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di Marco Bongi
Come abbiamo sempre fatto, pubblichiamo volentieri questo articolo dell’amico Marco Bongi, e come abbiamo ritenuto di fare a volte, lo facciamo seguire da una nota, non solo per onestà, ma per fornire ai lettori un’informazione più completa. Le parti che riguardano personalmente Alessandro Gnocchi le lasciamo all’apprezzamento e al giudizio pratico dell’interessato, anche perché non è nostro costume prendere partito per qualcuno e tanto meno per Gnocchi che, se c’è da controbattere e da puntualizzare, sa farlo benissimo da solo. Consideriamo solo che l’amico Marco Bongi è un fedele notoriamente ligio alle decisioni e alle direttive che arrivano dai vertici della Fraternità, e questo a suo buon diritto e in forza delle sue note buona fede e onestà. Tuttavia, proprio per questo, il suo intervento non può non essere considerato come il secondo intervento “della Fraternità”, dopo quello di Don Angelo Citati, entrambi volti a contrastare le affermazioni fatte da Gnocchi a proposito del tanto discusso riconoscimento canonico della Fraternità da parte di Roma. Ovviamente, viene spontaneo chiedersi come mai la Fraternità ci tiene tanto a sconfessare Gnocchi su questo spinoso argomento, e la risposta è presto data: all’interno della Fraternità esiste un’alta percentuale di suoi componenti, i sacerdoti, e di suoi sostenitori, i laici, che non sono d’accordo sull’accettazione del detto riconoscimento, peraltro “unilaterale”, come pare che sarebbe. E questa alta percentuale, che oscilla a seconda dei paesi, pare che si muova intorno ad oltre il 50%; cosa che non può non preoccupare i vertici della Fraternità, tanto da indurli a fare il possibile perché non si alimenti ulteriormente il numero degli scontenti a causa dell’intervento di persone che in qualche modo possono incidere sulla definizione del loro giudizio. Rinviamo quindi alla nota che facciamo seguire alla replica dell’amico Marco Bongi. |
Replica a Gnocchi(28 gennaio 2017)
sono letteralmente allibito dal tono irato, sprezzante, arrogante e francamente offensivo della risposta del dott. Alessandro Gnocchi pubblicata all’interno della rubrica “Fuori Moda” del sito Riscossa Cristiana di martedì 24 gennaio.
E’ innegabile che l’ira, il disprezzo, l’arroganza e l’offesa non sono virtù cristiane e neppure la presunta efficacia comunicativa di alcune forme espressive giustifica certi toni obiettivamente inaccettabili sotto tutti gli aspetti. La rubrica rischia quindi di trasformarsi sempre più da “Fuori Moda” a “Di Gran Moda”, tanta è la fortuna che gode l’invettiva nel linguaggio mediatico contemporaneo.
Non mi soffermerò ovviamente su tutte le affermazioni del dott. Gnocchi. Non ne vale davvero la pena. Si tratta con evidenza di intemerate prive di qualsiasi logica e cognizione. Mi preme soltanto evidenziare come l’articolo scritto da don Angelo Citati, un testo rispettoso, sereno, equilibrato e ben documentato intendeva esprimere, senza alcun obbligo in tal senso, un segno di attenzione ed amore verso Gnocchi. Se qualche riserva ci doveva essere nella opportunità della sua pubblicazione, essa consisteva unicamente nel rischio di attribuire una eccessiva rilevanza al testo precedentemente vergato dal medesimo Gnocchi, un testo anch’esso sconclusionato, pieno di affermazioni ad effetto, ma sostanzialmente poverissimo di contenuti pregnanti.
Condivido pertanto l’idea che la pubblicazione di un articolo così completo e meditato sia stato un regalo troppo grande per Gnocchi, un regalo che lui non è stato capace di apprezzare e valorizzare. Si poteva ovviamente dissentire ma in modo altrettanto pacato ed equilibrato.
Spiace dirlo... ma il più grande esperto ed estimatore di Giovannino Guareschi si sta rivelando, da qualche tempo, il più anti-guareschiano degli scrittori cattolici. Difetta sempre più infatti la bonomia, l’arguzia, la comprensione verso le persone, la serenità di spirito che trasuda da tutte le opere dell’autore di don Camillo.
La seconda ed ultima considerazione che intendo svolgere è la seguente: non è assolutamente vero che la FSSPX si ritenga l’unica depositaria della Tradizione Cattolica. Se Gnocchi si preoccupasse di più di seguire davvero da vicino le vicende della Fraternità saprebbe bene di quanti sacerdoti, desiderosi di entrarvi, siano invece stati convinti a rimanere nelle rispettive Diocesi o Congregazioni. Ciò proprio perché si è sempre pensato a far germogliare semi di tradizione nella Chiesa tutta e non solo all’espansione della Fraternità. Io, che seguo discretamente gli avvenimenti da tanti più anni del dott. Gnocchi, posso testimoniare moltissimi di questi esempi.
Quello che lui chiama sprezzante “abbraccio mortale” con l’antichiesa modernista, almeno fino ad oggi, ha rappresentato assai di più una via di avvicinamento di preti formati nel modernismo, ma sani di spirito, piuttosto che un percorso di allontanamento di sacerdoti tradizionali verso la neo-chiesa. Questo è un dato di fatto incontrovertibile.
Se poi, inevitabilmente, la FSSPX ha finito per svolgere un ruolo egemone nel movimento tradizionale questo..., bellezza..., è la legge dei numeri e la matematica, come Gnocchi ben sa, non è un opinione.
Il reale, come ci spiega la filosofia perenne, prevale sempre sulle intenzioni ed, in fin dei conti, è giusto così. Tante volte del resto mons. Fellay si è soffermato a considerare la innegabile potenza di questo fattore. Quando in Francia si vedono pellegrinaggi con migliaia di fedeli, con centinaia di famiglie numerose e tantissimi bambini, l’uomo della strada rimane naturalmente stupito e, quasi inconsapevolmente, finisce per domandarsi: “Ma allora è davvero possibile vivere il Cristianesimo in modo integrale, se ci riescono in così tanti... perché non ci posso riuscire io?”.
Ecco il vero motivo del ruolo guida esercitato dalla FSSPX, non altro e nessun “professionismo della Tradizione”.
Quando pertanto la Pia Confraternita Gnocchiana, con i metodi intolleranti che oggi la contraddistinguono, riuscirà a mettere insieme numeri significativi potrà forse sperare di rappresentare qualcosa in più nel panorama cattolico.
Vorrei concludere con un ricordo. Mi trovavo a Fatima nell’agosto del 2015 e, nel corso del Pellegrinaggio Internazionale della FSSPX, si svolse una conferenza pomeridiana dell’allora superiore del distretto italiano don Marco Nely. Al termine del sermone egli ci mostrò un piccolo libro che si intitolava “Catholic Pride” scritto da due giornalisti semi sconosciuti, almeno per noi: Mario Palmaro e Alessandro Gnocchi.
Qualcuno cercò subito di sminuire l’opera: si tratta di due personaggi poco significativi, cresciuti in ambiente conciliare. Bisogna fare molta attenzione prima di diffonderne le opere.
Don Marco ci volle però leggere le due paginette in cui si riferiva la reazione stizzita di molti cattolici nel sentire nominare l’aggettivo lefebvriani. Egli concluse: se qualcuno riesce a scrivere certe cose senza averci mai conosciuti chissà cosa potrà fare quando eventualmente ci conoscerà! E così volle conoscerli... Sono passati solo dodici anni scarsi...
Anche Gnocchi dunque è arrivato come un frutto dell’abbraccio mortale. Ne è consapevole?
Nostra nota(29 gennaio 2017)
Come ci siamo chiesti a proposito dell’intervento di Don Angelo Citati, se esso fosse più indotto che spontaneo, così ci chiediamo se l’amico Marco Bongi non sia stato sollecitato da qualcuno a scendere nell’agone per buttare i suoi dati su questo insolito tavolo da giuoco.
Non intendiamo minimamente sminuire la capacità di autonomia dell’amico Marco Bongi, abbiamo già detto della sua buona fede e della sua onestà, ma anche in assenza di una qualche sollecitazione, è indubbio che il suo intervento si iscrive nella logica della difesa a oltranza della Fraternità, soprattutto se si considera che i principali elementi che fanno notare sia lui sia Don Citati sono le supposte gratuite invettive che Gnocchi avrebbe rivolto alla Fraternità in ordine all’accettazione della regolarizzazione canonica; da Gnocchi ventilata come quasi certa, dalla Fraternità data solo per possibile.
Questa differenziazione di posizioni si dice che si basi non su dati di fatto, ma sulle dichiarazioni ufficiali dei vertici della Fraternità, che, non si sa bene perché, dovrebbero essere considerate da tutti come l’unica fonte di informazione, non solo attendibile, ma perfino obbligante.
Ora, quando prima dicevamo che un’alta percentuale di fedeli, chierici e laici, è contraria all’accettazione del riconoscimento unilaterale, non ci basavamo su una dichiarazione ufficiale dei vertici della Fraternità, ma su un’informazione che nella Fraternità conoscono tutti, o quasi, e che dà, per esempio, la percentuale del 60% dei fedeli americani e di più del 50% dei fedeli francesi.
Ora, secondo la logica di cui abbiamo appena detto, tale informazione non dovremmo tenerla in considerazione alcuna perché non viene dai vertici della Fraternità; ma il farlo non significherebbe rispettare la Fraternità, nella sua essenza e nei suoi fedeli, ma danneggiarla, perché la Fraternità è nata ed esiste in forza del rispetto della verità e dell’oggettiva realtà, che questo coincida o meno con i convincimenti dei suoi vertici.
E non si può sostenere che la Fraternità stessa si identificherebbe con i suoi vertici, per due importanti motivi.
Il primo è che la non rispondenza tra volontà dei fedeli e volontà dei vertici non è una novità, ma data da almeno più di sei anni: dissidenti e fuorusciti ed espulsi alla mano.
Il secondo è che i vertici della Fraternità possono appellarsi al dovere di obbedienza solo nei confronti dei chierici, ed anche per questi limitatamente alla chiara rispondenza tra la ragion d’essere della Fraternità e la detta volontà dei vertici. Cosa che vale ancor più per i laici, i quali, non solo non “appartengono” alla Fraternità, ma non ne sono in alcun modo i sottoposti, perché la realtà è esattamente l’opposto: non sono i laici che esistono per la Fraternità, ma è la Fraternità che esiste per i laici: nella loro duplice veste di sostenitori e giustificatori della sua esistenza.
E’ vero che lo scopo della Fraternità è costituito principalmente dalla perpetuazione del vero sacerdozio cattolico, in obbedienza alla volontà di Dio, ma questo non può considerarsi come un fattore giustificativo per se stesso, ma deve considerarsi come fattore strumentale per servire la Chiesa nelle persone dei fedeli cattolici che intendono avvalersi dei veri sacerdoti per assicurarsi i veri sacramenti. Senza questa esigenza primaria, che coincide con la suprema legge della Chiesa, la salus animarum, la preservazione del vero sacerdozio cattolico sarebbe un mero esercizio speculativo da circolo degli affezionati.
Evidentemente le cose non stanno così, quindi l’identificazione tra la Fraternità e i suoi vertici è cosa auspicabile, ma soggetta a verifica, perché non sono i vertici che fanno la Fraternità, ma è la Fraternità che fa i vertici, e se questi vertici si comportano in modo da fare anche solo sospettare che non stiano corrispondendo alla ragion d’essere della Fraternità, per ciò stesso sono squalificati e passibili di contestazione e di rigetto.
Non v’è dubbio che i vertici della Fraternità godano della grazia di stato legata al posto che occupano e alla funzione che esercitano, ma è altrettanto indubbio che i fedeli non sono dei birilli di legno suscettibili di essere manovrati da chi dirige il giuoco, essi sono dei padri di famiglia, con la loro grazia di stato, che hanno il dovere, non di sostenere e seguire la Fraternità comunque, quasi per spirito di corpo, ma di sostenerla e seguirla fintanto che essa assicuri a loro e alle loro famiglie quegli strumenti della grazia che sono alla base dell’esistenza della Fraternità e dell’adesione ad essa delle stesse famiglie.
Se uno di questi fattori venisse meno, il tutto si trasformerebbe in un castello di carte senz’appoggio: e ogni cosa verrebbe giù.
Quello che colpisce, in tutta questa questione, è che mentre la Fraternità esiste da 40 anni in contrapposizione critica con l’autorità della Chiesa, per manifesto stato di necessità; allorché questo principio così a lungo praticato lo vi vuole applicare ai vertici della Fraternità ecco che si oppone un rifiuto, come se lo stato di necessità non fosse relativo a tutta la questione tradizionale e non solo ai rapporti tra la Fraternità e Roma.
In pratica, mentre sarebbe legittimo dissentire dal Papa, come in effetti lo è, quando questi si allontana della vera dottrina e nonostante egli sostenga che non sia così, non sarebbe legittimo dissentire dai vertici della Fraternità, com’è accaduto e continua ad accadere, quando questi si allontanano dalla ragion d’essere della Fraternità, che è poi la loro stessa ragion d’essere, e nonostante essi sostengano che non sia così.
Se poi si verifica un corto circuito, come sembra in questo caso di cui parliamo, nessuno si dovrebbe meravigliare, perché non si può seminare sul selvatico e poi pretendere che i frutti vengano ugualmente.
Detto questo, invero un po’ prolissamente, cosa di cui ci scusiamo con i lettori, veniamo ai vari punti dell’articolo dell’amico Marco Bongi che ci sembrano controversi e suscettibili di puntualizzazione.
Che la Fraternità abbia rifiutato di accettare di “fare entrare” tanti sacerdoti “desiderosi di entrarvi”, perché avrebbe “sempre pensato a far germogliare semi di tradizione nella Chiesa tutta” invece di pensare solo “all’espansione della Fraternità”, è cosa suscettibile di diverse letture, non esclusa quella che ritiene che certi sacerdoti potrebbero essersi rivelati non sufficientemente “controllabili”, proprio in forza del loro dimostrato coraggio a ribellarsi ai propri Ordinari.
In ogni caso, questo particolare aspetto non esclude la considerazione, più o meno giustificata, che la Fraternità, nei suoi vertici, si “ritenga l’unica depositaria della Tradizione”, perché esistono centinaia di articoli, di interviste e di dichiarazioni che vedono i vertici della Fraternità criticare e condannare tutti coloro che, a vario titolo e a più riprese, hanno ritenuto di agire per conto loro; ed è dall’esame di questo ampio materiale che si evince che i vertici della Fraternità si considerano gli unici depositari della Tradizione. Le vicende di questi ultimi anni, che hanno portato alla “esclusione” di uno dei quattro vescovi consacrati da Mons. Lefevbre e all’allontanamento di qualche centinaio di sacerdoti e di centinaia di corrispondenti fedeli, sembra non abbiano insegnato nulla a tanti fedeli timorosi di incorrere negli strali dei Superiori.
Quando si critica l’uso dell’espressione “abbraccio mortale”, riferendosi alla possibile regolarizzazione canonica offerta da Roma, si commette l’errore di confondere quest’ultima col mantenimento di buoni rapporti con tanti sacerdoti diocesani, sia per carità cristiana, sia per sostegno e aiuto in vista della diffusione dello spirito tradizionale in opposizione al nefasto spirito del Concilio. In realtà, non si può definire diversamente l’eventuale abbraccio con il misericordioso Bergoglio, in quanto non si tratterebbe di un abbraccio col Papa, ma con chi ha dimostrato in tutti i modi di voler demolire il papato, riuscendo peraltro a sminuirlo così tanto, con l’aiuto di un altro campione simile come Ratzinger, che esso è ormai diventato quasi un orpello inutile, pronto ad essere assimilato alle ortiche e sacrificato sul tavolo dell’ecumenismo intercristiano.
Se non è mortale un tale abbraccio dal punto di vista umano, lo è sicuramente dal punto di vista cattolico.
Eppure, l’amico Bongi è riuscito a stupirci inaspettatamente quando è scivolato sulla buccia di banana della prevalenza della quantità sulla qualità. Non ci saremmo mai sognati di dover considerare il ruolo guida della Fraternità come basato sui numeri, con la conseguenza che forse tale ruolo guida lo si potrebbe giustificare in Francia, non certo in Italia, dove i sostenitori del Summorum Pontificum continuano a gabellare qualche migliaio di fedeli raccogliticci per difensori della Tradizione, mentre la Fraternità riesce solo a mobilitare qualche centinaio di irriducibili.
Davvero, se la logica fosse questa sarebbe avvilente, e sarebbe avvilente soprattutto per la Fraternità.
Ma per quanto ci sforziamo di respingere come cosa affatto seria una tale logica, ecco che l’amico Bongi propone di ingrossare le fila della “Pia Confraternita Gnocchiana”, se si vuole che questa possa contare qualcosa “in più” nel panorama cattolico.
E ci siamo dovuti fermare un po’ a riflettere su questa Pia Confraternita Gnocchiana, di cui fino ad oggi non avevamo notizia alcuna, e sulla necessità che debba “mettere insieme numeri significativi” per poter sperare di contare qualcosa. E fermatici, siamo bloccati ancora lì, non solo per lo stupore suscitato delle due novità, ma soprattutto per la verve favolistica e per i pruriti quantitatisti che non avremmo mai pensato potessero affliggere così perniciosamente l’amico Bongi.
E veniamo allo strano aneddoto datato 2015 e narrato dall’amico Bongi circa la scoperta del libretto Catholic Pride – La fede e l’orgoglio, scritto da Gnocchi e Palmaro nel 2005. Fu a Fatima, egli ricorda, che Don Nély fece conoscere il libretto in cui, tra le altre tante cose, i due Autori accennavano al malvezzo dei “cattolici adulti” di etichettare spregiativamente come “lefebvriani” gli aderenti alla Fraternità San Pio X. Cosa apprezzata da Don Nély che avrebbe concluso: “se qualcuno riesce a scrivere certe cose senza averci mai conosciuti chissà cosa potrà fare quando eventualmente ci conoscerà!”.
La stranezza di questo aneddoto sta nel fatto che effettivamente Gnocchi e Palmaro divennero assidui frequentatori dei convegni della Fraternità, e in qualità di oratori vennero offerti dalla Fraternità come affidabili portatori di nozioni edificanti per i fedeli, Marco Bongi compreso.
Ora, con questo aneddoto si conferma che Gnocchi e Palmaro avevano di per sé tanto di buono da offrire ai fedeli della Fraternità, e quindi tanto di buono da proporre alla stessa Fraternità, così da doversi ritenere che non avessero alcun bisogno di abbracci e di direttive, semmai il contrario. Eppure l’amico Bongi sembra voglia far credere che i due debbano tanto alla Fraternità, e Gnocchi dovrebbe prendere coscienza di questo.
La cosa è oltremodo ridicola, perché Gnocchi, proprio alla luce di questo aneddoto, appare come uno che già da tempo… “dodici anni scarsi” … fosse in grado di pensare da sé e di collaborare col suo pensiero al lustro della Fraternità. Salvo trasformarsi in un pericolo personaggio da riprendere e da educare non appena, con quello stesso pensiero, critica i vertici della Fraternità in procinto di abbandonarsi all’abbraccio mortale col più infido e più pericoloso dei papi conciliari.
Per finire, ci sembra doveroso segnalare, indipendentemente dallo scritto dell’amico Marco Bongi, che la strenua difesa dell’offerto riconoscimento canonico “unilaterale”, senza “contropartite dottrinali”, lungi dall’essere una cosa tanto buona da giustificare il consenso dei vertici della Fraternità, è indicativa di una mentalità che ha finito con l’adeguarsi all’andazzo bergogliano, dichiaratamente contrario all’attenzione per la dottrina.
Intendiamo dire che si può essere contenti per l’accantonamento delle questioni dottrinali, a condizione che le si releghi a fattori di secondaria importanza, e questo ci sembra un voltafaccia clamoroso dei vertici della Fraternità, i quali avrebbero il dovere, loro, di chiedere “contropartite dottrinali”, per assicurarsi che in Vaticano si stia almeno incominciando a prendere atto della necessità salutare di abbandonare il Vaticano II.
Ora, questa politica, non certo esemplare, da qualche anno è accompagnata dalla febbrile frequenza vaticana di diversi esponenti della Fraternità, che vanno lì non per verificare quanto dicevamo prima, ma per definire i termini del riconoscimento canonico, e guarda caso, questa frequenza pare che abbia visto un’accelerazione ed una presenza ai massimi livelli proprio nei giorni in cui è venuto fuori il cancan di cui abbiamo parlato, il tutto condotto in maniera tale da lasciare all’oscuro i fedeli, chierici e laici… nonostante il vecchio proverbio che in Sicilia dice: nenti fari, ca nenti si sapi… cioè: ciò che si fa, prima o poi lo si sa.
E poi si pretende che si debba avere rispetto e considerazione per questi vertici!
A noi sembra che tutto questo pasticcio non sia altro che il frutto della fibrillazione ormai incontrollata di chi ha preteso da alcuni lustri di dover condurre la Fraternità di Mons. Lefebvre all’obbedienza dei nemici di Mons. Lefebvre, e come risultato si è trovato in mezzo ad una contestazione interna ed esterna che rischia di trasformare la detta fibrillazione in infarto.
Che Dio l’aiuti e che aiuti soprattutto la benemerita Fraternità a ritrovare la sua provvidenziale indipendenza per servire ancora meglio la Chiesa negli anni a venire.
Fermo restando che in definitiva tutto è nelle mani di Dio e noi non possiamo fare altro che pregare in forza del nostro profondo senso della Chiesa e del nostro coltivato senso del soprannaturale.
Non intendiamo minimamente sminuire la capacità di autonomia dell’amico Marco Bongi, abbiamo già detto della sua buona fede e della sua onestà, ma anche in assenza di una qualche sollecitazione, è indubbio che il suo intervento si iscrive nella logica della difesa a oltranza della Fraternità, soprattutto se si considera che i principali elementi che fanno notare sia lui sia Don Citati sono le supposte gratuite invettive che Gnocchi avrebbe rivolto alla Fraternità in ordine all’accettazione della regolarizzazione canonica; da Gnocchi ventilata come quasi certa, dalla Fraternità data solo per possibile.
Questa differenziazione di posizioni si dice che si basi non su dati di fatto, ma sulle dichiarazioni ufficiali dei vertici della Fraternità, che, non si sa bene perché, dovrebbero essere considerate da tutti come l’unica fonte di informazione, non solo attendibile, ma perfino obbligante.
Ora, quando prima dicevamo che un’alta percentuale di fedeli, chierici e laici, è contraria all’accettazione del riconoscimento unilaterale, non ci basavamo su una dichiarazione ufficiale dei vertici della Fraternità, ma su un’informazione che nella Fraternità conoscono tutti, o quasi, e che dà, per esempio, la percentuale del 60% dei fedeli americani e di più del 50% dei fedeli francesi.
Ora, secondo la logica di cui abbiamo appena detto, tale informazione non dovremmo tenerla in considerazione alcuna perché non viene dai vertici della Fraternità; ma il farlo non significherebbe rispettare la Fraternità, nella sua essenza e nei suoi fedeli, ma danneggiarla, perché la Fraternità è nata ed esiste in forza del rispetto della verità e dell’oggettiva realtà, che questo coincida o meno con i convincimenti dei suoi vertici.
E non si può sostenere che la Fraternità stessa si identificherebbe con i suoi vertici, per due importanti motivi.
Il primo è che la non rispondenza tra volontà dei fedeli e volontà dei vertici non è una novità, ma data da almeno più di sei anni: dissidenti e fuorusciti ed espulsi alla mano.
Il secondo è che i vertici della Fraternità possono appellarsi al dovere di obbedienza solo nei confronti dei chierici, ed anche per questi limitatamente alla chiara rispondenza tra la ragion d’essere della Fraternità e la detta volontà dei vertici. Cosa che vale ancor più per i laici, i quali, non solo non “appartengono” alla Fraternità, ma non ne sono in alcun modo i sottoposti, perché la realtà è esattamente l’opposto: non sono i laici che esistono per la Fraternità, ma è la Fraternità che esiste per i laici: nella loro duplice veste di sostenitori e giustificatori della sua esistenza.
E’ vero che lo scopo della Fraternità è costituito principalmente dalla perpetuazione del vero sacerdozio cattolico, in obbedienza alla volontà di Dio, ma questo non può considerarsi come un fattore giustificativo per se stesso, ma deve considerarsi come fattore strumentale per servire la Chiesa nelle persone dei fedeli cattolici che intendono avvalersi dei veri sacerdoti per assicurarsi i veri sacramenti. Senza questa esigenza primaria, che coincide con la suprema legge della Chiesa, la salus animarum, la preservazione del vero sacerdozio cattolico sarebbe un mero esercizio speculativo da circolo degli affezionati.
Evidentemente le cose non stanno così, quindi l’identificazione tra la Fraternità e i suoi vertici è cosa auspicabile, ma soggetta a verifica, perché non sono i vertici che fanno la Fraternità, ma è la Fraternità che fa i vertici, e se questi vertici si comportano in modo da fare anche solo sospettare che non stiano corrispondendo alla ragion d’essere della Fraternità, per ciò stesso sono squalificati e passibili di contestazione e di rigetto.
Non v’è dubbio che i vertici della Fraternità godano della grazia di stato legata al posto che occupano e alla funzione che esercitano, ma è altrettanto indubbio che i fedeli non sono dei birilli di legno suscettibili di essere manovrati da chi dirige il giuoco, essi sono dei padri di famiglia, con la loro grazia di stato, che hanno il dovere, non di sostenere e seguire la Fraternità comunque, quasi per spirito di corpo, ma di sostenerla e seguirla fintanto che essa assicuri a loro e alle loro famiglie quegli strumenti della grazia che sono alla base dell’esistenza della Fraternità e dell’adesione ad essa delle stesse famiglie.
Se uno di questi fattori venisse meno, il tutto si trasformerebbe in un castello di carte senz’appoggio: e ogni cosa verrebbe giù.
Quello che colpisce, in tutta questa questione, è che mentre la Fraternità esiste da 40 anni in contrapposizione critica con l’autorità della Chiesa, per manifesto stato di necessità; allorché questo principio così a lungo praticato lo vi vuole applicare ai vertici della Fraternità ecco che si oppone un rifiuto, come se lo stato di necessità non fosse relativo a tutta la questione tradizionale e non solo ai rapporti tra la Fraternità e Roma.
In pratica, mentre sarebbe legittimo dissentire dal Papa, come in effetti lo è, quando questi si allontana della vera dottrina e nonostante egli sostenga che non sia così, non sarebbe legittimo dissentire dai vertici della Fraternità, com’è accaduto e continua ad accadere, quando questi si allontanano dalla ragion d’essere della Fraternità, che è poi la loro stessa ragion d’essere, e nonostante essi sostengano che non sia così.
Se poi si verifica un corto circuito, come sembra in questo caso di cui parliamo, nessuno si dovrebbe meravigliare, perché non si può seminare sul selvatico e poi pretendere che i frutti vengano ugualmente.
Detto questo, invero un po’ prolissamente, cosa di cui ci scusiamo con i lettori, veniamo ai vari punti dell’articolo dell’amico Marco Bongi che ci sembrano controversi e suscettibili di puntualizzazione.
Che la Fraternità abbia rifiutato di accettare di “fare entrare” tanti sacerdoti “desiderosi di entrarvi”, perché avrebbe “sempre pensato a far germogliare semi di tradizione nella Chiesa tutta” invece di pensare solo “all’espansione della Fraternità”, è cosa suscettibile di diverse letture, non esclusa quella che ritiene che certi sacerdoti potrebbero essersi rivelati non sufficientemente “controllabili”, proprio in forza del loro dimostrato coraggio a ribellarsi ai propri Ordinari.
In ogni caso, questo particolare aspetto non esclude la considerazione, più o meno giustificata, che la Fraternità, nei suoi vertici, si “ritenga l’unica depositaria della Tradizione”, perché esistono centinaia di articoli, di interviste e di dichiarazioni che vedono i vertici della Fraternità criticare e condannare tutti coloro che, a vario titolo e a più riprese, hanno ritenuto di agire per conto loro; ed è dall’esame di questo ampio materiale che si evince che i vertici della Fraternità si considerano gli unici depositari della Tradizione. Le vicende di questi ultimi anni, che hanno portato alla “esclusione” di uno dei quattro vescovi consacrati da Mons. Lefevbre e all’allontanamento di qualche centinaio di sacerdoti e di centinaia di corrispondenti fedeli, sembra non abbiano insegnato nulla a tanti fedeli timorosi di incorrere negli strali dei Superiori.
Quando si critica l’uso dell’espressione “abbraccio mortale”, riferendosi alla possibile regolarizzazione canonica offerta da Roma, si commette l’errore di confondere quest’ultima col mantenimento di buoni rapporti con tanti sacerdoti diocesani, sia per carità cristiana, sia per sostegno e aiuto in vista della diffusione dello spirito tradizionale in opposizione al nefasto spirito del Concilio. In realtà, non si può definire diversamente l’eventuale abbraccio con il misericordioso Bergoglio, in quanto non si tratterebbe di un abbraccio col Papa, ma con chi ha dimostrato in tutti i modi di voler demolire il papato, riuscendo peraltro a sminuirlo così tanto, con l’aiuto di un altro campione simile come Ratzinger, che esso è ormai diventato quasi un orpello inutile, pronto ad essere assimilato alle ortiche e sacrificato sul tavolo dell’ecumenismo intercristiano.
Se non è mortale un tale abbraccio dal punto di vista umano, lo è sicuramente dal punto di vista cattolico.
Eppure, l’amico Bongi è riuscito a stupirci inaspettatamente quando è scivolato sulla buccia di banana della prevalenza della quantità sulla qualità. Non ci saremmo mai sognati di dover considerare il ruolo guida della Fraternità come basato sui numeri, con la conseguenza che forse tale ruolo guida lo si potrebbe giustificare in Francia, non certo in Italia, dove i sostenitori del Summorum Pontificum continuano a gabellare qualche migliaio di fedeli raccogliticci per difensori della Tradizione, mentre la Fraternità riesce solo a mobilitare qualche centinaio di irriducibili.
Davvero, se la logica fosse questa sarebbe avvilente, e sarebbe avvilente soprattutto per la Fraternità.
Ma per quanto ci sforziamo di respingere come cosa affatto seria una tale logica, ecco che l’amico Bongi propone di ingrossare le fila della “Pia Confraternita Gnocchiana”, se si vuole che questa possa contare qualcosa “in più” nel panorama cattolico.
E ci siamo dovuti fermare un po’ a riflettere su questa Pia Confraternita Gnocchiana, di cui fino ad oggi non avevamo notizia alcuna, e sulla necessità che debba “mettere insieme numeri significativi” per poter sperare di contare qualcosa. E fermatici, siamo bloccati ancora lì, non solo per lo stupore suscitato delle due novità, ma soprattutto per la verve favolistica e per i pruriti quantitatisti che non avremmo mai pensato potessero affliggere così perniciosamente l’amico Bongi.
E veniamo allo strano aneddoto datato 2015 e narrato dall’amico Bongi circa la scoperta del libretto Catholic Pride – La fede e l’orgoglio, scritto da Gnocchi e Palmaro nel 2005. Fu a Fatima, egli ricorda, che Don Nély fece conoscere il libretto in cui, tra le altre tante cose, i due Autori accennavano al malvezzo dei “cattolici adulti” di etichettare spregiativamente come “lefebvriani” gli aderenti alla Fraternità San Pio X. Cosa apprezzata da Don Nély che avrebbe concluso: “se qualcuno riesce a scrivere certe cose senza averci mai conosciuti chissà cosa potrà fare quando eventualmente ci conoscerà!”.
La stranezza di questo aneddoto sta nel fatto che effettivamente Gnocchi e Palmaro divennero assidui frequentatori dei convegni della Fraternità, e in qualità di oratori vennero offerti dalla Fraternità come affidabili portatori di nozioni edificanti per i fedeli, Marco Bongi compreso.
Ora, con questo aneddoto si conferma che Gnocchi e Palmaro avevano di per sé tanto di buono da offrire ai fedeli della Fraternità, e quindi tanto di buono da proporre alla stessa Fraternità, così da doversi ritenere che non avessero alcun bisogno di abbracci e di direttive, semmai il contrario. Eppure l’amico Bongi sembra voglia far credere che i due debbano tanto alla Fraternità, e Gnocchi dovrebbe prendere coscienza di questo.
La cosa è oltremodo ridicola, perché Gnocchi, proprio alla luce di questo aneddoto, appare come uno che già da tempo… “dodici anni scarsi” … fosse in grado di pensare da sé e di collaborare col suo pensiero al lustro della Fraternità. Salvo trasformarsi in un pericolo personaggio da riprendere e da educare non appena, con quello stesso pensiero, critica i vertici della Fraternità in procinto di abbandonarsi all’abbraccio mortale col più infido e più pericoloso dei papi conciliari.
Per finire, ci sembra doveroso segnalare, indipendentemente dallo scritto dell’amico Marco Bongi, che la strenua difesa dell’offerto riconoscimento canonico “unilaterale”, senza “contropartite dottrinali”, lungi dall’essere una cosa tanto buona da giustificare il consenso dei vertici della Fraternità, è indicativa di una mentalità che ha finito con l’adeguarsi all’andazzo bergogliano, dichiaratamente contrario all’attenzione per la dottrina.
Intendiamo dire che si può essere contenti per l’accantonamento delle questioni dottrinali, a condizione che le si releghi a fattori di secondaria importanza, e questo ci sembra un voltafaccia clamoroso dei vertici della Fraternità, i quali avrebbero il dovere, loro, di chiedere “contropartite dottrinali”, per assicurarsi che in Vaticano si stia almeno incominciando a prendere atto della necessità salutare di abbandonare il Vaticano II.
Ora, questa politica, non certo esemplare, da qualche anno è accompagnata dalla febbrile frequenza vaticana di diversi esponenti della Fraternità, che vanno lì non per verificare quanto dicevamo prima, ma per definire i termini del riconoscimento canonico, e guarda caso, questa frequenza pare che abbia visto un’accelerazione ed una presenza ai massimi livelli proprio nei giorni in cui è venuto fuori il cancan di cui abbiamo parlato, il tutto condotto in maniera tale da lasciare all’oscuro i fedeli, chierici e laici… nonostante il vecchio proverbio che in Sicilia dice: nenti fari, ca nenti si sapi… cioè: ciò che si fa, prima o poi lo si sa.
E poi si pretende che si debba avere rispetto e considerazione per questi vertici!
A noi sembra che tutto questo pasticcio non sia altro che il frutto della fibrillazione ormai incontrollata di chi ha preteso da alcuni lustri di dover condurre la Fraternità di Mons. Lefebvre all’obbedienza dei nemici di Mons. Lefebvre, e come risultato si è trovato in mezzo ad una contestazione interna ed esterna che rischia di trasformare la detta fibrillazione in infarto.
Che Dio l’aiuti e che aiuti soprattutto la benemerita Fraternità a ritrovare la sua provvidenziale indipendenza per servire ancora meglio la Chiesa negli anni a venire.
Fermo restando che in definitiva tutto è nelle mani di Dio e noi non possiamo fare altro che pregare in forza del nostro profondo senso della Chiesa e del nostro coltivato senso del soprannaturale.
Negare che quelle di Gnocchi fossero delle invettive mi pare un acrobatico arrampicamento sugli specchi
RispondiEliminamihi quoque, qui perplurimi Gnoccum facio, verba ejus visa sunt paulo contumeliosa quam fortasse necesse. Tamen quia res de qua agitur nondum mihi est perspicua, sed intelligo gravissimi momenti esse reditum Fraternitatis s, Pii X in sinum hujus pseudo ecclesiae bergoliensis, ex corde cupio ac spero ut quam firmissime resistant neque locum cedant apostasiae et perfidiae
RispondiEliminaAvanti, continuiamo a spararci addosso, facciamo più morti possibili con il fuoco amico, avanti marciamo l'uno contro l'altro armati. Siamo tutti dalla stessa parte? Si o No !?. Noo, ognuno di noi è meglio dell'altro.Avanti continuiamo a fare il gioco del nemico!!! Sapete quanto ridono di noi i nostri nemici? Dicono:-guardateli come si odiano quelli che vogliono restaurare il regno di Cristo!Sono solo pizzi e merletti! ; guardate come si sbranano tra di loro,e così noi vinceremo.- Gesù disse ,riconosceranno che siete miei discepoli dall' amore che avrete l'uno per l'altro. Siamo proprio dei furbacchioni ,bei discepoli che siamo. Che tristezza! jane
RispondiEliminaDove l'abbiamo visto scritto che la rabbia (CHE NON E' L'ODIO) sia per forza di cose qualcosa di negativo?
RispondiEliminaCi ricordiamo o no dell'episodio di Gesù dinanzi allo spettacolo dei cambiavalute e dei mercanti nel tempio di Gerusalemme?
Provò forse tanta misericordiosa benevolenza di fronte a quei mercanti, e voglia di dialogare caritativamente con loro??
Chi ha figli in adolescenza e oltre sa che spesso, di fronte al rischio che essi si perdano per mano di persone negative, è più efficace un intervento reattivo molto veemente, di pancia, che non mille filippiche fatte col sorriso sulle labbra.
Non dico che questo debba essere assunto come metodo pedagogico sistematico ma, a mali estremi, estremi rimedi...
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