VATICANO: COMPLIMENTI PER LA SELEZIONE DELLE ELITES.
Il monsignore delle orge sodomitiche con cocaina in Vaticano, monsignor Luigi Capozzi è un “ardente sostenitore di Papa Francesco”. E’ il segretario del cardinal Coccopalmerio, il difensore di “Amoris Laetitia” dai “Dubia”, ardente sostenitore anche lui di El Papa, in passato ha fatto dichiarazioni sugli “aspetti positivi” delle coppie omosessuali. E aveva proposto un segretario kulattone e drogato per la carriera vescovile.
Mi resta il dubbio se Capozzi sia lo stesso “prelato appartenente ad un importante ordine religioso” il quale da mesi, hanno scritto i giornali, “nel tardo pomeriggio si mette a passeggiare avanti e indietro nei pressi di Sant’Anna, l’ingresso principale del Vaticano, ad adescare turisti e molestare militari, “come se una forza improvvisa, trascinante, irrefrenabile si impossessasse di lui fino ad indurlo a perdere ogni freno” . Penso sia un altro pervertito impunito. Anche lui sicuramente sostenitore ardente di Papa Francesco.
Come tutti voi, mi viene anzitutto il desiderio di congratularmi con “papa Francesco”. Complimenti, lei davvero ha successo nel “mettere i moto processi, gettare semi, aprire spiragli”, come preconizzava in Evangeli Gaudium, per esplicare uno dei suoi “quattro principi” o pseudo-concetti, di per sé alquanto mattoidi: “Il tempo è superiore allo spazio”.
I culattoni clericali non aspettavano che lei per scatenarsi, molestare militari, abbandonarsi senza vergogna né remore a quel che i culattoni fanno: il loro stile di vita “patologico, amorale, narcisistico” (nota). Prima si trattenevano un po’. Giustamente hanno interpretato la sua promozione alla testa dello IOR di monsignor Ricca, quello che conviveva con l’amante, un capitano svizzero, nella nunziatura apostolica di Uruguay in una “intimità così scoperta da scandalizzare numerosi vescovi, preti e laici, non ultime le suore che accudivano alla nunziatura.
Quel Ricca che “nel 2001 recatosi come già altre volte – nonostante gli avvertimenti ricevuti – in Bulevar Artigas, in un locale di incontri tra omosessuali, fu picchiato e dovette chiamare in aiuto dei sacerdoti per essere riportato in nunziatura, con il volto tumefatto”. Quello nei cui bauli dell’amante “ furono trovate una pistola, consegnata alle autorità uruguayane, e, oltre agli effetti personali, una quantità ingente di preservativi e di materiale pornografico”
Lei ha premiato il Ricca, “papa Bergoglio”, e cosa ne dovevano dedurre i culattoni brulicanti nei sacri palazzi? Lei ha scritto la Amoris Laetitia per consentire, senza dirlo, da furbo qual è, che si potrà dare la Comunione ai divorziati? E già i preti si son portati avanti: benedicono “nozze” di lesbiche, già padre Martin da lei scelto a dirigere le Comunicazioni in Vaticano augura ogni bene alle sfilate dei Gay Pride ed esorta la Chiesa a far propri i “doni speciali” di cui sono favoriti i sodomiti, già premono per il passo ulteriore: il matrimonio sacramentale delle coppie sodomitiche in Chiesa. Lei ha messo in moto processi, il resto viene da sé. Del resto, in quella Amoris Laetitia tanto amata dai laici illuminati e prelati progressisti e culattoni, non c’è il minimo consiglio alla castità, nessuna esortazione alla purezza, o almeno alla continenza – se non la si consiglia ai laici, volete che se ne sentano legati i cardinali? Quindi liberi tutti. Perché si sa, il tempo è superiore allo spazio.
Dice che lei, Bergoglio non sapeva del passato scandaloso di Ricca, probabilmente notorio in tutto il Sudamerica. Ma quando l’ha saputo, mica lo ha allontanato dalla carica di vertice della banca vaticana (posizione in cui, fra l’altro, si può essere soggetti a ricatti). Forse per debolezza di cuore, bontà, benevolenza e abitudine al perdono? Chiedete ai Francescani dell’Immacolata, se il Papa non è capace di stroncare, imprigionare, punire, sciogliere.
Bisogna tuttavia riconoscere che non è tutto e solo merito suo, “papa” Francesco: lei li ha promossi, esaltati e scatenati, ma in fondo se li è già trovati lì. Qualcuno prima di lei ha favorito la carriera di quei Coccopalmerio, di quei Kasper, di quei Ladaria, di quei Marx e Maradiaga; nessuno ha cercato di bloccarne l’ascesa … Complimenti gerarchia cattolica per la “selezione delle elites”. Eppure, bastava guardarli. Avete visto che facce? Nessuna di queste facce appartiene a qualcuno che si sia mai non dico macerato in digiuni e penitenze, ma nemmeno mai impegnato al primo gradino della vita cristiana. Facce di viziosi, di gaudenti, di tombeurs del femmes (o di hommes), facce lombrosiane da degenerati o da segnaletiche di polizia, da incalliti capibanda.
Non si sa come, ma tutti i cardinali illuminati e grandi sostenitori di Bergoglio hanno queste facce. Sarà un caso? Quelli con facce non diciamo aduste ed ascetiche, ma normali, il Papa li caccia e li liquida selettivamente ad uno ad uno, con la mira precisa di un cecchino. Vuol circondarsi di quelle facce.
Siccome dopo i settant’anni ognuno ha la faccia che si merita, quelle facce dicono qualcosa. Che la rivoluzione teologica e misericordiosa della Chiesa sia in mano a sporcaccioni?
Che sia in fondo questa la chiave de grandi cambiamenti, della “accoglienza senza limiti”, della Chiesa ospedale da campo, della chiesa povera per i poveri?
Non credo di dire una novità se faccio risalire questo tipo nuovo di selezione delle “elites vaticane” al Concilio. Più precisamente alla frase con cui papa Giovanni annunciava il Concilio tutto-misericordia:
“Oggi la sposa di Cristo [la chiesa] preferisce ricorrere al rimedio della misericordia piuttosto che brandire le armi della severità”.
Non fu subito chiaro che la medicina salutare della manica larga i prelati l’avrebbero adottata prima di tutto per sé, e le loro vite. A loro, anzitutto a se stessi, avrebbero cessato di usare severità. Eppure poco dopo Paolo VI lo disse proprio chiaro:
“Avremo nella vita della chiesa … un periodo di maggiore libertà, cioè di minori obbligazioni legali e di minori inibizioni interiori. Sarà ridotta la disciplina formale, abolita ogni arbitraria intolleranza, ogni assolutismo … Sarà promosso il senso di quella libertà cristiana, che tanto interessò la prima generazione cristiana, quando essa si seppe esonerata dall’osservanza della legge mosaica e delle sue complicate prescrizioni rituali”.
Finita la disciplina formale, ecco i prelati che si portano i drudi in ambasciata, i vescovi di curia che molestano i militari davanti al Portone di Bronzo alla vista di tutti; ecco i monsignorini in carriera che si fanno di coca con gli amichetti delle loro notti. Ecco i più alti prelati che sparano le più mirabolanti eresie, eccitati del resto dall’esempio di El Papa che non sa aprir bocca senza spararne almeno due, ogni volta è un nuovo Vangelo personale (“La Chiesa non crede più all’inferno dove la gente soffre”, “Dio sta cambiando ed evolvendo come noi stessi”, eccetera).
La conclusione di Scalfari, l’interlocutore preferito da El Furbo, è logica: “Francesco ha abolito il peccato”. La smentita della sala stampa vaticana (perché non da Bergoglio stesso? ) vuol dire poco.. Sono i prelati culattoni che hanno tratto la stessa conclusione, e si vede. “Minori obbligazioni legali, minori inibizioni interiori”, ecco il risultato.
La “misericordia” per la Kabbala
L’altra sentenza di Paolo VI, l’auspicio di quella “libertà cristiana, che tanto interessò la prima generazione cristiana, quando essa si seppe esonerata dall’osservanza della legge mosaica e delle sue complicate prescrizioni rituali”, mi evoca nella mente qualcosa.
Come sapete (o forse no), mi sono a lungo occupato delle sette ebraiche aberranti, quelle dei “credenti” nel falso messia Sabbatai Zevi, e nel falso messia polacco Jacob Frank. L’essenziale delle loro credenze era: l’arrivo del Messia abolisce la Legge; siccome il Messia è arrivato, non siamo più tenuti ai comandamenti. Dunque possiamo celebrare scambi delle donne, e fornicazioni rituali – cosa che infatti in queste sette si praticava e si pratica probabilmente ancora. Questa suggestione percorre tutto l’ebraismo, anche ai tempi di Gesù, se Egli ha avvertito che “non sono venuto a cambiare un solo iota” della Legge. Sabbatai Zevi, per scampare alla morte, finse di convertirsi all’Islam, Frank al cattolicesimo. Per i seguaci, Zevi compiva così la sua vera missione messianica, “scendere oltre le porte dell’impurità”, ipostatizzare era la vera salvazione. Violare la Torah era diventato da allora il vero suo adempimento. Di lì, la conclusione che “la salvazione si ottiene attraverso il peccato”. Del resto, il kabbalistico Tikkunei ha-Zohar (tikkun 69) sentenzia: “In alto non vigono più leggi d’incesto”, e loro, i veri credenti, sono ormai stati esentati perché vivono “in alto”.
Ebbene: un altro testo kabbalistico scritto in Spagna nel tredicesimo secolo, Sefer ha-Temmunah, dà una spiegazione (chiamiamola così) molto d’attualità: i precetti della Torah, positivi e negativi, i dieci comandamenti, vanno applicati alla lettera in questo eone, perché questa epoca è sotto il segno del “rigore”. Ma YHVH ci darà la prossima epoca: in cui la stessa Torah sarà letta in modo diverso: “Ciò che è al presente proibito sarà permesso”. Ciò perché questo nuovo eone, questa nuova epoca, sarà sotto il segno della misericordia (rahamim) .
(Gershom Scholem, Le Messianisme Juif, 1974, pagine 177-178)
NOTA
Così hanno definito lo stile di vita gay due fautori del militantismo sodomita: lo psichiatra Marshall Kirk e Hunter Madsen, esperto questo di tattiche di persuasione pubblicitaria e social marketing. I due sono stati arruolati dai militanti gay negli anni ’80 per preparare l’opinione pubblica ad accettare il “matrimonio” omosessuale. Sono loro gli inventori della “normalità” e “stabilità” della coppie omosessuali, della proiezione di tali coppie come famiglie del Mulino Bianco, con “la torta al forno e le tendine alle finestre”, desiderose di tagliare la torta nuziale convolando a giuste nozze a presiedere il focolare e la fedeltà coniugale. “La messa in opera della strategia però deve affrontare un notevole ostacolo: gli stessi gay, lo stile di vita gay. Questo stile di vita, descritto dagli stessi Kirk e Madsen come “amorale, narcisistico e patologico” rischia di rendere gli attivisti dei testimonial poco credibili per il messaggio normalizzante e rassicurante che si vuole trasmettere”. (Marshall Kirk e Hunter Madsen, After the ball. How America will conquer its fear and hatred of Gays in the90’s”, New York 1990 – Citato da Elisabetta Frezza, Malascuola, Roma 2017, pagina 45).
In una intervista ad Avvenire, il presidente della
Pontificia Accademia per la Vita (PAV), oltre ad aggiustare il tiro sul caso
Charlie, fa una disperata autodifesa delle sue scelte alla PAV, arrivando a
mentire sul caso Biggar e glissando sulle altre nomine più che discutibili. Una
conferma che con monsignor Paglia la cultura della vita registra un grave
cedimento.
Le nuove rivelazioni su un altro membro di fresca nomina della Pontificia Accademia per la Vita (PAV), pubblicate oggi dalla Nuova Bussola Quotidiana, sono la migliore risposta all’intervista di Avvenire a monsignor Vincenzo Paglia, che dell’Accademia per la Vita è presidente. Nell’intervista monsignor Paglia cerca anzitutto di rimettersi in linea con il comunicato di papa Francesco sul caso Charlie, ma su questi tentativi acrobatici stendiamo un velo pietoso (per rendersi conto della fumosità e ambiguità delle sue affermazioni sul caso Charlie, basta fare un confronto con le chiare proposizioni del cardinale Elio Sgreccia, suo predecessore alla PAV).
Ci soffermiamo invece sulle risposte che monsignor Paglia dà alle domande sulle discusse nomine alla PAV (ovviamente le domande sono fatte apposta per consentire a monsignor Paglia di controbattere alle accuse che da settimane piovono sul suo capo).
Anzitutto la questione del filosofo anglicano Nigel Biggar, già pronunciatosi a favore dell’aborto. Accuse respinte da Paglia, secondo cui invece «Biggar non solo è contrario all’aborto, ma mi ha confermato che combatterà contro questo tipo di cultura negativa in linea con la dottrina cattolica sul fine vita». E qui ci si chiede: ma l’accusa è sull’aborto, cosa c’entra il fine vita? Ma poi eccolo riferirsi al famoso dialogo del 2011 tra Biggar e Peter Singer, il filosofo animalista che teorizza anche l’infanticidio. Dice Paglia: «Sia prima, sia dopo la frase in cui sembra aprire all’aborto, in realtà si esprime “per tracciare una linea in maniera molto più conservativa” (sono proprio le sue parole) a difesa della vita. Certo, è stato facile leggere in modo malevolo un ragionamento complesso come quello da lui proposto».
Ah certo, questi cattivi che approfittano della complessità delle cose per interpretare in modo malevolo. E allora rileggiamo la famosa frase di Biggar: «Quindi, sarei disposto a disegnare la linea per l’aborto a 18 settimane dopo la concezione, che è approssimativamente quando inizialmente c’è qualche evidenza di attività cerebrale e quindi di coscienza. Per quanto riguarda il mantenimento di un forte impegno sociale per preservare la vita umana in forme ostacolate e per non diventare troppo casuali ad uccidere la vita umana, dobbiamo tirare la linea in modo molto più conservativo». Più conservativo ovviamente rispetto all’infanticidio. Quindi permettere l’aborto fino a 18 settimane è uno strenuo impegno a difesa della vita, secondo Paglia, e malevoli noi che diciamo che il professor Biggar è a favore dell’aborto. Non solo, nel suo mescolare parole e concetti per confondere le idee a chi lo ascolta, monsignor Paglia glissa sulle altre uscite del professor Biggar, rivelate dalla NBQ, che confermano le sue idee a favore dell’aborto e anche dell’eutanasia. Presentare il professor Biggar come strenuo difensore della vita significa dunque mentire sapendo di mentire.
Anzitutto la questione del filosofo anglicano Nigel Biggar, già pronunciatosi a favore dell’aborto. Accuse respinte da Paglia, secondo cui invece «Biggar non solo è contrario all’aborto, ma mi ha confermato che combatterà contro questo tipo di cultura negativa in linea con la dottrina cattolica sul fine vita». E qui ci si chiede: ma l’accusa è sull’aborto, cosa c’entra il fine vita? Ma poi eccolo riferirsi al famoso dialogo del 2011 tra Biggar e Peter Singer, il filosofo animalista che teorizza anche l’infanticidio. Dice Paglia: «Sia prima, sia dopo la frase in cui sembra aprire all’aborto, in realtà si esprime “per tracciare una linea in maniera molto più conservativa” (sono proprio le sue parole) a difesa della vita. Certo, è stato facile leggere in modo malevolo un ragionamento complesso come quello da lui proposto».
Ah certo, questi cattivi che approfittano della complessità delle cose per interpretare in modo malevolo. E allora rileggiamo la famosa frase di Biggar: «Quindi, sarei disposto a disegnare la linea per l’aborto a 18 settimane dopo la concezione, che è approssimativamente quando inizialmente c’è qualche evidenza di attività cerebrale e quindi di coscienza. Per quanto riguarda il mantenimento di un forte impegno sociale per preservare la vita umana in forme ostacolate e per non diventare troppo casuali ad uccidere la vita umana, dobbiamo tirare la linea in modo molto più conservativo». Più conservativo ovviamente rispetto all’infanticidio. Quindi permettere l’aborto fino a 18 settimane è uno strenuo impegno a difesa della vita, secondo Paglia, e malevoli noi che diciamo che il professor Biggar è a favore dell’aborto. Non solo, nel suo mescolare parole e concetti per confondere le idee a chi lo ascolta, monsignor Paglia glissa sulle altre uscite del professor Biggar, rivelate dalla NBQ, che confermano le sue idee a favore dell’aborto e anche dell’eutanasia. Presentare il professor Biggar come strenuo difensore della vita significa dunque mentire sapendo di mentire.
Quando poi a monsignor Paglia Avvenire offre l’assist per rispondere alle perplessità su altre nomine alla PAV, il presidente dell’Accademia risponde chiamando in causa papa Francesco che «ha voluto che tra gli accademici ci fossero anche persone di altre tradizioni cristiane e di altre religioni perché spera in una grande intesa trasversale per riaffermare il valore della vita e della dignità di ogni persona». E ovviamente non poteva mancare un riferimento a muri e ponti: «Di fronte alle grandi frontiere dell’umano non c’è bisogno di alzare steccati, ma di cercare ovunque alleati convinti che siano anche scienziati preparati». Belle parole, ma nessuno ha polemizzato sulla appartenenza religiosa dei membri: il problema è invece che diversi dei nuovi membri non affermano affatto il valore della vita o, per meglio dire, hanno un concetto diverso della vita, almeno per quel che riguarda i momenti dell’inizio e della fine. Il caso di Katarina Le Blanc, svelato dalla NBQ, ne è un esempio clamoroso, ma lo scandalo non si ferma qui.
Quanto alla PAV, poi, bisogna ricordare che la più che discutibile scelta dei nuovi membri si aggiunge alla vergognosa epurazione di scienziati dedicati alla vita che pure hanno dato lustro all’Accademia voluta da san Giovanni Paolo II. E che la ricerca di alleati nella difesa della vita al di fuori della Chiesa cattolica abbia un’ambiguità all’origine lo dimostra il fatto che con i nuovi Statuti i membri della PAV non devono più sottoscrivere l’«Attestazione dei servitori della vita», obbligatoria fino a pochi mesi fa.
Tutto dunque è più fluido, più ambiguo, sotto la direzione di monsignor Paglia, di sicuro un grave cedimento nella battaglia per la cultura della vita.
Tutto dunque è più fluido, più ambiguo, sotto la direzione di monsignor Paglia, di sicuro un grave cedimento nella battaglia per la cultura della vita.
05-07-2017
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