L'AMMINISTRATORE DELEGATO
di Francesco Lamendola
Una possibile chiave di lettura del “caso Bergoglio”, cioè di un papa che non si mostra affatto preoccupato di difendere il deposito della fede, anzi, si circonda di amici che l’hanno sempre avversata, e che infligge egli stesso, in continuazione, colpi di maglio a ciò che sta maggiormente a cuore al credente, generando confusione, smarrimento, angoscia, fra milioni e milioni di cattolici, è quella data, circa anno fa, dal giornalista Stefano Lorenzetto sul giornale informatico La Fede quotidiana (21 ottobre 2016):
Non è vero, come sostiene qualcuno, che il papa su alcuni temi come la sessualità faccia fughe in avanti o taccia. Anzi, leggendo le sue recenti dichiarazioni, è persino un restauratore ed ha usato espressioni anche più forti dei suoi predecessori. Piuttosto, e qui arrivo al punto della difesa dei principi non negoziabili, ritengo che il papa abbia scelto consapevolmente di non porli al centro della sua agenda per scelta, in quanto essi sono divisivi. Bergoglio non è sicuramente immune dalla ricerca del consenso e molte volta fa il piacione, però pensa da amministratore delegato della Chiesa con le sue strategie. Ritiene che insistendo sui valori non negoziabili, che spaccano, non avvicina i lontani ben sapendo che i fedeli, dal canto loro, non andranno via. In sintesi, ritiene di scegliere strategie che mirano ad avvicinare alla Chiesa chi non crede.
Non sappiamo se il giornalista sia rimasto di questa idea, anche alla luce dell’ultimo anno di pontificato, nel corso del quale Bergoglio non si è limitato a tacere sui valori non negoziabili, ma ha moltiplicato gli attacchi contro le basi teologiche e morali sui quali essi si basano. Perché è chiaro che i valori non negoziabili sono la conseguenza di una concezione assoluta dell’etica, che, a sua volta, trae la propria ragion d’essere dall’insegnamento di Gesù Cristo: non è negoziabile ciò che ha insegnato Gesù Cristo. Ma se si tace su tutto quel che Gesù ha detto e fatto riguardo ai valori etici non negoziabili, si distorce il Vangelo e si trasforma la dottrina cattolica in un’altra cosa: in un prodotto adeguato alla domanda del consumatore odierno, che non vuol saperne di rimproveri, non vuol sentire cose sgradite ai suoi orecchi, vuole solo essere confermato e autorizzato a fare quel che sta già facendo; e per il quale è bravo e simpatico un papa che dice sempre di sì, brutto e cattivo, invece (come lo era Ratzinger) un papa che dice anche qualche no, o che non dice di sì con quella tempestività e con quella sicurezza che egli vorrebbe.
Ad ogni modo, prendiamo come plausibile la tesi di Lorenzetto e proviamo ad esaminarla: il papa, secondo lui, evita lo scontro su quelle cose che inevitabilmente dividono, perché la cosa che gli sta maggiormente cuore è far sì che l’azienda resti competitiva, frutti degli utili, vale a dire che non perda quote di mercato (ci si perdoni la brutalità del linguaggio, ma è per restare all’interno dello scenario delineato da Lorenzetto, che parla di mentalità da amministratore delegato): insomma che tenga i conti in ordine ed eviti ad ogni costo, come se fosse la sciagura più tremenda, di entrare in passivo. Questa interpretazione sarebbe plausibile, se, come abbiamo già detto, il papa si limitasse a dribblare sui grandi temi non negoziabili, mentre invece egli si presta più che volentieri ad aggredire reiteratamente e frontalmente la basi stesse della dottrina cattolica. Non staremo qui a fare un elenco di tali aggressioni: ci vorrebbero pagine e pagine. Da quando ha asserito che Dio non è cattolico, a quando ha definito l’apostolato una solenne sciocchezza, a quando ha affermato che Gesù si è fatto diavolo e serpente, a quando ha parlato della Madonna, a Fatima, senza neanche nominare il tema del peccato e della penitenza, che è centrale nelle apparizioni mariane, il papa, tanto con le sue parole che coi suoi silenzi, ha smantellato tenacemente, pervicacemente, giorno dopo giorno, le basi della dottrina cattolica, fino ad affermare esplicitamente che la dottrina stessa, se divide, diventa “ideologia” e cioè una cosa cattiva, adatta alle persone rigide e fanatiche, mentre la “vera” dottrina è quella che unisce tutti e non divide mai: concetto sbagliato, assurdo e blasfemo, che qualsiasi professore di teologia avrebbe bocciato in uno studente del primo anno, se questi avesse avuto l’ardire di sostenerlo. E poi ci sono state le azioni, i modi di fare, gli atteggiamenti ostentati: come quello di aver accettato l’elezione papale, lui, gesuita, sapendo benissimo che ciò è contrario alle intenzioni del suo Ordine e del suo fondatore, Ignazio di Loyola; o la scelta del nome, Francesco, suggerendo una sua attitudine “francescana” che è lontanissima dalla realtà, perché la qualità numero uno di san Francesco era l’umiltà, cosa che fa gravemente difetto a Bergoglio, senza contare il fatto che nessun papa, prima di lui, si era ritenuto degno di assumere il nome di un santo così grande, e facendo finta di non sapere che quel che si chiede a un papa non è di essere santo (se lo è, beninteso, tanto meglio), ma di custodire fedelmente il sacro deposito della fede, impedire gli errori, le deviazioni, le eresie, e fare in modo che le diverse anime e sensibilità, inevitabilmente presenti nella Chiesa, si sentano tutte ugualmente ascoltate, apprezzate, rappresentante e valorizzate, nello spirito di servizio di Gesù Cristo, mentre costui, fin dal primo, giorno, non ha fatto che spaccare la Chiesa, schierarsi a capo di una parte contro l’altra, scagliare impietose critiche, motteggi e derisioni contro i cattolici che non condividono le sue linee pastorali ed aizzare sempre di più gli altri, i suoi fedelissimi, che ha messo in tutti i posti-chiave e grazie ai quali controlla al cento per cento il grande organismo della Chiesa, come mai nessun papa, per quanto autoritario, aveva fatto sinora, almeno dopo i secoli del Medioevo, quando la situazione storica era ben diversa e anche la mentalità degli uomini lo era. E ancora: il salutare la folla, in Piazza San Pietro, la sera dell’elezione, con un Buonasera, al posto del doveroso e sacrosanto Sia lodato Gesù Cristo; o il rifiuto di abitare nei Sacri palazzi, come se i suoi predecessori si fossero concessi dei lussi poco evangelici; o il trasformare la Messa quotidiana nella casa di Santa Marta in un palcoscenico dal quale rappresentare tutti i santi giorni lo spettacolo della sua riforma, del suo cambiamento, del suo stravolgimento della dottrina e della pastorale cattoliche, facendo di se stesso il centro dell’attenzione e incoraggiando in ogni modo il culto della propria personalità, mentre la presenza di Gesù Cristo, per non parlare della Madonna, scivola sullo sfondo, e par quasi che la gente, quando ascolta la messa, desideri vedere e ascoltare lui e non già, tramite lui, come attraverso qualsiasi altro sacerdote, la presenza del Signore nostro Gesù Cristo, eterna e immutabile, certa e assoluta per tutti i secoli dei secoli. E che dire del fatto che non si vede mai questo papa inginocchiarsi devotamente e umilmente davanti al Santissimo? Come si deve interpretare il suo comportamento? Esso è tale da far sorgere spontanea la domanda: ma ci crede, Bergoglio, alla Presenza Reale di Gesù Cristo nel Sacrifici eucaristico, oppure no? E tutto questo mentre una realtà ecclesiale stupenda, per fervore di fede e ricchezza di vocazioni, quella dei Francescani e delle Francescane dell’Immacolata, è stata decapitata da una azione mirata e deliberata di Bergoglio, incomprensibile, inspiegabile, e che egli, infatti, non si è degnato di spiegare ad alcuno, e che nessuno, in Vaticano e nella Chiesa, ma anche fra gli ammiratori laici di questo papa, nel clima di generale servilismo e ottundimento di qualsiasi senso critico, si è degnato di chiedergli che la spieghi. Il messaggio di quella vicenda, comunque, è stato chiarissimo: guai ad essere “troppo” cattolici: si vede che san Massimiliano Kolbe, il Cavaliere dell’Immacolata, al di là delle agiografie d’obbligo, dà oggi più fastidio che mai, perfino più fastidio di quanto ne desse in vita: perché non è vero che Kolbe fu amato e apprezzato in vita, niente affatto, egli venne osteggiato, deriso, disprezzato da ogni parte, lottò sempre contro tutti e specialmente contro certe opposizioni che gli venivano da dentro la Chiesa, e gran parte del suo messaggio è stato travisato o passato sotto silenzio, perché, evidentemente, si tratta di un messaggio scomodo, sgradito, che non piace a papa Bergoglio e non piace ai preti di strada, ai vescovi progressisti e ai teologi modernisti che oggi si sono praticamente impadroniti della Chiesa cattolica e di gran parte della società e della cultura cattoliche. Ora, l’ipotesi di Lorenzetto ci offre una chiave di lettura: i Francescani dell’Immacolata sono stati perseguitati (non è possibile adoperare una parola diversa, se si vuole avere un minimo di rispetto per la verità) in quanto erano troppo divisivi, cioè troppo legati ai valori non negoziabili; e ciò andava contro la strategia “aziendale” del papa, che considera alla stregua di ostacoli da rimuovere tutti i “muri”, dato che per lui ci sono solo ponti da gettare.
Ma è vero, poi, che la strategia aziendale di Bergoglio, se di questo si tratta, avvicina le persone non credenti alla Chiesa e frattanto non allontana quanti, nella Chiesa, ci sono già? A parte ogni altra considerazione, a noi sembra evidente che no: chi è fuori dalla Chiesa perché non crede, o perché rifiuta la sua morale, o per entrambe le ragioni, non le si avvicinerà e tanto meno vi entrerà, solo perché il papa, diplomaticamente, tace su quelle cose che potrebbero offenderlo o respingerlo: è un inutile sacrificio della vera dottrina e della sana pastorale, in nome di una folla che non sarà mai cattolica, perché non ha alcuna intenzione di convertirsi. A questo punto, bisogna vedere cosa si intende per “avvicinarsi alla Chiesa”. Se si intende un avvicinamento ideologico, sulla base non della verità, ma del compromesso, carico di ambiguità, deciso dal papa, ci pare evidente che la cosa è priva di significato: che importanza ha che la signora Bonino si “avvicini” alla Chiesa in questo modo? Al contrario: tali avvicinamenti sono un danno e un pericolo, perché tendono a introdurre nella Chiesa, per compiacere questi “fratelli non credenti”, delle posizioni erronee, talvolta decisamente eretiche. È quindi una scelta che si risolve in un gravissimo danno per la Chiesa, che smarrisce ogni giorno di più la sua identità, e che non è più la custode della fede; ma è un grave danno anche per le anime che ne sono lontane, perché dà loro a credere che anche la loro posizione sia valida e legittima, e, così facendo, le sospinge verso la perdizione definitiva. Per essere più chiari: è meglio che il papa dica ai radicali: Convertitevi o non avrete la salvezza eterna!, anche se ciò non li avvicinerà alla Chiesa, ma forse innescherà, in un secondo tempo, una crisi salutare, almeno in alcuni di loro, fosse pure in uno soltanto (anche la salvezza di una sola anima è preziosa). Il vero amore di carità, proprio del cristiano e ben diverso dall’amore del mondo, non consiste nel cercar sempre e solo ciò che unisce, ma nel dire all’altro, francamente e lealmente, il proprio pensiero, e nell’avvertirlo che sta sbagliando; diversamente, ossia tacendo, il cristiano si carica l’anima di una colpa: Perché il peccatore morirà a causa del suo peccato, ma della sua morte io chiederò conto a te, che non l’hai ammonito, dice il Signore, nel Libro di Ezechiele.
Non ci serve un papa che pensa da amministratore, ma un papa che custodisce la fede
di Francesco Lamendola Del 28 Agosto 2017
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