ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 15 ottobre 2017

Il suo Gesù

ABASCAL: RELATIVISMO ESTREMO

La quintessenza del relativismo più estremo: malizia e disonestà intellettuale di padre Sosa Abascal. La dottrina gli piace poco, forse perché essa ha il brutto vizio di definire con chiarezza ciò che è vero e ciò che è falso
di Francesco Lamendola 



Nel febbraio del 2017 il nuovo generale dei gesuiti, padre Arturo Sosa Abascal  ha pensato bene di presentarsi per mezzo di una intervista (oggi si usa così...) al giornalista svizzero-ticinese Giuseppe Rusconi, per il sito rossoporpora, intervista poi ripresa e pubblicata sul Giornale del Popolo di Lugano. Polemizzando, neanche tanto indirettamente, con il cardinale Gerhard Ludwig Müller, il quale aveva ribadito, a proposito dell'insegnamento cattolico sul matrimonio, che le parole di Gesù circa la sua indissolubilità sono chiarissime, e quindi la dottrina cattolica è immodificabile, Sosa ha fatto una serie di affermazioni a dir poco sconcertanti, del seguente tenore:

Intanto bisognerebbe incominciare una bella riflessione su che cosa ha detto veramente Gesù. A quel tempo nessuno aveva un registratore per inciderne le parole. Quello che si sa è che le parole di Gesù vanno contestualizzate, sono espresse con un linguaggio, in un ambiente preciso, sono indirizzate a qualcuno di definito. [...] 
Nell'ultimo secolo nella Chiesa c'è stato un grande fiorire di studi che cercano di capire esattamente che cosa volesse dire Gesù. Ciò non è relativismo, ma certifica che la parola è relativa, il Vangelo è scritto da esseri umani, è accettato dalla chiesa che  fatta di persone umane. [...] 
Perciò è vero che nessuno può cambiare la parola di Gesù, ma bisogna sapere quale è stata!
[E sulla posizione della Chiesa circa l'indissolubilità del matrimonio] Io mi identifico con ciò che dice papa Francesco. Non si mette in dubbio, si mette a discernimento.[...] 
Dottrina è una parola che non mi piace molto, porta con sé l'immagine della durezza della pietra. Invece la realtà umana è molto più sfumata, non è mai bianca o nera,  è in un sviluppo continuo".

Nonostante la excusatio non petita, cioè l'autodifesa preventiva nei confronti di una possibile accusa di relativismo, la concezione del cristianesimo esposta da padre Sosa è la quintessenza del relativismo più estremo, diciamo pure del situazionismo. Tutto dipende dalla situazione specifica, concreta, immediata, anche la scelta etica: dato che l'uomo non è mai bianco o nero, ma è in uno sviluppo continuo. Come diceva Pirandello: noi non abbiamo un io, ma un flusso vitale continuo e senza una forma ben definita. Peccato che ci sia ben poca logica, oltre che ben poco cattolicesimo, in questa concezione. Una cosa è dire che nell'uomo vi sono sia il male che il bene, e una cosa è dire che egli non è "bianco o nero"; e un'altra cosa ancora dedurne che, essendo in sviluppo continuo (ma chi lo dice? può essere in fase di evoluzione, può essere in fase di involuzione: questa è la dottrina cattolica, che a Sosa non piace), a lui non si addicono le verità chiare e ben definite. Al contrario: è proprio per venire incontro alla sua fragilità, alla sua incoerenza, alla sua confusione, che esiste la dottrina: e la dottrina non è altro che l'insegnamento di Gesù Cristo tramandato dalla Chiesa. Tramandato da duemila anni di Magistero e non solo dal Concilio Vaticano II in poi. Un generale dei gesuiti che dice di non gradire la parola "dottrina" sta già tradendo la sua missione: sarebbe come un generale dell’esercito il quale dicesse ai suoi soldati di non gradire la parola "disciplina". Se fosse onesto, a quel punto dovrebbe dimettersi e fare qualcos’altro nella vita. Ma se invece conserva i galloni di generale, anzi, sfrutta la notorietà della sua recente promozione per dire cose simili, e questo proprio nel bel mezzo di una guerra per la vita e per la morte (perché  cattolici sono in guerra, e non l’hanno dichiarata loro: la stanno subendo, sono sotto attacco e solo un cieco o un traditore potrebbe non vederlo), allora si deve pensare che costui è un agente provocatore, un infiltrato, il cui scopo è di seminare sbandamento e confusione nelle proprie file. E il minimo che si debba fare ai traditori è cacciarli a pedate, prima che il danno sia irreparabile.
Secondo padre Sosa, la parole dottrina fa pensare alla durezza della pietra, mentre la realtà umana è molto più sfumata, eccetera. Questo è un corto circuito del pensiero: egli ammette che l'uomo è perennemente "in situazione", ma rifiuta l'unica cosa che può dargli stabilità, uniformità, armonia, senso e direzione: la certezza del vero. Gesù stesso paragona la fede a una casa costruita sulla roccia, che nessuna tempesta è in grado di scuotere dalle sue fondamenta: ebbene, la dottrina è il materiale di cui sono fatte le basi della fede. Una fede senza dottrina è un assurdo: fede in che cosa, di grazia? Fede  nell'uomo stesso, per  caso? Verrebbe da pensarlo, visto che, in questa concezione, tutto è rapportato all'uomo, tutto fa riferimento all'uomo e pare che Dio stesso debba adottare il punto di vista umano, il che è un vero rovesciamento della sana teologia, la quale ha sempre saputo ed insegnato che le vie del Signore non sono le vie dell’uomo; e inoltre - come ha detto Gesù in persona - Dio nasconde il suo mistero ai sapienti e agli intelligenti, per rivelarlo ai piccoli, cioè agli umili di mente e di cuore. Ma non c'è alcuna traccia di umiltà nel modo di porre le questioni della fede da parte di padre Sosa. Non c'è alcuna umiltà, quando egli dice, con inverosimile nonchalance, di non amare la parola dottrina, che duemila anni di Magistero ha sempre considerato come l'anima delle vera fede. Non c'è alcuna traccia di umiltà, quando dice che ai tempi di Gesù nessuno ha inciso su nastro le sue parole e che, pertanto, non si sa cosa realmente abbia detto il Sognore: è come insinuare che, per duemila anni, la Chiesa ha costruito dei castelli di sabbia. E non c'è ombra di umiltà nelle parole di padre Sosa, laddove egli dice, con tutta tranquillità, che si tratta di sapere cosa Gesù realmente abbia detto: è come se accusasse duecentosessanta papi e ottanta generazioni di cattolici di aver costruito un Vangelo ipotetico, opinabile, forse addirittura arbitrario.
La sua malizia e la sua disonestà intellettuale traspaiono anche dai particolari. Quando dice, con sicumera, che nell'ultimo secolo c'è stata una grande fioritura di studi, nella Chiesa, per capire che cosa veramente ha detto Gesù Cristo, dice una cosa falsa e tendenziosa. Non nell'ultimo secolo: nell'ultimo mezzo secolo, cioè dopo il Vaticano II. Un secolo fa c'era Benedetto XV, e recente era la scomunica del modernismo da parte di Pio X. Nessuno si sognava di porre in dubbio che i Vangeli  riportassero fedelmente le parole e il pensiero di Gesù, né che la Chiesa custodisse da sempre e  riportasse fedelmente i Vangeli. Solo qualche eretico  e qualche scomunicato lo faceva, come Ernesto Buonaiuti: qualcuno che non era nella Chiesa o che ne veniva allora cacciato. Forse padre Sosa intende riabilitare implicitamente e surrettiziamente quelle persone? Ci sarebbe da pensarlo, vista la sua perfetta sintonia con papa Francesco, il quale, vedi il caso di don Lorenzo Milani (che il "papa buono" per antonomasia, Giovanni XXIII, aveva definito un povero pazzerello fuggito dal manicomio, proprio per la pubblicazione del libro Esperienze pastorali, ora tanto lodato), di riabilitazione di preti discussi e discutibili se ne intende parecchio. A parte costoro, quelli che procedevano nell'esegesi biblica a colpi di "smitizzazione", un pezzo dopo l’altro, erano i teologi protestanti della scuola cosiddetta liberale, non certo i cattolici. E chi voglia apprezzare la differenza, metta a confronto i lavori di Rudolf Bultmann - per esempio il suo Gesù - il quale, togliendo un "mito" dopo l'altro, non lascia praticamente più nulla di soprannaturale intorno alla figura del Redentore, tanto da autorizzare la domanda se ci troviamo di fronte al Figlio di Dio o ad un semplice uomo di alta statura morale, e la Vita di Gesù Cristo di Giuseppe Ricciotti, forse il migliore storico del Vangelo della scuola cattolica ortodossa: quella che non poneva affatto in dubbio la veridicità dei Vangeli e la loro perfetta attendibilità quanto alle cose dette e fatte da Gesù Cristo, registratori o non registratori posizionati per coglierne la viva voce.
Eppure, il Vangelo di Giovanni, nella conclusione (21, 24-25), afferma: Questo è il discepolo che rende testimonianza sui questo fatti; e li ha scritti e noi sappiano che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù, che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere. Perciò, i casi sono due: o si crede agli evangelisti, o non ci si crede, e si presta fede a padre Sosa. Da una parte le persone che vissero accanto a Gesù, i suoi discepoli e quelli per primi si fecero i battezzare e accolsero il Vangelo, insieme a duemila anni di Padri della Chiesa, a venti concili ecumenici (il Vaticano II è il ventunesimo), compresi quelli di Trento e il Vaticano I, dei quali i teologi e il clero modernisti non amano parlare mai; dall’altro, padre  Sosa e quelli che la pensano come lui. Ma chi è padre Sosa? Il generale dei gesuiti. Dunque, prendiamo atto che a un generale dei gesuiti, l’ordine religioso più importante della Chiesa cattolica, quello dal quale proviene anche il papa attuale (il primo ed unico, a dire il vero; mai un gesuita aveva avuto l’ambizione di sedersi sulla cattedra di san Pietro, finora) è permesso dire – e dire alla stampa, come una qualsiasi personalità laica, che parla prima ai giornalista e poi, eventualmente, ai fedeli - qualcosa che, fino a pochi anni fa, sarebbe costato caro a un qualsiasi seminarista di un qualsiasi seminario cattolico, per non parlare di un professore di teologia o di scienze bibliche: che nessuno sa cosa disse veramente Gesù Cristo. Si tratta di un’affermazione inaudita, intollerabile: per farsi un’idea della sua gravità e della sua follia, si provi a immaginare un musulmano il quale affermi che non si può sapere se quel che c’è scritto nel Corano sia davvero ciò che disse, o dettò, il profeta Maometto. Le sue parole verrebbero giudicate una provocazione e una bestemmia intollerabile, e un tale incauto sarebbe lapidato all’istante.


«E noi sappiamo che la sua testimonianza è vera»

di Francesco Lamendola
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