ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 10 ottobre 2017

I nuovi barbari del terzo millennio


ANALFABETI DELL'AMORE
Analfabeti dell’amore, dobbiamo ritrovare l’agàpe. Siamo i nuovi barbari del terzo millennio? Abbiamo scordato ciò che un tempo sapevamo, che sapevano i nostri vecchi: che l’amore è dare, a somiglianza di quanto Dio fa con noi 
di Francesco Lamendola  


Uno dei segnali più inequivocabili del ritorno del paganesimo nella società moderna, dopo che essa ha espulso da sé il cristianesimo e la concezione spirituale della vita da esso recata, è il ritorno a una concezione brutale, egoistica, pagana appunto, dell’amore.

Uno dei maggiori progressi che l‘avvento del cristianesimo ha portato nella cultura occidentale è stato l’affermazione di una nuova concezione dell’amore, cioè dell’amore come agàpe, parola che già esisteva nel vocabolario greco ma che era poco adoperata, a vantaggio dell’eros, l’amore di passione, e della filia, l’amore di amicizia. Salvo rarissime eccezioni, la poesia greca e quella latina ci parlano dell’amore come di una relazione dei sensi, del corpo, nella quale poco o niente è coinvolta la sfera spirituale: si tratta di un desiderio violento, di un gioco dei sensi, insomma di erotismo nel senso oggi corrente della parola. Sotto questo punto di vista, le letterature classiche non ci danno il quadro di una società in cui l’amore fosse visto come un rapporto totale, fatto anche di delicatezza e d’incontro profondo nella sfera affettiva, ma piuttosto come un gioco di corpi e una attrazione selvaggia, cui è impossibile resistere. La dimensione spirituale è semmai presente, specialmente in Platone, al livello dell’omofilia e della pederastia: il che la dice lunga su quanto la nostra sensibilità sia cambiata, dato che simile impostazione ci appare sotto una luce più che discutibile, per non dire ripugnante, poiché unisce due orientamenti sessuali che a noi appaiono disdicevoli, l’omosessualità (almeno fino a qualche tempo fa…) e la pedofilia: si trattava, infatti, della relazione di un uomo adulto con un ragazzo impubere. 
Un’altra eccezione è data. nella poesia latina, da Virgilio, il quale, specialmente nel dramma di Didone, si mostra capace di una altissima comprensione del mistero dell’amore, e del male morale in esso latente, e perciò sempre possibile, fino all’autodistruzione del soggetto più debole, o più sensibile, magari più generoso; cosa che rende ancora più densa la nebbia sul mistero del male che scaturisce da una cosa apparentemente dolce e desiderabile come l’amore.
È merito del cristianesimo se all’amore come eros è subentrato, quale modello della nuova civiltà creata dal Vangelo, l’amore comeagàpe: l’amore spirituale perfetto, che nulla domanda e nulla si attende per sé, ma vuole solo donare, donare gratuitamente e instancabilmente. Il grande modello dell’amore come agàpe è Dio, che ama gli uomini così infinitamente da aver mandato loro, dopo una serie di profeti, il suo Figlio unigenito, per redimerli dal peccato, nonostante la loro cocciuta e violenta ingratitudine (si veda la parabola dei vignaioli omicidi, che, alla luce della Passione di Cristo, si tinge di un chiaro significato profetico). Naturalmente si tratta di un modello ideale, cui si può tentare di avvicinarsi, ma che nessuno, neppure il monaco eremita, che vive di ascetismo, può realizzare sino in fondo, tanto meno l’uomo o la donna che vivono nel mondo; nondimeno, si tratta di un modello nobilissimo, che contribuisce alla santificazione del matrimonio e che conferisce alla relazione fra uomo e donna, così come la propone il messaggio cristiano, una particolare delicatezza, maturità e armonia, quale raramente si poteva realizzare nel mondo pagano, dove tutto era lasciato al buon volere del pater familias. Quando si considera che costui, nel mondo romano (ma anche in quello greco, a Sparta specialmente) aveva il potere di vita e di morte sui figli e che, teoricamente, poteva scegliere di non accettare un figlio appena nato, esponendolo fuori della porta di casa, si capisce quanto doveva essere squilibrato e disarmonico il rapporto all’interno della famiglia. Non stupisce che, nella tarda romanità, uomini e donne cercassero nell’amore extraconiugale quella libertà e quell’abbandono che non trovavano fra le mura domestiche; il che alimentò, a sua volta, un clima di dissolutezza morale sempre più pronunciato, permettendo alla lussuria di dominare incontrastata e portando la relazione sessuale su un piano estremamente brutale e utilitaristico, quasi animalesco. La pratica frequentissima dell’aborto e le tecniche contraccettive, il dilagare dell’adulterio, infine la diffusione sempre più ampia delle pratiche omosessuali condussero il mondo romano verso una sorta di collasso morale, di cui è testimonianza efficace laLettera ai Romani di San Paolo; nei secoli seguenti, la situazione non fece che peggiorare, lasciando agli individui libero sfogo nelle loro passioni più turpi. Qualche indizio di tale depravazione progressiva ce lo dà specialmente Orazio, con le poesie nelle quali parla delle vecchie libidinose che farebbero qualsiasi cosa per prolungare la loro abitudine al piacere, e descrive perfino delle pratiche di magia nera, con tanto di sacrifici umani, mediante le quali una vecchia strega cerca di legare per sempre la volontà del suo volubile amante. E, con Orazio, siamo ancora all’epoca di Augusto; si pensi a quanto dovettero andare oltre le cose nei quattro secoli seguenti: Marziale e Giovenale ci danno ulteriori indizi; Svetonio, ad esempio, ci parla di Nerone che, fra le altre cose, giunse a voler sposare il suo amante Sporo, prendendolo come fosse una moglie.
Poi è venuto il cristianesimo, che, anche in questo ambito, come in altri (il rapporto fra i padroni e gli schiavi, i giochi gladiatori nel circo, certe usanze di guerra e certe pratiche della giustizia) cercò di bonificare l’immensa palude e, in gran parte, attraverso uno sforzo di alcuni secoli, finì per riuscirvi. Il riconoscimento della dignità della donna e della sposa; un atteggiamento più benevolo e rispettoso verso i figli; una rigorosa santificazione del matrimonio; il biasimo per le condotte sessuali anormali, per la sfrenatezza, per la pornografia; la diffusione di una mentalità ascetica e l’elogio della castità e della purezza, anche in senso morale; la superiorità dell’uomo e della donna che si consacrano a Dio rispetto all’uomo e alla donna che scelgono, pur legittimamente, la vita nel mondo: tutto questo ha ingentilito alquanto il concetto e la pratica dell’amore, così da giustificare quel verso di Foscolo, riferito alla lirica di Petrarca: … che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma, d’un velo candidissimo adornando, rendea nel grembo a Venere celeste. Ribadiamo che l’ideale dell’amore cristiano come agàpe, come relazione spirituale che si ispira al modello dell’amore perfetto di Dio, rimase pur sempre un modello, e noi non commetteremo certo l’ingenuità di pensare che, con l’avvento della civiltà cristiana, l’amore, sul terreno pratico, abbia conosciuto una spiritualizzazione straordinaria: però una nuova strada era stata tracciata, e la brutale veemenza dell’eros greco e romano, estirpata in maniera radicale. Al punto che, quando l’amore-passione volle fare la sua ricomparsa nella poesia europea (coi trovatori provenzali specialmente), dovette pur sempre sublimarsi e sottomettersi, almeno in parte, al processo di spiritualizzazione che nei secoli precedenti si era operato, e che si rivelò irreversibile. Benché adultero, e quindi peccaminoso,  l’amore di Tristano e Ginevra, nei romanzi del ciclo arturiano, non arriva mai alla cruda sensualità di un Orazio o di un Catullo (perché bisogna pur dire che Catullo è stato un po’ troppo idealizzato, selezionando alcune sue poesie a discapito di altre, nelle quali traluce la bestiale animalità sensuale del mondo pagano). In ogni caso, nessuno scrittore e nessun poeta medievale sarebbe mai ritornato nell’angolo brutto dell’eros greco-romano, per esempio in certi dialoghi di Luciano di Samosata, nei quali si discetta sui reciproci pregi dell’amore eterosessuale e di quello omosessuale, con una disinvoltura e una franchezza che hanno qualcosa di urtante e di vergognoso.
Poi, con la modernità, la palude ha riguadagnato terreno. Hanno cominciato i libertini, e, dopo di loro, gl’illuministi; Diderot, il grande regista della Enciclopédie, è stato anche uno scrittore di romanzi pornografici, nei quali al compiacimento del sesso si sovrappone quello della blasfemia, dato che i personaggi più assatanati sono dei religiosi. Dal clima anticristiano e licenzioso dell’epoca scaturisce l’opera del marchese De Sade, che è un inno alle peggiori perversioni sessuali e alla degradazione del rapporto uomo-donna ai livelli più bassi immaginabili, quali mai erano stati toccati nemmeno nel paganesimo antico. Non vale la pena di risalire la corrente di questo torrente fangoso, che, specie nella letteratura, poi nel cinema e nei concerti di musica leggera, infine nella moda, non ha fatto che ingrossare e intorbidirsi sempre più, fino a dilagare ovunque ed erotizzare, specialmente per mezzo della pubblicità (radiofonica, televisiva, cartacea) ogni aspetto della vita quotidiana, e portando la pornografia nel bel mezzo della vita d’ogni giorno, anche nel serio ufficio d’un uomo d’affari, come nel caso dei calendari erotici “firmati” e nella pretesa arte fotografica di certi cultori della sconcezza sessuale. Alcuni romanzi di Alberto Moravia possono dare l’idea di quale livello di degradazione abbia raggiunto lo svilimento della dimensione spirituale dell’amore, che millecinquecento anni di cristianesimo avevano portato nella nostra civiltà.
Ora, il fatto è questo. Il paganesimo è ritornato alla grande, e in numerose forme: pagana è la religione dell’uomo contemporaneo, basata sull’adorazione dei feticci: il denaro, il potere, il sesso. E pagana è la nuova concezione dei rapporti interpersonali, brutalmente edonista e utilitarista, basata sul reciproco uso e sfruttamento. La degradazione dell’amore a pura e semplice lussuria fa parte di questo quadro e ci mostra fino a che punto l’allontanamento da Dio, proprio della civiltà moderna, ci abbia condotto. La crisi dei rapporti fra l’uomo e la donna, attestata da tre secoli di letteratura e, più recentemente, dal cinema e dalle arti visive, indica che l’uomo e la donna hanno smarrito l’equilibrio, l’armonia, lo stupore, la dolcezza del reciproco incontro e che, a forza di vedersi l’un l’altra esclusivamente come strumento di piacere fisico, hanno finito per diventare due perfetti estranei, pronti a combattersi e a volersi distruggere, non appena finisce l’incanto dei sensi e si ritorna alla realtà della vita quotidiana.
Analfabeti dell’amore, dobbiamo ritrovare l’agàpe

di Francesco Lamendola
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