasticca di democrazia sganciata tre giorni prima su Hiroshima: “Little Boy”.
Fat Man era una bomba più potente di Little Boy, ma causò meno vittime, perché la conformazione del terreno di Nagasaki limitò i danni conseguenti all’onda d’urto e alle spaventose temperature che, dal nucleo dell’esplosione, si propagano per un diametro di chilometri.

Hiroshima è rimasto il simbolo della follia nucleare, perché ebbe il non invidiabile privilegio di essere la prima città devastata da un ordigno atomico. Ricordiamo quindi anche i morti di Nagasaki, ricordiamo cosa mosse le criminali decisioni di Truman e del suo entourage, e capiremo meglio anche lo schifo in cui viviamo oggi.
La risibile giustificazione per cui con le bombe atomiche si sarebbero evitate innumerevoli altre vittime è un misto di ipocrisia e di cinismo. Il Giappone era stremato, uno sbarco alleato non era affatto necessario per piegare definitivamente la resistenza dell’Impero del Sol Levante. Poche settimane di blocco navale avrebbero risolto definitivamente la faccenda.
z.trumanMa il signor Harry S. Truman, 33° presidente USA, doveva mostrare al mondo chi era il più potente. Doveva dimostrarlo anche al suo collega (collega in tutti i sensi) Stalin, grande carogna come Truman, ma concorrente nella supremazia sul mondo. Il signor Truman aveva importanti problemi da affrontare, ben più grossi della miserabile vita di qualche decina di migliaia di abitanti di una città che non aveva impianti militari, il cui bombardamento non era giustificabile, dal punto di vista militare, in alcun modo.
Cosa sono un po’ di vite umane, qualche migliaio, qualche centinaio di migliaia, qualche milione, in confronto al bene incommensurabile costituito dal dono della democrazia dei cow boy, del “modello di vita” americano?
Gli Alleati del resto avevano già dimostrato che erano così ansiosi di liberare il mondo e di esportare la democrazia, da non guardare in faccia a nessuno. E tutti dovevano essere contenti. “Resistete, diceva a Radio Londra il colonnello Stevens, resistete, stiamo venendo a liberarvi”.
L’Europa aveva già conosciuto la gioia della liberazione e tutti erano contenti. Certo, non potevano dire quanto erano contenti quelli che erano morti. I mai completamente censiti morti ammazzati sotto il criminale bombardamento di Dresda (valutati da 120.000 a 200.000), i morti ammazzati sotto i furiosi bombardamenti terroristici su una Germania ormai a terra, o sotto i furiosi bombardamenti terroristici sull’Italia, in particolare sul triangolo Milano-Torino-Genova, proseguiti anche dopo la firma dell’armistizio di Cassibile. Non potevano esternare la loro gioia nemmeno i soldati italiani, freddamente fucilati dopo essersi arresi nei giorni del radioso sbarco alleato in Sicilia. Non potevano dire nulla nemmeno gli innumerevoli morti della battaglia di Montecassino. Forse avrebbero detto volentieri qualcosa gli innumerevoli stuprati dalle selvagge truppe marocchine che, al seguito delle armate liberatrici, usavano violentare le popolazioni nemiche, senza far troppe distinzione tra donne, uomini, vecchi, bambini. Ma chi stava ad ascoltare quei quattro rompiscatole, mentre c’era da festeggiare la ritrovata libertà Made in USA?
Era ora di fare contenti anche i giapponesi. Stars and Stripes forever, anche dal cielo. Precisamente da metri 550, la quota a cui esplose la bomba “Fat Man”, riducendo Nagasaki a un cimitero in cui c’erano pochi morti da seppellire, visto che la gran parte erano andati letteralmente in fumo, annientati dalla spaventosa potenza generata dalla pazzia criminale costruita nei laboratori di Alamogordo, nel Nuovo Messico.
z.fatmanApocalisse a prezzi contenuti. Mentre per la macelleria di Dresda, che vide in fraterna collaborazione aviazione inglese e americana, furono necessari centinaia di aerei da bombardamento e di caccia, per annientare Hiroshima e Nagasaki furono sufficienti due B29, le “superfortezze volanti”. Un voletto, una leva tirata, e, oplà, anche il Giappone era liberato. Costi limitati, rischio zero per gli attaccanti. Cosa si può volere di più?
9 agosto 1945, settantuno anni fa. Annientato anche il Giappone, il mondo poteva finalmente festeggiare la fine della seconda guerra mondiale. E quella parte di mondo che non finì sotto il tallone sovietico, poté ubriacarsi di Coca Cola, prostituirsi per un pacchetto di Camel o per una tavoletta di cioccolata, leccare gli stivali a quei liberatori che avevano devastato le città, colpendo donne, vecchi, bambini. Era finalmente arrivata la libertà.
Poi ci fu l’indegna farsa di Norimberga. Certo, i gerarchi nazisti mandati al patibolo valevano sì e no la corda con cui vennero impiccati, meritarono ampiamente le condanne a morte. Ma le sedie degli imputati avevano dei vuoti, perché alcuni dei criminali, per quei curiosi disguidi che capitano nella storia umana, erano seduti invece al banco degli accusatori. E tra gli imputati, senza dubbio l’assente più illustre era il sig. Harry S. Truman, l’uomo che senza alcun scrupolo fece entrare il mondo nel terrore atomico, usando come cavie, in bombardamenti assolutamente ingiustificabili sotto il profilo militare, i cittadini giapponesi.
Ricordando Nagasaki, non stupiamoci quindi più di tanto delle onde di liquame che ci arrivano dal “sogno americano”. Una nazione nata sullo sterminio sistematico dei pellirossa (da 10 a 12 milioni di nativi americani morti ammazzati) non è mai indietreggiata davanti a nulla, ha sempre portato avanti la malattia su cui è nata. E ora è al suo esito. “La tutela dei nostri concittadini gay è una priorità di questa amministrazione”, squittì lo sciagurato che è tuttora alla Casa Bianca. Sono, siamo, alla frutta.
Su Curzio Malaparte si potranno fare mille critiche, ma nessuno può negare la sua intelligenza. La sua famosa frase “La guerra l’hanno vinta i pederasti” dimostra che gli uomini intelligenti vedono comunque più lontano degli altri.
.
Piccola appendice
Il cammino della democrazia non può conoscere soste, e quindi gli Stati Uniti, gioiosamente stupiti dai brillanti risultati ottenuti con le bombe atomiche sul Giappone, proseguirono gli studi, sviluppando un ordigno di potenza ancora più spaventosa: la bomba all’idrogeno.
La superbomba fu sperimentata il 1° marzo 1954. Su una piattaforma posta a nord-ovest dell’Atollo di Bikini, nell’Oceano Pacifico, viene fatto detonare l’ordigno più potente mai costruito dall’uomo. La potenza sviluppata coglie di sorpresa gli stessi responsabili dell’esperimento (non pochi dei quali resteranno contaminati dalle radiazioni). Una gigantesca nube radioattiva viene spinta dal vento verso l’atollo di Rongelap, 125 miglia a est di Bikini. In poche ore gli abitanti dell’atollo iniziano ad accusare nausea, vomito, diarrea, perdita dei capelli. La pelle si annerisce, i capelli cadono a ciocche. La stessa sorte toccherà ai marinai del peschereccio giapponese Lucky Dragon, che incrociava a circa 85 miglia a ovest del punto dell’esplosione. Di lì a poco i più gravi tra i contaminati moriranno. Gli altri avranno la stessa sorte, dopo mesi o, i più resistenti, dopo anni.
L’esercito americano fornì spiegazioni vaghe sull’accaduto. I soccorsi all’atollo di Rongelap arrivarono solo due giorni dopo la contaminazione.
Il giorno prima dell’esplosione i servizi meteorologici avevano avvertito che il cambio di direzione dei venti poteva mettere a rischio di contaminazione le zone abitate più vicine, ovvero l’atollo di Rongelap. Niente da fare. La data programmata andava rispettata, anche perché c’era il rischio che i sovietici, che a loro volta avevano proseguito gli studi sulla superbomba, facessero per primi la dimostrazione di forza, che non poteva che essere a stelle e strisce.
Che diamine, la democrazia e la libertà hanno pur un prezzo!

Redazione

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.