IL SACRIFICIO EUCARISTICO
Tutta la vita del mondo è nel Sacrificio eucaristico. E' il centro di tutto: l’atto d’amore col quale Dio si manifesta agli uomini, è la chiave di volta universale; chi non ha capito questo non ha capito nulla del cristianesimo di Francesco Lamendola
Il Sacrificio eucaristico è il centro di tutto, è la chiave di volta universale: chi non ha capito questo, non ha capito nulla del cristianesimo. Non solo: il Sacrificio eucaristico è l’atto d’amore del Figlio verso il Padre, oltre che il suo atto d’amore verso l’umanità peccatrice; e nessuno può giungere al Padre se non passa per il Figlio, se non crede nel Figlio: pertanto, il Sacrificio eucaristico è l’atto d’amore mediante il quale Dio si manifesta agli uomini, fin nelle profondità della sua sostanza, in una maniera tale che nessuna mente razionale riuscirebbe mai a raggiungere, con tutto rispetto per i teologi e la teologia.
Chi ha visto me, ha visto il padre; e come puoi tu dire: Mostraci il Padre? Non credi tu che io sono nel Padre e il Padre è in me? Sono le parole che Gesù rivolge all’apostolo Filippo, durante l’Ultima Cena, per rispondere alla sua richiesta di far vedere ai suoi discepoli il Padre. E a Tommaso, che gli aveva domandato la via per poterlo seguire, quando aveva annunciato loro che stava per lasciarli e per ritornare al Padre: Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Ecco una frase che bisognerebbe imprimersi bene nella mente; che ogni cattolico dovrebbe meditare a lungo, e confrontare con le dichiarazioni, impregnate di relativismo e d’indifferentismo religioso, di certi esponenti della neochiesa odierna, secondo i quali tutte le religioni portano ugualmente a Dio, anzi, non c’è nemmeno bisogno di esse, purché si segua onestamente la propria coscienza: Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me.
Ossia, per essere ancora più chiari: Cristo è la porta della verità, Cristo è Lui stesso la Verità. Se non si riconosce che Gesù Cristo è il Re dell’universo; se non si piegano le ginocchia davanti a Lui, così come deve fare ogni creatura in cielo, in terra e sotto la terra; se non si confessa che Gesù è Dio, il Salvatore, venuto nel mondo per redimerlo e non per “dialogare” con esso, non per chiacchierare con i sacerdoti delle altre religioni, non per smerciare una delle tante dottrine di salvezza che allora, e anche prima d’allora, e pure dopo, fino ai nostri giorni, intasano il “mercato” della soteriologia, si è fuori dal Vangelo, fuori dal cristianesimo e fuori dalla Verità. Non si può tenere il piede in due scarpe; non si possono servire due padroni. Non si può indossare l’abito sacerdotale e poi entrare in un tempio buddista e pregare, o meditare, insieme ai monaci buddisti, perché solamente Cristo è via alla verità, e Verità Egli stesso. E non si può, da sacerdote cattolico, invitare i fedeli di un altro culto a entrare in chiesa per partecipare alla santa Messa, perché la santa Messa è il sacrificio di Cristo e niente altro; non li si può invitare, o autorizzare, a introdurre in chiesa le divinità della loro religione, perché la chiesa è la dimora di Gesù Cristo, nel Santissimo Sacramento; e non si può dire che i “fratelli maggiori” ebrei sono già nella verità e nella salvezza, perché esiste una sola Verità e una sola strada per la salvezza, che passa per Gesù Cristo, e quindi attraverso il riconoscimento che Gesù è il Verbo incarnato, morto e risorto per noi, disceso dal Padre e dispensatore, insieme al Padre, dello Spirito Santo, che è spirito di Verità e di Vita. Non esistono altre verità, all’infuori di questa verità; soprattutto, non esistono altre verità che stiano sullo stesso piano della Verità insegnata da Gesù Cristo, e rappresenta dalla persona di Gesù Cristo, dal suo Sacrificio cruento per amore degli uomini, dalla sua gloriosa Resurrezione. Chi la pensa diversamente, non è cattolico. Sarà una brava persona; sarà una persona intelligente; sarà tutto quel che si vuole, ma non sarà mai un cattolico: e quindi non si trova sulla strada della Verità, ma su una strada che porta da qualche altra parte; dove, non sapremmo dire. Tutto quel che sappiamo e che possiamo dire è che esiste una sola strada che conduce alla Verità, anche se moltissimi possono essere i punti di partenza; e che una sola è la Verità, anche se sono molte le cose o le persone che le rassomigliano, ma soltanto ad uno sguardo molto, ma molto superficiale.
E tuttavia molti, moltissimi cattolici, oggi, non sono capaci di confessare questo credo; non sono capaci di restare fedeli all’ultimo discorso terreno di Gesù Cristo, il quale, rivolgendosi ai dodici apostoli (anzi, agli undici, perché Giuda Iscariota si accingeva a uscire per tradirlo), si rivolgeva a tutti i suoi seguaci di ogni tempo e luogo, e dunque anche a noi. E non ne sono capaci per una ragione molto semplice, e anche molto triste: la superbia intellettuale, tipica della modernità, la quale, come il succo di un frutto avvelenato, è penetrata nella mente e nel cuore di costoro, e rende loro impossibile confessare il Cristo, Figlio del Dio vivente, perché essi temono di passare per fanatici, per integralisti, per persone ottuse, limitate, intellettualmente rozze. Infatti: oggi va di moda dire che il mondo moderno è complesso, e che la ragione dei moderni è troppo raffinata per accettare l’idea che la Verità sia tutta in un luogo, anzi, che sia tutta in una sola Persona. No; i moderni si credono sapienti e intelligenti, perché hanno elaborato l’idea che la verità si trova un poco di qua e un poco di là; che è distribuita dappertutto, e quindi, alla fine, da nessuna parte; che nessuno deve presumere di averla trovata, perché ciò farebbe di lui un presuntuoso, un fanatico e, oltretutto, un ingenuo. E non c’è nulla che l’uomo moderno tema, come il passare per un ingenuo. Per questo è così difficile che un cattolico dei nostri giorni confessi il Cristo, e solamente il Cristo; per questo gli riesce tanto più facile cincischiarsi con le parole, dire che Dio non è cattolico, che germi di verità esistono dappertutto (possibile, se non certo), e che nessuno la possiede interamente (falso, per un cattolico); per questo succede, così spesso, di vedere e udire dei cattolici parlare e comportarsi esattamente come i non cattolici e come i non credenti: perché condividono, con essi, la cosa principale, l’incredulità. Non credono seriamente alle parole di Gesù Cristo, non riescono a prenderle così come sono, in tutta la loro semplice evidenza; non riescono assolutamente a piegare la testa, a piegare gi occhi, a piegare il ginocchio davanti al Nome di Gesù Cristo: no; essi dicono: Ma anche l’uomo è qualche cosa, dopotutto! Perché mai dovremmo inginocchiarci? Perché mai dovremmo adorare soltanto Gesù Cristo? Perché mai dovremmo escludere dalla nostra adorazione le altre divinità, le altre credenze, le altre fedi? Chi siamo noi per giudicare che essi sono nell’errore? Chi siamo noi per affermare, con assoluta certezza, che tutte le altre divinità sono, come dice Dante, “falsi e bugiardi”? Via, un po’ di modestia, per piacere.
E invece non è la modestia che li ispira; no, e neppure l’umiltà: al contrario, è una profonda, radicatissima, invincibile superbuia intellettuale. Si scandalizzano di ciò che Gesù Cristo chiede ai suoi discepoli, di credere in Lui solo, di affidarsi interamente a Lui, di prendere alle lettera le sue parole: Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Gesù, comunque, lo aveva profetizzato: Vi scandalizzerete di me e mi lascerete solo. I cattolici moderni, o sedicenti tali, gli pseudo cattolici modernisti, si comportano esattamente come fecero gli apostoli la sera in cui Gesù fu tradito: si scandalizzano di Lui e lo lasciano solo, si vergognano di dire: Sì, siamo dei suoi; fanno come san Pietro, nel cortile del sommo sacerdote, interrogato dalla serva malevola: No, non conosciamo quell’uomo. Se lo conoscessero, infatti, conoscerebbero anche il Padre; e, se lo conoscessero, lo confesserebbero, e direbbero che Lui solo è il maestro, Lui solo è il modello, Lui solo è meritevole di essere creduto, amato, adorato, da ogni creatura che sta nel cielo, sulla terra e sotto la terra. Ma poiché sono imbarazzati dal fardello del loro stesso orgoglio, dalla loro sconfinata superbia intellettuale; e poiché i libri che hanno letto e i falsi ragionamento nei quali si sono sviati, li hanno convinti che nessuno può conoscere la verità, e che, se qualcuno lo dice, deve essere considerato alla stregua di un pazzo o di un colossale ingenuo, e loro non vogliono passare né da pazzi, né, meno ancora, da ingenui, ecco perché non confessano Gesù Cristo, ecco perché si scandalizzano di Lui e lo lasciano solo, ancora una volta, infliggendogli quasi una seconda Passione, che si rinnova continuamente, e nella quale i chiodi, la corona di spine, il colpo di lancia al costato, sono le loro parole piene di ambiguità, di circospezione, di furbizia da quattro soldi, dietro le quali credono di nascondere la loro effettiva incredulità, la loro mancanza di fede, unica e sola ragione dei discorsi obliqui e inconsistenti dei quali si servono per esprimere il loro bisogno di un “cristianesimo adeguato alla mentalità dell’uomo moderno”, un “cristianesimo adulto”, quasi che la fede dei loro padri fosse roba per vecchi dalla mente indebolita.
Scriveva don Divo Barsotti (Palaia, Pisa, 25 aprile 1914-Settignano, Firenze, 15 febbraio 2006), monaco, predicatore, sacerdote, fondatore della Comunità dei Figli di Dio, uomo dalla profonda spiritualità, ammirato da numerose personalità eminenti, fra le quali il cardinale Giacomo Biffi, in uno dei suoi libri forse più intensi, anche se meno conosciuti, Diario giapponese (Brescia, Morcelliana, 1979, pp. 7-9):
Non vi è novità che nella rinunzia a ogni novità. La novità è solo la Presenza immutabile. Non devi vivere fuori di te. Nessuna missione deve portarti fuori.
Tutta la vita del mondo si raccoglie e si esprime nell’atto del Sacrificio eucaristico. Tu devi vivere quell’Atto. È necessario che la tua vita sempre più si identifichi a quell’Atto, è necessario che ogni tua attività, ogni tuo programma si nasconda, che da quell’Atto sia assorbita e in quel’Atto sparisca ogni tua vita e azione.
Non rimane che Cristo nell’atto della sua morte, nel mistero della sua Risurrezione.[…]
Quello che caratterizza Gesù in confronto a Socrate, a Buddha, a Confucio, è che Egli vive la vicinanza assoluta del Padre – la sua vita non è perfezione di saggezza, ma rapporto assoluto di amore.
Non v’è nulla di più grande e di più straordinario nel cristianesimo della preghiera. Non è un mezzo di perfezione, non è un’esperienza di armonia, di pace, di plenitudine – è l’atto nel quale per te diviene reale Dio stesso.
Se il Figlio non fosse non sarebbe il Padre – ora finalmente ho compreso. Dio non è che nel rapporto del Padre col Figlio, nel rapporto del Figlio col Padre. E Dio si fa reale, è per te solo nella tua preghiera, perché nella tua preghiera tu partecipi a quello stesso rapporto. […]
La profezia dell’Emmanuele non si è compiuta solo perché la Vergine ha concepito un figlio, ma perché il figlio rimane nascosto e tuttavia presente in un mondo nemico. Sembra che il male prevalga e sommerga tutto, sembra che non vi sia scampo e ogni cosa sia votata allo sterminio e tutto rovini – ma nel seno del mondo l’Emmanuele vive ed è difeso dal suo silenzio, è protetto dalla sua povertà.
Tutta la vita del mondo è nel Sacrificio eucaristico
di Francesco Lamendola Del 28 Settembre 2017
continua su:
Sul segno della Croce
Cristo benedicente (mosaico ravennate)
Noto stupore, confusione, persino maldicenze, quando la gente vede che solgo segnarmi con tre dita unite ("come fanno gli ortodossi", dicono loro, come pretesto per accusare chicchessia di scisma). Al di là del fatto che anche i Cattolici Orientali si segnano in questo modo, dimostro qui che storicamente anche in ambiente romano il segno di croce si faceva con tre dita unite e toccando prima la spalla destra.
Scrive Papa Innocenzo III (Pont. 1198-1216) nel suo De sacro altaris mysterio (II, 45):
Il segno della croce deve essere fatto con tre dita, poiché si fa con l'invocazione della Santissima Trinità. Il modo deve essere dall'alto al basso e da destra a sinistra, perché Cristo è sceso dal Cielo sulla terra ed è passato dai giudei (destra) ai gentili (sinistra).
Poco più avanti aggiunge:
Vi sono alcuni, in questo momento, che fanno il segno della croce da sinistra verso destra, a significare che dalla miseria (sinistra) possiamo giungere alla gloria (destra), così come è successo con Cristo nel salire al Cielo. Alcuni sacerdoti fanno in questo modo e le persone cercano di imitarli.
Quest'ultimo uso, di stampo gallicano, si diffuse a partire dal XIII secolo, quando i fedeli iniziarono a imitare il modo in cui il sacerdote dà la benedizione (riproducendolo specularmente, dunque, e non seguendolo visivamente).
Papa Innocenzo III non fa menzione di un segno di croce con cinque dita, ma è probabile che nella sua epoca fosse già stata introdotta in ambito gallicano questa pratica, soprattutto per ignoranza anche del clero, contro la quale il Papa volle combattere con questo scritto.
Il segno di croce con la mano aperta a cinque dita compare per la prima volta in un documento ufficiale nelle rubriche del Missale Romanum di S. Pio V (1570), sul quale però non ci si sofferma, la qual cosa ci fa intuire che in quei trecento anni l'usanza, anziché venire combattuta, si diffuse fino a diventare pratica comune. La simbologia delle cinque piaghe è assai tardiva rispetto a queste date.
Ora, se a partire almeno dal XVI secolo quest'usanza è legittimamente diffusa e codificata, nulla mi dovrebbe vietare (anzi!) di tenere in auge una pratica più antica, simbolicamente più ricca, legittimata da Sommi Pontefici e di origine sicuramente apostolica. Accuse di "cripto-ortodossia", al di là del fatto che (ripeto) è un uso dei Cattolici Orientali pienamente in comunione con Roma, si rivelano dunque non solo del tutto infondate, ma finanche pretestuose. Del resto, come dice san Girolamo, “molti cadono in errore perché non conoscono la storia” (In Matthaeum I, 2,22).
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.