ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 30 gennaio 2017

Tutti sappiamo ?


Trump, l’Europa che fa barriera contro sé stessa ed il Cardinale Burke …


Lunedì scorso (esattamente dopo soli due giorni dal suo insediamento), Trump ha ricevuto i leader sindacati rappresentanti di tutte le categorie lavorative: ha dato loro quasi un’ora e mezza per esporre i problemi. “Il presidente ci ha trattato con rispetto, non solo la nostra organizzazione, ma i nostri membri”, ha dichiarato Terry O’Sullivan, presidente dell  ‘Unione Internazionale Operai del Nord America.  Secondo O’Sullivan il progetto di rimettere mano alle infrastrutture di trasporto creerà migliaia migliaia nuovi posti di lavoro.
L’incontro con i sindacati è il segno tangibile di come il nuovo presidente metta il lavoro al primo posto della sua agenda di governo. Successivamente i media hanno criticato molto la notizia dell’ ordine esecutivo con cui ha  Trump ha ‘bloccato l’Obamacare’. In realtà, quello che ha fatto il presidente degli Stati Uniti, è l’interruzione parziale di alcune provvidenze nel senso anticipato nella campagna elettorale.  In tutti i modi, il piano assistenziale sanitario di Obama sarà presto sostituito con una riforma per cui la sanità sarà accessibile a tutti. Quest’ultima notizia però si è esaurita con la nota dell’Ansa (come il contesto in cui questi fatti sono avvenuti), senza ulteriore dibattito o diffusione.

Tutti sappiamo che la presidenza Trump è cominciata male: ha attaccato proprio quei temi tanto cari a quelle forze occulte che dettano le linee guida ai governi, trasversali, che sopravvivono agli stessi governi e che danno la patente di legittimità alla politica.  Il provvedimento più criticato da queste forze (che hanno un grande potere di mobilitazione e che hanno a disposizione ingenti risorse finanziarie), è quello sui ‘muri’, sull’immigrazione e per ultimo, la lista di paesi islamici bannati dal suolo americano (per un periodo di 120 gg.) i cui cittadini non possono essere accettati come rifugiati, perché rappresenterebbero un potenziale pericolo terrorismo. Sono esclusi dal bando tutti i cittadini già americani, qualora naturalizzati o “natural-born” (vedi LPLNews24).
Per gli attivisti anti-Trump, un’altra conferma di bigottismo e del fatto che Trump odierebbe le donne,  è  la partecipazione (avvenuta il 27 di gennaio) del vice -presidente Pence alla manifestazione Pro-life antiabortista a Washington DC (partecipazione non solo personale ma istituzionale, significando una precisa scelta politica del presidente).
E’ insolito che mentre questo accade oltreoceano, noi in Italia, afflitti da problemi ben maggiori, ci esercitiamo a dire ciò che è giusto o meno per americani, preoccupati per la diminuzione del loro grado di libertà.
Stati Uniti: Trump riceve la premier May, "la Brexit è una cosa fantastica"Al di là dei provvedimenti che possono essere opinabili e più o meno migliorabili, ciò che si condanna è soprattutto l’idea alla base di questi provvedimenti. Secondo questa idea, non esisterebbe il problema dell’immigrazione , non esisterebbe il problema del terrorismo e l’accoglienza sarebbe il più grande gesto di civiltà. Per quando riguarda il pericolo islam, esso non rappresenterebbe un problema: per le nostre élite e per vasti strati di società  l’islam non è violento , non esistono conflitti religiosi, ogni diversità arricchisce e non è vero che mette a pericolo le identità nazionali. Per una certa ottica, ‘il prossimo’ sarebbe colui che viene da lontano e la pietà per gli altri, viene prima della pietà per noi stessi.
Per queste idee,  negli Stati Uniti i fautori ed i sostenitori di queste idee ‘progressiste’ chiamano la gente a ribellarsi, a giudicare. Sì, anche qui in Europa ed in Italia, inaspettatamente, siamo chiamati a giudicare. E’ un esercizio a cui siamo in verità disabituati e spesso evitato come la peste dal potere. Ma questa volta sì, il momento è cruciale e ci viene chiesto di stare dalla parte giusta della storia, di fare fronte unico. Ce lo chiedono quegli stessi leader politici che hanno detto , vedendo il risultato del referendum sulla Brexit e quello costituzionale in Italia ” , che in fondo la democrazia non è un bene”. Altri hanno detto che la colpa è delle fake news. Insomma non sanno più che pesci prendere.
Questa cosa dovrebbe insospettirci. Siamo chiamati realmente a giudicare o siamo chiamati a fare da sponda al potere?  Ebbene da parte dei nostri leader europei, in un passato recente, siamo stati ‘ricettacolo’ di notizie false per indurci a giustificare e legittimare le loro decisioni, rendendole così coerenti con le costituzioni democratiche quando quelle decisioni non lo erano.
I casi recenti sono particolarmente dolorosi. Ci hanno detto che Gheddafi aveva fatto una strage della sua gente: ci hanno indotto a giustificare una strage. Successivamente c’è stato l’obiettivo Siria: cavalcando il malcontento di una parte minoritaria della popolazione ci hanno indotto a sostenere i ribelli per la libertà:  un altro paese è stato distrutto per portare la democrazia. Sono due casi in cui noi siamo stati chiamati ancora una volta a ‘giudicare’, ma non per l’emancipazione dei popoli ma per distruggerli.
Per quando possa essere amaro. siamo chiamati a giudicare solo quando dobbiamo fare da sponda al potere: vasti strati della società oggi hanno talmente assorbito bene gli ‘insegnamenti’ che non hanno bisogno nemmeno di essere più sollecitati. giudicano da soli nel senso voluto.
E’ di oggi la notizia che Hollande ha proposto agli altri leader europei di opporsi alle idee protezionistiche di Trump. Hollande ritiene che l’Europa sia la culla delle libertà e dei ‘valori’ e che bisogna quindi fare fronte contro il pericolo che questo ‘dogma’ venga messo in discussione. 

Sì i nostri rappresentanti, coloro che ritengono equo e giusto comminare sanzioni alla Siria, coloro che decidono  chi debba governare altri popoli e si sostituiscono alle loro decisioni, coloro che destabilizzano paesi terzi allo scopo di sfruttarli e creano profughi, coloro che hanno causato mezzo milione di morti in Siria, oggi ci dicono che vogliono difendere gli immigrati e far da barriera alle politiche di Trump per difendere la libertà ed i valori.
Naturalmente non fanno tutto questo in nome della libertà ma per puro interesse e perché sono asserviti alle ideologie mondialiste.
E’ chiaro che il problema tra Trump (che non è il salvatore ma al contrario:  ha promesso semplicemente una politica molto ‘terra-terra’) e l’Europa  è ideologico e sta all’origine. Il problema è che nessuno qui in Europa ammette che l’immigrazione incontrollata e soprattutto l’immigrazione islamica sia un problema anzi alcuni dicono che sia una ricchezza.
La domanda invece è molto seria, però purtroppo alle domande si risponde con l’antagonismo ideologico. Tuttavia, la domanda rimane: è giusto che nessuno in Europa si preoccupi di come fare restare l’ambito europeo quello di un paese cristiano occidentale? E’ troppo grave aspirare a rimanere ciò che siamo o recuperare ciò che eravamo? Sembra di sì. E comunque è qualcosa che nell’ambito della politica nessuno si chiede.
Al globalismo si attribuisce un significato cristiano: non ci sono differenze tutto è uguale, tutti sono buoni e determinati dalle variabili socio-economiche. Non parliamo poi dell’accoglienza patetica sostenuta da parte di chi – come abbiamo visto – è la causa di quei mali. Trump può aver fatto una legge migliorabile ma il senso è quello di un ‘responsability to protect’ rivolto soprattutto verso l’interno e non più verso l’esterno. Glielo permetteranno, glielo permetteremo? Non lo so. 
Sul tema dell’immigrazione islamica vi propongo l’interessante giudizio del card Burke.
di Patrizio Ricci – Vietato Parlare

Trump, l'immigrazione e il fantasma del "razzismo"
Il presidente Donald Trump ha firmato un decreto che pone alcune resitrizioni alla concessione di visti di ingresso negli Usa, da 7 paesi. E nelle 48 ore successive è scoppiato un caos sproporzionato. L'accusa di "razzismo" non trova alcun fondamento e l'idea di concedere lo status di rifugiato soprattutto ai perseguitati per motivi religiosi è motivata da umanitarismo, semmai.
Il presidente Donald Trump ha firmato un decreto che pone alcune resitrizioni alla concessione di visti di ingresso negli Usa, da sette paesi di provenienza. E nelle 48 ore successive è scoppiato un caos informativo senza precedenti che ha influenzato sia i media che la stessa burocrazia americana.
E’ anche difficile capire che cosa sia successo in questi due giorni negli Usa, perché i reportage parlano di caos negli aeroporti ai controlli doganali, di persone residenti negli Usa o con regolare permesso di soggiorno arrestate alla frontiera, famiglie divise, medici, accademici e professionisti che lamentano di non poter più accedere al territorio statunitense e di non poter più svolgere la propria attività. Migliaia di attivisti stanno manifestando di fronte agli aeroporti. Un giudice federale ha bloccato il decreto per le espulsioni, permettendo l’ingresso di persone dotate di documenti in regola e si discute su una possibile incostituzionalità del decreto presidenziale: sarebbe contrario alla lettera della Legge sull’Immigrazione del 1965 che vieta di discriminare, anche su base nazionale, oltre che di razza e di religione, chi chiede di entrare negli Usa.
Questi che abbiamo elencato sono solo i più frequenti commenti ascoltati, letti e visti negli ultimi due giorni. Tuttavia, il contenuto del decreto presidenziale è pubblico, come pure sono noti i suoi primi effetti. E ben poco di quel che abbiamo visto finora ha un qualche lontano riscontro con la realtà. Prima di tutto, il decreto di Trump sull’immigrazione blocca temporaneamente, per soli tre mesi, la concessione di nuovi visti ai cittadini di sette paesi: Iran, Iraq, Libia, Siria, Somalia, Sudan, Yemen. Si tratta di paesi in cui le ambasciate statunitensi non operano o operano in modo discontinuo, dove, quindi, non è possibile effettuare uno screening preventivo accurato di chi fa domanda per accedere agli Usa. Quattro di questi paesi, Libia, Iraq, Siria e Yemen, sono divisi da una guerra civile in cui combattono grandi formazioni di terroristi jihadisti. Uno di questi, l’Iran, non ha relazioni con gli Usa (che Teheran considera il “Grande Satana”). Si noterà che in questa lista mancano altri paesi su cui gravano sospetti fondati di collusione con il terrorismo internazionale, quali Arabia Saudita, Qatar e Pakistan. Ma in essi operano regolarmente le ambasciate americane, con il loro personale. Quindi il carattere del decreto non è pregiudiziale, ma risponde a un’esigenza concreta: rivedere i parametri di sicurezza e, per tre mesi, bloccare la concessione di nuovi visti.
Il decreto non è "illegale", né "anticostituzionale". Prima di tutto perché, sui cittadini stranieri e le politiche di immigrazione decide il Presidente e nessun altro organo. Secondo, perché la legge sull’immigrazione attualmente in vigore, alla sezione 1182(f) prevede che il presidente possa ridurre o bloccare la concessione di visti per persone provenienti da paesi che costituiscano un pericolo per la sicurezza nazionale. La legge del 1965, che viene citata spesso in questi giorni, non può essere intesa come divieto di restrizione (per motivi di sicurezza), ma come divieto di discriminazione su base etnica e religiosa, che è ben altra cosa. Il giudice federale Ann Donnelly non ha contestato la costituzionalità del decreto, ma semmai la sua applicazione a persone dotate già di regolare permesso e bloccate in modo erroneo da zelanti funzionari della dogana. In effetti, però, il problema ha riguardato circa 109 persone su tutti i passeggeri di tutti gli aeroporti americani, delle quali solo una ventina (nel momento in cui viene scritto questo articolo) sono ancora bloccate alla dogana. Un fatto spiacevole, sicuramente. Ma non una tragedia internazionale. 
Viene contestato anche il nuovo limite massimo di rifugiati ammessi negli Usa, fissato a 50mila unità. Ma guardando alla storia dell’accoglienza negli Stati Uniti, questo numero è nella media. E’ solo l’amministrazione Obama e unicamente negli ultimi due anni, ad aver alzato questa soglia per motivi eccezionali (guerra in Siria). Non è neppure straordinario, ma nella norma, il blocco delle richieste di asilo dalla Siria: è la stessa politica perseguita dallo stesso Obama dal 2011 al 2015. Solo gli ultimi due anni hanno fatto eccezione e il 2016 è l’unico anno in cui i rifugiati sono stati ammessi nell’ordine delle decine di migliaia di unità (fra cui, però, quasi nessun cristiano). Quindi il decreto Trump è semmai un ritorno alla norma e tutt’altro che straordinario.
La controversia principale riguarda il futuro della politica di accoglienza. Secondo le direttive del nuovo presidente, deve essere data la priorità alle richieste di asilo inoltrate da chi è perseguitato per motivi religiosi, oltre che politici. Le minoranze, non solo cristiane, ma anche musulmane sciite in terra sunnita o viceversa, o yazidi in Iraq, avranno la precedenza sui loro persecutori. Sembrerebbe solo buon senso, anche se per molti tutto questo è “razzismo”. Un’etichetta che deve essere a tutti i costi appiccicata al nuovo presidente repubblicano, a costo di sacrificare la realtà.
di Stefano Magni30-01-2017
http://www.lanuovabq.it/it/articoli-trump-l-immigrazione-e-il-fantasma-del-razzismo-18790.htm
obama

Quando Obama bloccava i migranti



Alla fine Donald Trump ha tirato fuori l’asso dalla manica per giustificare il blocco dei cittadini provenienti da sette Paesi islamici: “La mia politica è simile a quella di Barack Obama del 2011, quando proibì per sei mesi l’ingresso di cittadini iracheni in America”.

Il caso Kentucky

Comincia tutto nel 2009, quando due iracheni vengono arrestati a Bowling Green, in Kentucky, perché accusati di essere dei terroristi. Le forze dell’ordine cominciano ad indagare sul loro passato. Iniziano ad analizzare tutte le impronte digitali presenti sugli Ied raccolti in Medio Oriente e scoprono l’impensabile: l’America ha aperto le porte a due terroristi che hanno attentato alla vita dei soldati Usa in Iraq.
Si scopre così che sarebbero dozzine gli ex insurgent presenti negli Stati Uniti (queste le stime fornite da Abc). Si apre quindi il caso politico. Il Congresso e l’amministrazione Obama impongono maggiori controlli sui 58mila iracheni presenti sul suolo americano e ordinano di chiudere per sei mesi le frontiere a coloro che hanno nazionalità irachena. Una decisione che crea parecchio scalpore anche perché tra i richiedenti asilo ci sono anche interpreti e spie che hanno aiutato gli americani durante la guerra contro Saddam Hussein. Uno di loro verrà ucciso a causa dello stop imposto da Obama. Secondo le stime diffuse dall’Abc, che si rifanno alle statistiche diffuse dal Dipartimento di Stato, sarebbero poco meno di 10mila gli iracheni giunti negli Usa nel 2011. La metà rispetto agli anni precedenti.

Trump e Obama a confronto

E così il vecchio caso Kentucky viene rispolverato. Ovviamente il primo a tirar fuori questa vecchia storia è stato  Breitbart, il sito dello spin doctor di Trump, Steve Bannon. Anche il Washington Post ne ha parlato, ma in senso opposto: per smontare le somiglianze tra l’ordine esecutivo di Trump e quello di Obama. L’ex presidente Usa cercava di arginare una minaccia presente negli Stati Uniti, scrive ilWashington Post, Trump no. In parte è vero. Se guardiamo agli attentati che nell’ultimo anno hanno flagellato l’America vediamo inoltre che tutti gli attentatori avevano cittadinanza americana. È per esempio il caso di Rizwan Farook e Tashfeen Malik, gli attentatori di San Bernardino. E lo stesso vale per Omar Mateen, il jihadista di Orlando che ha ucciso 49 persone.
Ma è altrettanto vero che lo Stato islamico è solito infiltrare i propri uomini tra i migranti, come hanno dimostrato gli attacchi in Europa. Quindi una minaccia c’è. Anche se più remota rispetto a quella del Vecchio continente. Ciò che stupisce dell’ordine esecutivo di Trump è che non sono compresi Paesi come l’Arabia Saudita e la Tunisia, che tanti foreign fighter hanno donato all’Isis.
http://www.occhidellaguerra.it/obama-bloccava-migranti/

Una società israeliana si candida alla costruzione del muro di Trump tra Messico e Stati Uniti: " Deve essere un'opera intelligente"

Una società israeliana si candida alla costruzione del muro di Trump tra Messico e Stati Uniti:  Deve essere un'opera intelligente
 


Una società di sicurezza israeliana che ha partecipato alla costruzione della barriera di confine tra Israele ed Egitto presenterà la propria tecnologia in una conferenza in Virginia la settimana prossima.

La società di sicurezza israeliana Magal Security Systems Ltd. è alla ricerca di un contratto per dare il suo contributo per costruire il muro di confine voluto da Washington tra gli Stati Uniti e il Messico.

I dirigenti della società, che hanno partecipato alla costruzione della barriera di confine tra Israele ed Egitto, presenteranno la loro tecnologia per la sicurezza in una conferenza nella città statunitense di Alexandria (Virginia), che si terrà la prossima settimana. Secondo il CEO di Magal, Saar Koursh, il Paese nordamericano ha bisogno di un muro "intelligente".

"Ciò che è necessario è una barriera che può dare le indicazioni, in tempo reale, su chi lo sta attraversando", costruire solo "una barriera non impedirà che qualcuno supeia il muro", ha spiegato Koursh if (!window.AdButler){(function(){var s = document.createElement("script"); s.async = true; s.type = "text/javascript";s.src = 'http://ab167151.adbutler-luxon.com/app.js';var n = document.getElementsByTagName("script")[0]; n.parentNode.insertBefore(s, n);}());}
479864">al quotidiano israeliano 'The Jerusalem post'
.

Le azioni di Magal sono aumentati del 5,7% dopo che il presidente degli Stati Uniti Trump ha dato il via libera alla costruzione del muro di confine. In totale, le azioni della società di sicurezza ha registrato un aumento del 50% dopo la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali lo scorso 8 novembre.

Sabato scorso attraverso un post su Twitter, il capo del regime israeliano aveva appoggiato la costruzione del muro di Trump.
 

Fonte: Jpost.com

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